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Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti
Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti
Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti
E-book172 pagine2 ore

Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti

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Info su questo ebook

«È un peccato che la parte migliore della nostra vita venga all’inizio e la peggiore alla fine». È stata questa frase di Mark Twain a dare a Francis Scott Fitzgerald l’ispirazione per Il curioso caso di Benjamin Button. Resa celebre dall’omonimo film con Brad Pitt, quella di Benjamin è un’esistenza al contrario: nasce con l’aspetto di un uomo anziano e ringiovanisce con il passare degli anni. Una trovata divertente, che il genio dell’autore trasforma in occasione per riflettere su ciò che consideriamo lineare e ordinario. Scambiati, reinventati e sovrapposti, gli estremi dell’infanzia e della senilità si toccano fino a combaciare, mostrandoci un personaggio che – come forse tutti – vive al suo meglio nel tumulto del tempo di mezzo. Lo accompagnano in questo volume altre tre “Fantasie” tratte dai Racconti dell’età del jazz: Il diamante grosso come l’hotel Ritz, Tarquinio di Cheapside e La strega rossiccia, tasselli di un’epoca in cui il lusso e la ricchezza accendevano illusioni e desideri – quegli anni Venti di cui Fitzgerald è il cantore indiscusso.
Francis Scott Fitzgerald
nacque a St. Paul, Minnesota, nel 1896. Iniziò a scrivere giovanissimo, fin dai tempi della scuola. Pubblicò il suo primo romanzo nel 1920. Seguirono alcune raccolte di racconti e infine Il grande Gatsby (1925), che basterebbe da solo ad assicurare allo scrittore un posto di rilievo nella narrativa americana. Dopo avere goduto di uno straordinario successo, morì quasi dimenticato a Hollywood nel 1940. Di Fitzgerald la Newton Compton ha pubblicato Il grande Gatsby, Belli e dannati, Racconti dell’età del jazz, Tenera è la notte e il volume unico I grandi romanzi e i racconti.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2024
ISBN9788822787545
Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti
Autore

Francis Scott Fitzgerald

Francis Scott Fitzgerald (Saint Paul, 1896-Hollywood, 1940) es considerado uno de los más importantes escritores estadounidenses del siglo XX y el portavoz de la generación perdida. El gran Gatsby se publicó por primera vez en 1925 y fue inmediatamente celebrada como una obra maestra por autores como T. S. Eliot, Gertrude Stein o Edith Wharton.

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    Il curioso caso di Benjamin Button e altri racconti - Francis Scott Fitzgerald

    Il curioso caso di Benjamin Button

    Questo racconto è stato ispirato da un’osservazione di Mark Twain, cioè che è un peccato che la parte migliore della nostra vita venga all’inizio e la peggiore alla fine. Tentando un esperimento su un uomo inserito in un mondo normale, ho dato alla sua idea una piccolissima possibilità di avere un giudizio equo. Parecchie settimane dopo averlo finito, ho scoperto una trama quasi identica negli appunti di Samuel Butler.

    Il racconto è stato pubblicato su «Collier’s» l’estate scorsa e ha provocato questa sconcertante lettera da un anonimo ammiratore di Cincinnati:

    «Signore,

    ho letto la storia di Benjamin Button su Collier’s e vorrei dirle che come scrittore di racconti è un bel matto. In vita mia ho conosciuto tanti asini ma di tutti quelli che ho conosciuto lei è il più asino di tutti. Odio buttar via un pezzo di carta per lei ma lo farò».

    I

    Fino al 1860 la cosa giusta era nascere in casa. Oggigiorno, così mi dicono, i grandi luminari della medicina hanno decretato che il primo vagito di un neonato debba essere emesso nell’aria asettica di un ospedale, preferibilmente alla moda. Così i giovani coniugi Roger Button prevennero i tempi di almeno cinquant’anni quando decisero, un giorno d’estate del 1860, che il loro primo figlio sarebbe nato in ospedale. Che questo anacronismo abbia avuto un qualche peso sulla stupefacente storia che sto per raccontare, non si saprà mai.

