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Rosso Torrente: Ragazzo Perduto
Rosso Torrente: Ragazzo Perduto
Rosso Torrente: Ragazzo Perduto
E-book425 pagine6 ore

Rosso Torrente: Ragazzo Perduto

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Info su questo ebook

Rosario Torrente è un diciassettenne di Passasperanza, una cittadina noiosa e povera nei pressi di Misteria, la Città dei Misteri. Cresciuto in una famiglia povera e disfunzionale, dai toni retrogradi e violenti, sogna di diventare un imprenditore e lasciare quel posto triste. La sua condizione, già svantaggiata, peggiora quando insieme al suo amico di sempre, Ilario, si avvicina all'Occulto…

Il 6 Gennaio 2020, qualcosa cambia. La Notte entrerà nella sua vita e in quella del suo miglior amico. E da lì in poi, niente sarà più come prima.

Amori spezzati, amicizie spezzate, sogni spezzati, pericolosi segreti e oscure verità lo attendono...
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2024
ISBN9791222725291
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    Anteprima del libro

    Rosso Torrente - Francesco Franzè

    FRANCESCO FRANZÈ

    ROSSO TORRENTE

    Ragazzo Perduto

    «La Notte ti ha Scelto...»

    Titolo | Rosso Torrente: Ragazzo Perduto

    Autore | Francesco Franzè

    ISBN | 9791222725291

    © 2024. Tutti i diritti riservati all'Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

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    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

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    Made by human

    1

    6 GENNAIO 2020

    Rosario Torrente vide Rochelle Ferri entrare nella sala, portando con entrambe le mani un pacchetto regalo confezionato con della carta verde. Indossava un vestito nero, ampio sui fianchi. I suoi capelli rosa erano annodati sulla testa in un elegante – ma improvvisato – fiocco, decorato da un nastro nero di velluto. Camminando elegantemente sui tacchi alti, la ragazza raggiunse il tavolo su cui era già stata disposta la torta ai frutti di bosco, e poggiò il suo regalo accanto agli altri.

    «Vuoi mangiarla?» sussurrò qualcuno al suo orecchio.

    Rosario Torrente si voltò. Non vide nessuno, e si rese conto di essere poggiato contro il muro. Chi era stato? Era sicuro d’aver sentito qualcuno parlargli all’orecchio.

    «Tutto okay?»

    Rosario sobbalzò. Sorrise quando vide davanti ai suoi occhi il suo amico Ilario Mazzini in giacca e cravatta. Il ragazzo basso, dagli occhi castano-verdi e i capelli biondo cenere risultava goffo e a disagio in quelle vesti.

    «Tutto okay, Rosso?» ripeté Ilario, «Poco fa sembravi allegro.»

    «Tutto okay.» rispose Rosario, «Ho sentito una voce.»

    «Anche io sento delle voci.» ribatté Ilario, «Dobbiamo ascoltarle, dobbiamo cercare di capire quello che ci dicono.» sorrise, allargando le labbra un po' più del dovuto, assumendo un’aria tetra, «Oggi tutto cambierà. È il mio compleanno, e mio zio ha promesso di svegliarmi.»

    «Svegliarti?» chiese Rosario, confuso, «Svegliarti?»

    «Certo.» rispose Ilario, «Il compleanno è una scusa per svegliarmi. Anche tu dovrai svegliarti, e ti sveglierai.»

    Rosso guardò il suo amico negli occhi, preoccupato, «Hai preso qualcosa?»

    Ilario fece spallucce, «No.» indicò un uomo voltato di spalle, fermo davanti al tavolo al centro della sala, «Lui ci aiuterà.»

    «Chi è?» chiese Rosso, «Lo conosci?» guardò in direzione dell’uomo che stava dando loro le spalle. Aveva i capelli legati in una lunga treccia bionda e indossava un completo bordeaux, elegante.

    «Sì, lui è...» Ilario continuò a parlare, ma la sua voce era sparita.

    Rosario cercò di capire ciò che gli stava dicendo il suo migliore amico, ma l’ambiente era congelato: tutto era fermo. L’unico a parlare, in un certo senso, era Ilario, ma la sua voce era svanita. Rosso cercò di analizzare la situazione. Si sentì a disagio, fuori posto. Ciò che stava succedendo era fuori dal suo controllo. Si rese conto, guardandosi attorno, di non conoscere nessuna delle persone presenti, eccezion fatta per Ilario e Rochelle.

    I suoi occhi tornarono su Ilario, che aveva smesso di parlare e ora lo stava fissando con quel sorriso poco spontaneo e inquietante.

    «Hai capito?» gli chiese Ilario, continuando a guardarlo negli occhi.

    Rosso non sapeva cosa rispondere: quella situazione non poteva essere reale.

