Ti vorrei ma non posso
Di K. A. Linde
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Avoiding Series
Smettere di leggerlo sarà impossibile
Chyna ha sempre avuto tutto su un piatto d’argento. Non le è mai mancato nulla, a parte l’amore incondizionato dei suoi genitori. È un sentimento per lei sconosciuto, e assistere al rapporto di amore-odio dei suoi genitori non è mai stato facile.
Così, per quanto riguarda la sua vita privata, si è assicurata di non trovarsi mai a rivivere quello stesso scenario. Con il suo sguardo irresistibile, è facile per Chyna essere il tipo di ragazza che spezza cuori e si dilegua. E le piace. Preferisce essere single per tutta la vita che essere infelice come i suoi genitori. Così quando un uomo la soccorre dopo che qualcuno l’ha drogata in un locale, non si aspetta assolutamente di iniziare una storia con lui.
Ma un incontro casuale cambia le carte in tavola. A Chyna viene offerta un’opportunità irrinunciabile che potrebbe far decollare la sua carriera, e sarà costretta a prendere una decisione che potrebbe rovinare tutto.
K.A. Linde
Cresciuta in una base militare, ha vissuto in varie località degli Stati Uniti e dell’Australia. Mentre studiava scienze politiche e filosofia all’Università della Georgia, ha fondato anche il Georgia Dance Team, compagnia di danza che dirige ancora oggi. È l’autrice della saga di grande successo Avoiding Series, di cui Senza compromessi è il primo volume. Attualmente vive ad Athens, in Georgia, con il fidanzato e due cani.
K. A. Linde
K.A. Linde, a USA Today bestselling author, has written the Avoiding series and the Record series as well as the new adult novels Following Me and Take Me for Granted. She grew up as a military brat traveling the United States and Australia. While studying political science and philosophy at the University of Georgia, she founded the Georgia Dance Team, which she still coaches. Post-graduation, she served as the campus campaign director for the 2012 presidential campaign at the University of North Carolina at Chapel Hill. An avid traveler, reader, and bargain hunter, K.A. lives in Athens, Georgia, with her fiancé and two puppies, Riker and Lucy.
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Anteprima del libro
Ti vorrei ma non posso - K. A. Linde
1311
Titolo originale: Avoiding Intimacy
Copyright © 2013 K.A. Linde
Traduzione dall’inglese di Mariacristina Cesa
Prima edizione ebook: agosto 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9809-8
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
K.A. Linde
Ti vorrei ma non posso
Avoiding Series 2.5
A Joel,
scrivo e danzo.
Capitolo 1
Presente
Chyna era distesa sulla sdraio a crogiolarsi sotto gli ultimi raggi del caldo sole italiano. La sua pelle olivastra era perfetta nel suo habitat naturale, e si era ulteriormente scurita nel corso dell’ultimo mese e mezzo. Milano l’aveva trattata bene e lei l’adorava. Era cresciuta a New York – tra Settimana della moda, Met, Upper East Side, Central Park – eppure doveva ammettere che, per quanto l’amasse, Milano era un’altra cosa.
Il suo tour italiano era agli sgoccioli, presto la casa di moda per la quale aveva lavorato come indossatrice per tutta l’estate non avrebbe più avuto bisogno di lei. Era riluttante a lasciare l’attico che le avevano messo a disposizione, con vista su via Monte Napoleone, la strada più rinomata della città per lo shopping. Le sarebbe mancata la spiaggia privata di Genova da dove partiva per delle gite lungo la costa con Giovanna, Ravenna e Brigitte. Ma, più di tutto, e la cosa la sorprendeva non poco, le sarebbe mancato quel lavoro.
Ce l’aveva nel sangue. La maggior parte della gente era convinta che ciò che serve per essere una valida modella siano delle gambe lunghe e un bel viso, ma in realtà c’è molto di più. È una vera e propria forma d’arte che lei ormai padroneggiava. Chissà, forse tutti quegli anni a sorbirsi i servizi fotografici di sua madre sul lungo termine l’avevano ripagata.
«Chyna, il sole è quasi tramontato», piagnucolò Brigitte.
Be’, forse lei non le sarebbe mancata poi tanto.
