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Perché diciamo così
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Perché diciamo così
E-book424 pagine3 ore

Perché diciamo così

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Info su questo ebook

Origine e significato dei modi di dire italiani

Dal fondatore di Libreriamo®

Curiosità, sorprese, scoperte sulle espressioni che usiamo ogni giorno

Rispondere picche, fare il col­po gobbo, restare al verde, avere la coda di paglia, pa­gare lo scotto o prendere in ca­stagna… Da dove derivano que­ste curiose espressioni? I modi di dire fanno parte del nostro modo di parlare, di esprimerci e di essere parte di una comunità. Ogni famiglia ha il suo tradiziona­le “bagaglio di espressioni” e cia­scuno di noi ne usa abitualmente una propria personale selezione. Che siano derivati dalle lingue classiche, da episodi storici o da abitudini popolari, è affascinante scoprire come alcune delle fra­si che utilizziamo più spesso nel parlare quotidiano abbiano un significato ben preciso, a volte sorprendente, ben più calzante di quello che pensiamo. Questo libro è un affascinante viaggio nel variegato mondo dei modi di dire: un “dizionario” indispensabi­le per un uso più consapevole del linguaggio, divertente da sfogliare e ricco di curiosità.

Dal mito alla storia
La spada di Damocle - vittoria di Pirro

Dal greco e dal latino
Alle calende greche - avere delle remore

Dalla religione
Scherzo da prete - stare con i frati e zappare l’orto

Dalla letteratura
Combattere contro i mulini a vento - fare voli pindarici

Dalla vita quotidiana
Sbarcare il lunario - attaccarsi al tram

Diamo i numeri
Quinta colonna - sudare sette camicie

Gergo militare
Fare man bassa - rompere le scatole

Che tempo fa
Sole che spacca le pietre - piove, governo ladro!

Dallo spettacolo
Cavallo di battaglia - farsi un film

A tavola
Avere l’acquolina in bocca - prendere in castagna

Il corpo umano
Essere in vena - fare orecchie da mercante

Lo sport
Darsi all’ippica - appendere le scarpe al chiodo

I giochi
Rispondere picche - calma e gesso

Regionalismi
Non c’è trippa per gatti - essere una mezza calzetta
Saro Trovato
è sociologo ed esperto in comunicazioni di massa. È il creatore dello Story Engagement, una nuova metodologia di comunicazione utilizzata da prestigiose aziende e mar­chi internazionali, in grado di generare campagne di forte impatto e successo. Nel 2012 ha fondato il media digitale Libreriamo, per promuovere la lettura, i libri e la cultura attraverso i canali digi­tali: oltre un milione di persone oggi ne seguono attivamente la Media Com­munity. Nel 2019 Facebook e Forbes Italia hanno premiato tale impegno, ce­lebrando Saro Trovato tra i dieci game changer italiani avendo, attraverso i canali social, rivoluzionato la divulgazio­ne culturale, avvicinandola all’interesse di sempre più persone grazie a un lin­guaggio innovativo e democratico.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2020
ISBN9788822748843
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    Anteprima del libro

    Perché diciamo così - Saro Trovato

    Introduzione

    C’è modo e modo… di dire

    Saro Trovato

    (Autore e Fondatore di Libreriamo)

    Questo libro nasce durante il lockdown 2020, grazie all’incontro telematico avuto con gli editor della Newton Compton, i quali hanno avuto la brillante idea di creare una raccolta dei contenuti di Perché si dice, la rubrica di Libreriamo (https://libreriamo.it) che indaga sull’origine dei diversi modi di dire che utilizziamo tutti i giorni nel parlare e nello scrivere, e che vuole anche portare alla luce tutte quelle locuzioni non più utilizzate, o usate raramente, che non per questo meritano essere dimenticate.

    In realtà, il progetto nacque alcuni anni fa, all’interno della redazione di Libreriamo, convinti che ci fosse un pubblico molto attento alle curiosità linguistiche. Così, fu deciso di offrire ai nostri lettori una rubrica dedicata ai modi di dire. Anche il titolo della rubrica doveva essere semplice e diretto. Una di noi, Sarah Zocco, suggerì di utilizzare Perché si dice…. Decidemmo all’unanimità che fosse quello il titolo giusto. L’effetto sui lettori fu immediato. Gli articoli legati alla rubrica sono tra le pagine più lette della testata.

