La Puglia che nessuno conosce
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Info su questo ebook
Avete mai sentito parlare della reggia scomparsa di Foggia? O visto le misteriose segrete del conte di Montecristo a Taranto? Sapete cosa sono le masciàre e perché sarebbe meglio non incontrarle? Se la risposta a queste domande è no o siete curiosi di approfondire fatti pugliesi poco noti, allora questo è il libro per voi. La Puglia è una terra ricca di tesori nascosti e ben poco conosciuti dai turisti. Quando si nomina questa regione, tutti possono pensare al Tavoliere, alle orecchiette, ai taralli, a città straordinarie come Bari, Lecce o Taranto; ma il percorso che Stefania Mola costruisce in queste pagine è un itinerario preciso che vi condurrà alla scoperta di luoghi, leggende e curiosità di cui non immaginereste mai l’esistenza.
Dalle zone più celebri alle bizzarrie celate nei borghi e nelle chiese di campagna, dalle meraviglie paesaggistiche alle opere d’arte più strabilianti. Questo libro vi porterà nel cuore di una regione magica, e alla fine del viaggio la Puglia stessa non sarà più quella che credevate di conoscere.
Storia, natura, cibo: tutte le meraviglie pugliesi mai raccontate prima
Tra i contenuti del libro:
Casamassima (BA). Il paese azzurro - Peschici (FG). Barche volanti per grazia ricevuta - Taranto. Segreti e segrete del conte di Montecristo - Isole Tremiti (FG). Un paradiso nato dall’inferno - Casaranello (LE). Il cielo in una stanza - Minervino Murge (BT). La casa delle streghe - Soleto (LE). Il mago e i suoi demoni
Stefania Mola
è nata a Napoli nel 1964. Specializzata in Storia dell’arte, vive a Bari, dove, dopo un’esperienza ventennale come caporedattrice in una casa editrice, lavora da freelance dividendosi tra editing, scrittura professionale e comunicazione. Ha al suo attivo diverse attività didattiche e collaborazioni con enti pubblici e privati operanti nel settore dei beni culturali e del turismo, nonché numerose pubblicazioni, tra cui: Puglia. Turismo Storia Arte Folklore; Foggia. Regina di Capitanata; Trani. La cattedrale e, con la Newton Compton, Il giro della Puglia in 501 luoghi; Forse non tutti sanno che in Puglia…; 101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere, La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili e La Puglia che nessuno conosce.
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Anteprima del libro
La Puglia che nessuno conosce - Stefania Mola
Indice
Non solo Federico II, trulli, pizzica e orecchiette
I. I SOLITI NOTI… RELOADED
Capitanata e Subappennino dauno. Non solo grano
Gargano. Non solo mare
Barletta-Andria-Trani. Non solo Puglia imperiale
Andria. Dal castello all’ossessione, e ritorno
Terra di Bari. Non solo cattedrali
Terra di Brindisi. Non solo porta d’Oriente
Taranto e l’arco ionico. Non solo Magna Grecia
Lecce e dintorni. Non solo barocco
II. TEMPO IMMOBILE
Sant’Agata di Puglia (FG). Il parco urbano delle Opere in pietra
Foggia. La reggia scomparsa
Poggiorsini (BT). Il castello invisibile
Casamassima (BA). Il paese azzurro
Gravina in Puglia (BA). Enjoy cola cola!