«Lo so, Bridge». Utilizzava quel nomignolo solo per infastidirla. Era così smorfiosa a volte.
La ragazza storse il naso a quella risposta e si portò i capelli biondo miele dietro le spalle. «Va bene, ti farai da sola i capelli e il trucco per il Glam Ball. Marco non starà lì ad aspettare».
Chyna sospirò mentre Brigitte si allontanava. Marco era un’altra delle ragioni per cui sarebbe rimasta in Italia, nonché il motivo principale per andar via. Marco era… tutto. Come titolare della Camera nazionale della moda italiana, l’organizzazione non profit che curava la Settimana della moda di Milano, praticamente possedeva la città, il che significava possedere anche lei.
Stendendo le sue lunghe gambe snelle, Chyna prese il Dirty Martini e bevve quello che ne era rimasto. Ripescò dal bicchiere lo stecchino con le olive che portò con sé verso l’uscita. Quella sarebbe stata una serata interessante, per usare un eufemismo.
Il Glam Ball era un evento annuale per la clientela milanese dell’alta moda, e Marco aveva svolto il ruolo dell’ospite negli ultimi quattro anni. In occasione di quella fortunata quinta edizione, si era davvero superato, com’era nel suo stile. Chyna si era imbattuta per caso nel conto del solo champagne francese e si era sentita a disagio. Era una cifra a dir poco imbarazzante.
Il clou di quello splendido evento doveva però essere la perfezione assoluta. Marco aveva bisogno di qualcosa di più e di meglio di quanto non avesse mai avuto prima. E non aveva mai avuto Chyna, prima di allora.
Quando aveva scoperto che come pezzo forte del ballo si sarebbe servito proprio di lei, un’americana, a malapena era riuscita a contenere l’entusiasmo. Non aveva mai desiderato di meglio nella vita. Marco l’aveva scelta a occhi chiusi nell’intero gruppo di modelle, e le era servito tutto il suo autocontrollo per non scoppiare in lacrime proprio davanti a lui. Ma quando era rientrata nel suo attico, non era riuscita a trattenersi. Dopo sole due settimane in cui aveva posato per lui, Marco l’aveva scelta. Sembrava quasi troppo bello per essere vero. Quasi.
Dopo poco, lei e Marco avevano iniziato delle sedute private e dei servizi fotografici. La quantità di tempo che aveva dedicato alla sua attività di modella nel mese successivo avrebbe reso orgogliosa sua madre, se fosse stata il tipo da provare quei sentimenti. Chyna non si curava dell’invidia delle altre. Gli affari non si basano sull’amicizia, dopotutto, ma sulla capacità di cogliere le opportunità che si presentano.
Aveva quindi trascorso ore e ore chiusa in una stanza con Marco, la sua macchina fotografica e il suo brano per pianoforte preferito. Si era esercitata a mettere il broncio nel modo giusto, a mandare cinquecento diversi messaggi con il solo sguardo, ad atteggiare le labbra, a sistemare le mani alla perfezione, a spettinare e gonfiare i lunghi capelli neri. Marco sapeva esattamente quello che voleva e come tirarglielo fuori attraverso l’obiettivo.
Avrebbe dovuto aspettarsi che le cose prendessero quella piega. Avrebbe dovuto capire come sarebbe andata a finire.
Chyna scosse il capo mentre entrava nella cabina armadio e si toglieva il costume da bagno. Non importava granché cosa avrebbe indossato per andare al ballo. Una volta sul posto, le modelle si sarebbero cambiate per indossare i vestiti di altissima sartoria creati appositamente per quell’evento. Una limousine sarebbe arrivata a breve per portarle rapidamente alla Scala, il rinomato teatro dell’opera nel cuore di Milano. Chyna non voleva neanche sapere quanto aveva impiegato per ottenere come location della serata quello storico edificio.
«Chyna», tubò Giovanna nel suo marcato accento italiano, «è arrivata la limousine».
