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Il motivo più puro
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E-book377 pagine5 ore

Il motivo più puro

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Info su questo ebook

Può sopravvivere un amore costruito sui segreti?

Brusco, sexy e scolpito come una roccia, Dred Zander è proprio il genere di uomo che di solito farebbe scappare Pixie a gambe levate. E invece invade i suoi sogni, con i suoi addominali scolpiti… e tutto il resto. Il cantante e chitarrista della band Preload è sintomo di guai, dietro quel sorriso disinvolto e gli occhi attenti, e Pixie i guai se li è lasciati alle spalle anni fa, insieme al nome Sarah-Jane Travers e alla patetica roulotte che sua madre chiamava “casa”. Archiviato il passato di abusi, Pixie ha una nuova vita e una nuova famiglia al Secondo Cerchio, insieme al sogno di aprirsi un’attività in proprio. Ha bisogno di tempo e risorse. Quello di cui non ha bisogno è un’affascinante rockstar dai capelli lunghi o i paparazzi che lo seguono dappertutto.
Ma Dred è di tutt’altro avviso. I dolci occhi color nocciola di Pixie, i capelli viola e i tatuaggi colorati di fiori esotici che le turbinano sul braccio invadono i suoi sogni, e lui sa che anche lei lo vuole. Deve solo convincerla. Ma mentre un succoso scoop rischia di rivelare il loro passato e un ricattatore minaccia il loro presente, Pixie e Dred devono decidere cosa conta davvero e lottare con tutte le loro forze per tenerselo stretto.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2023
ISBN9791220706612
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    Anteprima del libro

    Il motivo più puro - Scarlett Cole

    1

    Erano davvero passati sette anni?

    Sarah-Jane Pixie Travers era seduta per terra all’ingresso del Second Circle, lo studio di tatuaggi che lei stessa gestiva, e faceva scorrere i polpastrelli lungo il pavimento di ardesia. Era impossibile credere che proprio il primo aprile di sette anni prima – ironia della sorte – lei fosse rinata su quello stesso pavimento. Non che ricordasse molto di quel giorno. Certo, ricordava ancora le mattonelle fredde a contatto con la sua pelle dolorante, ma aveva da tempo soffocato le sensazioni di nausea, ed era riuscita nel tentativo di dimenticare la vergogna dovuta ai suoi tremori incontrollabili.

    Ci aveva messo più tempo, invece, a superare l’umiliazione di aver vomitato ai piedi dei due uomini che l’avevano salvata. Non avrebbe mai trovato un modo per ripagare Trent e Cujo, i suoi capi, per averle salvato la vita quel giorno.

    Si trovava a Miami da meno di ventiquattro ore quando alcuni borseggiatori le avevano rubato i pochi soldi che aveva messo da parte per ricominciare la sua vita. Ma quello che l’aveva aiutata di più era stata la decisione di Trent e Cujo di non chiamare il 911 quando si erano resi conto che era in preda di una crisi di astinenza. La loro generosità nel trovare un programma di riabilitazione e di pagarglielo con i loro pochi soldi era stato quello che l’aveva tenuta in vita.

    Pixie inspirò a fondo l’aria fresca e frizzante della primavera di Miami. Era la sua stagione preferita, prima che l’umidità estiva rendesse tutto appiccicoso. Lo studio di tatuaggi apriva alle dieci, come sempre, ma Pixie aveva bisogno di prendersi un momento per riflettere, grata di come era cambiata la sua vita quel giorno di tanti anni prima. Ora però doveva fare l’inventario, che era sempre più semplice quando le scorte erano sistemate al loro posto.

    Il mio posto. Pixie sospirò, ringraziò quell’ingresso ancora una volta e si alzò in piedi. Usò la chiave che le era stata affidata anni prima per entrare nello studio e disattivò l’antifurto.

    Era tutto immacolato. Ogni sedia era al proprio posto e i piani di lavoro erano liberi da inchiostro, macchine per tatuaggi, aghi e guanti. Il pavimento di legno scuro era pulito e lucidato. La limpida luce del sole entrava dalle finestre, rivelando qualche raro granello di polvere, ma a parte quello, era tutto pulito alla perfezione, come piaceva a lei.

