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Zamora
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E-book133 pagine1 ora

Zamora

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Info su questo ebook

In occasione dell’uscita del film diretto e interpretato da Neri Marcorè, lo splendido romanzo del compianto Roberto Perrone torna a commuoverci e a farci sorridere con un’insolita e meravigliosa amicizia, capace di rimescolare le carte e cambiare per sempre la vita di due strani, indimenticabili eroi.

Walter Vismara ha trentasei anni e fa il ragioniere in una piccola fabbrica tessile di Milano. La sua è un’esistenza tranquilla, fatta di piccoli gesti ripetuti: ogni giorno dietro a una scrivania per far quadrare i conti e la domenica un cinema o un teatro con la sorella Elvira. Quando viene licenziato, però, quell’intimo universo di abitudini consolidate inizia a scricchiolare. La nuova azienda di guarnizioni presso cui trova lavoro è dinamica e moderna, ma il capo, il cavalier Tosetto, ha una vera e propria ossessione per il football, o meglio, per il fòlber, come dice lui. Ogni giovedì, sottopone i dipendenti a estenuanti allenamenti in vista dell’incontro dell’anno, la partita “scapoli-ammogliati” allo stadio Breda di Sesto.

Vismara odia il calcio, non sa niente di questo sport, e finisce sempre per fare il portiere. Così, i colleghi iniziano a canzonarlo chiamandolo “Zamora”, come il leggendario giocatore del Real Madrid, che lui, naturalmente, non ha mai sentito nominare. Tutte le settimane, il ragioniere neoassunto scende in campo per sottoporsi a quella pubblica umiliazione, ma è presto stanco delle battutine dei compagni e decide di seguire il consiglio della sorella: prendere “ripetizioni” da Giorgio Cavazzoni, ex portiere del Milan che ha dilapidato i guadagni di una brillante carriera in donne e alcol, ma che è forse l’unico in grado di aiutarlo. 

"Nella sua vita fatta di abitudini consolidate, di piccoli gesti ripetuti in continuazione, Walter non si sentiva affatto solo. Viveva bene, con sua sorella Elvira nella grande casa lasciata in eredità dai genitori, pace all’anima loro, mancati da qualche anno. Non era un uomo brutto, anche se non si considerava interessante, non era ignorante, anche se non particolarmente colto. Era un ragioniere milanese di trentasei anni, abbastanza giovane da pensare di poter ancora mettere su una famiglia, ma non certo di immaginare una, seppur breve, carriera calcistica."

LinguaItaliano
Data di uscita29 mar 2024
ISBN9788830593725
Zamora

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    Anteprima del libro

    Zamora - Roberto Perrone

    Roberto Perrone – Zamora – HarperCollins ItaliaCopertina: Da questo romanzo e' stato tratto il film di Neri Marcore' - Roberto Perrone - Zamora - HarperCollins

    © 2024 Roberto Perrone

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti

    o persone della vita reale è puramente casuale.

    In copertina: Neri Marcorè, foto © Fabrizio De Blasio

    © 2024 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

    eBook ISBN: 978-88-305-9372-5

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall'editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l'alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell'editore e dell'autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell'editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l'opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    PRIMA PARTE

    1

    «Tel chi el Zamora

    Per molti anni, quando si appoggiava al bancone di un bar o afferrava il corrimano di un tram, nel tono della voce di un avventore che ordinava un caffè o nella raucedine invernale di uno sconosciuto compagno di viaggio gli sembrava di riconoscere la voce dell’ingegner Gusperti e si preparava a subire le sue battute, o, resosi conto che non era (non poteva essere) lui, ritornava, con una pena profonda nei confronti di se stesso, all’umiliazione di un tempo. È strano come il disagio e la vergogna siano più radicati, come erba grama, nella memoria, delle piccole grandi vittorie strappate alla vita. Il ragionier Walter Vismara il suo momento di gloria l’aveva avuto, eccome, superiore e vendicativo nei confronti delle ingiurie, ma di quella storia gli restava un fondo d’amaro, come una pena lieve, eppure presente.

    E non la raccontava mai, anche se, alla fine, poteva apparire, a eventuali ascoltatori, come un trionfo. Non la raccontava agli altri, ma la raccontava a se stesso, perché, anche dopo anni, gli sembrava assurdo che uomini adulti potessero sconvolgere le proprie esistenze dietro un pallone.

    Tutto cominciò quando il suo primo datore di lavoro, un piccolo industriale tessile con fabbrica a Biella, ma con sede amministrativa dell’azienda a Milano, gli chiese di andare nel suo ufficio «che ci ho da parlarci.»

    Era un brav’uomo. Quasi settantenne, non aveva figli. Era il suo grande cruccio. Walter, a volte, si sentiva adottato, con vantaggi e svantaggi della situazione.

    «Caro Walter, venga, entri.»

    Stava in piedi, davanti alla finestra chiusa su una rigida giornata dell’autunno milanese del ’63, e guardava fuori. Walter intuì subito che c’era qualcosa che non andava: quell’aria assente, quel sorriso mesto non appartenevano all’uomo energico che conosceva. Temette per se stesso, temeva sempre, temere era una fede. Si interrogò sui possibili errori, sulle possibili conseguenze di quei presunti errori.

    Stava già correndo ai ripari, quando l’altro gli disse, secco, com’era sua abitudine:

    «Vendo, anzi ho già venduto. Ora che ci penso mi viene il magone, ma cosa faccio, con mia moglie, senza eredi, senza parenti in grado di subentrare? Nulla, finisco qui. Lascio e me ne vado a Sanremo, in villa, a fare il pensionato. Coi dané, pensionato di lusso, ma pensionato».