    Vi racconterò cosa è successo e voi giudicherete.

    I Button avevano una posizione invidiabile, sia sociale che economica, nella Baltimora d’anteguerra. Erano imparentati con Questa e Quella Famiglia, che, come ogni sudista sapeva, dava loro il diritto di appartenere a quell’enorme nobiltà che popolava numerosa la Confederazione. Era la loro prima esperienza con l’affascinante e antica abitudine di avere figli – il signor Button era ovviamente nervoso. Sperava che fosse un maschio per poterlo mandare a Yale nel Connecticut, dove lui stesso era stato conosciuto per quattro anni con il in qualche modo ovvio soprannome di Sberla.

    La mattina di settembre consacrata al portentoso evento, si alzò nervosamente alle sei e si vestì, si annodò una cravatta impeccabile, e s’affrettò lungo le strade di Baltimora verso l’ospedale, per scoprire se l’oscurità della notte avesse portato nuova vita al suo seno.

    Era quasi a un centinaio di metri dalla clinica privata Maryland, che ospitava pazienti d’ambo i sessi, quando vide il dottor Keene, il medico di famiglia, scendere dalle scale dell’ingresso, sfregandosi le mani come per lavarle, come tutti i dottori sono tenuti a fare dall’etica non scritta della loro professione.

    Il signor Roger Button, il presidente della Roger Button & Co., Ferramenta all’Ingrosso, cominciò a correre verso il dottor Keene con molta meno dignità di quanto ci si aspettasse da un gentiluomo del Sud di quel pittoresco periodo. «Dottor Keene!», gridò. «Oh, dottor Keene!».

    Il dottore lo sentì, si voltò e si fermò per aspettarlo, con una curiosa espressione sul severo viso da dottore mentre il signor Button si avvicinava.

    «Cosa è successo?», chiese il signor Button, salendo di corsa le scale e arrivando col fiatone. «Com’è andata? Come sta mia moglie? È maschio? Cos’è? Cosa…».

    «Si calmi!», disse brusco il dottore. Sembrava irritato.

    «Il bambino è nato?», chiese con tono implorante il signor Button.

    Il dottore si accigliò. «Be’, sì, credo di sì… in un certo qual modo». Lanciò di nuovo una strana occhiata al signor Button.

    «Mia moglie sta bene?»

    «Sì».

    «È un maschio o una femmina?»

    «Ascolti!», sbottò il dottore esasperato. «Vada a vedere da sé. Incredibile!».

    Pronunciò seccamente questa parola come una sillaba sola e poi si voltò borbottando: «Crede che un caso simile aiuti la mia reputazione professionale? Un altro e sono rovinato… saremo tutti rovinati».

    «Che succede?», chiese il signor Button terrorizzato. «Un trigemino?»

    «No, che trigemino!», rispose tagliente il dottore. «Può andare a vedere coi suoi occhi. E trovarsi un altro dottore. L’ho fatta nascere io, giovanotto, e sono stato il medico della sua famiglia per quarant’anni ma adesso basta. Non voglio più vedere né lei né uno dei suoi parenti! Addio!».

    Poi si voltò bruscamente, e senza un’altra parola salì sulla sua carrozza, parcheggiato accanto al marciapiede, e se ne andò rapidamente.

    Il signor Button restò immobile sul marciapiede, stordito e tremante dalla testa ai piedi. Che orribile disgrazia era accaduta? Aveva d’un tratto perso ogni voglia di entrare nella clinica privata Maryland che ospitava ambo i sessi. Fu con uno sforzo enorme, qualche minuto più tardi, che riuscì a salire le scale e a entrare.

    Un’infermiera era seduta dietro una scrivania nella penombra opaca del vestibolo. Vincendo la vergogna, il signor Button si avvicinò.

    «Buongiorno», fece lei, con uno sguardo cordiale.

    «Buongiorno. Io… io sono il signor Button».

    A queste parole il suo viso assunse un’espressione di terrore massimo. Balzò in piedi e sembrò volere volare giù per il corridoio, trattenendosi dal farlo solo con enorme difficoltà.

