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Forse non tutti sanno che in America: Curiosità, storie insolite e segreti del Paese a stelle e strisce
Forse non tutti sanno che in America: Curiosità, storie insolite e segreti del Paese a stelle e strisce
Forse non tutti sanno che in America: Curiosità, storie insolite e segreti del Paese a stelle e strisce
E-book239 pagine3 ore

Forse non tutti sanno che in America: Curiosità, storie insolite e segreti del Paese a stelle e strisce

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Info su questo ebook

Curiosità, storie insolite e segreti del Paese a stelle e strisce

Nella percezione comune, l’America è simbolo di progresso e modernità ma anche di junk food. Francesco Panella, ristoratore dei due mondi e presentatore di fortunatissimi programmi televisivi, grande conoscitore della cucina degli Stati Uniti, introduce il lettore a una serie di incontri con uomini e donne straordinari che forniscono un inedito punto di vista e la chiave per superare il pregiudizio. Chef, agricoltori, produttori, imprenditori del cibo, personaggi visionari che, sin dall’800, hanno contribuito ad accogliere e rivisitare tradizioni gastronomiche dei coloni come delle popolazioni già radicate nel territorio. L’entusiasmante tour, ricco di aneddoti personali, parte dal Nord Est, dove i piatti sono ancora molto legati alle tradizioni che i coloni inglesi portarono in dote, attraversa il Midwest, un crogiolo di cucine, che trae le sue radici culinarie soprattutto dal vecchio continente e dai nativi, e passa poi per il Sud dove la grande varietà di preparazioni è determinata in larga parte dalle numerose e differenti etnie che l’hanno popolato. Lo spirito di esplorazione e la curiosità di Francesco Panella ci portano fino alla regione Ovest, l’area più grande del Paese per estensione geografica, composta da paesaggi molto diversi e che vanta una cucina caratteristica, fortemente ispirata dai pionieri e attenta al tema della sostenibilità.

Alla scoperta delle curiosità degli Stati Uniti con una guida d’eccezione
La cultura e la cucina americana in trenta indimenticabili storie

«Francesco Panella non è solo un ristoratore di successo che ha conquistato gli Stati Uniti con la cucina italiana, è prima di tutto un visionario.»
Alessandro Cattelan

«Ristoratore dei due mondi.»
Il Foglio

«Panella è un ciclone di talento.»
Ansa.it

«Ristoratore nel DNA, viaggiatore con i programmi tivù, cuore tricolore: il patron romano è amato nella Grande Mela. Perché fa cucina italiana, non parodia.»
Vanity Fair
Francesco Panella
Gestisce da molti anni, insieme ai fratelli, l’Antica Pesa di Roma, storico indirizzo di Trastevere della ristorazione capitolina, appartenente alla sua famiglia fin dalla fondazione, nel lontano 1922. Nel 2012 ha compiuto il primo passo verso l’internazionalizzazione dell’azienda, con l’apertura di un locale a Williamsburg, quartiere tra i più trendy a New York. È diventato un noto volto televisivo grazie a programmi di successo.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2020
ISBN9788822748430
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    Anteprima del libro

    Forse non tutti sanno che in America - Francesco Panella

    521

    Copertina © Sebastiano Barcaroli

    Prima edizione ebook: novembre 2020

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-4843-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    Francesco Panella

    Forse non tutti sanno

    che in America...

    Curiosità, storie insolite e segreti

    del Paese a stelle e strisce

    Newton Compton editori

    Dedico questo libro ai miei figli,

    sperando che queste storie possano ispirarare in loro

    creatività, curiosità e motivazione

    e aiutarli a mettere al centro della propria vita

    valori sani e sacrificio.

    I traguardi si raggiungono lavorando duro

    e rimettendosi in discussione, ogni giorno,

    ascoltando, osservando ma soprattutto sognando.

    indice

    Introduzione

    northeast

    Hamburger 0.0

    Pizza all in

    Briciole di biscotto

    Gelato pop

    Spaghettata con i Soprano

    La regina dei dumpling

    I visionari

    La wall street del pesce

    A pesca di fantasmi

    Il vero chilometro zero

    dna green

    west

    Una sosta nel deserto

    Lo snack della donna ragno

    La ciambella perfetta

    Il tesoro della pasta madre

    Fatto col cuore (di carciofo)

