Pontescuro
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Anteprima del libro
Pontescuro - Luca Ragagnin
Tavola dei Contenuti (TOC)
uno
[ i nomi chiusi ]
due
[ la nebbia intenerita ]
tre
[ il ponte che collega due nulla ]
quattro
[ tutto non si può governare ]
cinque
[ le barche severe ]
sei
[ i libri mastri di Cosimo Casadio ]
sette
[ il primo figlio marcia ]
otto
[ il secondo figlio fugge ]
nove
[ il terzo figlio disegna ]
dieci
[ Dafne Casadio, la quarta figlia, muore ]
undici
[ don Antonio appeso a un gancio ]
dodici
[ il prete nuovo gira la chiave della dimenticanza ]
tredici
[ la nebbia osserva la fine ]
quattordici
[ la nebbia fa amicizia con la ghiandaia ]
quindici
[ la ghiandaia misura le conseguenze ]
sedici
[ il fiume racconta l’arrivo di Ciaccio ]
diciassette
[ Làinfondo elemosina il vino e trova un bambino ]
diciotto
[ sfamare una bocca nuova ]
diciannove
[ l’apprendistato di Ciaccio e Dafne ]
venti
[ lo scemo del villaggio e le striscioline di stoffa ]
ventuno
[ don Andreino, il prete vecchio, Nella, la serva, e i loro appetiti ]
ventidue
[ Zuntura, Ciaccio e gli attrezzi della vita ]
ventitré
[ la ghiandaia sa le cose dall’alto ]
ventiquattro
[ cosa c’è nella carne ]
venticinque
[ la ghiandaia e le vittime di Dafne ]
ventisei
[ il ponte delle discendenze segrete ]
ventisette
[ cosa è buono e cosa è arrabbiato ]
ventotto
[ una storia di avi ]
ventinove
[ Sergio scoperchia il trucco dei morti ]
trenta
[ la nebbia, la ghiandaia, il ponte, il fiume, la blatta: un oratorio di compassione ]
trentuno
[ un consesso di malati ]
trentadue
[ macchie nascoste e girotondi ]
trentatré
[ una quiete anomala ]
trentaquattro
[ le immagini di cera ]
trentacinque
[ l’ispettore Eugenio Romanelli sposta il baricentro ]
trentasei
[ dietro il portone del tempio ]
trentasette
[ dall’altra parte della collina ]
trentotto
[ tre segnaletiche per il buio ]
trentanove
[ scambiarsi un segno di sangue ]
quaranta
[ la processione ]
quarantuno
[ la prigione a credito ]
quarantadue
[ la colonia salvatrice ]
quarantatré
[ la miseria non è pulita ]
quarantaquattro
[ addormentare i testimoni ]
quarantacinque
[ un puntino nella nebbia ]
quarantasei
[ Ciaccio in cammino ]
quarantasette
[ oltre Pontescuro ]
scafiblù
( 7 )
© 2019 Miraggi edizioni
via Mazzini 46 – 10123 Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
in copertina: disegni di Enrico Remmert
Finito di stampare a Chivasso nel mese di gennaio 2019
da A4 Servizi Grafici snc per conto di Miraggi edizioni
su Carta da Edizioni Avorio Book Cream 80 gr
e Carta Fedrigoni Woodstok Materica Acqua 180 gr
Prima edizione digitale: gennaio 2019
isbn
978-88-3386-060-2
Prima edizione cartacea: gennaio 2019
isbn
978-88-3386-041-1
Vivevamo in tempi che erano davvero il racconto di un idiota.
Pieno di frastuono e delitti.