    «Voglio vedere il mio bambino», disse il signor Button.

    L’infermiera lanciò un gridolino. «Oh… certo!», esclamò istericamente. «Di sopra! Di sopra. Vada… su!».

    Indicò la direzione e il signor Button, coi sudori freddi, si voltò esitante, e cominciò a salire al secondo piano. Nel vestibolo si rivolse a un’altra infermiera che gli si avvicinò, con una bacinella in mano. «Sono il signor Button», riuscì ad articolare. «Voglio vedere mio…».

    Clang! La bacinella sbatté a terra e rotolò in direzione delle scale. Clang! Clang! Cominciò una metodica discesa come se partecipasse al terrore che quel gentiluomo provocava.

    «Voglio vedere mio figlio!». Il signor Button quasi strillò. Era sul punto di collassare.

    Clang! La bacinella raggiunse il primo piano. L’infermiera riprese il controllo e lanciò al signor Button un’occhiata di profondo disprezzo.

    «Va bene, signor Button», convenne sottovoce. «Molto bene! Ma se sapesse in che condizioni ci ha ridotte questa mattina! È davvero oltraggioso! L’ospedale non avrà più uno straccio di reputazione dopo…».

    «Si sbrighi!», gridò con voce roca. «Non ce la faccio più!».

    «Per di qua, signor Button».

    Si trascinò dietro di lei. Alla fine di un lungo corridoio raggiunsero una stanza dalla quale proveniva una gran varietà di urla – a dire il vero, una stanza che, in seguito, sarebbe stata chiamata la stanza del pianto. Entrarono.

    «Be’», ansimò il signor Button, «qual è il mio?»

    «Là!», disse l’infermiera.

    Gli occhi del signor Button seguirono il dito puntato, e questo fu ciò che vide. Avvolto in una voluminosa coperta bianca, e parzialmente infilato in una culla, sedeva un vecchio di circa settant’anni. I suoi capelli radi erano quasi bianchi, e dal mento gli pendeva una lunga barba color fumo, che oscillava assurdamente per la brezza che soffiava dalla finestra. Alzò uno sguardo triste verso il signor Button, occhi acquosi in cui albergava una domanda sbalordita.

    «Sto impazzendo?», tuonò il signor Button, mentre il terrore si tramutava in rabbia. «Cos’è, uno scherzo di pessimo gusto della clinica?»

    «A noi non sembra uno scherzo», replicò con severità l’infermiera. «E non so se lei sia pazzo o no… ma di certo quello è suo figlio».

    I sudori freddi raddoppiarono sulla fronte del signor Button. Chiuse gli occhi e poi, riaprendoli, guardò di nuovo. Non era un errore: stava guardando un uomo di almeno settant’anni, un neonato di settant’anni, un neonato i cui piedi penzolavano a lato della culla in cui riposava.

    Il vecchio guardò placidamente prima l’uno poi l’altra, e poi d’un tratto parlò con la voce catarrosa di un vecchio. «Sei mio padre?», chiese.

    Il signor Button e l’infermiera sussultarono.

    «Perché se lo sei», continuò il vecchio, querulo, «vorrei andarmene da qui… o, almeno, farmi mettere in una culla comoda».

    «Da dove vieni in nome di Dio? Chi sei?», sbottò il signor Button esasperato.

    «Non te lo so dire di preciso chi sono», replicò con lamentosa voce querula, «perché sono nato solo da qualche ora… ma di cognome faccio Button, per certo».

    «Bugiardo! Impostore!».

    Il vecchio si voltò stancamente verso l’infermiera. «Bel modo di dare il benvenuto a un figlio appena nato», si lamentò con voce debole. «Gli dica che si sbaglia, le spiace?»

    «Lei si sbaglia, signor Button», disse l’infermiera in tono severo. «Questo è suo figlio, e deve accettare il fatto. Le dobbiamo chiedere di portarlo a casa il più presto possibile oggi stesso».

    «A casa?», ripeté il signor Button incredulo.

    «Sì, non possiamo tenerlo qui. Non possiamo davvero, capisce?»