Brindisi. La casa che Virgilio non abitò mai
Castellaneta (TA). Pronti a salpare sul mare di pietra
Otranto (LE). Lo sciamano danzante della grotta dei Cervi
III. TRA SACRO E PROFANO
Peschici (FG). Barche volanti per grazia ricevuta
Bitetto (BA). Echi giotteschi in Santa Maria la Veterana
Conversano (BA). La Gerusalemme liberata di Paolo Finoglio
Ostuni (BR). Un Veronese in Puglia
Taranto. Segreti e segrete del conte di Montecristo
Manduria (TA). Un Calvario alquanto bizzarro
Galatina (LE). I colori della regina
Corigliano d’Otranto (LE). Un castello volante per viaggiatori esigenti
IV. CIBI DIMENTICATI
E LUOGHI DI… VINI
Rodi Garganico (FG). I profumi dell’oasi agrumaria
Bari. Il poker dello street food tra i vicoli (e nella storia) della città vecchia
Sammichele di Bari (BA). La focaccia a libro (e le sue sorelle)
Toritto (BA). La città delle mandorle
Ceglie Messapica (BR). Un biscotto… slow
Crispiano (TA). L’Amastuola, da 2.700 anni custode di bellezza
La frisella, pane da viaggio per palati esigenti
Salento. Nella terra del primo rosato italiano
V. ANGOLI NASCOSTI
Isole Tremiti (FG). Un paradiso nato dall’inferno
Bisceglie (BT). Storie di Falconi
Altamura (BA). Andar per claustri
Turi (BA). Un prezioso tappeto per sant’Oronzo
Cisternino (BR). Una lezione di pace da parte delle piante
Grottaglie (TA). La gravina di Riggio
Soleto (LE). Affreschi gotici in terra greca
Casaranello (LE). Il cielo in una stanza
VI. LATI OSCURI
Rocchetta Sant’Antonio (FG). Luci e ombre della città poetica
Minervino Murge (BT). La casa delle streghe
Conversano (BA). Argo, la porta dei cento occhi
Martina Franca (TA). La strada che sale in discesa
Massafra (TA). Nella terra dei masciari
Calimera (LE). L’abbraccio della dea Madre
Soleto (LE). Il mago e i suoi demoni
Tricase (LE). La chiesa dei diavoli
VII. SECONDE VITE
Sannicandro Garganico (FG). La voce perduta di Devia
Canosa (BT). Frammenti della piccola Roma
in Italia e nel mondo
Trani. Sant’Anna: da Sinagoga Grande, a chiesa, a museo
Valenzano (BA). Dieci secoli e non sentirli
Polignano a Mare (BA). Opere d’arte tra terra e mare
Mesagne (BR). Mesangeles, la nuova vita di una città antichissima
Mottola (TA). Un patrono insolito e rinnegato
Tuglie (LE). Quando la storia va in onda
VIII. RISCOPERTE
Accadia (FG). Rione Fossi, la città fantasma
Trinitapoli (BT). La Signora delle Ambre
Giovinazzo (BA). Due campanili spaiati sul mare
Villa Castelli (BR). Olio e trulli della piccola Alberobello
Bari. La storia in un megastore
Laterza (TA). Il MUMA ritrovato
Gallipoli (LE). La Wunderkammer che non t’aspetti
Porto Cesareo (LE). Storie sommerse per tutti
IX. PUGLIA CHE NON T’ASPETTI
Lesina (FG). Una bellezza non scontata
Roseto Valfortore (FG). Maschere, allegorie e un progetto per Tullio e Manlia
Trani. Il museo delle macchine per scrivere
Bari. L’opera di Tresoldi
Rutigliano (BA). Galloforie, il museo a cielo aperto
Oria (BR). Cavalieri, fantasmi e mummie
Lecce. Dialoghi contemporanei e bellezza del futuro
San Cesario di Lecce (LE). Il Santuario della pazienza e altri sogni
X. PUGLIA FUORI STRADA
Gargano di mare e di terra
Peschici-Vieste (FG). Il sentiero dei trabucchi
Fasano-Ostuni (BR). Storie di dune, di pietre e di mare
Taranto. Navigare con i delfini alle isole Cheradi
Salento. Viaggio tra giganti, millenari e romantici
Castro (LE). Sulle tracce di Enea
Corsano (LE). Le vie del sale
Santa Maria di Leuca (LE). Finisterre, dove la Puglia finisce ma la storia continua
Ringraziamenti
Bibliografia e sitografia
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Della stessa autrice:
Il giro della Puglia in 501 luoghi
Forse non tutti sanno che in Puglia…
La storia della Puglia in 100 luoghi memorabili
Prima edizione: dicembre 2022
© 2022 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-6420-1
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma
Stefania Mola
La Puglia che nessuno conosce
Un viaggio attraverso i luoghi,
i personaggi e le tradizioni pugliesi
che non ti hanno mai raccontato
OMINO.jpgNewton Compton editori
A Martina e a Francesco,
perché ovunque li porterà la vita – e il lavoro –
conservino sempre una buona ragione per tornare qui
E allora cominciò la scoperta.