    Pixie aveva preso molto seriamente il suo ruolo di manager. Doveva tutto a Trent e Cujo, i proprietari. Ma proprio tutto. Ancora una volta pensò che se non fosse stato per loro, era probabile che lei non sarebbe mai arrivata al suo ventitreesimo compleanno.

    Fece scorrere le dita lungo le decorazioni di legno ai lati della porta e si ricordò delle ore passate a scrostare i diversi strati di pittura vecchi di anni. Nel tentativo di ripagare Trent e Cujo per il loro aiuto dopo la riabilitazione, Pixie era andata allo studio ogni giorno per dipingere, decorare e fare commissioni per i proprietari, ad esempio portando loro il pranzo. La aiutava a tenere la mente occupata e a resistere alla tentazione di trovare qualcosa con cui allentare la tensione.

    Di notte, i proprietari le avevano permesso di dormire nell’ufficio spoglio, seppure con la raccomandazione di non farsi vedere, onde evitare problemi con le licenze. Ogni mattina uno dei due le portava la colazione; l’altro poi faceva una capatina nel corso della giornata per portarle qualcosa per cena. Cujo la obbligava a mangiare, anche quando lei non voleva. Le diceva che doveva essere imparentata con una fata, visto che era così piccola, o con un folletto, considerato il suo amore per il canto e la danza. Era per quello che Pixie, folletto in inglese, era diventato il suo soprannome.

    In poco tempo aveva iniziato a gestire gli ordini, accordarsi con i fornitori e a organizzare il magazzino. Quando Trent e Cujo le avevano offerto il lavoro da receptionist, era stata al settimo cielo. E quando Lia, una delle tatuatrici dello studio, le aveva proposto una stanza nel suo appartamento a un prezzo bassissimo, aveva colto l’occasione al volo.

    Non avevano mai insistito nel chiederle come fosse arrivata di fronte al loro ingresso quel mattino, e lei gliene era sempre stata riconoscente. Non sarebbe riuscita a raccontare e rivivere quello che era successo la notte in cui era scappata dalla roulotte di sua madre. Pensare ad Arnie, il suo patrigno, e alle cose che le aveva chiesto di fare, le faceva ancora venire gli attacchi di panico. Anche se era passato molto tempo, era ancora tormentata da incubi in cui vedeva mani sporche di sangue.

    Fuori dal negozio, le strade erano silenziose. Alle sette del mattino di giovedì non si vedevano ancora turisti. Ci sarebbero volute ancora diverse ore prima che la città si svegliasse del tutto.

    Cujo e Trent sarebbero arrivati alle dieci. Non lavoravano quasi mai nelle stesse ore, anche se ogni tanto i loro turni si sovrapponevano. Ma in quella data, ogni anno, Trent organizzava i turni in modo da lavorare tutti e tre assieme, anche se significava lavorare per quattordici ore consecutive. Una delle cose che Pixie adorava di Trent era la sua capacità di ricordare le cose importanti.

    La sera prima, Lia era andata nel complesso di ville iperlussuose di Star Island a trovare i suoi genitori, che detestava più o meno quanto loro detestavano lei. Avrebbe voluto mandarli a quel paese e rimanere a casa con Pixie, ma poi aveva scoperto che suo fratello, che lavorava nelle forze speciali della marina militare, sarebbe ritornato a casa dopo l’ultima missione. Eric, l’ultimo dei quattro tatuatori, era andato a Los Angeles a trovare suo fratello e non sarebbe tornato fino a sabato.

    Pixie sistemò la borsa sotto la scrivania e aprì l’agenda, dove segnò di comprare del tulle blu scuro prima di tornare a casa. Il vestito da festa per bambina che aveva iniziato a cucire la sera prima aveva bisogno di un paio di balze in più sulla gonna, per bilanciare le ali da fata già terminate. Quello che era iniziato come un passatempo stava diventando in fretta una piccola attività che Pixie sperava di trasformare in un lavoro a tempo pieno. Una fotografia attaccata all’agenda con un fermacarte attirò la sua attenzione. Tutte le ore passate a cucire e a ricamare erano ripagate quando riceveva una fotografia di una bambina sorridente che indossava uno dei suoi vestiti.