    La radice quadrata del sushi

    midwest

    Happy days

    Viaggio nel tempo al drive-in

    Brunch paradise

    American pie

    south

    La locanda dei presidenti

    Una grande piccola fattoria

    Il maestro

    La Miami che conta

    La tradizione e l’orgoglio

    Il pollo come non lo avete mai mangiato

    Sulla tavola dei cajun

    Tacos revolution

    La cucina dei cowboy

    Ringraziamenti

    Introduzione

    Poco prima dell’inizio del lockdown, ho ricevuto un pacco da Sir Alex Ferguson, l’ex calciatore scozzese più noto agli appassionati per essere stato l’allenatore del Manchester United per la bellezza di ventisette anni. Sir Alex nel 2012 è stato insignito dalla iffhs del titolo di migliore allenatore del ventunesimo secolo, e a ragione: se iniziassi a elencare adesso la serie di coppe, trofei e riconoscimenti che ha fatto portare a casa alla sua leggendaria squadra, finirei tra un paio di pagine, probabilmente dimenticando pure qualcosa. Penso si possa affermare senza ombra di dubbio che, al timone del Manchester United, Sir Alex abbia raggiunto l’apoteosi della sua missione.

    Con quel pacco mi faceva dono di uno dei suoi libri, Leading, nelle pagine del quale rivela i segreti della sua carriera manageriale, e spiega anche come le sue tattiche e la sua visionarietà abbiano nel tempo cambiato tutto il contesto nel quale venivano applicate.

    Nella vita di chi lavora sodo il tempo di leggere e imparare è un lusso imprescindibile che pure ci si può concedere solo di rado, e da questo punto di vista, almeno, il lockdown qualche beneficio collaterale l’ha avuto. Non era certo venuto meno il lavoro, perché serviva ancora cucinare, e tanto (assieme all’associazione italiana Chef di New York, ad esempio, abbiamo consegnato in quei mesi l’equivalente di 150.000 pasti a chi ne aveva più bisogno). Era cambiato però, viste le chiusure dei locali e le difficoltà logistiche degli spostamenti, il nostro modo di rapportarci al tempo. Si era stravolto il più grosso sottinteso del mondo della ristorazione, quello degli orari, che è al tempo stesso il più forte dei nostri alleati e che tuttavia non esita, non di rado, ad assumere i panni del mostro di fine livello.

    In quelle lunghe settimane, senza la metrica dei pasti comandati e il ritmo familiare e massacrante dei servizi, nei momenti di pausa mi sono trovato più volte a fare ritorno ai vari passaggi di Leading che avevo sottolineato, ed è stato così che ho deciso anche io di catalizzare l’esperienza che ho acquisito negli anni, per offrirla a quanti avessero già capito che, ristorazione o meno, per la nostra società e il nostro sistema economico è scoccata da tempo l’ora di cambiare.

    Nelle pagine che seguono racconto storie di persone che sono riuscite a modificare per sempre il punto di vista su temi importantissimi quali l’accoglienza e la ristorazione. Uomini e donne spesso umili, con nessuna pretesa o atteggiamento da supereroi, che non hanno mai chinato il capo di fronte alla difficoltà e alle problematiche del settore, e che anzi nella loro semplicità hanno sempre dato e continuano a dare il buon esempio, e tramite questo a guidare le generazioni che li seguiranno.

    Mi sono messo a lavorare a queste pagine per condividere idee e storie che possano essere di ispirazione, che siano esempio di come il lavoro e il sacrificio portino sempre al raggiungimento dei propri sogni. Ma non è l’unico punto della questione.

    Nella percezione generale l’America è certo simbolo inattaccabile di modernità e avanguardia, ma quando si passa a parlare della sua alimentazione, le carte in tavola cambiano, e da baluardo del progresso si vede declassata a simbolo di junk food e di tutte le piaghe corollarie, come ad esempio l’alto tasso di obesità, che lo seguono. Vengono in mente montagne di hamburger, hot dog e patatine fritte, torrenti di bevande gassate e varietà dissonanti di latte aromatizzato e si ha quasi l’impressione che il cibo americano non venga nemmeno dalla terra. Ma invece è esattamente il contrario, ed è questo che mi preme di chiarire. Partendo dagli albori della storia statunitense dimostro l’opposto, illustrando chi ad esempio già un paio di secoli fa è stato così visionario da aver intravisto un’altra strada, e chi ancora al giorno d’oggi non vede altra possibilità che percorrerla. Racconto la connessione tra la terra e l’uomo, le origini del cibo americano nella cucina dei nativi, nelle dispense giocoforza limitate delle lente carovane dirette verso il Far West ai tempi della corsa all’oro e in quelle messe insieme dalla necessità pura con quel poco che riusciva a dare la terra ai popoli arrivati schiavi e poi sopravvissuti tra migliaia di difficoltà, i connubi più inauditi delle cucine figlie dell’immigrazione e madri di culture rinnovate.