Né si arrestò a questo primo viaggio, né al secondo,
né al terzo: la scoperta non finirà mai,
perché è un paese, la Puglia, come il mattino,
un mattino limpido, un mattino di sole liquido:
e, il mattino, sarà sempre lo stesso, ma non viene mai a noia. Ed ha sempre qualcosa di nuovo,
nel suo spettacolo sempiterno.
Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia, Bari 1960
Non solo Federico II, trulli, pizzica e orecchiette
In tempi in cui grazie alla tecnologia ci sembra di poter dominare ogni angolo del globo e, complice anche internet, di poter scandagliare ogni abisso della conoscenza senza neanche farci sfiorare dal dubbio, un titolo come La Puglia che nessuno conosce potrebbe apparire quanto meno pretenzioso.
Ma poiché ho accettato la sfida, proverò a difenderlo.
Partendo dai dati di fatto: si tratta di una regione che in questi anni ha fatto parlare di sé in un crescendo esponenziale, e il trend non sembra volersi arrestare. Non ci si limita a parlarne, perché a quanto pare la Puglia resta meta amatissima delle vacanze degli italiani e, quanto agli stranieri, non se ne erano mai visti così tanti. E sono numeri da capogiro, rispetto a pochi anni fa, alimentati non solo da vetrine stagionali, in cui la fanno da padroni mari e spiagge incantevoli insieme a ghiotte promesse di movide assortite, ma da tutta una serie di supporti culturali, paesaggistici, esperienziali rivolti alla destagionalizzazione e capaci di calamitare desideri, bisogni e necessità (individuali) riscoperti soprattutto dopo la triste parentesi di emergenza sanitaria che ha limitato – imponendo regole e suggerimenti alternativi – il nostro modo di viaggiare.
I numeri ci dicono che soprattutto nella buona stagione (che da queste parti dura mediamente da aprile a ottobre) la Puglia viene presa d’assalto, tanto da far pensare che effettivamente non abbia più segreti. Ma tutto questo, generalmente, accade nel segno di un immaginario ormai consolidato, quello di una perfetta Puglia da cartolina, insomma: coordinate identitarie di superficie, che sono però ben lungi dall’offrire una visione capace di scandagliare in profondità il territorio.
Non vi racconterò, quindi (o meglio, lascerò ai margini del nostro viaggio, dandoli per scontati, oppure me ne servirò per andare oltre) le spiagge del Gargano o le scogliere del Salento adriatico, i Caraibi di Puglia o le non lontane Maldive ioniche, gli anfratti e le insenature, le distese di ciottoli e sabbia o i borghi appollaiati a picco nel blu dipinto di blu (anche se proprio nel 2022 il mare pugliese ha conquistato un nuovo primato, risultando il migliore d’Italia).
E neanche le fertili distese di ulivi fitte come boschi, le aspre gravine incise nella roccia, i segni antropici in cui la pietra marca e disegna il territorio, il sottosuolo carsico dove l’acqua che sfugge alla terra lavora alacremente creando un mondo incantato.
Sorvoleremo su Federico II e i suoi castelli, sulle cattedrali in riva al mare o sull’abbaglio delle tante città bianche di calce, così mediterranee e suggestive, su patrimoni dell’umanità del calibro di Alberobello, o santi universali come san Nicola e san Michele Arcangelo.
Daremo per scontato il barocco leccese, le trine, gli intarsi e i ricami intagliati nella pietra tenera e sfumati dalla luce, i capricci e i trionfi da capogiro che affollano le superfici in nome di un misterioso horror vacui che trasforma le città in una continua festa a cielo aperto.
E non ci faremo distrarre neppure da orecchiette, mozzarelle e crudo di mare, perché sicuramente siete convinti che la Puglia sia tutta lì, proprio come ve la raccontano.
Ora che ho elencato le prime cose che mi venivano in mente – e che già garantirebbero un bel vivere di rendita –, pensate davvero che della Puglia non sia rimasto granché?
Preparatevi a ricredervi: questo libro è qui per questo.
Perché gli occhi nuovi
cari a Marcel Proust – quelli della scoperta – richiedono lo sforzo di superare le campagne martellanti a colpi di manifesti 6×3, gli slogan e gli hashtag delle agenzie, le trovate estemporanee che nel calderone di una Puglia buona per tutte le stagioni gettano indistintamente di tutto e di più, le solite cartoline portate in giro dalle fiancate di tram e autobus e l’idea che la Puglia appetibile sia quella segnata dai grandi eventi e dalla folla oceanica che altri hanno allestito per voi come una rappresentazione ad hoc.