Zbigniew Herbert
dello stesso autore
Musica per Orsi e Teiere
Capitomboli
Imperdibili Perdenti
Agenzia Pertica
uno
[ i nomi chiusi ]
Si chiamavano Giovanni, Tonio, Puccio, Giorgione. Si chiamavano Luigi, Mario, Bandiera, che credeva gli avessero dato un nome da femmina e cercava vendetta. Si chiamavano Guglielmetto, Rico, Luciano. E c’era la grassa, sensuale, infelice Nella. Lei era convinta di aver imparato l’amore, ma non era vero. Si chiamavano Michelino, Franchino, Enrico. E c’erano Paolo di Ca’ Bassa e Paolo di Ca’ Alta, non si potevano soffrire. Poi c’era uno che viveva ancora più in alto di Paolo di Ca’ Alta, si chiamava Cosimo e aveva tre figli maschi e una femmina. La femmina si chiamava Dafne, che significa pianta di alloro, o di lauro. Si chiamavano Gené, che non sapeva cosa sono i pensieri, e si chiamavano Emilio, detto il Zuntura, l’aggiustatutto, che tutto sapeva aggiustare tranne il suo cuore. Si chiamavano Làinfondo, perché il nome non gliel’avevano mai dato e allora indicava dove viveva, e si chiamavano Ciaccio, come il verso degli uccelli, don Andreino e don Antonio perché erano dei preti, e c’era Furàza, la vongola, una cosa che non si può aprire senza il prezzo di ucciderla. C’era il paese e altri che vivevano nel paese, non molti, qualche bambino, un po’ di vecchie, gli animali. Il paese si chiamava Pontescuro. C’era una volta Pontescuro. E tutti, dal primo all’ultimo, anche quelli che non avevano un soprannome, erano simili al Furàza. Si chiamavano in tanti modi, erano tutti chiusi, e ad aprirli morivano. Si chiamavano cielo cieco e terra impregnata e stanca, si chiamavano ponti maledetti e carcasse di barche. Si chiamavano rami spogli, ciottoli, paglia, fango rappreso, stallatico, gelo d’inverno e inferno d’estate. Si chiamavano Eugenio Romanelli, un foresto che non conosceva le regole di Pontescuro. Uno che arrivò un giorno, osservò attentamente e aprì il paese. Era il 1922. Era tanto, tantissimo tempo fa. C’era la nebbia a nascondere tutto.
due
[ la nebbia intenerita ]
Avete presente la nebbia? Dicono che faccia del male alle persone. Sono quelle dicerie che nascono un giorno, non si sa come, e poi quel giorno si perde nel tempo. Nella notte del tempo, anzi, nella nebbia del tempo. E così le origini di un’affermazione così forte, così perentoria, svaniscono, come dire, nel tempo. Rimane l’accusa a navigare sopra le generazioni che trascorrono: i bambini diventano ragazzi, poi uomini, poi vecchi, poi, niente, se ne vanno, e si portano via la convinzione di quell’accusa. Non sto esagerando, sapete? La nebbia, da queste parti è sempre stata molto importante, una di quelle cose impalpabili che però determina, per il solo fatto di osservarla da un punto o da un altro, o di starci dentro, chi sei, perché porti il tuo nome e com’è fatta la casa nella quale dormi, e su quale letto, se è un letto. Non è niente di magico, non temete, è semplicemente la conformazione di questa terra con le sue case sopra, come denti isolati o accavallati o nascosti nella bocca della pianura. Ma non voglio ancora raccontarvi com’è fatto Pontescuro, che poi è il nome del paese, il nome della bocca in cui si è masticata questa storia. Voglio parlarvi ancora un po’ di me. Magari il primo a farsi scappare una frase del genere, La Nebbia Fa Male Alle Persone, intendeva dire una cosa tutta diversa. Forse voleva semplicemente scherzare. Oppure stava tornando a casa con un amico dopo aver fatto prolungare l’orario di chiusura all’oste, e allora erano lì che dal borgo, i denti accavallati, si trascinavano verso le loro catapecchie, due denti isolati, e c’ero anche io, ma poco, io di notte vado a dormire, figuriamoci, e uno dei due ha biascicato all’altro che non era il vino cattivo a mettere i pensieri di morte, era la nebbia. O magari la frase dell’accusa è uscita da una nonna, spazientita dalla nipote, che invece di starsene sotto le coperte continuava a scalciarle e precipitarsi alla finestra, e guardare fuori, nel primo buio del paese, una cosa tutta sua, un particolare, una magia, un ramo o un animale notturno, o una luce, un po’ più lontano, e la nonna deve aver pensato che era la nebbia a incantare la bambina, la nebbia che scivolava via veloce, come le coperte sul suo letto.
A me gli uomini e le donne, che siano adulti, che siano intrappolati nell’infanzia, fanno tenerezza.
Le cercano proprio tutte, le ragioni per stare male, e quella cosa la credono l’amor proprio, la chiamano Morte per Te, Vita per Me, e invece non si accorgono che basta respirare per avvicinarsi alla morte.
Dicono che la nebbia entra nei polmoni e li guasta, dicono che la nebbia fa accartocciare