    «Sono molto contento», disse con tono piagnucoloso il vecchio. «Questo è davvero un bel posto per tenerci un ragazzino tranquillo. Con tutti questi strilli e pianti, non ho chiuso occhio, ho chiesto qualcosa da mangiare…», qui la sua voce diventò quasi una stridula protesta, «e mi hanno portato un biberon di latte!».

    Il signor Button, s’accasciò su una sedia e si nascose il viso fra le mani. «Santo Dio!», mormorò, in preda all’orrore. «Che dirà la gente? Cosa devo fare?»

    «Lo deve portare a casa», insisté l’infermiera, «subito!». Un’immagine grottesca si materializzò con spaventosa chiarezza davanti agli occhi dell’uomo tormentato, l’immagine di se stesso che camminava per le strade affollate con la sua spettrale e persecutoria apparizione al fianco.

    «Non posso, non posso», ripeté.

    La gente l’avrebbe fermato per parlare con lui, e cosa avrebbe detto? Avrebbe dovuto presentare quel… quel settantenne: «Lui è mio figlio, nato questa mattina presto». E poi il vecchio si sarebbe avvolto nella coperta e avrebbero continuato, superato i negozi rumorosi, il mercato degli schiavi – per un oscuro istante il signor Button desiderò con tutto se stesso che suo figlio fosse nero – superate le lussuose case del quartiere residenziale, superata la casa per anziani…

    «Andiamo! Si riprenda», ordinò l’infermiera.

    «Sentite», annunciò d’un tratto il vecchio, «se pensate che vada a casa in questa coperta, vi sbagliate di grosso».

    «I neonati hanno sempre le coperte».

    Con una risatina maliziosa il vecchio sollevò un piccolo indumento bianco. «Guarda qui!», disse con voce tremula. «Questo è quello che hanno preparato per me».

    «I neonati ce l’hanno sempre quelle», rispose freddamente l’infermiera.

    «Be’», disse il vecchio, «questo neonato tra due minuti si toglie tutta questa roba. Questa coperta prude. Facevano meglio a darmi una pecora».

    «Tienila addosso! Tienila addosso!», s’affrettò a dire il signor Button. Si voltò verso l’infermiera. «Cosa faccio?»

    «Vada a comprargli dei vestiti».

    La voce del figlio del signor Button lo seguì giù nel corridoio: «E un bastone, papà. Voglio un bastone».

    Il signor Button sbatté la porta furibondo.

    II

    «Buongiorno», disse nervosamente il signor Button al commesso delle Mercerie Chesapeake. «Vorrei dei vestiti per mio figlio».

    «Quanti anni ha, signore?»

    «Circa sei ore», rispose il signor Button, senza riflettere.

    «Il reparto neonati è sul retro».

    «Be’, non credo… non sono sicuro che sia quello che voglio. È… è un bambino di dimensioni insolitamente grandi. Eccezionalmente… grandi».

    «Abbiamo tutte le taglie, anche le più grandi».

    «Dov’è il reparto per ragazzi?», chiese il signor Button, cambiando disperatamente discorso. Era sicuro che il commesso avesse già subodorato il suo vergognoso segreto.

    «Proprio qui».

    «Bene…». Esitò. Il pensiero di vestire suo figlio con dei vestiti da uomo lo ripugnava. Se solo, diciamo, avesse potuto trovare un vestito per ragazzi molto grande, gli avrebbe potuto tagliare quella barba lunga e orribile, tingergli i capelli di castano, e riuscire così a nascondere il peggio, e mantenere un poco di rispetto per se stesso – per non parlare della sua posizione a Baltimora.

    Ma la frenetica ispezione al reparto ragazzi fu inutile, niente vestiti adatti al Button neonato. Diede la colpa al negozio, ovviamente – in casi come questi bisogna prendersela con il negozio.

    «Quanto ha suo figlio, ha detto?», chiese il commesso incuriosito.

    «Sedici».

    «Oh, mi scusi avevo capito sei ore. Il reparto per adolescenti è nell’altra ala».

    Il signor Button si allontanò con aria infelice. Poi si fermò, s’illuminò, e indicando con un

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