Il dottore e l'ereditiera: Harmony Bianca
Di Janice Lynn
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Janice Lynn
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Anteprima del libro
Il dottore e l'ereditiera - Janice Lynn
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
NYC Angels: Heiress’s Baby Scandal
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Giovanna Seniga
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-877-9
1
Ahi, ahi. Non era assolutamente possibile che la dottoressa Eleanor Aston potesse entrare nel minuscolo pezzo di tessuto lucente da ragazzina che sua sorella le aveva mandato da indossare quella sera.
«Portalo via» disse a Norma, l’elegante signora che mandava avanti la casa degli Aston da oltre vent’anni e che Eleanor considerava ormai un membro della famiglia.
Nella scomoda sala riunioni dei medici, dove Eleanor l’aveva accompagnata per parlarle in privato, Norma sembrava a disagio e fuori posto, ma scosse la testa. «Mi spiace, ma non posso. Brooke mi ha dato delle istruzioni precise. Per la cerimonia del taglio del nastro devi indossare questo vestito assieme a queste scarpe.»
Come no? Avrebbe potuto comprimere le sue più che generose curve in quel maledetto vestito in bilico sopra due trampoli! Eleanor provò una scossa immaginando che aspetto avrebbe avuto.
«E anch’io ti do delle precise istruzioni. Riportalo indietro, perché anche se riuscissi a strizzarmi lì dentro...» Indicò l’abitino rosso e le scarpe a stiletto che sua sorella aveva scelto per lei. «Non è esattamente il mio stile, non credi?»
Norma scrollò le spalle. «Forse tua sorella pensa che il tuo stile abbia bisogno di un aggiornamento.» E il tono faceva chiaramente capire che sua sorella non era la sola a pensarlo.
Brooke Aston era una beniamina dei mezzi di stampa ed era convinta che lo stile di sua sorella potesse essere situato in fondo alla scala della moda, e che la sua collezione di camici da ospedale fosse quanto di peggio si potesse indossare.
Eleanor amava i suoi camici per molti motivi. Non si era mai sentita tanto orgogliosa come quando ne aveva indossato uno dopo aver completato il tirocinio come specializzanda in pediatria neonatale. Inoltre i camici permettevano di nascondere un mucchio di difetti fisici.
La parola chiave era un mucchio
. Lei non era mai stata una taglia quaranta come Brooke e aveva smesso di tormentarsi per questo ormai da anni.
Guardò ancora quel mucchietto rilucente e scosse la testa. «Mi spiace che mia sorella ti abbia fatto perdere inutilmente del tempo, ma devi riportarle il vestito perché io non ho nessuna intenzione di strizzarmi in quel coso né tanto meno di issarmi su quegli strumenti di tortura che Brooke chiama scarpe.» Diede un’occhiata all’orologio. «Scusa, ma devo tornare in Intensiva dai miei piccoli pazienti.»
Norma fece una smorfia. «Brooke non sarà contenta.»
Sarebbe mai stata felice la sua sorellina per qualunque cosa che non la vedesse al centro dell’attenzione? Era già stata una sciagura che la reazione allergica ad una nuova crema di bellezza le avesse impedito di esibirsi nell’ultimo progetto pubblicitario del senatore Cole Aston.
Almeno questa volta Eleanor era d’accordo con il modo in cui suo padre aveva scelto di spendere i suoi soldi. Anzi ne era parecchio felice e questo era l’unico motivo per cui aveva accettato di sostituire la sorella alla cerimonia di inaugurazione di quella sera. Suo pare aveva donato un’enorme cifra di denaro per la costruzione di un nuovo padiglione per i bambini prematuri all’ospedale pediatrico Angel Mendez dove lei lavorava.
Eleanor era orgogliosa di fare parte di una realtà meravigliosa come Angel Mendez, il primo e il migliore ospedale pubblico per i bambini. Lavorare con i prematuri le dava un senso di pienezza come non aveva mai provato prima nella vita. Si sentiva necessaria come se potesse essere lei a fare la differenza. E agli occhi dei genitori lei era la persona più importante per i loro piccoli.