    «Fai finta di non capire?» insistette Ilario, «Come vuoi.» sorrise, «Mancano ancora undici lune. C’è tempo.» indicò Rochelle, che adesso stava parlando con lo sconosciuto voltato di spalle, «Lei ha già capito. E farà la sua scelta, quando sarà giunto il momento.»

    «Rochelle?»

    «Sì, Rochelle.» Ilario fece spallucce, «Accadrà.»

    «Cosa?» chiese Rosso, sentendo un brivido percorrergli la schiena.

    «Il risveglio.» rispose Ilario, tranquillo, «Accadrà. E la Notte genererà ciò che desidera. È stato deciso così.»

    «Svegliati!» chiamò una voce familiare, «Svegliati!»

    Questa volta Rosario riconobbe la voce che lo stava chiamando. Era la voce di sua madre. Da dove proveniva?

    «Che cazzo fai? Sono le otto!» Rosario sentì una mano stringerli forte la spalla, «Cretino!»

    Rosario Torrente aprì gli occhi: vide sua madre, incazzata nera come sempre, pronta a mollargli uno schiaffo.

    «E che ci vuole!» gridò la donna, «Alzati!»

    «Che devo fare?» le chiese Rosario, mettendosi seduto.

    «Non lo so. Come posso saperlo? Tu devi sapere quello che devi fare, non devo dirtelo io!» la donna si passò una mano tra i capelli unti e grigi, «Tua sorella ha detto che devo svegliarti. Non è normale così, Rosario, non è normale.»

    «Cosa?» chiese Rosario, abituato ad aver a che fare con gli episodi deliranti di sua madre, «Cosa non è normale, mamma?»

    «Non devi dormire fino a mezzogiorno!» gridò la donna, «Lo dice pure tua sorella.» la donna si mise la mani sui fianchi, «È lei è psicologa, sa quello che dice. Ha studiato cinque anni all’università.» disse, «Cinque. Cinque anni.» ripeté, ponendo verso Rosso la sua mano destra aperta a mostrare tutte e cinque le dita, «Non è mica stupida. Sa quello che dice.»

    Rosario sospirò e si alzò dal letto, «Mi sciacquo la faccia e mi vesto. Va bene?»

    «Vestiti, vestiti!» la donna si diresse verso la porta, «Che disgrazia! Che disgrazia!» prima di uscire dalla stanza si girò verso il figlio, «Te lo dico per il tuo bene.» uscì e chiuse la porta.

    Rosso rimase seduto sul bordo del letto a fissare la porta della sua stanza, chiusa. Ormai gli faceva schifo l’idea di continuare a dividere la casa, e la vita, con quelle persone che tecnicamente erano i suoi familiari. Si sentiva fuori posto. E lo era, loro non facevano altro che ricordarglielo. Ogni maledetto giorno.

    Erano passati sei giorni da quando aveva tentato di suicidarsi. Non si aspettava granché, sapeva che i suoi gliel’avrebbero fatta pagare. Rimpianse di essere sopravvissuto. Forse il paracetamolo che aveva preso non era stato sufficiente. O forse, non aveva bevuto abbastanza whisky. O una cosa o l’altra, il due gennaio Rosario si era svegliato nel suo letto, proprio dove si era addormentato nella speranza di non svegliarsi mai più. Ma non era morto, e ora, beh, ora doveva sorbirsi le conseguenze delle tre scatole vuote di paracetamolo e delle due bottiglie di whisky, vuote, che la notte tra il primo e il secondo giorno di gennaio aveva lasciato al bordo del suo letto. Suo padre voleva bruciargli le arnie, e per evitare che ciò accadesse, Rosario aveva promesso che si sarebbe dato fuoco se fosse successo qualcosa alle sue api. Era una realtà triste, ma era la realtà. Da quando si era rifiutato di frequentare la catechesi per fare la cresima, tutti in casa sua lo odiavano. E a peggiorare la situazione, c’era il suo interesse per l’occulto e il paranormale. Numerosi erano i libri che sua sorella Assuntina aveva fatto a pezzi o gettato nel camino, nel tentativo di convincerlo ad andare in chiesa. Passasperanza era un piccolo paese di appena mille abitanti, la gente notava tutto e amava sparlare per ammazzare la noia. Se eri diverso, eri un pericolo. Eri un nemico, qualcuno da evitare. E alla sua famiglia non faceva piacere, in quanto entrambe le sue sorelle erano catechiste e le uniche persone che frequentavano erano le donnette pie che si recavano in chiesa tutti i pomeriggi alle cinque, per il rosario.

    Dopo un paio di minuti – in cui rimpianse di essere sopravvissuto – si alzò e indossò dei jeans. Si diresse in bagno, a darsi una sciacquata. Ne aveva bisogno, era tutto sudato per via del sogno inquietante che aveva fatto. Ciò che lo aveva turbato, in realtà, era il fatto che nel giro di dodici ore ci sarebbe stata veramente la festa di compleanno di Ilario Mazzini, il suo migliore amico.

