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I racconti di Widdershins
I racconti di Widdershins
I racconti di Widdershins
E-book323 pagine4 ore

I racconti di Widdershins

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Info su questo ebook

Tutte le storie brevi della serie Whyborne & Griffin in un’unica, comoda collezione!

Include:
Changeling – L’imprenditore ferroviario Niles Whyborne fatica a trovare una connessione con il suo strano figlio minore.
Eidolon – Griffin prova a organizzare un perfetto San Valentino con Whyborne, ma un nuovo caso mette a rischio i suoi piani.
Undertow (La Risacca) – Può una timida segretaria sconfiggere una setta assassina per salvare la donna che ama?

… e tante altre!
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2023
ISBN9791220706759
I racconti di Widdershins
Autore

Jordan L. Hawk

Jordan L. Hawk is a trans author from North Carolina. Childhood tales of mountain ghosts and mysterious creatures gave him a life-long love of things that go bump in the night. When he isn’t writing, he brews his own beer and tries to keep the cats from destroying the house. His best-selling Whyborne & Griffin series (beginning with Widdershins) can be found in print, ebook, and audiobook.

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    Anteprima del libro

    I racconti di Widdershins - Jordan L. Hawk

    I racconti di Widdershins

    I RACCONTI DI WIDDERSHINS

    JORDAN L. HAWK

    K. J. CHARLES

    Traduzione di

    MARIANGELA NOTO

    TRISKELL EDIZIONI

    INDICE

    Introduzione

    Changeling

    Rescued

    Home

    Volume 1

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Volume 2

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Volume 3

    Introduzione

    1. Racconto di Robert Caldwell

    2. Racconto di Percival Endicott Whyborne

    3. Racconto di Robert Caldwell

    4. Racconto di Percival Endicott Whyborne

    5. Racconto di Robert Caldwell

    6. Racconto di Percival Endicott Whyborne

    7. Racconto di Robert Caldwell

    Harmony

    Volume 4

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Note finali

    Biografie

    Dello stesso autore

    Ringraziamenti Triskell

    Note

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.

    Tutti i diritti riservati

    I Racconti Di Widdershins - Copyright © 2023 Triskell Edizioni

    Copyright © 2022 Tales from Widdershins di Jordan L. Hawk e K.J. Charles

    Immagine di copertina: Animals Zoo Stock Adobe

    Progetto grafico: Barbara Cinelli

    Prodotto in Italia

    Prima edizione – ottobre 2023

    Edizione Ebook 979-12-207-0675-9

    Edizione cartacea: 979-12-207-0676-6

    INTRODUZIONE

    Questo volume raccoglie tutte le storie brevi e racconti di Whyborne & Griffin. Le ho messe in ordine cronologico; ecco come si collocano nella serie:

    Changeling si svolge ventisette anni prima dell’inizio di Widdershins.

    Rescued si svolge poco prima e durante gli eventi di Widdershins.

    Home segue Widdershins subito dopo.

    Eidolon si svolge tra Widdershins e Threshold.

    Carousel si svolge nel corso degli eventi di Stormhaven e Necropoli.

    Remnant (scritto insieme a KJ Charles) avviene durante gli eventi di Necropoli.

    Harmony si svolge dopo Stirpe.

    Undertow (La Risacca) avviene durante gli eventi di Fallow.

    CHANGELING

    IL FIGLIO MINORE

    Sua moglie aveva smesso di gridare a mezzanotte.

    Niles Foster Whyborne se ne stava in piedi nel corridoio del primo piano di casa sua, intento a fissare la notte sferzata dalla pioggia fuori dalla finestra. Dopo aver trascorso ore ad ascoltare i singulti e le urla di agonia di Heliabel, l’improvviso silenzio scaturitone suscitò in lui tristezza e una qualche forma di sollievo.

    Se non altro, la sua sofferenza era terminata.

    Cos’era successo? Tutto era sembrato nella norma quel mattino, quando si erano salutati. La terza gravidanza aveva dato qualche problema a Bel non più delle due precedenti, e lei sembrava il ritratto della salute, con le guance colorite, mentre attendeva la nascita del loro bambino prevista nelle settimane seguenti.