Ai suoi pazienti non importava che non fosse alla moda e non indossasse le ultime novità delle sfilate di Parigi o di Milano. Non importava che non trovasse il tempo per truccarsi e per indossare le lenti a contatto e nascondesse i suoi grandi occhi da gazzella sotto un paio di occhiali dalle lenti spesse.
E nemmeno si preoccupavano che non fosse bella e slanciata come la sua sorellina e neppure che la sua struttura ossea e le sue curve fin troppo generose resistessero anche alla più rigida delle diete. Quindi Eleanor faceva attenzione a mantenere uno stile di vita e un regime alimentare sano e non si curava dei media che si divertivano a sottolineare le differenze fra lei e quella sorella che sembrava una diva di Hollywood. Anche se a suo tempo qualcuno dei commenti più cattivi l’aveva profondamente rattristata.
Mentre per Brooke era inconcepibile starsene lontano dalle luci della ribalta, per lei era esattamente l’opposto. Eppure quella sera avrebbe dovuto rappresentare la sua famiglia ad un avvenimento di grande importanza per l’ospedale e avrebbe avuto addosso gli occhi di un plotone di giornalisti.
Fece un gran sospiro sperando di non essere presa da un attacco di panico. «Brooke non sarebbe contenta comunque, Norma. Questa sera non sarà lei a tagliare il nastro.»
Norma, che conosceva le ragazze come o forse meglio della loro madre, accennò un sorriso. «Sono d’accordo con te, ma devi essere tu a ridarle il vestito. Devi essere tu ad affrontare la scena madre che farà tua sorella.»
Eleanor fece un altro profondo respiro. Non era stato così tutta la vita? Sua sorella aveva sempre cercato di gestire la sua vita in modo da farla sentire privilegiata per il solo fatto di vivere nell’ombra della splendida Brooke Aston.
Aveva sempre vissuto nell’ombra. Per fortuna la cosa le piaceva. Guardò di nuovo l’orologio. «Va bene. Ci penserò più tardi.»
Eleanor provò un moto di tenerezza quando le piccole dita di Rochelle Blackwood si strinsero attorno al suo indice. Per lei niente era più bello o prezioso di una nuova vita anche se quella piccola venuta alla luce dopo ventisei settimane di concepimento era attaccata a tutti quei tubi.
Pochi anni prima Rochelle non avrebbe avuto nessuna possibilità di sopravvivere fuori dal grembo materno. Grazie ai progressi della medicina invece era riuscita a crescere parecchio anche se rischiava ancora molto. Ma ogni giorno che passava le sue possibilità miglioravano. Eleanor era ben decisa a fare tutto il possibile per la sua piccola paziente.
«Cosa pensi, Eleanor?» le chiese Scarlet Miller, la caposala dell’unità neonatale, che era accanto a lei ai piedi dell’incubatrice. «Ce la farà?»
Rochelle era nata con parte dell’intestino all’esterno dell’addome, polmoni sottosviluppati e palpebre sottili come fogli di carta e ancora chiuse. Non riusciva a bere e mangiare da sola, ma mostrava una forte volontà di vivere. A Eleanor sembrava di sentire la sua forza di volontà ogni volta che le era accanto.
«Lo spero. È una vera lottatrice.»
La madre di Rochelle era stata investita da un guidatore ubriaco e aveva riportato molte ferite mortali. Si era deciso di far nascere la piccola con un cesareo per cercare di salvarla. Purtroppo la madre non era sopravvissuta.
Eleanor provava un affetto speciale per quel corpicino di cinque giorni che aveva già subito un’incredibile quantità di interventi e che il padre, sconvolto per la morte della moglie, non aveva ancora avuto il coraggio di visitare.
«Sono d’accordo» intervenne una profonda voce maschile dall’accento texano che proveniva dalle loro spalle. «Spero che non te la prenda, ma ho sempre tenuto d’occhio questo piccolo tesoro.»