    Pixie collegò il cellulare alle casse e fece partire la sua ultima playlist a tutto volume. Erano canzoni di alcuni dei migliori film e musical. La prima artista era Idina Menzel, con Rent, Wicked e Frozen. Poi c’erano i classici di Elaine Paige: Evita, Chess e Sunset Boulevard. Canzoni davvero diverse rispetto ai soliti heavy metal e rock che ascoltavano tutti gli altri durante gli orari di apertura.

    Di fronte al grande specchio dello studio, si raccolse i capelli a caschetto viola in una coda. Era la prima volta che li faceva crescere da quando li aveva rasati a zero il giorno dopo aver lasciato casa sua. Per un momento si chiese se sua madre fosse ancora lì. O se fosse ancora viva, se è per questo. Pixie non aveva più chiamato a casa sua per paura di sentire la voce di Arnie dall’altra parte della cornetta, perciò non aveva più saputo nulla della madre. Ma rimanere sobria era più importante che rincorrere il passato, e sapeva che parlare con Arnie avrebbe solo fatto riaffiorare il trauma.

    Decise di iniziare con le scorte di inchiostro. Tirò fuori tutte le scatole dagli armadietti, ma le lasciò divise per colore e marca. I ripiani interni dovevano essere puliti, quindi prese i prodotti dallo sgabuzzino e si mise al lavoro.

    Dopo aver lavorato due ore e aver bevuto quasi una caffettiera intera, Pixie aveva finito ed era soddisfatta. L’inventario era completo, le postazioni di lavoro pronte e il calendario degli appuntamenti stampato. Si sedette alla scrivania, con la matita in mano, e iniziò a scarabocchiare idee per la sua ultima commissione. I vestiti da coccinella erano i suoi preferiti, e cercava di rendere ogni modello unico.

    Il telefono dello studio iniziò a squillare, e Pixie guardò l’orologio al muro. Mancavano quarantacinque minuti all’apertura.

    Avrebbe risposto la segreteria telefonica. Pixie stava disegnando le antennine della coccinella, ma gli squilli del telefono la infastidivano. Non li sopportava più, quindi rispose.

    «Second Circle Tattoos. Come posso aiutarla?»

    «Pix?»

    Conosceva quella voce. Era l’unica che le si avvolgeva attorno alle costole e la stringeva forte. «Ehi, Dred.» Dred Zander era uno dei giudici del reality show Inked, assieme a Trent. Era anche il cantante del gruppo Preload, e la sua voce faceva tremare ogni ragazza appassionata di metal sulla faccia della terra. Si erano incontrati in un paio di occasioni, e lei aveva pensato a lui diverse volte tra un incontro e l’altro.

    «Ehi, bellezza. Perché non sei a casa? Trent fa lo schiavista?»

    «No, sto facendo l’inventario.»

    «A quest’ora?» La voce di Dred sembrava preoccupata.

    «C’è molta calma, sto bene,» sussurrò lei. Si rese conto per la prima volta in tutta la mattina che non voleva stare da sola. Dopo un istante di silenzio, Pixie ritornò al presente. «Come posso aiutarti?» chiese in tono più allegro possibile.

    «Oh, volevo sapere se Trent aveva un posto per me la prossima settimana, prima del concerto.»

    Il suo tour del Nord America sarebbe terminato di lì a breve a Miami, e Pixie aveva sentito da Trent che il gruppo si sarebbe fermato qualche giorno per registrare un disco prima di riprendere il tour in Europa.

    «Perché non l’hai chiamato al suo cellulare?» chiese Pixie mentre controllava il calendario degli appuntamenti sul computer che aveva appena acceso.

    «Perché se chiamo qui e lascio un messaggio in segreteria, mi devi richiamare tu

    Pixie non riuscì a trattenere una risata. «Sì, Trent è libero da metà mattina in poi.»

    «Segnami a mezzogiorno. Quando arriverò allo studio, accetterai finalmente di uscire con me?»

    Pixie sorrise. Glielo chiedeva sempre, e lei rispondeva sempre allo stesso modo. «Solo quando nevicherà nel Sahara.»

    Dred rise.

    A Pixie sembrò di avere una farfalla intrappolata nel petto.

    «Un giorno cederai, Pix. Regalo appuntamenti fantastici… e non solo,» disse lui in tono allusivo.

    «Ne sono sicura. Ci vediamo la prossima settimana, Dred.»

    «Contaci, Pixie.»