    Lui era di ottimo umore quando era uscito per unirsi a Addison e al resto della Fratellanza del Fuoco Immortale per il loro rituale di Hallowe’en. Il gruppo aveva pranzato, parlato di affari e gustato un ottimo brandy. Ma non appena avevano indossato i mantelli con cappuccio e si erano avviati verso le barche, Emily, la cameriera di Bel, era comparsa sulla porta.

    «Il bambino nascerà in anticipo, signor Whyborne!» aveva gridato. «La levatrice è già arrivata, e ha detto che sarebbe meglio se tornasse subito a casa.»

    Gli altri uomini avevano offerto le loro sincere congratulazioni, ma c’era del disagio dietro i sorrisi e le strette di mano. Una nascita era sempre pericolosa, dopotutto.

    Aveva pensato che il pericolo fosse passato dopo la nascita di Stanford. Di solito era il primo parto che avrebbe potuto rivelarsi fatale per la madre, no? La nascita senza alcuna complicazione di Guinevere aveva confermato quella leggenda, e lui non si era minimamente preoccupato quando Bel gli aveva detto di prepararsi all’arrivo di un terzo piccolo.

    Ma mentre le ore passavano e il bambino tardava a nascere, la levatrice gli disse di mandare a chiamare un dottore. Aveva subito inviato un domestico a cercare il miglior medico di Widdershins. Tuttavia i suoni che provenivano dalla camera da letto di Bel peggioravano invece di migliorare, nonostante l’arrivo immediato del medico.

    E ora che le grida si erano fermate, non ci fu il pianto di un bambino a spezzare il silenzio che era seguito.

    Chinò la testa. Non avrebbe pianto, anche se il suo cuore era come sprofondato nello stesso buco nero che aveva inghiottito Bel. Non aveva pianto durante la Campagna di Terra, quando gli uomini… ragazzi, per essere precisi, sotto il suo comando, erano stati fatti a pezzi dal fuoco dei cannoni confederati. O quando erano morti in seguito, nelle tende dell’infermeria da campo accanto ai cumuli dei loro arti amputati. Allora, come adesso, doveva occuparsi dei sopravvissuti. Stanford e Guinevere richiedevano che restasse calmo e guidasse la famiglia durante il periodo del lutto.

    La porta alle sue spalle si aprì. «Signor Whyborne?» disse il medico. «Ho delle brutte notizie, temo.»

    «Mi dica,» rispose lui, intrecciando le mani dietro la schiena, in modo che il dottore non ne notasse il tremore.

    L’uomo si leccò le labbra con fare nervoso. «Vostra moglie è viva, ma è molto debole.»

    Le mani gli caddero lungo i fianchi, mentre il sollievo gli scuoteva i nervi. «E… il bambino?»

    «La signora Whyborne ha dato alla luce due gemelli, poco prima che l’orologio segnasse la mezzanotte. Un maschietto e una femminuccia. Ho detto alla balia di provare a nutrirli, ma temo sia tempo sprecato. Dubito che i bambini sopravvivranno fino all’alba.»

    «Capisco.» Avrebbe chiamato un fotografo l’indomani, per fargli scattare una foto post mortem. Avrebbe consolato Bel se fosse…

    No. Bel sarebbe sopravvissuta. Se ne sarebbe occupato lui.

    Dopo che il dottore se ne fu andato, si versò del brandy e attese in silenzio che la balia facesse il suo dovere. Forse un’ora dopo, Emily attraversò il corridoio con le gonne che frusciavano. I suoi occhi lasciavano trapelare la presenza di lacrime, e si asciugò il viso con il grembiule. «La femmina è morta, signore,» disse. «Ma il maschietto ha bevuto un po’ di latte. Vuole vederlo?»

    Non aggiunse mentre è ancora vivo, ma lui lo sentì comunque. La seguì alla nursery. Stanford e Guinevere erano stati spostati in un’altra parte della casa, per non essere spaventati dalle urla della madre. La culla attendeva in un angolo, con la balia lì vicino. Ignorandola, andò al lettino e guardò all’interno.

    Per un attimo pensò che la forma fasciata fosse quella di sua figlia morta, invece che quella del figlio sopravvissuto. Era pallido in modo innaturale, con un colorito bluastro intorno a occhi e labbra. Era così diverso da Stanford che gli era stato presentato con la faccia rossa e intento ad agitarsi, pieno di vita.