Le pagine che leggerete ci provano. A suggerire solo alcune delle mille sfaccettature sulle quali le luci della ribalta non si soffermano e che nessuna agenzia di viaggi inserisce nelle sue proposte turistiche. A illuminare una Puglia più in ombra, i suoi modi e i suoi tempi lenti, diversificati, alternativi, saggi e con più ampi orizzonti.
Perché ci sarà sempre qualcosa che manca all’appello, che resta fuori dai classici itinerari dei quali, tuttavia, continueremo a non poter fare a meno. E sono sorprese, anche per chi in Puglia ci abita e la ama da sempre.
Stefania Mola
agosto 2022
La cattedrale di Bari, in un’incisione del XIX secolo.
I. I soliti noti… reloaded
Capitanata e Subappennino dauno. Non solo grano
Tutti conoscono la Puglia, ma pochi immaginano l’infinita varietà delle sue sfaccettature. È facile pensarla in modo tutto sommato unitario, come regione-ponte protesa sull’Adriatico (dimenticando lo Ionio), come propaggine estrema di un’Europa che fa
la storia, ma altrove (dimenticando il Mediterraneo, di cui resta ombelico), con il mare a rappresentarla in assoluto, anche a tavola (dimenticando il peso della terra), con quel suo orizzonte lineare e le strade diritte, come si addice alle terre di pianura (dimenticando le frange d’Appennino, le altitudini garganiche e le asprezze della Murgia), interamente punteggiata da case bianchissime e mediterranee (dimenticando i comignoli fumanti che spuntano dai tetti a tegole rosse delle case del Subappennino dauno).
Sono le prime cose che vengono in mente, pensando a una Puglia che è bene mai dare per scontata. Daremo per buone le cartoline, ma proveremo ad andare oltre.
Entriamo da nord, scivolando tranquillamente lungo il nastro d’asfalto o i binari della ferrovia ormai privi di ostacoli e puntati verso l’orizzonte, con la percezione che finalmente la meta sia raggiunta. È ancora lunga la strada per il Capo di Leuca, ma nel frattempo ci siamo, nella prima delle tante Puglie che ci aspettano.
L’area compresa fra il corso del fiume Fortore – confine naturale tra Puglia e Molise – e l’Ofanto, stretta tra l’Adriatico e le prime propaggini dell’Appennino, è indicata tradizionalmente come Capitanata, dal nome dei funzionari bizantini (catapani) che un tempo governavano la regione. Ancora oggi in questo territorio convergono le principali vie d’accesso alla Puglia: la strada adriatica, che scende da nord attraversando l’Abruzzo e costeggiando il Gargano, e la via appenninica, proveniente da Napoli e Roma. Sono le stesse direttrici attraverso le quali nel corso dei secoli sono affluiti in Puglia invasori e pellegrini, mercanti e guerrieri. Su questa antica viabilità, oggi appena ritoccata nei tracciati, si è costruita la civiltà pugliese, con il suo fitto tessuto punteggiato di città importanti e diocesi potenti. C’è poi la statale Appulo Sannitica che collega L’Aquila a Foggia, la mitica Statale 17 cantata da Guccini sotto un sole a picco: una dorsale che, connettendo le città interne dell’appennino abruzzese e molisano, nacque per rendere più agevole il collegamento proprio tra l’Abruzzo, il Molise e la grande pianura pugliese, sempre ovviamente ricalcando tanto l’antica viabilità romana quanto i percorsi dei pastori. Dall’Aquila a Sulmona, Isernia, e infine Foggia, attraversando il Tavoliere dopo essere entrata in Puglia dal versante dei Monti dauni.