    Secondo l’autorevole Treccani: Con modo di dire o più tecnicamente, locuzione o espressione idiomatica si indica un’espressione convenzionale, caratterizzata dall’abbinamento di un significante fisso (poco o niente affatto modificabile) a un significato non composizionale (Casadei 1994: 61; Casadei 1995a: 335; Cacciari & Glucksberg 1995: 43), cioè non prevedibile a partire dai significati dei suoi componenti.

    Per chi scrive, che non è un linguista, ma un sociologo prestato al mondo della comunicazione, capire da dove arrivano certe frasi fatte risponde a una spontanea curiosità. Ciò che mi ha sempre affascinato è il versante antropologico-culturale dei modi di dire. Essi nascono all’interno di una data cultura, civiltà, epoca storica diventandone testimoni, ambasciatori.

    I modi di dire trasformano le parole in immagini. Per certi versi, sono una rappresentazione visiva della lingua. Immortalano un momento rendendolo memorabile. Le singole parole non avrebbero nessun senso e la frase nel suo complesso sarebbe incomprensibile se non legata a una data situazione. Tutto ciò è affascinante, perché è sinonimo di libertà linguistica. Creano una rottura con tutte le regole della linguistica, sono trasgressione allo stato puro. Per questo meritano attenzione e conoscenza.

    Il modo di dire è movimento, azione, vita. Ogni modo di dire è una creazione dell’uomo. È un’opera dell’ingegno umano. Ciò che apparentemente non ha senso, diventa carico di significato, ma solo se contestualizzato e interpretato nel suo complesso. Aiuta a comunicare in modo semplice, facilita la comprensione, stimola la memoria. È territoriale, ma può diventare globale, seppur attraverso un ulteriore lavoro di localizzazione linguistica.

    Tutto ciò non può che suscitare interesse, attenzione. Pertanto, insieme al team di Libreriamo, primo fra tutti Salvatore Galeone (vero compagno di viaggio in tutti questi anni di Libreriamo, che ringrazio di cuore per l’aiuto offerto), fin dall’inizio abbiamo fatto una ricerca giornaliera sull’origine dei diversi modi di dire, molti dei quali hanno origine antica e malgrado ciò sono ancora utilizzati nel linguaggio contemporaneo. Per raggiungere tale obiettivo è stato importantissimo anche il contributo del giornalista esperto di linguistica Fausto Raso, per me e per Libreriamo una vera e propria guida nel non semplice viaggio di ricerca.

    Anche il professor Google ha dato il suo valido contributo, offrendoci l’opportunità di consultare la miriade di autori e fonti telematiche (che ringrazio), che ci hanno permesso di scoprire un numero sterminato di modi di dire e la relativa origine storico-culturale. Il nostro compito quindi è stato quello di dare ordine all’immensa offerta presente sul web, facendo un lavoro incrociato di verifica, al fine di offrire ai lettori una risposta il più possibile precisa e corretta.

    Questo libro vuole essere leggero per scelta, nella convinzione che chi scrive deve offrire ai lettori delle risposte semplici e comprensibili a tutti. Sarà poi scelta del lettore se fare ulteriori ricerche più approfondite in base all’interesse personale. Una scelta in linea con il progetto Libreriamo, grazie al quale divulghiamo cultura fin dal 2012 nella convinzione che i libri, l’arte, i beni culturali meritano ampia diffusione e devono trovare interesse in tutta la popolazione.

    Sono convinto, è il mio credo, che la cultura non deve essere proprietà di una o poche élite, ma deve essere a disposizione del maggior numero di cittadini. La sensibilità culturale di una popolazione è indice del livello di civiltà di uno Stato e contribuisce inevitabilmente a migliorare il senso civico dei cittadini. Fare e diffondere cultura per tutti è un impegno etico, un fine sociale importantissimo.