    Poi il bambino si mosse di poco, con la boccuccia aperta e la manina ora chiusa, come in cerca di qualcosa. Un piccolo gemito, più simile a quello di un cucciolo appena nato, gli sfuggì dalla gola.

    «Mi perdoni, signore,» disse la balia. «Forse possiamo provare a dargli un altro po’ di latte.»

    Avrebbe voluto chiederle a che scopo, visto che il bambino stava chiaramente morendo. Ma provare avrebbe fatto felici le donne di casa, così annuì e se ne andò.

    Si fermò nel corridoio. Sarebbe dovuto andare a trovare Bel? Voleva vedere con i suoi occhi che la sua sposa dagli occhi lucenti fosse ancora viva. Ma lei aveva bisogno di riposare, così si voltò verso la propria camera da letto per dormire qualche ora a sua volta.

    Il bambino non morì.

    Non ebbe neanche una ripresa rigogliosa, dato che non aveva la vivace e buona salute di Stanford, né sembrava incline ad allenare i polmoni con le salutari urla infantili, preferendo invece gemere piano. Eppure si aggrappò alla vita con ostinazione, come se fosse determinato a restarvi, dato che era ormai arrivato in quel mondo, anche se quasi tutti i dottori erano di parere contrario.

    Una qualità ammirevole… però Niles rammentò a se stesso che non c’era motivo di affezionarsi. L’inverno e la malattia, sua fedele assistente, si stavano avvicinando e senza dubbio avrebbero portato via con sé il bambino prima della primavera. Meglio non legarsi al neonato, solo per restare poi delusi una volta avvenuto l’inevitabile.

    Anche Bel non ebbe una ripresa rigogliosa, e i medici non poterono fare per lei più di quanto avessero fatto per il bambino. Riposo assoluto fu la prescrizione che le avevano dato. Che branco di inetti, pensò. Non appena si fosse ripresa a sufficienza per viaggiare, l’avrebbe portata in Europa dai medici del posto.

    Andava a trovarla in camera ogni giorno. Sino a quel momento, l’aveva sempre trovata addormentata, con il corpo spaventosamente pallido adagiato contro i cuscini. Quel giorno, però, mentre Emily gli apriva la porta, aveva sentito la voce delicata di sua moglie. Bassa e debole, certo, ma il semplice fatto che fosse sveglia e stesse conversando fu fonte di speranza. Per la prima volta da Hallowe’en, Niles sorrise.

    Il sorriso però scomparve quando entrò nella stanza. Essendo ancora troppo fragile per alzarsi e fare qualcosa, Bel aveva quindi chiesto che la culla del bambino venisse posta nella sua stanza, così che potesse accertarsi delle condizioni del bambino ogni volta che desiderava. In altre circostanze, Niles si sarebbe preoccupato del fatto che così tante attenzioni avrebbero rammollito il neonato. In quel caso, avrebbe fatto poca differenza, se non dare a Bel dei ricordi piacevoli una volta che il bambino avesse raggiunto la sorella.

    Bel giaceva sollevata sui cuscini nel letto, con l’infante su un braccio. Nell’altra mano reggeva un libro, da cui leggeva in tedesco. «Stai leggendo per lui?» domandò il marito sorpreso.

    Lei posò il libro di cui lui poté leggere il titolo, Parzival, stampato sul cuoio in lettere dorate. «So che è troppo piccolo per comprendere, ma io mi diverto e lui si calma, almeno credo,» rispose con un sorriso debole. «È passato troppo tempo da quando ne ho avuto per leggere, e lo trovo un cambiamento piacevole.»

    Niles si sedette accanto al letto. «Non preoccuparti, Bel. Ricomincerai ad andare a trovare gli amici e a dare feste in primavera.»

    «Lo so.» Ma non incontrò i suoi occhi nel dirlo. Mentre cercava di pensare a qualcosa che potesse rassicurarla, Bel riportò l’attenzione sul bambino. «Dovremmo dargli un nome.»

    Lui aveva ritardato la questione, considerata la probabilità che morisse. L’altra gemella era stata già deposta nella cripta di famiglia, sulla lapide compariva solo la dicitura figlia neonata. Ma Bel aveva ragione, dato che sembrava che il bambino avesse tutta l’intenzione di restare con loro almeno per un altro po’.