    Lo disse d’un fiato all’esterrefatto Walter, senza mai guardarlo, ma seguendo con gli occhi lo sviluppo dei rami di un ippocastano nel viale. In fretta, col magone evocato poco prima che s’ingigantiva, come se rallentando il garbuglio dei pensieri potesse cambiare idea.

    E, ancora d’un fiato, prima che Walter potesse replicare, continuò:

    «Per gli altri non mi interessa, non ci ho affetto. Ma a lei non potevo lasciarla su una strada, lei mi piace, piace a tutti. È serio, riservato, bravo nel suo lavoro. Così ho pensato a tutto io, ho chiamato il Tosetto, quello delle guarnizioni, una fabbrica grossa. Lo conosce? No? Sta a Pero. Certo non è una sede comoda come questa, ma lei ha la macchina. Sapevo che aveva bisogno di un responsabile dell’ufficio contabile. Dovrà alzarsi prima al mattino, ma ci guadagnerà. Domani la riceve».

    Walter lavorava lì da cinque anni e si era messo in testa che ci avrebbe passato la vita. Cambiare non gli piaceva, viveva con la sorella nella casa dov’era nato, dormiva nella stanza e nel letto dov’era venuto al mondo. I suoi punti cardinali erano lì, in un quadrilatero ristretto. Via Vitruvio, corso Garibaldi, il Duomo, piazza Cinque giornate.

    Si trovò senza parole, in preda a un panico sordo, feroce, che lo sconquassava.

    L’altro continuava a parlare. Quando cominciava era praticamente impossibile fermarlo.

    «Aumento di stipendio, possibilità, gratifiche: è un’azienda importante. Tosetto l’aspetta alle nove, qui c’è l’indirizzo. Gli dica che potrà andare tra un mesetto, quando avremo sistemato le carte qua.»

    Lo prese sottobraccio e lo spinse verso la porta, come un accompagnatore con un cieco. Walter, infatti, non vedeva più niente, non capiva. Si trovò in corridoio.

    Le ultime parole del suo ex principale rincorrevano la sua paura del futuro. Non vi prestò attenzione.

    «È una brava persona, il Tosetto. Vedrà, si troverà bene, c’ha solo quella mania per il fòlber, ma basta dargli corda...»

    2

    «E ora veniamo alla domanda fondamentale per l’assunzione: per che squadra tiene?»

    Il football per il ragionier Walter Vismara era un pianeta sconosciuto, più inquietante del film di fantascienza che era andato a vedere con l’Elvira in una delle loro tradizionali domeniche: risotto giallo, arrosto, le paste di Marchesi, poi cinema o teatro.

    In quella storia c’era un’astronave che arrivava su un pianeta abitato solo da uno scienziato e da sua figlia. Un mostro misterioso si sbranava a poco a poco tutto l’equipaggio.

    Il pianeta proibito: quello era il titolo del film.

    Da bambino, all’oratorio, quando entrava il pallone, normalmente usciva lui. Una faccenda di cromosomi. Refrattario intimamente, non era solo una questione di piedi buoni. Con un po’ di pratica, volendo, avrebbe potuto conquistare quello che il Gigi, l’amico d’infanzia, definiva il livello minimo di sopravvivenza calcistica.

    Una persona straordinaria, il Gigi. Adesso faceva il professore di storia moderna all’università di Firenze: si sentivano spesso e si vedevano per le feste, quando l’amico tornava a Milano a trovare l’anziana madre.

    Ma a lui, il calcio, proprio non interessava. Dopo quegli incontri obbligati della fanciullezza, crescendo aveva evitato accuratamente qualsiasi altro contatto.

    Non che avesse elaborato un programma dettagliato, un piano di battaglia per sfuggire a ogni minimo coinvolgimento. Gli riusciva naturale trovarsi nella parte opposta di un luogo dove si giocava, discuteva, ascoltava, vedeva il calcio. E la gente, come se lo intuisse, non gli domandava mai nulla, né cercava di attirarlo su quel terreno per lui misterioso e sgradevole.

    Nella sua vita fatta di abitudini consolidate, di piccoli gesti ripetuti in continuazione, Walter non si sentiva affatto solo. Viveva bene, con sua sorella Elvira nella grande casa lasciata in eredità dai genitori, pace all’anima loro, mancati da qualche anno.

    Non era un uomo brutto, anche se non si considerava interessante, non era ignorante, anche se non particolarmente colto. Era un ragioniere milanese di trentasei anni, abbastanza giovane da pensare di poter ancora mettere su una famiglia, ma non certo da immaginare una, seppur breve, carriera calcistica.

    Quando, da dietro l’enorme scrivania in noce del Perù (gliel’aveva detto con un certo orgoglio), il commendator Tosetto si sporse per chiedergli di dichiarare il suo tifo, Walter restò imbambolato, a disagio nel bel vestito principe di Galles di Ghisleni acquistato per l’occasione.

    «Sa io di calcio non so tanto, vagamente dell’Inter...»

    Non sapeva neanche cosa fosse, l’Inter (a parte il fatto che era una delle due squadre di Milano e doveva sceglierne per forza una, perché se fosse dipeso dal ragionier Vismara le avrebbe scelte tutte e due per compiacere il prossimo), ma si era preconfezionato questa risposta qualche anno prima, per non apparire completamente fuori dal mondo, in altre parole per non fare la figura del fesso.

    Di queste risposte ne aveva una per ogni argomento, tra quelli che conosceva di meno.

    «Bravo,

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