    Non a caso, Libreriamo oggi è una community di oltre un milione di persone che condivide con noi questo impegno. Una community che vive in rete e sui social protagonista di un modo positivo di interagire, basato sull’amore, sul rispetto, sulla tolleranza, sul dialogo. In Libreriamo l’odio, gli insulti, le urla non hanno spazio, nella convinzione che la rete e i social possono essere un formidabile media per i libri, l’arte, la cultura tutta. La grande bellezza può trovare espressione e seguito, riuscendo a coinvolgere tutti i giorni migliaia di italiani.

    Perché diciamo così è stato scritto con questo spirito, nella speranza che possa attrarre l’attenzione per la lingua anche di chi solitamente può apparire distratto riguardo a tale interesse. Sono convinto che è un libro da leggere, da tenere nella propria libreria ed essere consultato quando si vuole scoprire l’origine di un data frase idiomatica. Un libro che può essere regalato e che può diventare un dono di conoscenza.

    Saro Trovato

    Prefazione

    I modi di dire, bene linguistico da tutelare

    Claudio Marazzini

    (Presidente dell’Accademia della Crusca)

    Questo bel titolo, I modi di dire, bene linguistico da tutelare, lo confesso, non è farina del mio sacco (ecco un primo modo di dire di cui troverete la spiegazione in questo libro): mi è stato fatto trovare già bello e confezionato da Saro Trovato quando mi ha mandato le bozze del libro perché potessi scrivere la prefazione, perché io non fossi all’oscuro della materia (ecco un altro modo di dire). Mi sono chiesto dunque in che cosa debba consistere questa tutela di cui parla il titolo, la quale mi fa venire in mente per analogia il fiorellino che la casa editrice Zanichelli colloca nel vocabolario Zingarelli accanto alle cosiddette parole da salvare. Basterà il fiorellino? O sarà un fiorellino mortuario collocato accanto alla fotografia dello scomparso, del de cuius, come dicevano gli avvocati del tempo passato? Cerchiamo di essere ottimisti, e intanto esaminiamo la situazione.

    Si dice che i modi di dire figurati siano in crisi perché i giovani non li usano più. Probabilmente ciò è vero, anche se per affermare questa tesi con rigore scientifico dovremmo procedere ad analisi statistiche oggettive, su corpora linguistici bilanciati per età degli scriventi e dei parlanti. Operazione molto complessa, che certo non abbiamo modo di fare qui. A lume di naso, cioè in base all’elementare buon senso, ci rendiamo conto del fatto che molte espressioni proverbiali sono veri fossili, e quindi non stupisce che possano cadere in disuso. Mi pare quasi miracoloso che ancora si usi dire, o almeno alcuni italiani dicano ancora e intendano, mettere il carro davanti ai buoi o cercare l’ago in un pagliaio, visto che i buoi non si usano più per arare, sostituiti da giganteschi trattori, e i pagliai sono diventati curiosità folcloriche in molte regioni d’Italia, se non in tutte. Quindi i giovani abbandonano alcuni di questi antichi modi di dire. Leggendo questo libro, forse, troveranno la chiave per comprendere ancora espressioni che non capiscono più, sempre che abbiano la pazienza di leggere, anziché cercare solamente in Internet.

    Ma è poi assolutamente vero tutto ciò? La questione mi fa venire in mente la più importante polemica linguistica degli anni Sessanta, quella che va sotto il nome di Nuova questione della lingua di Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore sostenne che l’italiano stava subendo un cambiamento radicale, perché da lingua espressiva si stava trasformando in lingua comunicativa, perdendo la vitalità e la creatività ereditate dalla tradizione umanistica e popolare. Con una certa altezzosità gli studiosi più accreditati risposero che questa era una sciocchezza, perché la dimensione comunicativa e quella espressiva si combinano costantemente nella lingua, e non possono mai venir meno. Potremmo pensare che le nuove generazioni utilizzino forme metaforiche diverse, che sostituiscono quelle tradizionali. La storica della lingua Gabriella Alfieri, nel saggio Modi di dire nell’italiano di ieri e di oggi: un problema di stile collettivo (Cuadernos de Filología Italiana, 4, Servicio de Publicaciones

