Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi
La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi
La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi
E-book229 pagine3 ore

La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La lunga strada percorsa da una comunità che tante volte è caduta ed è poi stata capace di rialzare la testa, che ha conosciuto traversie e le ha affrontate rimboccandosi le maniche, che ha vissuto albe, tramonti, notti oscure e giornate luminose. Che ha portato con dignità e tenacia il suo granello di sabbia nella costruzione del cammino dell'umanità.

Un libro pensato per i ragazzi, ma scritto anche per gli adulti.
LinguaItaliano
Data di uscita1 set 2023
ISBN9791221482348
La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi

Correlato a La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi

Ebook correlati

Narrativa storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La storia di Paglieta raccontata ai ragazzi - Nando Cianci

    Quando si vuole accecare

    un individuo o un popolo,

    gli si fa perdere il legame

    con la sua origine,

    con il senso segreto e manifesto

    della sua memoria.

    (Eugenio Barba)

    1

    NELLA NOTTE DEI TEMPI

    Chiudete gli occhi. Cancellate dal vostro sguardo mentale tutte le immagini di Paglieta che avete immagazzinato nella memoria: la piazza, il campanile, i vicoli del centro storico, Corso Vittorio Emanuele, Corso Garibaldi, Via Cavour, Piazza Marconi, Piazza Martiri Lancianesi. L’ufficio postale, le scuole, il municipio. Il campo sportivo, il poliambulatorio, il palazzetto dello sport, la sala polivalente e il teatro comunale. I bar e i negozi. Cancellate tutte le case dentro e fuori dalle mura del castello¹. Anzi: cancellate anche il castello ed ogni altra costruzione dell’uomo che oggi vedete ed immaginate. Anche le contrade e le case isolate in campagna. Anche il ponte di Guastacconcio. E quello di Zamenca. Resettate tutto. Non potete affacciarvi dal muraglione, perché lo avete cancellato. Al suo posto c’è solo un dirupo. Inerpicatevi lungo il colle fino al punto in cui nei secoli futuri sorgerà il Palazzo Piccirilli². Un altro piccolo sforzo tra la vegetazione e avrete raggiunto la sommità, che oggi conosciamo come Strada Capocroce. Non ci sono strade, non ci sono case. Una foresta declina verso la pianura; si stenta a scorgere, giù nella valle, qualche tratto di fiume tra la boscaglia. Da qualunque parte vi aggiriate, per il colle dove oggi sorge il paese, avrete davanti agli occhi dell’immaginazione solo campagna incolta, siepi selvatiche. Se vi trovate giù in pianura e volgete lo sguardo verso il colle, né muraglione, né campanile, né case appariranno ai vostri occhi. Solo una fitta vegetazione. Udrete versi di animali sconosciuti. O di animali che non abitano più qui. Vedrete piante alle quali non saprete dare un nome.

    Spogliate la mente dalle idee e dagli oggetti che incontrate e usate quotidianamente. Non dovete neanche immaginare che un giorno un cancello possa aprirsi senza che voi lo spingiate manualmente. Anzi: non dovete neanche immaginare che possa esistere un cancello scorrevole. E nemmeno un cancello che non scorre. Non disponete di protesi meccaniche, né digitali (e neanche ne immaginate l’esistenza) che possano consentirvi di muovervi da un posto all’altro senza azionare i vostri muscoli e sollecitare i vostri tendini. Né di comunicare con chiunque non sia alla portata della vostra voce. Né di orientarvi nei vostri movimenti. Siete soli in mezzo alla natura. Solo in seguito vi accorgerete di far parte di un piccolo nucleo che inizialmente si è raggruppato per poter esercitare la caccia ad animali che non potreste affrontare da soli e poi, pian piano, si evolverà verso forme più sofisticate di vita associata. La vostra mente è capace di rivolgersi solo a quello che avete davanti agli occhi e la vostra immaginazione al massimo può spingersi a vedere esseri animati, spiriti, volontà che vi sovrastano dietro le cose percepite dal vostro sguardo: la luna, il sole, l’acqua, il fuoco, qualche animale³. I panni che avevate addosso sono stati sostituiti da una grezza pelle di animale⁴. Vi sembrerà un incubo, se guardate tutto ciò con gli occhi dell’oggi. Ma ormai non avete più quegli occhi e non avrete paura, perché siete nella condizione naturale di esistenza di un uomo primitivo, se sarete riusciti a fare questo viaggio immaginario senza portarvi dietro la vostra memoria. O, meglio, avrete solo le paure che gli uomini potevano avere alcune migliaia di anni fa. E siete già fortunati, perché manca solo una dozzina di migliaia di anni ai giorni nostri e appartenete ad una specie che ha già fatto molta esperienza nel mondo.