    La storia rappresenta anche il solco di questo percorso e sarebbe impossibile riportarla senza gli aneddoti che la compongono e le migliaia di curiosità che la rendono viva. Nel corso degli anni in cui ho vissuto e lavorato negli Stati Uniti ho avuto modo di vedere, conoscere e assaggiare tanto, e la realtà che ho scoperto, schiva e reticente ai riflettori se non altro per il fatto d’aver rifiutato con orgoglio ogni sorta d’incorporazione, merita decisamente di emergere alla luce. Il cibo che mangiamo ogni giorno dovrebbe essere considerato medicina per il nostro corpo, e che partendo da questa base, che non è affatto scontata come sembra, diventa rapidamente lo strumento più potente per connettersi al nostro spirito.

    Questo vuole dunque essere il mio modesto contributo: ricordare e raccontare ciò che ho visto e sperimentato, sottolineando come il talento, l’abnegazione, lo spirito d’impresa nonché la curiosità, la creatività e la volontà d’innovazione possano portarci a cambiare il punto di vista che abbiamo sulle cose, e a ridefinire le prospettive che in questo tratto del percorso non sono più utili alla nostra evoluzione.

    Vi racconto quello che mi ha entusiasmato. Le storie delle persone che hanno ridisegnato quelle linee immaginarie che definiscono gli stereotipi, e che oggi rappresentano il top assoluto di tutto quello che è Made in America.

    northeast

    La regione nordorientale degli Stati Uniti comprende gli Stati più popolosi ed economicamente più sviluppati della nazione. Qui la cucina è fortemente influenzata dalle ricette inglesi tradizionali, con un ampio utilizzo di pesce e frutti di mare, prodotti caseari e vegetali locali che sono stati adattati a crescere nell’area dai nativi americani.

    hamburger 0.0

    louis lunch, new haven, connecticut

    Non si può scrivere un libro sul mondo della ristorazione negli Stati Uniti senza partire da uno dei suoi pilastri essenziali: l’hamburger. Si tratta di una pietanza così semplice, nota e diffusa in ogni angolo della terra che magari a pochi viene in mente che dietro possa esserci una storia interessante. Per questo ho deciso di iniziare questo mio viaggio proprio dal luogo che gli ha dato i natali.

    A ottanta miglia di distanza da New York sorge la cittadella costiera di New Haven, Connecticut, fondata nel 1638, e nota tra l’altro per essere stata la prima città pianificata degli Stati Uniti. È qui, al 261 di Crown Street, che si trova Louis Lunch, un locale interamente dedicato agli hamburger, che in oltre 125 anni di storia non ha mai cambiato menù o il modo di servire i propri piatti. «Il mio bisnonno», mi racconta l’attuale gestore, «ha iniziato la sua attività nel 1895, e poi nel 1900 ha fatto il primo hamburger della storia, e se te ne prendi uno oggi, puoi star sicuro che verrà cotto sulle stesse piastre di ghisa che hanno cotto quello».

    A una parete è appeso il ritratto del fondatore Louis, mentre il suo pronipote Jeff, che ne è il proprietario di quarta generazione, assieme alla moglie Kerry, gestisce questa moderna impresa con attenzione alle tradizioni del passato. «Lavorare per fare felice la gente è una grande responsabilità e anche se uno non sta lì a pensarci tutti i giorni, è difficile credere di avere alle spalle un’eredità e una tradizione così importanti. Provi a fare quello che facevano i tuoi antenati prima di te e a restare fedele a te stesso, a loro e a tutta la storia che ti precede, sai che tocca a te, ed è un peso enorme da avere sulle spalle. Il primo gennaio del 2003 l’attività è diventata la mia, o meglio, l’ho ereditata. Ero molto eccitato e non vedevo l’ora, ma non avevo idea di cosa aspettarmi, e ora, invece lo so bene di cosa si tratta, è tanta roba. Ricordo che a diciotto anni, quando ho iniziato a lavorare qui, mentre apprendevo i rudimenti del mestiere, stavo sempre a pensare a quando il locale sarebbe diventato mio, e avevo una gran voglia che accadesse, volevo diventare il proprietario, poi quando lo sono diventato ho pensato, mamma mia, in che guaio mi sono cacciato! C’è un mucchio di responsabilità, ma cerco di fare del mio meglio e spero che tutto vada per il verso giusto. Bisogna lavorare sodo per continuare a mandare avanti tutto, restando fedeli al lavoro delle quattro generazioni che mi hanno preceduto».