    Dopo essersi lavato uscì di fretta dal bagno e tornò in camera sua. Si vestì e si diresse in cucina a fare colazione: sua madre gli aveva preparato il caffè.

    «Che devo fare?»

    «Devo dirtelo io? Tu devi sapere cosa vuoi fare.» gli rispose sua madre, dandogli le spalle mentre lavava due tazze, «Tra un po' hai vent’anni e tutto quello che fare è stare appresso agli animali, alla scuola e alle altre cavolate che internet ti ha messo in testa.» la donna starnutì, «Tua sorella ha ragione, devi darti una mossa e uscire di casa… lei sa quello che dice.»

    Rosso fece spallucce e prese un sorso di caffè: intraprendere una discussione di qualsiasi genere con sua madre, era tempo sprecato in quanto sua madre era semplicemente andata. Non ci stava con la testa, e ogni cosa che faceva o che diceva, in realtà era una ripetizione di ciò che le sue due sorelle dicevano. E purtroppo, le sue sorelle lo odiavano. Non facevano altro che umiliarlo costantemente, provando a manipolarlo affinché diventasse esattamente come loro avrebbero voluto.

    Rosso non era l’unico figlio maschio, aveva anche un fratello maggiore, che per salvaguardare la sua salute mentale si era trasferito a Misteria. Saverio Torrente era un infermiere al Misteria Hospital. E purtroppo, non era in buoni rapporti con il resto della famiglia, quindi Rosso lo vedeva quando sì e quando no.

    «Io… certe volte piango...» continuò sua madre, «Perché quando sei nato, sono stata molto vicina alla morte… ma tu eri un angelo. Eri bellissimo, perfetto.» starnutì di nuovo, «Ed eri perfetto fin quando i tuoi amici non ti hanno rovinato… eh, che amici.»

    Rosario sospirò, e prese un altro sorso di caffè: amava i suoi amici, che non erano molti, erano giusto cinque. Ma erano amici veri. Purtroppo erano persone un po' fuori dagli schemi e troppo moderne per quella che era la triste realtà di Passasperanza, il paese in provincia di Misteria in cui era nato, e da cui sperava di scappare via, un giorno.

    «Sei ancora qui?» sua sorella Assuntina entrò in cucina, e lanciò uno sguardo perfido a Rosso, «Non ce la fai proprio a uscire di casa.» sbuffò, «O a comportarti come una persona normale, o a parlare con gente normale.» tirò indietro una sedia e si accomodò, «A vent’anni ti comporti ancora come un ragazzino.» scosse la testa in segno di disapprovazione, «Sai, qui a Passasperanza c’è un bar… frequentato dai ragazzi della tua età. E c’è anche una chiesa, e un oratorio, e un gruppo di preghiera giovanile…»

    «Devo fare diciotto anni a ottobre.» rispose Rosso, «E le persone che frequento sono persone normali… forse sei tu a frequentare gente sballata.»

    Assuntina si strofinò le meningi con entrambe le mani, «Mi sto innervosendo…» mormorò a denti stretti, «Devi sempre rovinarmi la giornata.»

    «Eh già, ogni giorno è come un altro.» le fece eco sua madre, che ora stava passando la spugna intorno ai fornelli del piano cottura.

    Rosario si morse il labbro inferiore, poi si alzò, «Vado dalle galline.» disse, «Non vedo l’ora che finiscano le vacanze.»

    «Sì, sì, perché qui la tua vita è dura.» commentò Assuntina, disgustata, «Vai dagli animali, vai. Vai dai polli come te.»

    «E togli l’incubatrice dal garage!» gridò sua madre, «Altrimenti la butto direttamente nel bidone dell’immondizia!»

    Rosario continuò a camminare verso la porta, fingendo di non sentire. Cercava di mostrarsi indifferente, ma dentro, moriva ogni giorno un po' di più. Ogni rimprovero senza causa, ogni smorfia, ogni sguardo di disprezzo era una coltellata dritta al cuore.

    Giunto fuori, si diresse verso il retro della sua abitazione. Entrò in garage e diede un’occhiata al termometro dell’incubatrice: la temperatura era perfetta. Aveva messo a incubare dieci uova di Orpington Blu. L’avicoltura era diventata una sua passione da quando, due anni prima, la sua professoressa preferita, ovvero Maria Bolfa - la sua docente di scienze agrarie - lo aveva inserito in un progetto scolastico pomeridiano, riguardante il recupero dell’azienda agricola dell’Istituto d’Istruzione Superiore Tecnico Agrario Ilenia Gerberini.

    Buttò del mangime per ovaiole in un secchio di plastica giallo, e si diresse verso il pollaio.