Del Tavoliere sappiamo fin dai tempi della scuola: ci hanno insegnato che si tratta della seconda pianura d’Italia per estensione, dopo la Pianura Padana. È una vasta mezzaluna pianeggiante utilizzata fin dall’antichità per il pascolo, oggi terreno quasi del tutto privo di alberi, calcareo e fertilissimo, densamente coltivato, interrotto da rari centri abitati e dalle grandi masserie turrite tipiche della zona. Ma il nome non fa riferimento alla sua natura piatta, bensì alle Tabulae censuariae di epoca romana, una sorta di catasto delle pertinenze del fisco all’interno del quale queste terre erano registrate. Una scacchiera ordinata fatta di infinite declinazioni di colore, coltivata a viti, ortaggi, alberi da frutto e soprattutto a cereali, dove è cresciuta la civiltà del grano – l’oro giallo di Puglia, sua ricchezza e dannazione – e che fin dall’epoca romana è stata indicata come granaio d’Italia
per l’indiscusso primato nella produzione di grano duro della penisola. È vero, oggi le cose sono cambiate e il Tavoliere e il suo grano non bastano più. E anche prima non sono state tutte rose e fiori: fino agli inizi del Novecento boschi, acquitrini, paludi e pascoli per la transumanza abbondavano, la malaria era diffusa, disastrosi terremoti avevano cancellato città come San Severo e la stessa Foggia – il capoluogo –, coraggiosamente rinate sulle loro ceneri. Altre città il Tavoliere le ha viste scomparire per sempre, inghiottite dalla terra e sepolte impietosamente dal passaggio stagionale delle mandrie transumanti che per secoli, dal Molise, dall’Abruzzo e dall’Irpinia, sono scese qui a svernare lungo la fitta rete di tratturi e tratturelli che D’Annunzio ricorda come «l’erbal fiume silente».
La transumanza è un elemento imprescindibile e caratterizzante, di cui tenere conto se si vuole capire davvero questa terra. Si tratta, come è noto, dello spostamento delle greggi di ovini dalle zone collinari e montane verso i litorali pianeggianti – e viceversa – durante la stagione invernale e al termine di quella estiva. Un’usanza antica e tipica tra Abruzzo e Tavoliere attraverso percorsi denominati tratturi, regolamentata dal 1447 al 1806 attraverso la Regia Dogana della Mena delle Pecore, istituita da re Alfonso V d’Aragona. Foggia, insieme al suo Tavoliere destinato a quest’uso dai sovrani aragonesi, divenne nel Settecento uno dei simboli per eccellenza dell’arretratezza del Sud, figura della sua povertà quasi irrimediabile.
Ma questa è una delle tante immagini, scivolate nel luogo comune, destinate a essere rimesse in discussione. Perché, qualunque idea abbiate della Puglia, ci sarà sempre qualcosa pronta a sorprendervi. Il paesaggio del Subappennino dauno, per esempio, che entrando in Puglia da nord ammicca all’orizzonte in direzione ovest, in corrispondenza di quelle lievi ondulazioni del terreno che già smentiscono una Puglia completamente piana, introduce uno dei suoi scenari più inconsueti. Si tratta della propaggine pugliese dell’Appennino, incrostata nell’area nord-occidentale al confine con la Campania, fatta di dolci paesaggi collinari punteggiati di torri, querce, faggi e profumi dimenticati. Sul Subappennino, la Puglia del Mediterraneo e della calce si trasforma in orizzonte montano di borghi in pietra e tetti di tegole rosse. I campi di grano lasciano spazio a boschi selvaggi in cui si nascondono volpi e cinghiali. E la Puglia da cartolina che abbiamo sempre immaginato – fatta di sole, di mare e di trulli – scompare. Al suo posto, una terra costellata di bandiere arancioni
e vivere quieto, ribattezzata Toscana del Sud
e punteggiata di cittadine-presepe profumate di aria pulita e di sapori riscoperti: da Sant’Agata di Puglia a Pietramontecorvino, da Alberona a Orsara, mete da perfetto relax ancora poco conosciute ma già avviate a rappresentare l’immagine alternativa della regione. Un’immagine fatta di paesaggi ancora veri
, di bellezza, natura, verde, silenzio, valli e monti. I Monti dauni. E torri, antichi castelli, tante masserie fortificate, il respiro di una storia e di una terra perennemente in difesa
. Lo avreste mai detto, pensando alla Puglia?