    I risultati non sono mancati e hanno attirato l’attenzione dei grandi nomi. «Abbiamo ricevuto offerte che volevano che ci espandessimo, ma è difficile trovare gente che rispetti la tradizione e che faccia le cose nel modo che vanno fatte, nel modo che vogliamo noi, e che riesca a farle anche in un altro posto, in un’altra città o addirittura in un’altra nazione. Mantenere tutto come dovrebbe essere non è facile e non penso che funzionerebbe. Una certa compagnia di fast food, nel 1975, ha accostato mio padre, proprio mentre stavamo per trasferirci e lui stava combattendo con la città di New Haven per la propria sopravvivenza. Gli hanno offerto cinque milioni di dollari per comprarsi tutto. Ma lui non ha esitato nemmeno un istante prima di rispondere di no. Sei o sette anni fa ho ricevuto una chiamata simile, durante la quale mi hanno offerto una somma incredibile di denaro, e ho detto di no anche io. Ma non sono stato veloce come mio padre all’epoca».

    Mangiare un hamburger da Louis Lunch significa fare un vero e proprio salto indietro nel tempo. Ogni elemento del ristorante è imbevuto di storia e tradizione, e pieno di ricordi. L’hamburger viene servito su due fette di pane tostato e mai dentro al classico bun, il panino vero e proprio con cui siamo abituati a immaginarlo, perché Jeff afferma che il pane tostato fa risaltare di più il sapore, che dentro a un bun invece finirebbe per perdersi. Gli hamburger vengono ancora cotti sulle griglie verticali di ghisa che risalgono al 1898, che sono le stesse che usava il decano Louis Lassen per cuocere i primi hamburger della storia, e le fette di pane vengono tostate in un vecchio tostapane del 1928.

    Gli hamburger vengono realizzati con una miscela segreta di cinque tagli di manzo e sono preparati freschi ogni giorno, cucinati a puntino sulle griglie d’epoca. È un processo che porta via molto tempo, specie per un ristorante che è sempre affollato, e che consuma dai sessanta ai novanta chili di carne ogni giorno, durante l’ora di punta del pranzo.

    Una volta cotto e assemblato, sul pane tostato si possono mettere dei condimenti quali formaggio, pomodoro o cipolle, ma il ristorante è famoso per non offrirne altri tipi, e dunque è inutile chiederli. La famiglia Lassen è convinta che non sia necessario. «Per prima cosa bisogna tenere a mente la tradizione. Il mio bisnonno all’epoca faceva gli hamburger senza ketchup, e per restare fedeli alle generazioni che ci hanno preceduto, bisogna concentrarsi sulla carne, il sapore e la marinatura, e non credo che ci sia bisogno di aggiungere ketchup o altre diavolerie». L’esperienza del Louis Lunch ruota intorno al sapore e alla semplicità di un semplice hamburger grigliato, e per questo motivo i soli condimenti accettabili sono il pomodoro, la cipolla e il formaggio.

    Visto che i clienti sono sempre tanti e che c’è bisogno di farli mangiare tutti rapidamente, gli abitanti del luogo hanno imparato il gergo del Louis Lunch per poter ordinare senza perdere tempo. Se è la prima volta che ti trovi a mangiare qui, è importante conoscere in anticipo questo gergo per evitare di ordinare la cosa sbagliata. Ad esempio, un cliente abituale si avvicina al banco e chiede: «Due formaggi, un’insalata e una betulla», che tradotto vuol dire due hamburger con formaggio, pomodoro e cipolla, cottura media, su pane tostato, un’insalata di patate di contorno e una birra di betulla. Con formaggio si intende un hamburger con tutti i condimenti. Jeff non ricorda bene come sia nata questa usanza, ma probabilmente deriva dal voler evitare di dire sempre le stesse cose di continuo.