    Camminando verso la sua destinazione mattutina, pensò che molto presto avrebbe dovuto provvedere a sistemare il pollaio – che in realtà era una vecchia porcilaia – dividendolo in due sezioni, così da poter isolare le ovaiole utilitarie dalle Orpington che stava incubando.

    «Buongiorno.» Ilario Mazzini aveva aperto la porta del bagno senza bussare: suo zio Leandro era occupato a radersi il viso.

    «Ciao.» rispose l’uomo basso e magro di trentasette anni, cercando di muovere le labbra il meno possibile per evitare di ingoiare la schiuma da barba, «Due minuti e sono fuori.»

    «Scusa.» rispose Ilario, «Di solito sono l’unico a usare questo bagno.»

    «Di solito sei l’unico a usare il primo piano.» replicò suo zio, sorridendo e al tempo stesso limitando i movimenti delle labbra, sempre per evitare di ingoiare quella profumatissima schiuma alla menta che amava tanto, «Non preoccuparti.»

    Ilario indietreggiò e uscì, chiudendo la porta del bagno. Doveva pisciare, e anche urgentemente, ma vedeva suo zio una volta all’anno, due al massimo, giusto per un paio di settimane e quindi non gli sembrava il caso di pisciare mentre quel mezzo sconosciuto si faceva la barba. Suo zio Leandro viveva a New Orleans da sedici anni, era la guida turistica di un museo del paranormale, o dell’occulto, o qualcosa del genere. In realtà, non comunicavano tanto.

    Il ragazzo camminò a passo svelto fino al piano terra, dove c’era l’altro bagno che di solito usava suo nonno. Raramente suo nonno saliva al primo piano, dato che era anziano e non amava le scale.

    «Ah ah! Ti sei alzato presto oggi?» Leonardo Medicante vide apparire suo nipote Ilario sulle scale, «Potevi dormire!» l’anziano rise, «Hai fretta di scartare i regali?»

    «Ho fretta perché devo pisciare e nel mio bagno c’è lo zio!» replicò il ragazzo, scendendo l’ultimo gradino e girando a destra, in direzione del bagno, «I regali di compleanno possono aspettare!» a passo svelto raggiunse il posto della sua liberazione mattutina ed entrò chiudendosi la porta alle spalle.

    Dopo aver pisciato ed essersi lavato le mani e la faccia, uscì dal bagno con un largo sorriso stampato sul viso: era il 6 gennaio 2020, ovvero, era il giorno del suo diciottesimo compleanno.

    «Posso farti gli auguri? Ti sei lavato le mani?» suo nonno, in pigiama, lo attendeva alla fine del corridoio.

    «Veramente dovrei essere io chiederti se ti sei lavato le mani.» rispose Ilario, «Ti sei ricordato i prendere le pasticche per la pressione? Ultimamente la tua testa è un po' fusa.»

    «Bene. Sei cretino proprio come tuo zio.» Leonardo abbracciò suo nipote e gli diede un bacio su entrambe le guance, «Buon compleanno.»

    «Grazie, nonno.» rispose Ilario, «Ma… hai preso le pasticche, giusto?»

    «Sì, le ho prese.» ridacchiò l’anziano, «Hai paura di finire nelle mani di tuo zio?»

    «Non vorrei che crepassi proprio il giorno del mio compleanno.» ribatté Ilario, ridendo.

    Suo nonno però non rise. Si limitò a inarcare le labbra in una specie di sorriso forzato. Sua figlia, la madre di Ilario, era morta il giorno del suo ventitreesimo compleanno.

    «Nonno è troppo vecchio per comprendere il black humor.» suo zio Leandro apparve alle spalle di suo nonno, proprio all’angolo tra le scale e il soggiorno, «Ai suoi tempi non c’era.»

    «Stai zitto, Leandro.» gli rispose il padre, poi la sua attenzione tornò a Ilario, «Leandro ha fatto un salto a Misteria questa mattina. Ha preso dei pasti alla crema…» sorrise, «La torta la mangeremo stasera alla tua festa...»

    «Grande, papà!» sbottò Leandro, «Alla faccia del segreto!»

    «Era un segreto?» replicò l’anziano.

    «Beh, le feste a sorpresa si chiamano così per un motivo.» Leandro avrebbe voluto mantenere un’espressione seria, ma non ci riuscì. Sorpassò il padre e raggiunse il nipote, «Ilario… tanti auguri. E grazie per non avermi invitato alla tua festa a sorpresa.»

    Ilario rise, e si fece abbracciare da Leandro, «L’ha organizzata Elisa?» gli chiese.

    «Di certo non l’ha organizzata mio padre.» rispose l’uomo, stringendo il nipote, «Ti auguro tutto il bene del mondo.» gli disse, «Ricordo il giorno in cui sei nato… avevo diciotto anni.»

    Ilario sorrise, «Andiamo a fare colazione?»