    Chiuse la chiamata. Sapeva che un giorno lui avrebbe smesso di flirtare con lei, e anche che una relazione con lui era impossibile.

    E Pixie odiava a morte il suo patrigno per quel motivo, cazzo.

    Il modo in cui il sole risplende attraverso le nuvole, illuminando solo alcune parti della terra… inesorabile… riusciresti a inseguirne la luce… spostandoti di luogo in luogo, seguendo i suoi raggi… o ti troverebbe lui, se rimanesse sempre immobile?

    «Che ne pensi, Dred?»

    Dred distolse l’attenzione dal paesaggio fuori dal finestrino dell’aereo e finì di scrivere i suoi pensieri nel taccuino che usava per i testi delle canzoni. Lo chiuse con uno schiocco e guardò Sam, il manager dei Preload.

    «Di cosa?» chiese in tono calmo.

    «Manca solo un’ora all’atterraggio e abbiamo ancora molto di cui parlare. Potrei avere la tua attenzione?»

    «Dagli un po’ di tregua,» disse Nikan, chitarrista e seconda voce del gruppo. Essendo il più grande tra loro, e visto che erano cresciuti in una casa-famiglia tutti assieme, aveva sempre ricoperto il ruolo di fratello maggiore. «Se non ci avessi obbligati a produrre il nuovo album così in fretta, cazzo, non sarebbe costretto a scrivere testi ventiquattro ore al giorno.»

    Dred apprezzò l’intervento, ma la verità era che i testi delle canzoni gli venivano in mente in modo imprevedibile. E quando questo avveniva, lui non riusciva a bloccare i pensieri. Puoi spegnere il sole?… L’amore brucia come il sole? Se la risposta è sì, puoi sottrarti all’amore come ti sottrai al sole?

    «Dred.» La voce di Sam lo distolse di nuovo dai suoi pensieri.

    Avevano preso il primo volo per Miami della giornata e viaggiavano già da due ore. Bisognava proprio parlare d’affari, nonostante la mente di Dred continuasse a cercare ispirazione fuori dal finestrino. Dred scartò una pastiglia per la gola e cercò lo sguardo di un assistente di volo per chiedergli un altro bicchiere di acqua calda. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era un brutto mal di gola, ma l’irritazione e la secchezza erano segni inequivocabili del fatto che gliene stava venendo uno.

    «Datti una rilassata, Sam,» disse Dred. «Sappiamo quello che dobbiamo fare. Ti farai venire un’ulcera.»

    «Ok. Allora, Lennon, ho in ballo un accordo per farti sponsorizzare da Soidal. Dovrai utilizzare la loro batteria nel prossimo tour.»

    «Soidal è una vera fregatura. Tutto quello che hanno fatto è stato prendere le idee migliori di Tama e Yamaha e impacchettarle con il loro marchio di fabbrica. La loro produzione non è etica e fa schifo. E anche il suono fa schifo. Rimarrò con Tama,» replicò Lennon.

    Dred scosse la testa. Essere sponsorizzati da Soidal era un’idea stupida. Lo sapevano tutti che Lennon non avrebbe cambiato idea, perché Lars Ulrich era il suo cazzo di idolo. Poco dopo l’uscita del loro primo singolo, avevano suonato a un festival durato un giorno interno in cui si erano esibiti anche i Metallica. Dopo l’esibizione avevano incontrato Lars Ulrich nel backstage, lontano dagli occhi del pubblico. Lars aveva fatto i complimenti al gruppo, ma aveva detto a Lennon che aveva bisogno di una batteria migliore. Gli aveva presentato i rappresentanti di Tama, e Lennon non aveva usato altre batterie da quel momento in poi.

    «I vantaggi della sponsorizzazione sono enormi. Ci darebbero tutti gli strumenti gratis e li spedirebbero e monterebbero in tutte le tappe del tour in Nord America. Potreste perfino autografarli e regalarli ad associazioni benefiche locali che potrebbero metterli all’asta per beneficenza. Pensa a tutta la pubblicità che ricevereste gratis,» aggiunse Sam. «È il mio lavoro procurarvi questo genere di accordi.»