Gargano. Non solo mare
Scivolando in Puglia da nord, volgendo lo sguardo verso est, in direzione dell’Adriatico, c’è ancora un’altra Puglia che si staglia all’orizzonte. È lo sperone d’Italia
(così è conosciuto il Gargano dai più), percorso da chilometri di coste selvagge e frastagliate da Manfredonia a Rodi Garganico, e rimanda prima di tutto al mare, come vogliono alcune tra le più suggestive cartoline pugliesi. È qui che negli anni Sessanta, da una folgorante intuizione dell’allora presidente ENI Enrico Mattei, nacque il turismo balneare.
Si tratta di un promontorio calcareo arcigno e lussureggiante, dominato da cime che raggiungono anche i mille metri, sporgente sull’Adriatico e capace di offrire mare, montagna e foresta insieme. Anche questo non è del tutto scontato, nell’idea corrente di Puglia: che al Gargano, montagna verde e sacra per antonomasia, possano associarsi leccete e cerrete, uccelli rapaci e orchidee, ma anche testimonianze preistoriche e fenomeni carsici. Tuttavia, lo sapeva anche uno del calibro di Giuseppe Ungaretti, che così ne scriveva nel 1961 in La giovine maternità:
Il Gargano è il monte più vario che si possa immaginare. Ha nel suo cuore la Foresta Umbra, con faggi e cerri che hanno cinquanta metri d’altezza e un fusto d’una bracciata di cinque metri, e l’età di Matusalemme; con abeti, aceri, tassi; con un rigoglio, un colore, l’idea che le stagioni si siano incantate in sull’ora di sera; con caprioli, lepri, che vi scappano di fra i piedi; con ogni gorgheggio, gemito, pigolìo di uccelli1.
Il pensiero di Ungaretti ci ricorda che esiste anche un Gargano letterario
, attraversato, dalla seconda metà del Settecento, da viaggiatori e scrittori sensibili ai fermenti illuministi irradiati da Napoli: la Napoli dell’abate Galiani, di radici lucerine e cappellano maggiore del Regno, o di Michelangelo Manicone, filosofo e naturalista nativo di Vico del Gargano. Di quegli anni sono il Viaggio in Capitanata di Francesco Longano, sorta di moderna inchiesta pubblicata nel 1790, e il celebre Voyage pittoresque dell’abate di Saint-Non, arricchito da incisioni e vivaci note di sapore popolare. Più asettico e didascalico il Pacichelli del Regno di Napoli in prospettiva di un secolo prima, grazie al quale conosciamo la rappresentazione dei centri urbani, anche se non la loro vitalità. Per godere di pagine che trasmettano emozioni, dopo schiere di preti e abati, dobbiamo arrivare a Ferdinand Gregorovius, primo grande viaggiatore laico, e alla raffinatezza di Janet Ross, una donna – grandissima – in tempi improponibili per le viaggiatrici, per di più solitarie. Dopo lo storico dell’arte Emile Bertaux, il Novecento vedrà una vasta folla di scrittori-giornalisti, tra cui Riccardo Bacchelli, il già ricordato Giuseppe Ungaretti, Corrado Alvaro e Guido Piovene, fior di donne quali Anna Maria Ortese o Anna Banti, e poeti come Alfonso Gatto. E Cesare Brandi, pellegrino di Puglia
che rende uno dei più intensi omaggi a questa terra. A San Giovanni Rotondo Graham Greene rimane folgorato dalla crescente popolarità di padre Pio, oggi santo. Il nome di Leonardo Sciascia, viaggiatore animato da profonda passione civile, resta per sempre legato al Centro di Documentazione di San Marco in Lamis. E infine, consapevole delle molte omissioni, non posso fare a meno di ricordare Paul Lay, il giornalista-viaggiatore del «Daily Telegraph» incantato dal borgo di Peschici nel 2005 durante una sua incursione in incognito… Ma questa è un’altra storia. Sul Gargano verde, di terra e di mare, torneremo in queste pagine, nella sezione fuori strada
.
Barletta-Andria-Trani. Non solo Puglia imperiale
Il territorio di Andria, Barletta, Bisceglie, Canosa di Puglia, Corato, Margherita di Savoia, Minervino Murge, San Ferdinando di Puglia, Spinazzola, Trani e Trinitapoli, in origine distribuito tra le province di Foggia e Bari e corrispondente oggi alla provincia pugliese di più recente istituzione (la BAT, Barletta-Andria-Trani), ha rimescolato le carte, la storia, i paesaggi tra la terra dei Dauni e quella dei Peuceti, cercando a tutti i costi una sua identità. E l’ha trovata in quella che è oggi la narrazione più diffusa e nel nome di Puglia imperiale
, puntando tutto sulla figura di Federico II di Svevia.