    Benvenuti nella preistoria.

    Ci troviamo all’inizio dell’epoca che i geologi definiscono Olocene⁵ e, se non amate l’esplorazione solitaria e cercate compagnia, dovete rassegnarvi al fatto che difficilmente incontrerete molta gente in giro, considerando che fino a buona parte del Neolitico la popolazione di tutta la terra non andava oltre i 10 milioni di abitanti, quanti ne vivono oggi nella sola Lombardia⁶. E, se non vogliamo accontentarci del sentito dire, l’assenza di reperti da toccare con mano fa sì che siamo ancora lontani dal poter stabilire con certezza una qualche forma di stanziamento umano sulla collina di Paglieta nella preistoria⁷. Anche se non la possiamo certamente escludere, specie se consideriamo che – molto vicino a noi – resti di un insediamento paleolitico sono stati trovati a Casalbordino e che un villaggio neolitico era presente a Fossacesia nel terzo millennio a.C.⁸

    Per imbatterci in qualcosa di concreto che riguarda il nostro territorio comunale, dobbiamo perciò abbandonare l’età della pietra e, con una immaginaria macchina del tempo, planare nel bel mezzo dell’Età del Ferro⁹. Siamo così penetrati nell’ultimo millennio a. C. e da quest’epoca ci giunge un reperto, databile tra il VI e il V secolo a. C. Si tratta di dischi corazza in bronzo e ferro per la protezione del precordio (l’area cardiaca) rinvenuti nel 1966 da un contadino, nel tratturo di Paglieta, all’interno di due tombe di antichi guerrieri nelle quali egli incappò durante uno scasso¹⁰. Che ci facessero lì quei due all’epoca della loro morte, e in quale e quanta compagnia fossero, non ci sono altri reperti per dirlo¹¹. Sorgeva dalle nostre parti un insediamento permanente? Erano guerrieri di passaggio o stanziati provvisoriamente per una qualche missione di guerra o esplorativa? Tutte le ipotesi sono plausibili, perché in quell’epoca, in effetti, stavano avvenendo molti movimenti fra le popolazioni, che davano luogo a scontri, incontri, fusioni di popoli, nonché a nuovi insediamenti. Si trattava tanto di grandi migrazioni provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico (che erano iniziate da vari secoli), quanto di movimenti più ordinari interni al nostro territorio. La scoperta di oggetti analoghi a quelli trovati a Paglieta tanto in zona di mare (a Numana, nel territorio dei Piceni) che in località appenniniche, come Alfedena, ci fa pensare a contatti e comunicazioni fra il nostro mare e i nostri monti.