Ecco una cosa che non le sarebbe mancata di Milano. In vita sua non aveva mai abitato con un’altra ragazza, tantomeno con tre. Il solo fatto che si presentassero in camera sua in qualsiasi momento – come allora, quando era completamente nuda – la mandava in bestia. Ma non avevano il comune senso del pudore? Da quello che aveva potuto constatare, no, non l’avevano. Evidentemente andarsene in giro per casa svestite era un’usanza diffusa tra le modelle, soprattutto quelle europee. Non che avesse niente in contrario in linea di principio, ma preferiva scegliere il momento in cui farsi vedere nuda.
«Arrivo», rispose. Prese un paio di jeans attillati dark wash, una semplice maglietta bianca con lo scollo a
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e un tacco dieci. Avrebbe fatto in fretta a prepararsi.
Giovanna era l’esatto contrario di Chyna. Bionda, occhi azzurri, carnagione chiara, la quintessenza della dolcezza e dell’innocenza. Tuttavia, ogni volta che si vestiva, riusciva ad assumere l’aspetto di una vera e propria battona. Indossava una minigonna plissettata che a malapena le arrivava al sedere, un bustino di pizzo nero e stivali tacco quindici. Con un dito sorreggeva una blusa bianca, ma Chyna sapeva bene che non si sarebbe mai coperta tanto.
Anche Brigitte era andata sul semplice, con una canottiera bianca infilata in un paio di pantaloncini a vita alta e sandali Hermès. Girava voce che sarebbe stata la testimonial della loro prossima collezione.
Ravenna, invece, appariva aggressiva qualsiasi cosa indossasse. Per quanto a Chyna piacesse, era una stronza patentata, tecnicamente troppo presuntuosa per essere una delle ragazze di Marco. Due anni prima, però, era stata una delle favorite e in fotografia era spettacolare. Con i selvaggi capelli rosso scuro, gli occhi profondi e magnetici e le curve esagerate, risultava difficile resisterle.
Il quartetto lasciò l’attico e venne portato via nella lunga limousine. Quando fu nei pressi della Scala, Chyna si rese conto di quanto la spaventasse la serata che stava per iniziare. Aveva voluto disperatamente essere il pezzo forte dello spettacolo e, adesso che si trovava lì, ci stava ripensando. Non era proprio nervosa, ma tutto era successo così in fretta che aveva completamente perso il controllo degli eventi. Non era sicura di come poter tornare indietro, se non con un’azione drastica, ed era un’opzione che non la entusiasmava granché.
Il tragitto fu più breve di quanto avrebbe voluto e, ben presto, si ritrovarono di fronte a quella magnificente struttura. Chyna c’era già stata una volta da bambina. I suoi genitori erano ancora insieme allora, e il balletto era stato meraviglioso. Appena tornata a casa si era cimentata nella danza, ma le era venuta facilmente a noia quando si era accorta che non si diventava prima ballerina da un giorno all’altro. Osservando la splendida struttura simile a un castello, quei ricordi le fecero rimpiangere di non aver perseverato.
Seguì le altre ragazze fuori dalla limousine e, un attimo dopo, Giselle, l’assistente personale di Marco, si parò loro davanti. Era tutta gambe con dei tacchi esagerati e un vestito cortissimo che metteva in risalto le sue qualità migliori. Dei diamanti le brillavano ovunque: alcuni fili intorno al collo, due enormi alle orecchie, degli anelli alle dita e altri sulla coroncina che le stava delicatamente posata sui capelli castano scuro. Sembrava che ce ne fossero persino cuciti nel corpetto del vestito. La regola della moderazione, di certo, non si applicava a lei.
«Venite, venite con me», disse, senza fermarsi per vedere se la seguissero.
Le ragazze tennero il passo, seguendola attraverso l’enorme porta d’ingresso dell’edificio. Quando trovarono gli spogliatoi, c’era già un brulicare di attività.
Ventiquattro modelle avrebbero indossato un vasto assortimento di abiti preparati per la sfilata. Alcune giravano dentro fluttuanti gonne d’alta moda. Altre indossavano biancheria glitterata, creata con gusto per la serata. Altre ancora venivano aiutate a indossare body con stampe di animali e costumi da bagno quasi inesistenti. Artisti del make-up le truccavano per abbinare, far risaltare o mettere in evidenza i capi. Dei phon giravano per tutta la stanza mentre i parrucchieri spazzolavano e laccavano boccoli per fissarli. Se Chyna non fosse stata avvezza a tutto quello, le sarebbe sembrato un caos.