    «Sarà il mio lavoro buttarti giù dall’uscita di emergenza senza paracadute se firmi quel cazzo di contratto,» esplose Lennon. Dred si slacciò la cintura di sicurezza senza farsi vedere, pronto a trattenere Lennon se necessario, ma fu sollevato nel vedere Lennon rimettersi le cuffiette.

    Sam aveva un’aria scioccata. «Jordan,» disse cambiando discorso, «ti ho proposto per un reality show. Inked ha fatto un’ottima pubblicità a Dred, e anche tu dovresti migliorare il tuo profilo personale.»

    La proposta non aveva alcun senso. Nella loro famiglia improvvisata, Jordan era il classico fratello maggiore un po’ disagiato dal punto di vista sociale. Dred e gli altri si erano accorti di quanto l’ansia da separazione di Jordan stesse peggiorando. Anche se Dred si rifiutava di perdere le speranze, Jordan non sarebbe riuscito a viaggiare da solo per il Nord America nemmeno per un secondo.

    «Elliot vuole un programma televisivo tutto suo. Fallo fare a lui,» disse Jordan indicando Elliot con il mento.

    Dred sorrise. Elliot odiava la televisione quasi quanto Jordan odiava la fama.

    «Cosa cazzo ti fa pensare che vorrei fare una roba simile, fratello?» chiese Elliot.

    «Possiamo concentrarci per favore? Elliot, non è per te. Jordan, è un’ottima idea. Formeranno un gruppo rock.» Sam sparse fogli ovunque. «Ci saranno le fasi di qualificazione regionali per scovare i talenti, poi i dieci migliori batteristi, cantanti e chitarristi andranno a Los Angeles. Lì, suoneranno in un gruppo diverso ogni settimana, e il gruppo peggiore sarà eliminato. Vogliono che tu sia un insegnante di bass house.»

    Nonostante odiassero i gruppi pop prefabbricati, l’idea non era male. Sarebbe stato perfetto per un artista più estroverso e sicuro di sé. Dred osservò Jordan mettere in scena il suo tipico atteggiamento da cigno: scivolava leggero sull’acqua, ma sotto la superficie le sue zampe annaspavano in modo frenetico.

    «Dai, Sam. Ci conosci da quasi dieci anni. Queste idee sono terribili,» disse Dred, intromettendosi nella discussione.

    «Sono idee redditizie, Dred. Sai bene quanto guadagni con Inked. A Jordan farebbe bene un po’ di pubblicità. E anche la sponsorizzazione è un’ottima idea,» spiegò Sam guardando Lennon.

    «Sei preoccupato per la tua percentuale? Perché l’anno scorso ti abbiamo fatto guadagnare un botto di soldi.» Dred ricordò il loro primo incontro con Sam, dopo un piccolo concerto a Danforth. Pochissime persone avevano assistito all’esibizione, e la cosa aveva quasi affossato il gruppo. Sam si era avvicinato a Dred, dicendogli che li avrebbe aiutati con l’affluenza ai concerti. Si era anche offerto di lavorare gratis per poi prendere una percentuale quando avrebbero raggiunto il successo.

    «Non c’entrano i soldi,» insistette Sam.

    «C’entrano sempre i soldi, Sam,» disse Nikan. «Dred ha ragione. Trovaci accordi sensati. Se Lennon dice che la batteria fa schifo, allora fa schifo. E non possiamo permetterci che il nostro tour negli stadi sia meno che perfetto. E sei con noi da abbastanza tempo per capire che Jordan preferisce rimanere con noi. Quindi non insistere, amico.»

    «Allora.» Sam chiuse il raccoglitore e si strofinò gli occhi. «L’etichetta vuole che io massimizzi la vostra esposizione pubblicitaria. Sono ansiosi, non sanno come il pubblico accoglierà il prossimo album. Sto cercando di farvi fare più soldi possibile, così che siate a posto se tutto questo finisse domani.»

    «Credi davvero che possa succedere?» chiese Nikan.

    «Ci sono gruppi che non hanno gli stessi… limiti,» disse Sam guardando Lennon, che teneva gli occhi chiusi mentre tamburellava le dita al ritmo della canzone nelle cuffiette, e poi Jordan, che si era del tutto estraniato dalla conversazione. «Quei gruppi sono disposti a lavorare più duramente. Andare più lontano. Correre più rischi.»