Come sempre quando c’era Tyler Donaldson nei paraggi Eleanor si sentì avvampare. E come succedeva sempre la sua lingua non riuscì a fare altro che incollarsi al palato impedendole qualunque risposta e facendola sentire come una ragazzina alla sua prima cotta.
Accidenti! Come era possibile che una delle due sorelle tenesse appesi alle sue dita ben curate schiere di affascinanti giovanotti e all’altra bastasse la vista di un uomo di bell’aspetto per perdere l’uso della parola? E che fra l’altro le parlava di lavoro, non di qualcosa di personale.
Tyler interpretò il suo silenzio come disapprovazione e si affrettò a scusarsi. «Ero di servizio la notte in cui è nata. Un piccolo tesoro così dolce, non è vero?»
Come a tutto il personale femminile della clinica la sua voce invitante dal caldo accento del Sud la scosse. Avrebbe voluto crogiolarsi della sua presenza, abbandonarsi fra le sue braccia, idea folle perché lui era un uomo capace di far sospirare qualunque donna.
Azzardò un’occhiata e si pentì subito di averlo fatto. Il viso le avvampò come se fosse stata davanti a una fiamma. Se fosse esistita una pillola per curare il rossore lei sarebbe stata sicuramente la prima a prenderla perché odiava le sue reazioni nervose tanto quanto odiava i suoi attacchi di panico.
«Hai incontrato suo padre?» Chiese Tyler fissando la piccola.
Incapace di spiaccicare anche una sola parola Eleanor si limitò a scuotere il capo.
«Scommetto che non è ancora venuto» sospirò lui con il suo tipico accento texano. «Non che serva a qualcosa, ma mi dispiace per quel ragazzo. Dopo aver perso la moglie in quel modo deve essere terrorizzato all’idea di perdere anche questo tesoro.»
Ancora incapace di parlare Eleanor annuì.
«Sono felice che sia stata affidata a te, Eleanor. È stata fortunata e ha avuto il meglio.» Senza alzare lo sguardo con il dito accarezzò la manina della piccola ancora stretta attorno all’indice di Eleanor e lei fu percorsa da un lungo brivido di piacere.
Era stata talmente colpita dal complimento dell’uomo accanto a lei che si era completamente dimenticata che stava ancora toccando la bambina quando lui le aveva accarezzato la manina e sfiorato quella di Eleanor.
Pensando di aver finalmente riacquistato l’uso della parola si girò per dire qualcosa di divertente, ma prima che potesse aprire bocca lui stava sorridendo a qualcuno che stava venendo verso di loro. Una donna. Perché lui era il dottor Tyler Donaldson e questo era quello che sapeva fare meglio.
Con tutte le donne dell’ospedale tranne che con la triste, taciturna e troppo in carne Eleanor Aston.
Dov’era il vestito nero che aveva portato con sé quella mattina?
Osservando il contenuto del suo armadietto Eleanor fu presa dal panico. Era stato svaligiato.
Al posto della sua sacca da palestra, del vestito nero che quella mattina aveva appeso con cura e delle ballerine nere che aveva pensato di indossare alla cerimonia c’era un biglietto scritto con una calligrafia che conosceva bene.
Sarai uno sballo, sorella. Dopo mi ringrazierai. B.
Ringraziarla? Avrebbe strangolato volentieri quella maledetta sorella. Come aveva fatto Brooke ad entrare nella stanza dei medici? A scassinare il suo armadietto? Non poteva averlo fatto di persona. Non avrebbe mai rischiato di farsi vedere e casomai di venire fotografata con il viso rosso, gonfio e spellato a causa dell’allergia.
Comunque ancora una volta sua sorella si era presa gioco di lei. Anche la sua borsetta era sparita.
Oltre al biglietto c’erano tre oggetti nell’armadietto. Il vestito rosso e le scarpe con il tacco a