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Cinque sorelle
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E-book272 pagine3 ore

Cinque sorelle

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Info su questo ebook

Quando Maddalena Splendori entra per la prima volta nella boutique in via Piave, Adele Casagrande la riconosce subito. 
Maddalena è una donna nota alle cronache per uno scandalo di cui è stata protagonista prima del matrimonio. Sin dal primo scambio di parole, però, le due donne sentono che qualcosa le lega: è lo spirito anticonformista e passionale che le anima entrambe. Quello spirito che ha consentito a Maddalena di emanciparsi dalla miseria in cui è nata e frequentare ora i salotti buoni di Roma, di ospitare in casa sua scrittori dell’importanza di Luigi Pirandello. Lo stesso spirito che ha spinto Adele, nella Roma degli anni Venti, ad aprire un negozio di moda insieme al marito, realizzando il suo sogno e diventando una stimata e affermata imprenditrice. Ben presto, infatti, grazie alla sua determinazione, le raffinate pellicce e gli accessori in pelle con il loro marchio diventano famosi anche all’estero, nonostante il conflitto mondiale. È solo l’inizio di un successo inarrestabile: l’amore per la produzione artigianale e per la tradizione, unito alla capacità visionaria, si trasmetterà dalla madre alle cinque incredibili figlie. Con loro e grazie al duraturo sodalizio con Karl Lagerfeld, il marchio diventerà una vera e propria icona del lusso internazionale. Tra le pagine di questo romanzo rivive la storia di un’amicizia così profonda da legare più generazioni, insieme a quella di una famiglia il cui nome è in grado di evocare eleganza e bellezza.

Un viaggio nel mondo della moda 
La storia di un’amicizia profonda e duratura 

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Cinzia Giorgio racconta la coinvolgente saga di una famiglia ricostruita con precisione attraverso i racconti di sua nonna Maria, alla quale il personaggio della caparbia e coraggiosa Matilde si ispira, e le testimonianze dirette di chi ha vissuto le vicende legate alla seconda guerra mondiale, narrate nel libro, sulla propria pelle.» 
la Repubblica 

«Una scrittrice che sa maneggiare molto bene la lingua e le parole.» 
Io Donna
Cinzia Giorgio
È dottore di ricerca in Culture e Letterature Comparate. Si è specializzata in Women’s Studies e in Storia Moderna, compiendo studi anche all’estero. Organizza salotti letterari, è direttore editoriale del periodico «Pink Magazine Italia» e insegna Storia delle Donne all’Uni.Spe.D. È autrice di saggi scientifici e romanzi. Con la Newton Compton ha pubblicato Storia erotica d’Italia, Storia pettegola d’Italia, È facile vivere bene a Roma se sai cosa fare e quattro romanzi: La collezionista di libri proibiti, La piccola libreria di Venezia, La piccola bottega di Parigi, I migliori anni e Cinque sorelle.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2021
ISBN9788822753649
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    Anteprima del libro

    Cinque sorelle - Cinzia Giorgio

    Parte prima

    Adele e Maddalena

    If Winter comes, can Spring be far behind?

    Percy Bysshe Shelley, Ode to the West Wind, 1819

    1

    Roma, 7 marzo 1933

    Casa Belladonna

    Alla soglia dei quarantasei anni, Maddalena Splendori era una donna ancora attraente, dal volto disteso, le labbra piene e i capelli corvini. A tradirla era solo lo sguardo, che di tanto in tanto si incupiva per una sfumatura inquieta e nostalgica.

    La luce del primo, timido sole di marzo non riusciva a rischiarare la camera dove Maddalena indugiava ancora tra candide lenzuola di lino. Il resto della casa era già in fermento, sentiva il tramestio dei domestici che facevano la spola tra la cucina e il salottino ovale. Suo marito, come al solito, si era alzato prima di lei, per prendere il caffè e leggere il giornale. Maddalena si mise prima a sedere sul letto, lasciando oscillare le lunghe gambe ancora snelle, poi si alzò, si infilò la négligé di seta e pizzo macramè color pesca, in pendant con la camicia da notte che aderiva al suo corpo come una seconda pelle e, ancora scalza, si avvicinò alla specchiera per pettinare i lunghi capelli ricci. Da anni ormai utilizzava l’infuso di tè nero per coprire quelli bianchi e ravvivare il suo colore scuro naturale. Era sempre andata fiera della sua chioma, fin dai tempi in cui la sfoggiava, lunghissima e ribelle, ad Anticoli, il paese dov’era nata.