    «Avrei voluto farti un discorso molto toccante sulla tua vita da sopravvissuto, ma credo che te lo farò stasera.»

    «Non ti azzardare!» rispose Ilario, ridendo, anche se la parola sopravvissuto l’aveva toccato nell’anima.

    Rosso Torrente rientrò in casa, e si diresse in camera sua. Aprì uno dei due cassetti della sua scrivania e tirò fuori della carta regalo rossa e un rotolo di nastro argentato. Era giunto il momento di confezionare il Corso di Cartomanzia che aveva comprato a Ilario per il suo diciottesimo compleanno. Beh, in realtà il regalo vero e proprio era la festa a sorpresa… ma erano amici da sempre, condividevano tutto e si amavano come fratelli: un regalo extra era necessario. Ed era sicuro che Ilario lo avrebbe apprezzato.

    Erano passati quattro anni da quando Ilario si era presentato a casa sua con un vecchio libro di cartomanzia che aveva trovato in soffitta. Sulla prima pagina, in alto a sinistra, c’era il nome di sua madre, Caterina Medicante. Quella stessa sera, entrambi avevano cenato a casa del nonno di Ilario, Leonardo, che si era parecchio innervosito quando il nipote si era messo a fare domande a riguardo. Da lì, entrambi decisero di esplorare la soffitta di Leonardo, alla ricerca di libri sull’Occultismo, e continuarono a farlo fino al giorno in cui trovarono un vecchio diario di Leandro Medicante, lo zio di Ilario. Ciò che lessero, li turbò: Leandro aveva scritto di essere uno stregone e di aver frequentato un accademia di magia a Misteria. Tra le pagine di quel diario erano presenti incantesimi, esercizi di visualizzazione, schede informative su erbe e pietre magiche e, ovviamente, i pensieri e le note di Leandro Medicante. Alcune cose erano davvero incredibili, se non impossibili. Così, un giorno, Ilario aveva deciso di mostrare quel diario a suo nonno, chiedendogli delucidazioni in merito al materiale bizzarro che aveva trovato in soffitta… e chiedendogli quanto di ciò fosse vero. Leonardo rispose in modo vago, dicendo che anni addietro, prima di sposarsi, anche lui era stato attratto dalla magia e alcune cose non erano andate come sperava. E che i suoi due figli, Leandro e Caterina, avevano trovato a loro volta i suoi testi, e che anche loro non avevano ottenuto nulla. Nessuno era mai riuscito a concludere nulla, e che la cartomanzia era solo una truffa così come lo spiritismo. La stregoneria era solo folklore. Per questi motivi aveva provato a scoraggiare il nipote dall’apprendere quanto scritto nei testi che aveva trovato. Successivamente Ilario decise di rivolgersi a suo zio Leandro, ma anche lui rispose in modo distaccato, dicendogli semplicemente: «Il nonno non vorrebbe che te ne parlassi. E ha ragione.»

    Ciò, chiaramente, non aveva il alcun modo influito sulla voglia di Ilario di apprendere tali pratiche. E Rosario lo sapeva, perché l’Occulto era il loro segreto da tanti anni, o meglio, lo era stato. Poi, i suoi familiari avevano saputo di quel che studiava e praticava quando era in compagnia del suo migliore amico e per questo gliel’avevano fatta pagare. Ogni santo giorno.

    Continuando a pensare alle macabre avventure vissute insieme a Ilario, Rosso ricordò di essersi dimenticato di telefonargli per gli auguri. Imperdonabile. Praticamente erano due fratelli separati alla nascita, come aveva potuto dimenticarsene?

    «Heylà.» Ilario rispose al secondo squillo, «Scommetto che devi dirmi qualcosa.»

    «Sì, devo dirti una cosa.» Rosso strozzò una risatina, «Buon compleanno, bro.»

    «In realtà mi riferivo alla festa di compleanno a sorpresa.» ribatté Ilario, ridendo a sua volta, «Ma grazie per gli auguri.»

    «La tua ragazza non è molto brava a mantenere i segreti.» osservò Rosso, «Quando te l’ha detto?»

    «Non è stata Elisa a dirmelo.» rispose Ilario, «Una volta tanto è riuscita a tenere la bocca chiusa. È stato mio nonno.» rise, «Ma se vuoi, ora puoi dirmi il resto del programma.»

    «Uhm… non c’è altro.» Rosso starnutì, «Forse mia sorella mi ha avvelenato, non vogliono che venga alla tua festa.»

    «Finiscila, nessun veleno si manifesta con gli starnuti.» ridacchiò Ilario, «Dai, non dire cazzate. Pomeriggio che fai?»

    «Mi annoierò fino alle sette, poi Giuliana verrà a prendermi…» rispose Rosso, «Ti avviso, non ho nulla di elegante da indossare.»

    «Sarà un festa elegante?» sbottò Ilario, «Non potevate organizzare una festa in qualche posto abbandonato e portare delle pizze?»