    Appena messo piede nel locale, mi sono reso conto che si trattava di un posto speciale, pieno di fascino nostalgico, che aveva resistito alla storia e alle tentazioni del corporativismo ed era rimasto lì, intatto e fiero, come se non fosse passato un giorno dall’inizio delle attività. La piccola palazzina di mattoni e griglie di ferro cattura subito l’attenzione. Sembra una casetta di marzapane delle fiabe, ed è elencata nel registro nazionale degli edifici storici. Il locale ha vinto innumerevoli premi e riconoscimenti, grazie alla sua rilevanza storica e a tutti i suoi pregevoli trascorsi. All’interno dell’edificio, resto stupito vedendo che tutti gli scompartimenti di legno massiccio sono ricoperti da scritte e incisioni dei clienti del passato. Jeff mi ha detto che incoraggia sempre gli avventori ad aggiungere un pezzo della loro narrativa personale al locale, facendo una piccola incisione sui tavoli di legno. Ho seguito il suo consiglio e inciso con una chiave le mie iniziali, affascinato dall’idea che ogni singolo dettaglio lì dentro sia stato pensato per sottolineare la storia di questa famiglia e del vicinato.

    Visto che hanno regole abbastanza rigide su quello che si può e non si può prendere, Jeff mi ha aiutato a ordinare, e alla fine ho preso un formaggio anche io, che poi è quello che prendo da tutte le altre parti, anche se lì stavo un po’ in ansia. Ma dovevo fidarmi. Alla fine, lì era nato l’hamburger. Potevo stare tranquillo. Ero adagiato nella culla della storia.

    Sul finire dell’ultima decade del 1800 il bisnonno di Jeff, un immigrato tedesco che si era trasferito a New Haven per dare inizio a una nuova vita, divenne un venditore ambulante di verdure, girando con un carretto per tutta la città. Presto iniziò a espandere la sua offerta, aggiungendo pietanze semplici che gli abitanti del luogo potevano acquistare e consumare sul posto durante l’ora di pausa dai loro faticosi lavori manuali. Un giorno, nel 1900, un forbito gentiluomo arrivò di gran lena, disse a Louis che andava di fretta e che aveva bisogno di una qualsiasi cosa da mangiare che potesse portarsi via. Nel giro di qualche istante, Louis preparò una polpetta col macinato dei rifili di carne, la schiacciò per farla cuocere prima e una volta cotta, la dispose tra due fette di pane bianco tostato e congedò il cliente. Quella fu la prima volta che un hamburger venne servito negli Stati Uniti: era così nato il più famoso bun americano, un onore che in seguito venne confermato dalla Library of Congress, che in un documento elenca proprio il nostro Louis come padre degli hamburger.

    L’hamburger, questo classico intramontabile che non sfigura nei menù dei ristoranti di qualsiasi città del mondo, da Ulan Bator a Honolulu, dalla Norvegia alla Cina, dall’osteria al pluristellato – posto che però ognuno ne realizzi la propria interpretazione personale. Nel ristorante di famiglia, per esaudire un desiderio di Quentin Tarantino, di passaggio ai tempi delle riprese di Bastardi senza gloria, mio fratello Simone ne ha inventato uno a base di salsiccia di Monte San Biagio, un prodotto tipico dei monti Lepini, la cui origine risale ai tempi degli insediamenti longobardi e che oggi arriva sulle nostre tavole con secoli di storia alle spalle.

    Molto più di un semplice ristorante, il Louis Lunch ha sempre mantenuto un posto speciale nel cuore degli abitanti di New Haven. Nel 1912 Louis piazzò il primo bancone in uno stanzino ricavato dal vecchio ufficio di una selleria. Quando l’attività passò nelle mani della generazione successiva nel 1966, il locale ricevette un’ingiunzione di demolizione per motivi urbanistici. Ken Lassen, il nipote di Louis, chiese alla gente di aiutarlo a trasferirsi raccogliendo pietre e mattoni da tutto il mondo. Ne ricevette dal Taj Mahal, dal Pantheon, da Fort Sumter e da Machu Picchu, e così quando vennero costretti a traslocare avevano stretto contatti in ogni angolo della terra. Nel 1974 non gli venne più permesso di restare nel locale originario, ma una serie di clienti provenienti da tutto il mondo prese a cuore la causa. I piani per il trasferimento del ristorante vennero ultimati a poche ore dalla scadenza. La storica palazzina venne caricata su un camion e viaggiò per trenta minuti fino alla sua nuova dimora di Crown Street. Per aiutare nella ricostruzione, gli amici e i sostenitori continuarono a inviare migliaia di pietre e mattoni da ogni angolo del globo per rimettere in piedi le mura. Ognuna di quelle pietre aveva la sua storia e oggi sono ancora visibili nelle pareti del ristorante.

    Quando arriva l’hamburger su un semplice piatto bianco, l’odore mi riporta al presente, perché è così irresistibile che le parole stentano a descriverlo. La sua semplicità è proprio la cosa che preferisco, e il motivo per il quale continuerò a tornare qui. Le fette di pane bianco

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