    «Buongiorno, signora», la salutò Lisetta, una delle domestiche che dalla cucina stava portando a tavola il pane appena tostato. Maddalena fece un cenno con il capo per rispondere al saluto e proseguì svogliatamente lungo il corridoio, per raggiungere il marito nel salotto ovale.

    Posò la mano sulla maniglia e spinse con delicatezza l’anta. La penombra del corridoio fu subito violata dai raggi del sole che entravano prepotenti dalle alte finestre del salotto. D’istinto, Maddalena strinse gli occhi in due fessure e aspettò qualche secondo per abituarsi alla luce. Mosse qualche passo all’interno della stanza e si diresse verso il tavolino rotondo, dove Federico era solito leggere il giornale mentre faceva colazione. Non l’aveva sentita entrare, immerso com’era nel «Corriere della Sera». Borbottava tra sé, sembrava contrariato.

    «Buongiorno, caro», esclamò Maddalena, andandosi a sedere di fronte a lui.

    Federico abbassò immediatamente il quotidiano e le sorrise. «Amore mio, buongiorno a te. Perdonami, non ti ho sentito entrare, ero assorbito dalla lettura delle notizie che arrivano dall’estero e che mi preoccupano».

    Maddalena gli sorrise e si versò il caffè in una delle tazzine di porcellana. «Che si dice?».

    Federico s’incupì, piegò il giornale in due e lo fece scivolare sul tavolino per farle leggere il titolo d’apertura a tutta pagina.

    «Leggi un po’ qui», la esortò, picchiettando con il dito sulla carta.

    «La travolgente vittoria di Hitler segna l’avvento della nuova Germania», lesse Maddalena, tornando poi a guardare suo marito.

    «Alla fine l’ha spuntata», borbottò Federico. «Ci è riuscito, da non crederci. Pensavo che dopo gennaio, avendogli dato il contentino, ce lo saremmo tolti di torno, invece no, di male in peggio!».

    «Pensi che sia davvero così pericoloso?», domandò Maddalena più per cortesia che per vero interesse.

    «Mah, non lo so. Sai che io la penso come Galeazzo: per me è un imbecille, ma dobbiamo vedere cosa ne pensa il duce».

    «Il genero del duce spesso ha idee divergenti dal suocero», commentò lei, sorseggiando il suo caffè con estrema lentezza, per assaporarne l’aroma deciso. La cuoca napoletana sapeva il fatto suo.

    «Sì, ma Galeazzo rappresenta una visione moderna e illuminata della politica italiana», s’infervorò Federico.

    «Andrai a Montecitorio, oggi?», tagliò corto Maddalena, prima che lui cominciasse con il suo solito discorso sulla politica.

    «Come dici? Ah, sì sì, oggi abbiamo la seduta alle sedici e non posso proprio mancare…».

    «Caro, ricordati che stasera abbiamo a cena Luigi e padre Romei», disse Maddalena, alzandosi dal tavolino e andandosi a sedere sul divano damascato, in stile Luigi Filippo, che faceva parte, assieme alle due poltrone e alla chaise-longue, del salotto comprato l’anno prima da un antiquario al ghetto. Maddalena andava particolarmente fiera di quell’acquisto. Quando era seduta lì, i domestici sapevano di non doverla disturbare.

    Alle pareti della stanza, dall’insolita forma a mezzaluna, da cui derivava il nome di salotto ovale, c’era una ricca boiserie color crema che conteneva libri di ogni tipo, dai romanzi ai volumi pregiati, come la Divina Commedia, illustrata da Gustave Doré.

    «Ah, già, la cena con Luigi e Giulio… accidenti!», replicò Federico, alzandosi a sua volta.