    «Mi dispiace ma non ho curato io i dettagli...» Rosso sentì qualcuno bussare alla sua porta, «Ci vediamo dopo. Buon compleanno.» chiuse la telefonata e chiese «Che c’è?»

    «Niente.» rispose sua madre, aprendo la porta, «Che stai facendo?» chiese, «Perché tieni la porta chiusa?» la donna notò il pacchetto regalo sulla scrivania di Rosso, «Con chi pensi di andare alla festa?»

    «Rochelle e sua madre verranno a prendermi alle sette meno venti.» rispose Rosso, abbassando lo sguardo.

    «Va bene.» sua madre alzò le mani in segno di resa, «Fai come vuoi, fai… fai pure. Io non posso mai dire niente, devo solo stare zitta. Fai, fai come vuoi.» fece per andarsene ma subito si voltò verso il figlio, «Te lo dico solo una volta: alla nove io chiudo la porta. Chi c’è, c’è. Chi non c’è, resta fuori.»

    «Okay.»

    «Okay? Okay. Adesso ne parlo con tua sorella e poi vediamo se è okay.» uscì chiudendosi con forza la porta alle spalle.

    Rosario sospirò e lanciò un’occhiata al pacco regalo: doveva ancora mettergli il nastro.

    Aspettò che sua sorella entrasse in camera sua, pronta a fargli la solita predica sulla vita, sugli amici, sulla via del Signore, eccetera. Ma non accadde.

    A mezzogiorno sua madre lo chiamò dalla cucina, gridando il suo nome a gran voce.

    Rosario scese di sotto, per trovare tutti i suoi familiari occupati a guardare i loro piatti: nessuno disse una parola. Beh, nessuno eccetto sua madre che parlava di continuo come una radio. Rosario ignorò le frecciatine e gli insulti che la madre gli sussurrava ogni volta che apriva la bocca per prendere una forchettata di pasta, sapeva che rispondendole non avrebbe ottenuto niente.

    Si fecero le sei, e dopo aver trascorso il pomeriggio a sistemare la legna nel capanno accanto al garage, Rosario rientrò in casa per fare una doccia prima di andare alla festa. Nessuno aveva parlato con lui, nessuno gli aveva detto una parola. O si erano rassegnati, o qualcosa di peggio era in agguato.

    Entrò in bagno e si spogliò. Era preoccupato, i suoi non si erano comportati in modo normale. Entro nella vasca e aprì l’acqua calda… forse, una volta tanto, l’avrebbero lasciato in pace. Numerose volte si era chiesto quale fossero le ragioni per cui la sua famiglia lo odiasse così tanto, e ogni volta, la risposta che il suo cervello gli dava era la stessa: s trovava in una casa di vecchi. Quando era nato, i suoi genitori avevano quarantacinque anni, e avere un figlio a quell’età è un fatto insolito. Volere un figlio a quell’età, tuttavia, lo è ancora di più. Il problema, era che lui non era stato voluto… era arrivato in ritardo, nel momento sbagliato e senza che nessuno lo avesse chiesto a Dio. In più, sua madre era andata in coma e dopo essersi svegliata non era più stata normale, o almeno, questo è un dettaglio che sua sorella gli aveva rinfacciato più volte. Era colpa sua se sua madre si era ammalata, lui fu la causa del coma e di tutti i problemi che la povera donna si prese negli anni a venire. In più, crescendo aveva costruito la propria personalità in modo esattamente opposto a ciò che le sue sorelle si aspettavano: non era interessato alla Chiesa né alle sagre popolari, né ai suoi coetanei dalla vita ordinaria. Voleva vivere in modo libero, amava lo studio e gli animali. Aveva tanti hobby, e una vita occupata mossa dal suo spirito creativo. Purtroppo, Passaperanza non era il massimo per crescere con delle aspettative decenti: il massimo che la maggioranza dei suoi compaesani era in grado di fare, era prendere un diploma – chi sì, chi no – e trovare qualcuno con cui sposarsi prima dei venticinque anni. Per questo motivo amava Misteria, la città che frequentava da Settembre a Luglio, a causa della scuola ovviamente. E sempre per questo motivo era molto legato ai suoi amici, dal momento che dal suo punto di vista erano le uniche persone interessanti, da quelle parti.

    Uscì dalla vasca e indossò l’accappatoio. Si asciugò rapidamente, non voleva fare tardi. Cercò l’asciugacapelli nel cassetto sotto il lavandino, ma non lo trovò. Una strana vocina, nella sua testa, gli stava dicendo che non sarebbe andato alla festa di compleanno. Sospirò, realizzando che la ragione per cui tutti erano stati così buoni e silenziosi, era che avevano già trovato un modo per sabotare i suoi programmi. Si asciugò i capelli – che erano lunghi fino alle spalle, ed erano l’argomento di ogni cena visto che l’unico altro ragazzo a portare i capelli lunghi in quel posto desolato era Ilario Mazzini – usando un asciugamano e avvolto nell’accappatoio, uscì di corsa dal bagno diretto verso la sua camera.