    Aveva già pensato a quello prima della nascita, ovviamente. Aveva deciso che avrebbe chiamato un altro figlio Ulisse, in onore di Grant, il suo vecchio comandante, generale e allora presidente. All’epoca però, aveva immaginato un ragazzino robusto e felice come Stanford. Sarebbe stato un insulto al presidente Grant chiamare come lui quel piccolino pallido e debole.

    «Forse dovresti scegliere tu un nome,» suggerì lui.

    Bel sorrise, segno che le faceva piacere. «Avevamo già deciso che il secondo nome sarebbe stato Endicott, come nella mia famiglia, giusto?»

    «Sì. Non c’è motivo di cambiarlo.»

    I suoi occhi tornarono al libro che stava leggendo. «Che ne pensi di Percival?» domandò.

    Aveva sempre amato quelle storie in particolare. Niles non aveva obiettato quando Bel gli aveva chiesto di chiamare la loro figlia Guinevere, ma non aveva permesso quelle sciocchezze con Stanford.

    In quel caso, l’avrebbe resa felice, e tutto sommato non importava più di tanto. «Percival?» scherzò. «Perché non Arthur o Lancelot?»

    Lei chiuse gli occhi per la stanchezza, ma rispose seria. «Percival è andato in giro per il mondo vestito in maniera bizzarra, ma è diventato un cavaliere, ha trovato il vero amore e ha scoperto il Grail.»

    «Non era stato Galahad?»

    «Non nelle storie antiche,» mormorò assonnata. «Prima che venissero private del sangue e della passione. Non nelle storie che contano.»

    «Bene, e allora Percival sia.» Si alzò in piedi. «Ti lascio riposare.»

    Mentre si allontanava, la sentì parlare con l’infante. «Percival, mio cavaliere. Farai grandi cose un giorno. Lo so per certo.»

    Niles si chiuse la porta alle spalle scuotendo la testa. Le donne e le loro fantasie. Una simile creatura così debole non avrebbe mai fatto nulla.

    «È quasi morto,» avevano detto i dottori, come se lui non fosse stato in grado di vedere di persona quando avevano tirato fuori la barca mezza piena di acqua dal lago. Come se quel momento orribile non fosse stampato nei suoi occhi ogni volta che li chiudeva: la notte tempestosa, l’acqua gelata. La barca, abbandonata accanto al molo, con la delicata figura china sul parapetto.

    Morto, aveva pensato, correndo con gli altri membri della Fratellanza verso l’improvvisa interruzione del loro rituale di Walpurgisnacht. Aveva spinto di lato i suoi compagni, inginocchiandosi accanto alla barca per prendere quel corpo fragile tra le braccia. Come avrebbe fatto a dirlo a Bel? Come avrebbe potuto restare calmo accanto a lei mentre alla fine, quindici anni dopo, avrebbe messo a giacere Percival accanto alla sua sorellina senza nome?

    Perché il bambino non era morto durante l’inverno che era seguito alla sua nascita. Né in quello successivo, né in altri punti dove era ragionevole che capitasse.

    E non era morto neanche allora, dato che si mosse e prese a vomitare l’acqua del lago dai polmoni.

    Vivo.

    Vivo mentre Leander, l’atletico e coraggioso Leander, era morto.

    E neanche nel più segreto angolo del cuore, era riuscito a sperare che fosse accaduto il contrario.

    Adesso era fermo fuori la stanza da letto del suo figlio minore, intento a riprendere il controllo di sé prima di entrare. Poteva anche essere contento che Percival fosse ancora in vita, ma mostrare troppa preoccupazione avrebbe solo incoraggiato l’atteggiamento femmineo del ragazzo.

    Maledizione, se solo non avesse permesso a Bel di educarlo in quel modo! Ma tutto il suo denaro e il suo potere non erano serviti a trovare una cura per lei in Europa o in America. E Percival era così malaticcio che le speranze che crescesse al punto da subire l’influenza della madre erano scarse. Così aveva permesso a Percival di stare con lei mentre il resto della famiglia andava in chiesa o agli eventi mondani. Le restava accanto per ore, a sentirla leggere, a imparare le lingue straniere e a riempirsi la testa con ogni genere di sciocchezze.