    «Ti prego di essere puntuale, stavolta», lo ammonì lei, sospirando.

    «Maddalena, sai che per un parlamentare la puntualità è un consiglio, non un obbligo».

    «Niente ti è impossibile, mio caro», replicò lei, lasciando che il marito le prendesse la mano per portarsela alle labbra, prima di andarsi a preparare per uscire.

    Federico Belladonna amava follemente sua moglie, fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuta, dodici anni prima. Era arrivato a Roma dalla natia Napoli ormai già da un paio d’anni, quando Maddalena era comparsa come una visione dinnanzi ai suoi occhi. Lui, che fino a quel momento era stato uno scapolo impenitente, sempre circondato da amici, militanti del partito e donne eleganti, aveva lasciato alle spalle la sua vita scapestrata e aveva sposato Maddalena solo pochi mesi dopo averla incontrata. Un amore a prima vista che lo aveva lasciato quasi senza fiato. Poco importava il passato di lei. La famiglia, da Napoli, gli aveva più volte fatto notare quanto quell’unione fosse a malapena tollerabile per loro, membri dell’altissima borghesia partenopea. Il matrimonio per i Belladonna non era una questione d’amore. Ci si sposava per mettere al mondo dei figli e per creare sinergie tra le famiglie in vista. L’amore non era del tutto bandito, semplicemente non era previsto. Secondo la visione del padre di Federico, poteva accadere che marito e moglie si innamorassero, ma di solito l’amore era una faccenda che non riguardava i doveri coniugali, ragion per cui Federico poteva frequentare Maddalena, ma non farne la sua legittima consorte. Le mogli dei Belladonna dovevano avere dei requisiti ben precisi: primo fra tutti la verginità e la fedeltà, sola garante della legittimità della prole. Maddalena non era vergine e, cosa ancora più grave, aveva avuto una figlia da una relazione scandalosa. Ma nemmeno questo fu un argomento capace di dissuadere Federico, certo della propria scelta e per nulla interessato al fatto che la futura moglie avesse già una figlia. Per lui, più della presunta fedeltà preconiugale, contavano la dolcezza, la capacità di amministrare la casa, la bellezza. Incurante del parere dei genitori, di amici e parenti, alla fine l’aveva scelta e Maddalena non solo si era dimostrata una donna intelligente e la consorte perfetta per lui, ma aveva favorito la sua ascesa in politica, grazie ai suggerimenti dispensati. Era entrato in Parlamento qualche mese dopo il matrimonio, ed era diventato in pochi anni uno degli uomini fidati di Galeazzo Ciano, continuando ad alimentare l’amicizia con lui attraverso un fitto scambio epistolare, anche quando il conte Ciano si trovava a Shanghai insieme a Edda Mussolini.

    «Lisetta, una cortesia», esclamò Maddalena quando la cameriera entrò nel salotto ovale per sparecchiare. «Vai a svegliare Clelia, è ora che si alzi».

    «Sì, signora», rispose la domestica, chiudendo la porta dietro di sé.

    Clelia.

    Sul suo viso passò per un attimo un’ombra cupa. Era stato John a scegliere quel nome.

    Ogni volta che lo pronunciava, ogni volta che sentiva Federico chiamarla Clelia, avvertiva una piccola fitta che le trafiggeva il cuore, come una puntura di spillo mentre si ricama. La ferita a volte sanguinava, macchiando di impertinenti gocce rosse il candido lenzuolo dei ricordi. E faceva sempre male. Maddalena sapeva bene che quella ferita non era guaribile.

    Quando era piccola, Clelia aveva più volte sentito suo padre raccontarle la storia della pace tra etruschi e romani durante la quale, in segno di tregua, il re Porsenna aveva chiesto come ostaggio dieci donne. Tra loro c’era la bella Clelia, che era fuggita attraversando a nuoto il Tevere. I romani però l’avevano ricondotta dal re Porsenna, il quale aveva voluto sapere chi l’avesse aiutata. «Ho fatto tutto da sola», aveva risposto Clelia, fiera, e per la risolutezza e la forza d’animo era stata graziata, diventando da allora un simbolo di libertà.