    Provò ad aprire la porta della sua stanza, ma qualcuno l’aveva chiusa a chiave.

    «Veramente?»

    Rosario si voltò e vide sua sorella Assuntina ferma, poggiata alla parete. Sorrideva.

    «Dammi la chiave.» le disse, «Devo vestirmi, tra un po' arriva Giuliana...»

    «No.» rispose la donna di trentaquattro anni, «Non verrà.» sorrise, «Sai perché?»

    Rosario non disse nulla. Si limitò a guardare sua sorella con odio. Non era sorpreso, si aspettava qualcosa del genere… sua sorella odiava Rochelle, perché la riteneva una troia satanista. Rochelle aveva diversi tatuaggi sulle braccia e non aveva mai frequentato la chiesa poiché i suoi genitori erano atei.

    «Non vuoi sapere perché non verrà a prenderti?»

    «Dammi la chiave.» le chiese Rosario.

    «No.» Assuntina fece spallucce, «Quando io dico una cosa, è quella. Fine della storia.» un sorriso viscido prese posto sulle sue labbra, «Ho avvisato Rochelle, e le ho detto che hai vomitato per tutta la notte. E hai anche la diarrea.»

    «Dici che se l’è bevuta?» replicò Rosso, «Alle sette meno venti verranno a prendermi, e andrò alla festa indossando l’accappatoio se non potrò vestirmi.» sorrise, «Quando io dico una cosa, è quella. Fine della storia.»

    «Come sei simpatico.» rispose Assuntina, «Vedi, tu vivi nella fantasia, il tuo problema è la fantasia. Ed è ciò che il demonio ha usato per corromperti, ma la nostra casa è sotto la protezione di Dio. E Dio vuole solo cose giuste.» sorrise in modo un po' forzato, «Prima di chiudere a chiave la porta della tua stanza, ho usato il tuo telefono per avvisare Rochelle. Quindi, tecnicamente, sei stato tu a dirle che non andrai alla festa.»

    «Un giorno...» Rosso sentì la rabbia crescere in ogni cellula del suo corpo, «Un giorno me la pagherai.» le disse.

    «Un giorno ti taglierai i capelli e inizierai a vestirti come un uomo normale. Tornerai da Dio e sposerai una donna decente… Inizierai a costruire la tua vita secondo la legge del Signore.» Assuntina strinse nella mano destra il crocefisso d’argento che portava al collo, «E quel giorno, mi ringrazierai.» sorrise e diede le spalle al fratello, diretta verso la sua camera. Ma il cellulare che teneva nella tasca sinistra dei jeans squillò. E quel cellulare, non era suo.

    «Scommetto che è Rochelle.» disse Rosso, «Forse non è così facile prenderla per il culo.» abbozzò un sorriso, «Ora che farai?»

    «Numero sconosciuto.» mormorò la donna, osservando lo schermo, «Chi sarà?»

    «Beh, se ho fortuna saranno gli assistenti sociali, o magari qualcuno che può cacciarti dall’albo dei medici.» le rispose Rosso, «Pazza fallita che non sei altro.»

    «Sei un cretino.» ribatté Assuntina a denti stretti, poi finalmente decise di rispondere al cellulare, «Buonasera.» disse, trasformando la sua voce in un suono gentile e grazioso, «Con chi parlo?» di colpo s’irrigidì.

    «Chi cazzo è?» le chiese Rosso.

    Assuntina iniziò a sudare. Ferma e immobile, iniziò a battere gli occhi in modo decisamente poco naturale.

    «Chi è?»

    «Certo che andrà alla festa.» disse sua sorella, parlando come un vecchio robot scassato, «Deve svegliarsi, certo.» chiuse la chiamata e passò il cellulare a suo fratello, «Chiama Rochelle, così verrà a prenderti.» disse, continuando a usare lo stesso tono inquietante di prima, «La chiave della tua stanza è dentro la corona della Madonna, nel salotto.»

    Rosario le strappò il cellulare dalle mani, e senza perdere altro tempo corse in salotto a cercare la chiave della sua stanza.

    Raggiunse l’altarino della Madonna del Carmelo, posizionato tra una libreria e il divano, e senza neanche controllare infilò la mano dentro la corona che la statua portava sulla testa. Prese la chiave e lanciando un’occhiataccia ai suoi genitori che dormivano sul divano, tornò indietro diretto verso la sua camera.

    «Scusa se ti disturbo, ma ho avuto un contrattempo… Vengo alla festa.» disse, senza dar tempo alla sua ragazza di fare domande, «Siete già partite?»