    Quando infine Niles si rese conto che il bambino non sarebbe affatto morto, era ormai troppo tardi per rimediare al danno. I tentativi di spingerlo alle competizioni atletiche e maschili tramite Stanford erano tutti falliti miseramente. Percival preferiva leggere piuttosto che lottare, e trovare le soluzioni discutendo, invece di passare all’azione a suon di pugni e… be’, non voleva neanche pensare alla raccolta di fotografie che Fenton aveva scovato nella sua stanza. Non c’era neanche una donna poco vestita tra quelle immagini, mentre non mancavano uomini che mettevano in mostra il fisico.

    Ringraziando gli dei oscuri, aveva Stanford a portare avanti il nome della loro famiglia.

    Raddrizzò le spalle e aprì la porta senza bussare. Si era occupato di persona dell’arredo della stanza, accertandosi che le pareti fossero di legno scuro e le cortine del letto di un colore sobrio. Un ritratto di suo nonno, con l’uniforme della Guerra d’Indipendenza, lo scrutava con espressione severa dalla parete di fronte al letto. L’orologio aveva intagli di uomini armati a cavallo, e sul tappeto c’era una scena cruenta di una caccia al cinghiale medievale.

    Le scarpe picchiettavano sul pavimento di legno, producendo poi tonfi sordi quando passarono sul tappeto per avvicinarsi al letto. La forma esile di Percival si perdeva quasi nella montagna di coperte, e la pelle era così pallida che quasi sfumava nel candore delle lenzuola. Ma i suoi occhi, resi lucidi dalla febbre, erano aperti, e quando il padre si fermò accanto al letto, il giovane emise un debole «Signore.»

    «Come ti senti, Percival?» domandò brusco.

    Il ragazzo deglutì. Non era granché nelle giornate buone: alto e magro come un chiodo. Quel giorno sembrava che la poca vitalità che possedeva fosse svanita, e il chiodo fosse passato da lucido ad arrugginito. «Abbastanza bene, signore.»

    Be’, se non altro sapeva rispondere da uomo. Nessuna lamentela. Non era stato costretto a guardare gli uomini sotto il suo comando perdere le gambe per colpa dei cannoni avversari solo per sentir frignare suo figlio.

    «Molto bene.» Per un attimo esitò. Leander era stato il miglior amico di Percival ed era morto davanti a lui. Di certo…

    Quello era stato un tragico incidente comunque, non il centro di una battaglia. Una cosa era piangere per i compagni d’armi, presi dai proiettili nemici o uccisi lentamente dall’aria malsana del sud. Certo, Leander era morto nel fiore della gioventù, cosa che da sé era causa di dolore. Ma la circostanza era stata una bravata tra ragazzi finita malissimo. Una manifestazione di dolore eccessiva sarebbe stata fuori luogo.

    «Sarai di nuovo in piedi in pochissimo tempo,» disse.

    Il ragazzo abbassò lo sguardo, e fu l’unica espressione sul suo viso. Aveva gli occhi di Bel, e anche la costituzione esile della donna. «Zio Addy…» La voce gli si spezzò e si schiarì la voce. «La prego di portargli le mie… le mie scuse. Non…»

    Percival non completò la frase e girò la testa di scatto. Accidenti a suo figlio. Le cose sembravano promettenti e adesso stava per cedere alla debolezza. «Termina la tua frase,» scattò Niles. «E parla. Se hai qualcosa per cui chiedere perdono, fallo. Altrimenti non mugugnare qualche scusa di circostanza.»

    A sua discolpa, il ragazzo si irrigidì sotto le coperte, lo sguardo di nuovo rivolto in avanti. «Mi dispiace,» disse. Dio, si scusava sempre per tutto. Non stava diventando un’abitudine, ma decise di lasciar perdere al momento. Dopotutto, i medici gli avevano diagnosticato la polmonite. «La prego di dire a zio Addy che mi dispiace di non essere riuscito a salvare Leander. Avrei dovuto fermare la spedizione sul lago. Ho il suo sangue sulle mani.»

    La sola idea che una creatura molle come Percival avrebbe potuto far cambiare idea a un ragazzo esuberante come Leander era assurda in partenza. Ma almeno era disposto a prendersi la responsabilità.

    «Addison comprende che non è stata colpa tua,» rispose il padre con diplomazia.

    Percival inspirò a fondo… e dai suoi polmoni provenne un orribile sibilo incerto. «È… molto gentile da parte sua.»