    Sua figlia amava farsi ripetere quella storia e farsi dire dal padre che lei era coraggiosa come la Clelia romana. John gliela raccontava per farla addormentare, ma senza riuscirci, perché la curiosità di una bambina di cinque anni vinceva sulla stanchezza. Ora Clelia di anni ne aveva diciassette ed era una ragazza dal carattere esuberante, che poco aveva a che fare con la madre. Sembrava più la figlia di Federico, nonostante non avessero una sola goccia di sangue in comune.

    «Mamma».

    Maddalena sospirò, distogliendo i suoi pensieri dal passato per rivolgerli alla figlia che le sorrideva. Di John Clelia aveva ereditato gli occhi grigio scuro e le ciglia folte e lunghe. Era minuta e aggraziata, sembrava si potesse spezzare da un momento all’altro. Fino a quando non parlava rivelando la sua personalità prorompente.

    «Buongiorno, tesoro».

    «Stavo pensando alla mia festa di compleanno», esordì la ragazza sedendosi accanto alla madre. «So che diciotto non sono ventuno anni, ma è pur sempre una data importante, no?»

    «Tutte le date sono importanti, dipende dal significato che dai loro».

    «Sembri papà quando dici queste cose», sbuffò Clelia. «Parlerò con lui per la festa di compleanno che avevo in mente, tu te ne vai per sofismi».

    «Ma sentila!». Maddalena scoppiò a ridere. «Che hai in mente? Lascia stare tuo padre che è impegnato con la politica estera».

    «Con che?»

    «Lascia perdere. Dimmi che cos’avevi in mente».

    «Siccome manca poco al 22 marzo, pensavo di fare una piccola gita e non una festa», spiegò Clelia, illuminandosi.

    «Ovvero?»

    «Una gita fuori porta solo io, te e papà. Andiamo in un bel ristorante, facciamo una passeggiata e poi torniamo a Roma».

    «Cade di mercoledì quest’anno… tuo padre potrebbe essere impegnato alla Camera», obiettò Maddalena, poco convinta.

    «Per me farà un’eccezione», replicò in tono deciso.

    Maddalena avrebbe voluto rimproverarla, ma non avrebbe ottenuto nulla se non un’espressione imbronciata. La verità era che Federico viziava Clelia come se fosse davvero sangue del suo sangue. Maddalena era ben conscia di essere stata fortunata in questo e che non avrebbe potuto sperare in un legame più forte tra suo marito e sua figlia, ma a volte, per quanto strano potesse sembrare, si sentiva esclusa da quel rapporto. Non sapeva se a incidere su questa sensazione fosse il senso di colpa che nutriva nei confronti di John. Si chiudeva in sé stessa e ripensava a ciò che era successo. Vedere sua figlia ridere con Federico e chiamarlo papà a volte le procurava una fitta intensa al cuore, sentiva di aver privato John della felicità, e lei ora doveva in qualche modo pagare il dazio.

    «Mamma, ma mi ascolti?». La voce squillante di Clelia la distolse dai suoi pensieri.

    «Hai ragione, scusa, che cosa stavi dicendo?»

    «Ho detto che ho bisogno di una borsetta nuova».

    «Va bene».

    «Angela mi ha detto che in via Piave c’è un bel negozio, lo hanno aperto qualche mese fa. Ci andiamo?».

    Maddalena annuì. Aveva voglia anche lei di fare spese, le serviva una stola. E aveva anche capito a quale pelletteria si riferisse la migliore amica di sua figlia. Era da tempo che meditava di andarci e quella le sembrò un’ottima occasione.

    «Non ci andremo oggi, però», le disse.

    «Sì, lo so che viene padre Romei, stasera», sorrise Clelia. «Non vedo l’ora, ho un sacco di cose da chiedergli».

    «Bene, muoviamoci, allora», esclamò Maddalena, alzandosi dal divanetto. La giornata era appena cominciata e lei aveva tantissime cose da fare prima della cena di quella sera.