    «I nostri ultimi due album hanno ottenuto non so quanti dischi di platino, cazzo. Il tour del Nord America è andato sold-out nel giro di due ore. Cos’altro possiamo fare?» sbottò Dred colpendo il tavolino con il palmo della mano.

    «Vi sto solo riportando i fatti, Dred.»

    Cavolo, Sam aveva ragione. «Scusa.»

    Nikan lasciò il suo posto e andò a parlare con Elliot. Spostarsi ed essere comunque in grado di lavorare era uno dei benefici di viaggiare su un jet privato. I due collaboravano spesso, in quanto chitarristi e voci principali, e si erano portati le chitarre a bordo.

    «Se queste notizie non ti sono piaciute,» aggiunse Sam, «allora quest’altra la odierai sul serio. Forse dovrai sottoporti a un test del dna.»

    C’era solo un motivo per cui potesse essere necessario un test del dna ma Dred chiese comunque. «Perché?»

    «Una donna dice di aver partorito un figlio tuo all’ospedale di Saint Joseph ieri.»

    «Che cazzo dici?» chiese Dred sporgendosi in avanti.

    Il bambino non poteva essere suo. Aveva sempre preso le giuste precauzioni. Mai e poi mai avrebbe messo al mondo un figlio. Non finché non si fosse sistemato in modo definitivo e il gruppo fosse arrivato a un punto in cui poteva rallentare il ritmo. Sempre ammesso che avesse mai desiderato dei figli. La sua infanzia era stata un susseguirsi di case-famiglia, ricoveri per senzatetto, seminterrati e albergacci. Che razza di genitore avrebbe mai potuto essere?

    «Ha raccontato dettagli del vostro incontro che coincidono con quando eri a Toronto in primavera.»

    «Sam. Mi conosci. Prendo sempre le giuste precauzioni. Le porto con me ovunque vada. Deve essere una stronzata.»

    «Ok. Riferirò che abbiamo bisogno di ulteriori informazioni prima che tu dia il consenso.»

    Merda. Non poteva essere suo. Perché ammesso che avesse mai avuto figli, sarebbe stato con una donna innamorata dell’uomo che era stato abbandonato in una casa-famiglia.

    Non della rock star.

    2

    Osservando il caos che regnava nello studio, Pixie decise di prendere alcune decisioni difficili. La maggior parte dei tatuatori tendeva a evitare i clienti che non erano in grado di sopportare il dolore, quindi la ragazza che urlava per il tatuaggio fatto da Cujo, stava facendo impazzire tutti. Eric stava tatuando un ragazzo che si era rifiutato di ammettere la sua soglia del dolore bassissima nei confronti degli aghi e, invece, continuava a chiedere una pausa di dieci minuti ogni mezz’ora. Il cliente di Lia continuava ad aggiungere, aggiungere e aggiungere dettagli. Per tutti quei motivi, erano in ritardo di circa un’ora sulla tabella di marcia.

    Trent era stato fortunato. Un cliente abituale di New York era venuto allo studio per un tatuaggio sul petto e stava affrontando la cosa come un vero professionista.

    Pixie osservò la lista delle prenotazioni e quella dei clienti senza prenotazione, e si rese conto che qualcuno doveva essere mandato via. Prese un paio di buoni regalo da venti dollari e andò a parlare con gli ultimi due clienti senza prenotazione che aveva accettato. Senza troppe sceneggiate, riuscì a convincerli a tornare l’indomani.

    Pixie si avvicinò alla cliente di Cujo, Michelle, che, malconsigliata, si stava facendo tatuare sulle costole. Il disegno era troppo grande e l’area troppo sensibile, scelta imprudente per un primo tatuaggio. Cujo era stato sincero con lei a proposito delle dimensioni e della sensibilità di quella zona, ma Michelle era stata irremovibile.

    Pixie sentì, di sfuggita: «La buona notizia è che abbiamo diverse opzioni: possiamo fermarci, e tu puoi tornare un’altra volta per completare il tatuaggio, oppure cambiamo il disegno e lo rendiamo più piccolo rimuovendo questi dettagli,» disse Cujo, indicandole lo schizzo che aveva disegnato per lei.

    «Se decidessi di non mollare,» si intromise Pixie, «vi potreste spostare nella stanza privata sul retro.»