    A seguito di quei movimenti e migrazioni, i territori che ci interessano, e che costituiscono l’attuale Abruzzo Meridionale, erano abitati da un mosaico di popoli e tribù. I luoghi sui quali oggi si estende Paglieta rientravano nel territorio dei Frentani¹², i cui confini sono generalmente individuati dai fiumi Arielli e Biferno (secondo alcuni dal Fortore) e il cui territorio, rispetto a noi, si inoltrava all’interno fino a Tornareccio, dove incontriamo la tribù dei Lucani settentrionali o Lucanati, che avevano il loro abitato principale di riferimento in Pallanum, le cui rovine si trovano ancora oggi sul Monte Pallano. Qui ci imbattiamo in una questione che ci riguarda da vicino, perché, ai primi del 1900, un cultore di storia abruzzese, rifacendosi allo storico tedesco Theodor Mommsen, sostenne che Pallanum in realtà si trovasse nei pressi dell’attuale Paglieta. O che a portare tale nome, nell’antichità, siano state due località, una sul monte omonimo ed una in territorio di Paglieta¹³. Gli studi più recenti, comunque, pongono decisamente la Pallanum dei Lucani sul monte che sta tra Tornareccio e Bomba¹⁴.

    Sempre inoltrandoci verso l’interno, ma risalendo la riva sinistra del Sangro, penetriamo nel territorio che era abitato dai Carecini (o Carricini o Caraceni). Ma, a conferma che l’Italia è stata una terra complicata sin da prima che esistesse come tale, i Carecini vanno distinti in due sottotribù: i Supernates a nord e gli Infernates, più a sud. I primi avevano il loro caposaldo in Cluviae (che incontreremo di nuovo più avanti), ubicato nel territorio ove attualmente si estende la contrada Laroma di Casoli, e i secondi avevano come centro di raccordo Juvanum – in territorio di Montenerodomo – i cui resti sono ancor oggi visitabili¹⁵.

    Tanto i Frentani, che i Lucani e i Carecini confinavano con il più vasto territorio dei Sanniti Pentri, che si estendeva da Quadri fino a Sepino, nell’attuale Molise. I confini delle terre abitate da queste tre popolazioni si incrociavano, praticamente, nella zona dove oggi sorge Colledimezzo, a 30 chilometri da Paglieta¹⁶.

    A nord, invece, Frentani e Carecini confinavano con Marrucini e Peligni, che insieme ad altri popoli ancora completavano il composito mosaico degli abitanti dell’Abruzzo in epoca preromana¹⁷.

    Tutti questi popoli hanno verosimilmente avuto un’origine comune e deriverebbero dai Sabini (i quali, a loro volta, appartenevano al ceppo più grande dei Sabelli). Ma da dove vengono i Sabini? In questo campo ci muoviamo tra ipotesi e leggende. La più suggestiva ci viene proposta da uno storico abruzzese dell’800: i Sabini sarebbero arrivati dall’Illiria e discenderebbero dallo stesso popolo che generò gli Spartani. Insomma noi, per via dei Sabini, dai quali sono venuti anche i Frentani, avremmo gli stessi antenati degli Spartani¹⁸. Quel che, ad ogni modo, sembra certo è che tra il VII e il V secolo a.C. popolazioni provenienti dal nord delle Alpi e/o dalle terre oltre l’Adriatico si fusero, da noi, con quelle indigene dando luogo al sorgere di varie tribù italiche¹⁹. Che, a loro volta, generarono nuove migrazioni.