    UCM

    , Madrid, 1997, pp. 13-40) ha parlato di espressioni angloamericane che si stanno introducendo in italiano attraverso il doppiaggio televisivo: un penny per i tuoi pensieri, batti cinque, essere nel posto giusto al momento giusto, siamo una squadra (p. 13). Batti il cinque è anche discusso in questo libro, nella rubrica dedicata a Dammi il cinque, e ci viene appunto spiegato che l’espressione è stata importata nei primi anni Ottanta dagli Stati Uniti e, precisamente, dai campi di basket. Dunque viene dal linguaggio sportivo, come gettare la spugna della box, o non smettere di pedalare nel senso di lavorare sodo e darsi da fare, o giocare d’attacco. Altre espressioni ancora in uso tra i giovani vengono dal linguaggio dei motori, come andare a manetta per andare a tutto gas, andare forte, o partire in quarta. Alcuni modi di dire giovanili innovativi, che correvano quando io frequentavo le scuole, si sono persi, forse perché erano caratterizzati da una dose di scorrettezza politica oggi inammissibile: così essere un bamba, essere handicappato, essere Down.

    Trovo affascinante che alcune espressioni sopravvivano a lungo anche una volta che il loro significato letterale si è fatto opaco, come, tra quelle qui illustrate, vendere all’asta, attaccarsi a tram, farci la croce, sbarcare il lunario. Di particolare interesse mi pare il settore dei modi di dire di origine militare, come di punto in bianco per all’improvviso, o far quadrato. Di questi modi si possono leggere nel libro le relative spiegazioni, che giustificano l’origine delle espressioni, non sempre facili da individuare. Per esempio, rompere le scatole è stato riportato da molti a un certo ordine che veniva impartito durante la Grande Guerra prima dell’attacco. Però il

    DELI

    , il dizionario etimologico italiano di Cortelazzo e Zolli, ci mostra che l’espressione è registrata nel vocabolario di Tommaseo-Bellini fin dal 1872, prima della Grande Guerra; e si può andare più indietro, con testimonianze di metà Ottocento, senza contare che il

    GDLI

    , il grande dizionario storico Battaglia, riporta alla voce Rècipe e alla voce Scatola un esempio tratto da una lettera di Pietro Ercole Gherardi a Ludovico Antonio Muratori, e dunque arretriamo fino alla prima metà del sec.

    XVIII

    : «Se l’Albrizzi», scrive il Gherardi, «avesse corrisposto con sollecitudine di fatto alla parola già datami quando mi ruppe tanto le scatole, sarebbe a quest’ora in pubblico il trattarello». Naturalmente non voglio escludere che l’espressione sia stata in qualche modo rivitalizzata durante la Prima guerra mondiale, ma certo in questo come in altri casi occorre verificare le fonti, magari paragonando questo modo di dire con tutta la serie stare sulle scatole, togliersi dalla scatole, ne ho piene le scatole, che si collega assai bene con gli usi analoghi di coglioni e di palle, il che potrebbe far pensare a una forma attenuata per ragioni di autocensura, un eufemismo che evita il tabù sessuale, e potrebbe anche far dubitare che girare le palle sia a sua volta un relitto della Grande Guerra. Ciò non toglie che dal linguaggio militare siano venute davvero molte espressioni ancora vive, come terra di nessuno, franco tiratore, fare Caporetto, essere in trincea, essere in prima linea, stare nelle retrovie, e altre morte, come scemo di guerra, mutilato nel cervello.

    Ci sono poi modi di dire che hanno significati bivalenti, anche opposti: si veda piove sul bagnato, che il libro spiega facendo riferimento all’accezione positiva e a quella negativa. Della seconda, cita un esempio di Pascoli, che viene dal

    GDLI

    : «Piove sul bagnato: lagrime su sangue, sangue su lagrime». Si può andare molto più indietro nel tempo, visto che il Passeroni, autore del Settecento, nel suo poema Il Cicerone, iniziò così l’ottava 35 del canto

    XXVI

    : «Quando succede alle disgrazie vecchie | in un uom veramente sfortunato | una nuova disgrazia, oppur parecchie, | si dice allor, che piove in sul bagnato: | sul capo a Tullio è già piovuto a secchie». Verrebbe allora da pensare che il significato originario sia quello negativo, di più antica attestazione, e vien da chiedersi come e quando si sia attuato il rovesciamento semantico che ha parificato le due possibilità, quella negativa e quella positiva, entrambe legittime nell’italiano di oggi, come attesta la moderna lessicografia.