Siamo in una terra di antichi confini, nella quale le propaggini appenniniche si addolciscono digradando pigramente verso la costa, il mare lambisce sabbia, sale e rocce, e la bassa valle dell’unico fiume su cui la Puglia possa contare taglia trasversalmente un entroterra carsico che ricade nel parco dell’Alta Murgia.
Incisione tratta da un’illustrazione del De arte venandi cum avibus, il trattato di ornitologia tradizionalmente attribuito allo stesso imperatore.
Una terra con un passato di insigni insediamenti romani e fiorenti borghi medievali, tra pellegrini pronti a imbarcarsi per la Terra Santa, eserciti e crociati, castelli e cattedrali; luoghi per governare i quali Federico II di Svevia realizzò un organico sistema castellare, una rete imperniata su Barletta, Canosa, Trani ed estesa fino ad Andria, Ruvo, Corato, Terlizzi, Bari, Gravina in Puglia. Fulcro del reale e dell’immaginario è Castel del Monte, in territorio di Andria e a pochi passi dalla via Traiana, patrimonio UNESCO nonché monumento tra i più noti, amati e visitati della regione.
Tuttavia, come sempre, questa Puglia a cui piace farsi chiamare imperiale
è stata (ed è) molto altro. Intanto per quell’unico fiume, l’Ofanto, che per millenni e in silenzio ha partecipato alla storia del territorio. Il suo nome antico era Aufidus, e ci piace pensare che la sua natura pigra e sonnacchiosa (al netto degli squilibri climatici in atto) sia tutta in quella derivazione dalla parola greca che significa serpente
. La sua forma sinuosa, immortalata dalla Tabula Peutingeriana e incisa nel territorio attraversato, dà idea della sua lentezza nell’aprirsi un varco, per via della pendenza minima offerta dalla piana che digrada verso l’Adriatico.
Lo celebrarono la battaglia di Canne, le liriche di Orazio, le citazioni storiografiche di Polibio, quelle geografiche di Strabone e quelle epiche di Virgilio. I suoi «flutti ruggenti» sono registrati nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert: resta pur sempre il secondo fiume del Sud Italia, dopo il Volturno, e l’unico che stemperi il destino sitibondo della Puglia e della sua storia di acque mancate, stagionali o nascoste. Un fiume che nasce nella Campania irpina e che, nel suo corso inferiore, attraversa la Puglia da Rocchetta Sant’Antonio alla foce, compresa tra i territori di Barletta e Margherita di Savoia. In passato fu una via d’acqua importante per i trasporti e le comunicazioni, per il grano, le pelli e le lane che venivano imbarcate dal Caricaturo di Canosa, un molo sul litorale dell’antica Barletta. In estate arranca, ma tutto sommato segna il territorio e la storia, marcando il confine meridionale dei Monti dauni con la Basilicata e, con tutto il rispetto per quel che la Puglia ha di imperiale
, separando storicamente la Capitanata dalla Terra di Bari.
A collegare questi territori separati dal corso d’acqua, fin dall’antichità ci pensarono alcuni ponti, garantendo il superamento del fiume e permettendo alla viabilità di scorrere senza soluzione di continuità. Un segmento del tracciato dell’antica via Traiana, che per duemila anni ha svolto egregiamente il suo compito, è ad esempio il ponte romano di Canosa, riconoscibile dalla sua imponente struttura a schiena d’asino, le sue cinque arcate sorrette da enormi pilastri e la discreta salute dovuta ai numerosi interventi di manutenzione e restauro di quanti – evidentemente – lo ritenevano nodo fondamentale della viabilità. Seppur integro, è quasi un relitto solitario con vista sull’Ofanto e una folta vegetazione che lo assedia, nonostante sia stato più volte inserito dal FAI tra i luoghi del cuore
, quelli da non dimenticare e da tutelare. Giace in un contesto abbandonato a sé stesso (tra una discarica a cielo aperto e un atto vandalico a colpi di bombolette spray), non valorizzato, non attrezzato