    Ma qui dobbiamo fermarci, perché il mosaico si fa sempre più complicato e rischieremmo di perderci. Ci basti sapere che, probabilmente, la discendenza di un popolo italico da un altro avveniva attraverso il ver sacrum (la primavera sacra), che, secondo racconti leggendari, funzionava pressappoco così. Quando si verificava una situazione particolarmente sfavorevole (una guerra, un’epidemia…) la comunità stabiliva di procedere – magari dopo aver consultato un oracolo – ad una sorta di espiazione collettiva, che prevedeva sacrifici di raccolti e di animali e la migrazione verso un nuovo territorio di tutti i nati²⁰ in quell’anno. La partenza avveniva quando essi raggiungevano la maturità e si svolgeva sotto l’egida di un dio, a volte effigiato nella forma di animale. Con l’arrivo a destinazione e con la fusione con gli abitanti indigeni preesisitenti, nasceva un nuovo gruppo etnico. Sarebbero così nati gli Irpini, che seguivano l’immagine di un lupo, (hirpus in lingua osca), i Piceni, dietro un picchio (Picus), i Marsi, al seguito del dio Marte (Mars), i Vestini, dietro l’emblema della dea Vesta. E così via. Poteva poi accadere che da qualcuno di questi nuovi insediamenti partissero ulteriori primavere sacre che davano origine a nuovi popoli ancora. Fondendosi, a loro volta, con gli abitanti che li avevano preceduti. Secondo una tradizione, i Frentani nacquero da una di queste primavere sacre partite, almeno originariamente, dal ceppo dei Sabini²¹. Forse il cocuzzolo dell’attuale centro storico, su cui la nostra fantasia ci ha insediati poco fa, quando abbiamo immaginato di trasferirci nella preistoria, era – in quest’epoca in cui si formano i Frentani – già presidiato. O era ancora un prato o una boscaglia. Ma da lì avremmo certamente potuto osservare un via vai di gente di una certa consistenza, se rapportata alla esiguità della popolazione di quei secoli.

    In questi racconti, abbiamo detto, vi è anche un po’ di leggenda. Come spesso avviene, è probabile che la leggenda sia nata dopo, per dare una giustificazione religiosa ad eventi migratori che solitamente avvengono per cause più materiali: necessità di nuovi territori da sfruttare a causa dell’aumento della popolazione, lotte intestine alle tribù, dalle quali si allontanano o vengono allontanati i perdenti, fughe da territori minacciati da altre popolazioni, epidemie da cui cercare scampo, carestie. Insomma, le eterne cause dei movimenti dei popoli. Al primo di questi fattori (l’insufficienza delle risorse, specialmente agricole, della montagna per sostenere l’aumento della popolazione) è legata, probabilmente, la nascita di un fenomeno che avrà molto peso nella successiva storia dell’Abruzzo: la transumanza. I popoli di pastori-guerrieri che si erano insediati nelle zone appenniniche avevano bisogno di spostare, in inverno, le greggi dai pascoli montani, buoni per l’estate, a quelli di pianura. In questi movimenti, dai sentieri aperti dalle greggi che andavano a svernare sorsero i tratturi, che avrebbero rappresentato per molti secoli le grandi vie di comunicazione in Abruzzo. Ma siamo in un’epoca in cui non vi sono – o non sono estesi su territori sufficientemente vasti – poteri statali, eserciti, polizie, magistrature a regolare il traffico e gli spostamenti tra i vari territori. Sugli armenti incombono, ad ogni selva attraversata, dietro ogni boscaglia, lungo le vaste pianure, predoni, popolazioni affamate, tribù che dominano un territorio. Nasce, così, l’esigenza di rendere più sicuri i tragitti autunnali e primaverili e la permanenza invernale. Il modo migliore per farlo è quello di istituire stanziamenti permanenti in tali territori. Le tribù si espandono, e a volte si fondono con chi già abita quei luoghi, anche sotto questa spinta. Tale contesto – considerando che ai due lati del nostro paese passavano due rami di tratturo²² – rende ancora una volta plausibile l’ipotesi di un insediamento umano sulle colline di Paglieta già in epoca preromana. Ma, di nuovo, non ci sono, o non sono ancora stati trovati, resti che lo confermino. Parleremmo, nel caso, di un piccolo insediamento, perché proprio le caratteristiche dell’economia della transumanza e l’esercizio della pastorizia furono, al contempo, causa ed effetto della mancanza di città vere e proprie in Abruzzo (vi furono centri di un certo rilievo, ma le prime vere città furono quelle fondate dai romani, come Carseoli, Carsoli, e Alba Fucens, Albe, alla fine del IV secolo a.C.). Ad un tipo di economia nomade quale è la pastorizia, infatti, più che le città si confanno – per l’organizzazione delle forme di vita comuni religiose, politiche, amministrative, economiche e sociali – i santuari, nei cui pressi si svolgevano anche i mercati e le fiere lungo i percorsi delle transumanze²³. E per controllare lunghi itinerari risulta più funzionale la creazione di piccoli, ma frequenti, centri fortificati. Paglieta potrebbe essere stata (ma non ci è lecito abbandonare il condizionale) uno di questi: nulla ce lo dice con certezza, ma nulla può farcelo escludere.