    Era uno spirito libero, pur rimanendo in maniera inconfutabile un uomo di grande fede. Come tutti i gesuiti aveva consacrato la sua vita a Gesù e allo studio. Insegnava, seguitissimo da studenti delle più svariate etnie, alla Pontificia Università Gregoriana, roccaforte del sapere teologico. Anche chi non apprezzava i suoi studi storici, talvolta ai limiti dell’ortodossia, non poteva fare a meno di ammirarne il coraggio e la vastissima cultura. Dopo aver pubblicato un saggio rivoluzionario sull’imperatore Costantino, padre Giulio Romei si era attirato le ire, ma anche le lodi, del clero e delle università di tutto il mondo. Grande scandalo aveva suscitato, in alcune frange del clero più ortodosso, l’articolo apparso su una rivista internazionale di storia su papa Alessandro VI Borgia. Per ogni libro che pubblicava, alcuni capitoli, se non addirittura tutto il saggio, facevano nascere un vespaio di polemiche. Ma Romei ci era abituato e, apprezzato dallo stesso pontefice che nutriva per lui grande stima, andava avanti imperterrito nei suoi studi.

    Alto e segaligno, ma con uno sguardo che, attraverso le spesse lenti, denotava un forte vigore giovanile, Giulio Romei a sessant’anni sentiva di avere ancora molto da dire ai suoi studenti. Archeologo per passione e gesuita per missione: così amava definirsi a chi gli chiedeva cosa amasse di più tra lo studio e la preghiera.

    Era arrivato per primo, come sempre, e aveva salutato Maddalena e Clelia con un caloroso abbraccio. Federico era tornato in tempo per la cena e non appariva particolarmente stanco, quanto, piuttosto, turbato. Lui e padre Romei avevano cominciato a discutere subito della situazione tedesca e Maddalena li aveva fatti accomodare in salotto facendo servire loro un Martini e lasciandoli parlare indisturbati. Di lì a qualche minuto era arrivato anche Luigi Pirandello. Lui e Federico erano amici di vecchia data. Lo scrittore siciliano era un habitué a casa dei Belladonna e stimava molto anche padre Romei. Spesso Maddalena li invitava insieme, la loro intesa intellettuale era un piacevole diversivo alla routine politica di Federico. Con loro due si poteva parlare di tutto, dall’arte alla letteratura, dalla politica estera al pettegolezzo domestico. Erano commensali ideali e ascoltarli riempiva Maddalena di piacere.

    Luigi arrivò vestito di tutto punto, con il papillon e i baffetti impomatati. Era piccolo di statura, minuto, ma i suoi occhi tradivano una vivacità straordinaria. Non aveva mai perso l’accento agrigentino e quando sorrideva il volto si illuminava. A Maddalena piaceva moltissimo e, come suo marito, anche lei sperava che, prima o poi, fosse insignito del premio Nobel per la letteratura. Nella loro biblioteca, i coniugi Belladonna avevano tutti i suoi romanzi. Maddalena aveva amato alla follia L’esclusa, che aveva letto e riletto fino a usurarne le pagine. Si era rivista nella protagonista, Marta Ajala che, seppur innocente, viene cacciata di casa dal marito che la crede adultera, per poi esservi riammessa dopo averlo davvero tradito. Entrambi i protagonisti pensano di possedere la verità, eppure nessuno dei due la possiede davvero. Le vicissitudini della protagonista si erano aggrappate con forza all’anima di Maddalena, ma invece di angosciarla le davano molto conforto.

    La cena era a base di pesce. La cuoca napoletana aveva preparato una zuppa, croquette di baccalà, alici marinate e melanzane a funghetto accompagnate da una purea di patate. Per finire, si era sbizzarrita con i dolci: crème caramel e il suo cavallo di battaglia, la torta caprese. Il profumo di mandorle e cioccolato della torta era una delizia per padre Romei. Quando c’era lui a cena, Maddalena gliela faceva sempre trovare.

    «Ma lo sai, cara Clelia, che la mia amata caprese nasce da un errore?».