    Insomma, credo che quel poco che mi è venuto in mente scorrendo le voci di questo dizionario possa mostrare quante sollecitazioni intellettuali ci propone questo repertorio, così come gli analoghi compilati in passato, e quanto possa essere istruttiva e divertente la lettura di un libro del genere.

    Claudio Marazzini

    Presidente dell’Accademia della Crusca

    Capitolo 1

    Dal mito alla storia

    La spada di Damocle

    La spada in questione rappresenta, in senso figurato, un grave pericolo, una costante minaccia che incombe su di noi. Per comprendere appieno il significato di questa celebre locuzione bisogna risalire a quanto scritto dallo storico Timeo di Tauromenio nella sua Storia di Sicilia. Fu lui, infatti, a raccontare per primo l’aneddoto secondo cui, Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, durante un banchetto, fece appendere sulla testa del principe Damocle una spada, tenuta in precario equilibrio solo da un sottile crine di cavallo. Tale gesto era servito per far comprendere al suo cortigiano i rischi e le preoccupazioni che ogni giorno attanagliano la mente di un uomo di potere.

    Piantare in asso

    Il significato dell’espressione piantare in asso è abbandonare qualcuno da un momento all’altro, senza alcun preavviso e magari proprio nel mezzo di una situazione difficile e complicata. Le origini di questo modo di dire affondano nella mitologia greca e, più precisamente, nella leggenda di Arianna che, com’è noto, aiutò Teseo a sconfiggere il Minotauro e, grazie al gomitolo di lana che lei stessa gli aveva dato (il proverbiale filo di Arianna), a uscire dal labirinto. Durante la fuga verso Atene, però, l’ingrato Teseo fece addormentare la bella fanciulla e l’abbandonò sull’isola di Nasso. Da qui la locuzione piantare in Nasso che, nella tradizione orale, si sarebbe alterata linguisticamente perdendo la

    N

    e diventando piantare in asso.

    Vittoria di Pirro

    Con l’espressione vittoria di Pirro si indica solitamente una battaglia vinta a un prezzo eccessivamente alto. Questo modo di dire che resiste al tempo si riferisce a Pirro, sovrano e condottiero che sconfisse i Romani a Eraclea nel 280 a.C. e ad Ascoli Satriano nel 279 a.C. Tali vittorie costarono però al re dell’Epiro perdite così gravi da essere paragonate a vere e proprie disfatte e alla fine si rivelarono infatti del tutto inutili: nel 275 a.C. Pirro venne definitivamente sconfitto a Maleventum (che i Romani ribattezzarono per l’occasione Beneventum). Anche se di norma è associato a una battaglia militare, questo modo di dire è per analogia utilizzato anche nel mondo della politica e degli affari.

    Fare le cose alla carlona

    Quando le cose vengono fatte senza alcuna cura, ma in modo superficiale, sbrigativo, trascurato e grossolano si usa l’espressione fare le cose alla carlona. Per conoscerne l’origine, bisogna tornare ai tempi del Sacro Romano Impero, quando a regnare era Carlo Magno, personaggio che, nella tradizione dei poemi cavallereschi, è diventato nel tempo oggetto di scherzi e graffianti parodie. Soprannominato Carlone, il grande re dei Franchi e primo imperatore veniva infatti ritratto come un uomo goffo e imbranato, che amava indossare abiti trasandati, non pregiati, di stoffa rozza, certamente inadatti al suo rango.

    Perdere la trebisonda

    L’espressione perdere la trebisonda è utilizzata con il significato di perdere la bussola, l’orientamento, le staffe, essere confusi e disorientati. Tre sono le ipotesi che legano questo modo di dire all’antica città turca di Trabzon, Trebisonda appunto. La prima riguarda i naviganti che, quando perdevano di vista il faro di quello che un tempo era il maggior porto sul Mar Nero, rischiavano di naufragare. La seconda fa invece riferimento ai mercanti che perdevano la rotta e dunque il denaro investito nel viaggio. La terza, infine, si riferisce alla resa, avvenuta il 15 agosto 1461, dell’ultima città bizantina indipendente conquistata dai turchi ottomani.

    Fare una figura da cioccolataio

    Fare una figura da

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