    «Penso di aver fatto il passo più lungo della gamba. So che mi avevi avvisato, Cujo,» disse Michelle in lacrime.

    «Perché non facciamo un mix di entrambe le cose che ho suggerito? Potrei rimpicciolire il disegno, così oggi puoi comunque lasciare lo studio con un tatuaggio completo. Poi se, decidessi di tornare, lo potremmo completare, ma se non vorrai più vedere un ago in vita tua, avresti comunque un bel tatuaggio. E potremmo andare sul retro, così ti sentiresti più a tuo agio.»

    Michelle accettò. Pixie la accompagnò fuori dalla stanza per permettere a Cujo di prendere gli strumenti. Quando Michelle si fu sistemata sul lungo tavolo nero, Pixie tornò nell’atrio. Faceva sempre più caldo nello studio, quindi si incamminò verso la porta per aprirla.

    «Grazie dell’aiuto, Pix. Non è che potresti informarti se esiste un’operazione chirurgica per la sostituzione del timpano?» sussurrò Cujo allontanandosi.

    Pixie raggiunse la porta nello stesso momento in cui si voltò per ridere alla battuta di Cujo, e finì per scontrarsi in pieno contro un ampio torace. Due braccia forti la afferrarono e lei si trovò faccia a faccia con Dred, lo sguardo dritto nei suoi occhi castano scuro con riflessi dorati scintillanti. Ogni volta che lui la toccava, le sembrava che il mondo intero finisse sottosopra. Sentiva il calore delle dita di lui sulla sua pelle. Dred continuò a fissarla: il mondo attorno a loro sembrava essersi fermato.

    «Ehi, Pixie,» le disse infine, facendole l’occhiolino. Non era un semplice occhiolino. No, era il suo occhiolino da rock star. Quello che faceva abbassare le mutandine e accelerare il battito cardiaco al mondo intero.

    Pixie si allontanò dalla sua presa. «Dred.» Indietreggiò, ma lui continuò ad avvicinarsi.

    «Ti sono mancato?» chiese con voce roca.

    «Che…che cosa intendi?»

    «Non è una domanda trabocchetto, Pix.» Sorrise. «Cosa pensi che intenda?»

    «Niente… sì… no… cioè, certo. Sono contenta di vederti.» Mi sta trasformando in una pazza furiosa.

    «Davvero? Non ne sembri tanto sicura.» Le sfiorò le punte dei capelli. Lei rabbrividì. Sarebbe stato molto facile cedere, innamorarsi di lui, ma ogni volta che Pixie si era avvicinata così tanto a qualcuno era finita molto male. No, non poteva umiliarsi in quel modo.

    «Allontanati dal personale,» li interruppe Trent con una risata. «Come va, fratello?»

    Pixie corse dall’altro lato della scrivania e si concentrò sul cambiare le ricariche della pinzatrice, qualsiasi cosa pur di evitare il suono della sua voce, segnata dal whiskey e dalle sigarette, e il suo profumo avvolgente dalle note legnose.

    «Dammi venti minuti e sarò da te,» sentì dire a Trent.

    Cavolo. Rivolse lo sguardo verso Dred. I lunghi capelli scuri gli scendevano in modo disordinato sulle spalle, incorniciandogli il mento pronunciato e gli zigomi irresistibili. Quel sorriso gentile indeboliva la determinazione di Pixie.

    «Ehi, Pix. Mi chiedevo…»

    «Ehi, ma tu sei Dred Zander, vero?» Un uomo li interruppe e si frappose tra i due, stringendo la mano di Dred come un ossesso. «Sono Bill, vengo da Boise. Screwed è il mio album preferito in assoluto. Adoro Dog Boy. La suonerete stasera?»

    Dred scosse la testa. «Mi dispiace. Non la suoneremo. Ma la scaletta è fantastica.»

    Il sorriso seducente era sparito e negli occhi di Dred non c’era più la stessa luce. Certo, sorrideva ancora e sembrava anche amichevole, ma Pixie capì che era tutta una finzione.

    «Perché no? Non la suonate mai. Hai scritto delle strofe spettacolari, davvero.»

    Bill, il fan, stava iniziando a infastidirla, e dal modo in cui Dred contrasse la mascella, Pixie capì che era un fastidio condiviso.