«Brigitte, Ravenna, Giovanna, ai capelli e al trucco», ordinò Giselle. «Chyna, Marco vorrebbe vederti nel suo ufficio».
Le ragazze già la spiavano con sospetto, ma Chyna le ignorò e seguì Giselle. Non era infrequente che venisse chiamata a un colloquio privato con Marco, e lo sapevano. Eppure, dopo tre settimane di quell’attenzione esclusiva, ogni volta ancora le si contraeva lo stomaco. Gli uomini potenti difficilmente la turbavano – era cresciuta con uno di loro, dopotutto – ma Marco in qualche modo era diverso. Aveva il potere di darle tutto ciò che voleva ma, cosa ancora più importante, anche di toglierle tutto quello che aveva.
«Marco ha fatto portare qui l’abito», le spiegò Giselle non appena furono abbastanza lontane da non essere sentite.
«Meraviglioso», disse lei, asciutta.
«Non sei contenta?», sbottò Giselle.
Chyna avrebbe fatto meglio a pensarci bene prima di comportarsi così in sua presenza. Giselle avrebbe ucciso per avere la possibilità di fare la modella per Marco, ma semplicemente non le era toccato.
«Altroché», rispose, evitando qualsiasi intonazione nella voce.
Giselle fece comunque una smorfia e Chyna avrebbe voluto dirle quanto quel gesto la rendesse poco attraente. Se fosse stata Alexa, ne sarebbe stata capace.
«Merda», imprecò tra sé e sé.
«Sì?», chiese Giselle, alzando un sopracciglio a quella parolaccia.
«Niente».
Era una settimana che non chiamava Alexa. Che razza di migliore amica. Era stata così concentrata a fare la modella, presa da Milano e da Marco, che le era passato di mente. Doveva ricordarsi di chiamarla al più presto. Qual era la differenza di fuso orario con Atlanta? Si sfregò il naso. Era un disastro per quel genere di cose. Comunque, in qualche modo avrebbe fatto.
«Ehi, ho tempo di fare una telefonata?»
«Cosa?», domandò Giselle.
«Ho tempo?»
«Ovvio che no. Sei già in ritardo».
Chyna sospirò. Un’altra volta, allora. Si sentì cattiva, ma scacciò quel pensiero. L’avrebbe chiamata appena possibile. Alexa non si aspettava niente di diverso. E poi, probabilmente, era nel suo mondo incantato con il suo Ramsey. Sperava solo che stesse alla larga dalla perfida sorella di lui e da Jack; be’, quello era scontato. Comunque, per lo meno Chyna capiva quella folle ossessione… in un certo senso.
«Eccoci, cara», disse Giselle, indicandole una porta con su scritto
REGISTA
.
«Grazie», rispose riconoscente, in italiano.
Il sorriso di Giselle vacillò alla sua pronuncia sincopata, ma gliene diede atto, quanto meno, prima di andar via. «Prego».
Chyna si voltò verso la porta di legno grezzo con la solida targa dorata e bussò.
«Avanti», disse Marco con un magnifico accento italiano.
La sua voce veniva da un altro mondo. A quel suono, Chyna sentì il corpo riscaldarsi.
Aprì la porta dell’ufficio e lo trovò seduto in mezzo a lustrini e stoffe.
Gli occhi le balenarono verso la scrivania di legno massiccio e accennò un sorriso. Un lungo porta abiti nero con un intarsio dorato in cima era appeso alla parete. Avrebbe riconosciuto tra mille le creazioni di Marco anche se, da lontano, non fosse riuscita a leggerne il nome luccicante.
Gli occhi tornarono infine sull’uomo dietro alla scrivania. La stava osservando con quei suoi profondi occhi color cioccolato, come un predatore che si delizia a guardare la sua preda. Si alzò in piedi con fare quasi regale, quando lei entrò. La mascella squadrata, le spalle larghe e la vita stretta erano la perfezione. Avrebbe potuto fare l’indossatore, ma aveva altrettanto talento creativo, per gli affari e dietro la macchina fotografica. Si era fatto la barba, eliminando l’onnipresente ombra scura delle cinque del pomeriggio, e i capelli castani erano tirati indietro in modo da non ricadergli sugli occhi, com’era abituata a vederli. Quando era arrivata li portava più corti, ma ora era da tempo che non li tagliava. Tuttavia, Chyna pensò che più lunghi gli donassero.