    La conversazione parve finita, ma Niles si fermò un istante. Una parte di lui avrebbe voluto sedersi sul bordo del letto per accertarsi che suo figlio non soffrisse. Per dirgli che se un ragazzo era dovuto morire, era felice che non fosse toccato a lui.

    Tuttavia non lo fece. Non poteva rischiare di rinforzare le inclinazioni del ragazzo con una dimostrazione di empatia.

    «Bene, allora,» concluse con un cenno affermativo della testa. «Mi aspetto di vederti in buone condizioni al punto da scendere a cena per la fine della settimana.»

    Percival annuì, ma gli occhi marroni erano imperscrutabili. «Sì, signore. Ci sarò.»

    Niles girò sui tacchi, dirigendosi alla porta. Ignorò il singulto soffocato che sentì non appena chiuse la porta con la stessa spietatezza con cui ignorò il proprio desiderio di rientrare nella stanza e stringere il ragazzo in un abbraccio consolatorio.

    «No, signore,» disse Percival.

    Niles strinse i denti e scoccò un’occhiataccia al ragazzo, ormai diventato quasi un uomo, che era davanti alla scrivania di fronte a lui. Percival stava in piedi, dritto come un fuso, con lo sguardo fisso su un punto appena al di sopra delle sue spalle verso sinistra. Aveva continuato a crescere negli ultimi due anni, e se avesse avuto il peso di Stanford, sarebbe stato di certo una figura imponente. Ma non aveva mai perso la costituzione snella, e aveva aggiunto la pessima abitudine di stare curvo, come se si vergognasse della sua statura.

    «Mi dispiace,» rispose il padre con un tono che implicava l’esatto opposto. «Non penso di aver sentito bene. Dunque, io ti ho assicurato un posto alla Widdershins University, dove studierai Economia e… altre cose.» Dove la Fratellanza l’avrebbe accolto, anche se gli era stato proibito di parlarne con chiunque, figlio incluso, prima che la cerimonia avesse luogo. «Una volta che avrai finito, ti unirai a tuo fratello a New York per un anno per imparare come condurre al meglio gli affari. Dopo ancora, vedremo dove c’è più bisogno di un agente fidato e ti manderemo lì. Ora…»

    «No, signore,» ripeté il ragazzo, come un pappagallo addestrato male che ripeteva di continuo la frase sbagliata.

    Niles strinse di più i denti. «Non penso di aver sentito bene.»

    «Ho detto: no, signore.»

    L’uomo sbatté i pugni sul tavolo. Percival sussultò, ma lo sguardo restò fisso.

    Da dove veniva quell’ostinazione? Si sedette e studiò suo figlio minore, più che altro per prolungare il silenzio al punto da farlo diventare fastidioso e costringere quel dannato ragazzino a dire qualcosa.

    Il silenzio proseguì, e quindi Niles continuò ben oltre il punto dove la maggior parte degli uomini non l’avrebbe più retto. Maledizione. «Non so da quali assurde idee tu sia posseduto,» disse infine, «ma farai meglio ad abbandonarle all’istante. E farai come dico.»

    La bocca di Percival si tese appena, un minuscolo segno di fastidio. «No, signore. Non lo farò.»

    L’altro emise uno sbuffo. Era meglio disilludere il ragazzo su quello di cui si era convinto il più in fretta possibile. «E cosa vorresti fare invece?»

    Le spalle di Percival si raddrizzarono appena. «Sono stato accettato alla Miskatonic University. Intendo studiare Filologia Comparata una volta che sarò lì.»

    «La Miskatonic?» Rise. «Non essere assurdo, ragazzino. Non pagherò affinché tu possa andare ad Arkham a studiare sciocchezze.»

    «Non le avrei chiesto di farlo.»

    «E come pensi di poterti permettere la retta?»

    I suoi occhi scattarono di lato in un movimento rapido. «Non è un suo problema.»

    Santo cielo, adesso stava davvero superando il limite. «Ne ho abbastanza di questa insolenza. Non ho idea di quale follia ti abbia infettato, e non me ne importa. Nessuno dei miei figli studierà roba inutile con quei vecchi tutori di Arkham! Tu entrerai in affari con tuo fratello, e la discussione si chiude qui.»

    «È di certo la fine della discussione.» L’espressione di Percival non cambiò affatto. «Intendo partire per la Miskatonic immediatamente.»

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