    La distribuzione delle genti italiche nell’Abruzzo meridionale

    (Foto tratta da Amalia Faustoferri, Prima dei Sanniti. Le necropoli

    dell’Abruzzo meridionale, in Mefra, 115, 2003)

    I gruppi etnici dell’Abruzzo preromano.

    (Foto tratta da Dario Savoia, Abruzzo preromano,

    dispensa del Gruppo Archeologico Milanese)

    ___________________

    ¹ Il perimetro del vecchio castello é oggi delimitato dalle seguenti strade: Via Corrado, Via Fuori le Mura, Via Sinello, Via Sangro, Via delle Torri. Al castello si accedeva dall’arco posto sotto la torre civica (oggi sormontata dal campanile).

    ² Questo palazzo, sito in Largo del Castello, nel centro storico, fu sede del municipio dagli anni Trenta agli anni Sessanta del Novecento.

    ³ Qui, per esigenze narrative, la religione primitiva viene molto semplificata. In realtà la sua storia è più complessa. Per approfondire, fra i tanti studi sull’argomento, si possono consultare: Henri-Charles Puech, Storia delle religioni, vol. I, Laterza, Roma-Bari, 1976; Ambrogio Donini, Lineamenti di storia delle religioni, Editori Riuniti, Roma, 1974; James George Frazer, Il ramo d’oro, vol. I, CDE, Milano, 1973.

    ⁴ Siccome pelli e tessuti difficilmente possono conservarsi a lungo in ambienti naturali, risulta difficile stabilire quando iniziò l’uso umano di coprirsi con le pelli. Alcuni studiosi fanno risalire i primi vestiti addirittura a 170.000 anni fa. Già almeno tremila anni fa, comunque, in alcune parti del mondo eravamo capaci di lavorare tessuti con una certa raffinatezza. Una approfondita ricerca sul web vi consentirà comunque di trovare le varie ipotesi e di scoprire anche alcune curiosità: per esempio che gli antenati della specie umana persero circa un milione di anni fa la copertura di peli che li proteggeva e che, secondo lo studioso americano David Reed, nonostante questa perdita, l’uomo sopravvisse in Africa senza vestiti per centinaia di migliaia di anni (cfr. lescienze.it. 8 gennaio 2011).

    ⁵ L’Olocene, che si fa iniziare convenzionalmente 11.500 anni fa (altri ne datano l’inizio a 10.000, facendolo coincidere con quella del Neolitico), ci ha accompagnato fino al secolo scorso. Nel 2019 un gruppo di scienziati ha ufficializzato che siamo entrati, almeno dal 1945, nell’Antropocene, caratterizzato da un impatto molto forte dell’uomo sull’ecosistema terrestre. Ma sulla data d’inizio convenzionale dell’epoca geologica attuale deve ancora essere presa una decisione ufficiale. O, magari, quando questo libro vi capiterà tra le mani, tale data sarà già stata stabilita.

    ⁶ Ce ne informano Guido Barbujani e Andrea Brunelli in Il giro del mondo in sei milioni di anni, il Mulino, Bologna, 2018, p. 125, mettendo insieme dati archeologici, genetici e (per gli ultimi secoli) storici. Cinquemila anni fa la popolazione mondiale si era decuplicata, venendo stimata in 100 milioni; per poi salire a 250 milioni in età imperiale romana. Secondo altri, la popolazione mondiale sarebbe stata di 5 milioni di abitanti nel 10mila e di 20 milioni nel 4mila a. C. (Roberto Fieschi, Dalla pietra al laser, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1