    «No, e arriveremo un po' in ritardo perché ho perso un orecchino… mio padre si è dimenticato di cambiare la lampadina sul portico.» rispose la ragazza, «Ma ho già avvisato Elisa. Dammi cinque minuti e arrivo.»

    Rosario tirò un respiro di sollievo, «Cinque minuti mi bastano per vestirmi. A dopo.» riattaccò e si diresse in camera sua.

    Entrò nella sua stanza e spalancò le ante dell’armadio: aveva più o meno sette minuti per vestirsi in modo decente. Prese una camicia rossa e dei pantaloni neri.

    Si vestì in fretta e si diresse in bagno per darsi un’occhiata generale: i suoi capelli castano scuro – che avevano dei riflessi rossi particolarmente vividi a causa delle luce proprio sopra la sua testa – dovevano essere pettinati.

    Dopo essersi pettinato, finendo per avere la solita riga al centro della testa, il ragazzo di diciassette anni tornò in camera sua per darsi qualche spruzzata di profumo e prendere il regalo.

    Prima di uscire, fu tentato di portare con sé le chiavi di casa. Ci pensò giusto per un paio di secondi, e decise che sarebbe stato meglio lasciarle lì dov’erano. I suoi genitori si sarebbero incazzati come delle belve… probabilmente avrebbe passato la notte a litigare con loro. Sospirò, e uscì di casa, consapevole che uno, avrebbe passato la notte a casa di Ilario; due, probabilmente avrebbe avuto un mal di testa e un mal d’anima cronico per i prossimi trenta giorni.

    Raggiunse la strada per aspettare Rochelle e sua madre. Pensò a ciò che era successo un quarto d’ora prima: perché sua sorella si era comportata in quel modo? Chi era al cellulare?

    L’auto sportiva grigio topo apparve e si fermò proprio davanti ai suoi piedi. Rosso aprì lo sportello posteriore ed entrò, salutando allegramente Rochelle e Giuliana, fingendo che tutto fosse okay. Ma niente era okay, e lo sapeva bene.

    Giunti presso l’agriturismo a due kilometri da Passasperanza, alle porte di Misteria, i due ragazzi scesero dall’auto e si diressero verso l’ingresso del locale che era di proprietà della loro professoressa di agronomia.

    «Tua sorella ha cambiato idea?» gli chiese Rochelle.

    «Che c’entra mia sorella?»

    «Hai detto d’aver avuto un contrattempo, ma il messaggio che ho ricevuto diceva che stavi male.» rispose Rochelle, tradendo una vena di rabbia, «Mi ha presa per stupida?» simulò una risatina, anche se era evidente che l’accaduto l’avesse messa di cattivo umore, «Beh, alla fine ha cambiato idea. Per fortuna.»

    «Sì.» tagliò corto Rosso, anche se fu tentato di raccontare alla sua ragazza tutto l’episodio completo.

    «Ehi.» Rochelle si fermò e lo afferrò per il braccio, «Cos’è successo?»

    «Non è successo niente di nuovo.» le rispose Rosario, «Solite storie.»

    Rochelle lo guardò dritto negli occhi, nei suoi bei occhi verdi, «Hai qualcosa.» gli disse, «Mi stai nascondendo qualcosa, e non dire di no.»

    «No… perché me lo chiedi?»

    «Non ci vediamo da sei giorni.» Rochelle alzò la voce un po' più di quanto avrebbe voluto, «E l’ultima volta che ci siamo visti, avevi una faccia strana.» gli strinse la mano, «Che hai?»

    Rosario abbassò lo sguardo, poi lo rialzò e sorrise, «Stai benissimo vestita così.»

    «Adesso hai la vista a raggi X? Riesci a vedere sotto la giacca?» replicò la ragazza, «Non prendermi per il culo, Rosso, c’è qualcosa che non va.» i suoi occhi neri divennero tristi, «Stai male, e si vede.»

    «Senti, sto male da tanto tempo e fin quando non avrò messo cento kilometri di distanza tra me e i miei parenti continuerò a star male.» cercò di non sembrare troppo seccato, ma non ci riuscì, «Stavo male anche quando ci siamo messi insieme. Se sto male, non è per colpa tua.»

    Rochelle sospirò, «Okay… per favore, non farti venire in mentre strane idee.»

    Tipo il suicidio? Già fatto. E non mi è venuto bene neanche quello. pensò Rosario, nascondendo la sua tristezza e la sua rabbia dietro un sorriso tranquillo e gentile, «Siamo al quarto anno. E l’anno prossimo potrò andarmene… starò bene. Staremo bene, Rochelle.»

    «Devo crederti?» replicò la ragazza, studiandolo un po'.

    «Dovresti.» le rispose Rosso, «Ormai sono qui, e per qualche ora posso far finta di avere una vita felice. I miei problemi li ho

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