«Ecco la mia stella», disse Marco.
Aveva iniziato a chiamarla così dopo il primo servizio fotografico in notturna, quando l’aveva inquadrata davanti a una grande finestra aperta nell’appartamento di lui. Le aveva detto che offuscava le stelle sullo sfondo e che, per quanto lo riguardava, era lei la stella più brillante. Da allora l’aveva chiamata in quel modo così tante volte che era diventato il suo nomignolo.
«Marco», rispose lei brusca, chiudendosi la porta alle spalle.
Per quanto fosse combattuta quando gli stava lontana, in sua presenza, invece, lui diventava come un profumo che dava alla testa. L’aroma più dolce del mondo.
«Sei in ritardo», disse austero, ma con un luccichio negli occhi.
«Di poco», ribatté, andandogli incontro mentre lui restava imponente dietro la scrivania.
Oddio, quella scrivania.
«Non sei ancora passata al trucco e ai capelli e odori di crema solare», la rimbrottò.
«Riesci a sentire il mio odore da lì?», chiese, avvicinandosi con passi felpati.
«Non credere che io non sappia ogni cosa».
«Non l’ho mai pensato», mormorò. Si concentrò sulle lezioni che le aveva dato su come muoversi in passerella: un piede davanti all’altro, le mani rilassate, le movenze del corpo naturali, il passo disteso, gli occhi sorridenti.
«Quello», disse lui bruscamente, indicando il suo secondo passo con il piede sinistro. «È quello che affretti ogni volta».
«Dopo quattro settimane di attenti esami, pensi che non sappia quale sia il passo su cui tentenno?», sbottò istintivamente Chyna. Si morse il labbro inferiore, mentre lo sguardo di Marco si induriva in maniera evidente.
«E questo cosa sarebbe?», le chiese tagliente.
«Niente, non farci caso», si affrettò a rispondere, rendendosi conto di aver fatto una cazzata.
Era sempre stata arrogante con tutti e non era abituata ad avere un capo, soprattutto uno come Marco.
«Metti il culo là sopra», le ordinò, indicandole la scrivania.
Chyna cercò di non sorridere. Non avrebbe ottenuto altro che farlo arrabbiare di più. Dio, quanto le piaceva fargli perdere le staffe. Passò la mano su quel raffinato pezzo di artigianato, chiedendosi quanto fosse antico e se avesse potuto acquistarne uno per il suo attico. Frederick sarebbe impazzito a vederlo.
«Prego, prenditela pure comoda», ringhiò Marco.
Mentre Chyna girava lentamente intorno alla scrivania, lui si allungò ad afferrarla per un braccio, facendola barcollare verso di sé. Deglutì rumorosamente. Quella era la sua parte preferita, quando prendeva il controllo.
«Mi hai risposto male?», le chiese in un orecchio, mordendole il lobo.
Chyna si sciolse. Avrebbe dato qualunque cosa per un uomo dominatore. Era proprio il suo tipo ideale.
«Sì», gli sussurrò contro il petto. Adorava come lui svettasse su di lei anche quando indossava i tacchi.
«È quello che pensavo. Non imparerai mai. L’ho capito subito che eri così», disse afferrandola delicatamente per i capelli. «Ti piace?».
Aveva qualche difficoltà a ricordare cosa avrebbe dovuto dire quando il suo corpo era premuto contro quello di lui. «Sì».
«Ti piace farmi infuriare?», chiese, tirandole più forte i capelli.
«Oh, no! No, Marco, non era quello che intendevo», quasi gemette. Era così maledettamente sexy.
«Chinati sulla scrivania», le disse.
«Marco», mormorò scuotendo il capo. «Non c’è tempo».
«Chinati su quella cazzo di scrivania», ripeté lentamente.
«Il ballo…».
«Vuoi che ti costringa?».
Sempre!
Chyna non riuscì a reprimere un sorrisetto, che lo fece scattare come ogni volta.