    Clelia sembrò rianimarsi all’improvviso. Fino a quel momento non aveva quasi proferito parola, nonostante i suoi iniziali propositi di tempestare padre Romei con le sue solite domande. La presenza di Luigi Pirandello l’aveva messa in soggezione. Lo scrittore non aveva fatto altro che parlare di un tale Sigmund Freud, un dottore di Vienna che Clelia non aveva mai sentito nominare. Pirandello sosteneva di essere interessato alle dottrine di questo medico a causa della malattia della moglie. Antonietta era stata ricoverata in un ospedale psichiatrico nel 1919. L’ospite dei genitori ne elogiava le teorie, che non si limitavano solo all’ambito medico. Anche padre Romei sembrava apprezzare Freud. Nel settembre dell’anno precedente, il dottore aveva scritto una bella lettera allo scienziato Albert Einstein nella quale affermava l’impossibilità della fine delle guerre, in quanto l’aggressività, che è fondamento di ogni guerra, è troppo radicata nell’uomo. Non si era parlato d’altro e Clelia era morta di noia, anche se non lo aveva dato a vedere, per evitare che sua madre la rimproverasse. Ora che padre Romei le offriva un diversivo, gliene era davvero grata.

    «Che vuol dire che è nata da un errore?», gli chiese, sorridendo.

    «È qualcosa che ha a che fare con un capriccio di Maria Carolina d’Asburgo, la moglie di re Ferdinando IV di Borbone».

    «Ah, il re Nasone», si infervorò la ragazza.

    «Brava!», la lodò padre Romei. «Vedo che gli aneddoti che racconto ti restano impressi, mi fa piacere».

    «Padre Romei», intervenne Federico, gonfio di orgoglio, «mia figlia fa tesoro di tutto quello che lei le racconta».

    «Saggia ragazza, non potrebbe avere un consigliere migliore», commentò Luigi Pirandello. I due uomini si scambiarono un sorriso sincero.

    «Imparerà col tempo a diffidare di ciò che le viene detto, anche se le parole provengono da una bocca amica», replicò infine Romei, rivolgendosi a Federico. «Ma ora il suo compito è ascoltare tutto quello che può ascoltare e farne tesoro per poi formarsi opinioni proprie».

    «Ma io ho già delle mie opinioni!», protestò Clelia, rossa in viso.

    «Ne sono certo, mia cara, ma ne avrai di migliori, tra qualche anno».

    La ragazza non aveva voglia di ribattere, era troppo curiosa di conoscere la storia della torta caprese. Mise da parte l’orgoglio senza pensarci troppo.

    «Come ben sai, Ferdinando e Carolina si erano sposati per la Ragione di Stato, quando la principessa aveva solo sedici anni».

    «Mi ricordo», lo interruppe Clelia, con gli occhi che le brillavano. «Non fu lei a dire che il marito era ripugnante?».

    «Be’, posso capirla», sorrise Maddalena, posando una mano sulla spalla della figlia. Si era alzata per dare istruzioni a Lisetta di portare il limoncello fatto in casa dalla cuoca. «Lei era una principessa di rango, bella, elegante e di cultura. Ferdinando era cresciuto con gli scugnizzi».

    «Mamma, come sai queste cose?»

    «Leggo anche io, amore mio».

    «Luigi, non sono meravigliose queste due donne?», chiese padre Romei.

    «Abbiamo avuto un buon maestro», esclamò Maddalena. «Deve sapere, Luigi, che padre Romei è una fonte inesauribile di aneddoti sui Borbone e non solo loro. La nostra cuoca napoletana è arrivata a dirmi che sa più cose di lei su Napoli».

    «E immagino che per la cuoca sia una sorta di oltraggio», scherzò Pirandello.

    «Eccome se lo è», s’intromise Federico. «Concetta è così fiera della sua città. Si fa leggere dalla nostra Lisetta tutti i libri che può su Napoli. Raramente ho visto una tale devozione».

    «Una città come Napoli suscita un amore violento», commentò Luigi.

    «O la si ama o la si odia, dicono», ribatté Maddalena, sovrappensiero.

    «Padre Romei, la torta!», esclamò Clelia.

    «Guardi

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