    «Grazie,» rispose Dred. «Significa molto per me. Ora, se vuoi scusarmi, ero nel bel mezzo di una conversazione con…»

    «Dai, suonala per me stasera,» piagnucolò il ragazzo. «È l’ultima data del tour, e la prossima settimana è il mio compleanno.»

    «Buon compleanno. E in realtà l’ha scritta Jordan. Non vuole cantarla, quindi non la canteremo.»

    «Dovreste ascoltare di più i vostri fan. Se vi collegate su qualsiasi forum, leggerete che i fan vogliono sentirvela cantare dal vivo.»

    Pixie tossì rumorosamente, si spostò di fronte al bancone e afferrò la mano di Dred. Lui la strinse forte, ma continuò a guardare Bill in modo torvo. «Ti porto nel retro dello studio.»

    «Aspetta. Tieni.» Bill ficcò il telefono in mano a Pixie con un gesto sgarbato, costringendola a fare un passo indietro. «Facci una foto.»

    «Puoi chiederle per favore?» La voce di Dred era bassa e minacciosa.

    «Oh, scusa. Per favore.»

    Pixie guardò lo schermo. Bill era felice come un bambino dopo una scorpacciata di Smarties, mentre Dred sembrava che volesse spaccargli la testa.

    Dopo aver fatto la foto, Pixie restituì il telefono a Bill. Se non fosse stato per la reputazione dello studio, avrebbe chiesto a Eric di tatuare un pene sul bicipite di Bill, al posto della copia lampante di un tatuaggio di Eminem.

    «Non è che per caso avresti qualche ingresso vip?»

    Pixie trascinò Dred nell’ufficio e chiuse la porta per evitare che Bill li seguisse. «Stai bene?» disse lasciandogli la mano.

    «Sì,» rispose Dred, giocherellando con il ciondolo d’argento a forma di ancora attaccato al laccetto di corda nero che gli pendeva dal collo. «È stato un volo di merda, e la canzone di cui parlava Bill… suonarla è troppo doloroso. Non la suoniamo dal giorno in cui l’abbiamo registrata.»

    Trent aprì la porta. «Sono pronto, quando vuoi.»

    Dred gli si avvicinò, poi si rivolse ancora verso Pixie, con un sorriso impossibile da ignorare. «Quindi, abbiamo legato un po’ di più. Tu e io. Ci siamo addirittura tenuti per mano, vero? Quando accetterai di uscire con me?»

    «Quando i Miami Marlins vinceranno la coppa del mondo di baseball,» gli rispose. Anche se in realtà, una parte di lei avrebbe voluto uscire con lui in quel momento esatto.

    Dred si sedette e lasciò che il ronzio della macchina per tatuaggi e il pizzico degli aghi placassero la tensione che regnava nella sua mente. Nient’altro a cui pensare, solo il brusio e la vibrazione.

    «Mi dispiace che non abbiamo potuto utilizzare la stanza privata ma, credimi, è meglio così per i timpani di tutti. Mi sembri distrutto.» Trent non lo guardò mentre parlava, al contrario, continuò a tratteggiare. Dred odiava il teschio scontato che si era fatto tatuare quando aveva diciannove anni, ma adorava il disegno che Trent aveva ideato per coprirlo.

    «Sono passati diversi mesi.» La sua voce si incrinò verso la fine. Brutto segno.

    «Non hai avuto momenti liberi durante il tour?» Trent immerse l’ago nell’inchiostro nero.

    Sul suo corpo, Dred preferiva i tatuaggi neri e grigi, ma credeva che i colori accesi fossero molto sexy su una donna. Lanciò un’occhiata alla scrivania dove Pixie stava ridendo con un cliente.

    «Ci siamo fermati qualche giorno di tanto in tanto. Soprattutto in giro, però, non a casa. Mi manca da morire il mio cazzo di letto. Comunque mi fermerò un paio di giorni qui. Spero che il clima mite faccia bene alla mia gola.»

    «Fa freddo qui ora.» Trent spostò il braccio di Dred per lavorare meglio.

    «Freddo? Ci sono circa tre gradi a casa mia.» Dred rise, ma la sua risata si trasformò in un colpo di tosse. Merda. La tosse sta peggiorando.

    «Stai usando quei cazzo di gradi Celsius? Come si dice in numeri veri?

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