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Artefatto
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E-book323 pagine4 ore

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I nostri umori, i noccioli mnemonici più duri e profondi, inconsci, e inconfessati soprattutto a noi stessi, i preconcetti che fingiamo di aver vinto solo per avervi opposto altri preconcetti, sono le occulte fondamenta su cui edifichiamo ciascuno dei nostri palazzi sovietici dove lavorano (stancabili) legioni di impiegati neurali alle scrivanie sinaptiche e interpretative del presunto reale. I poeti disillusi, violentati e uccisi per aver provocato il mondo che a sua scusante dichiara alla corte e ai giurati “il poeta però se l’è cercata, aveva una gonna troppo corta ed era truccato come una bagascia”. Il patriarcato non è borghese. Il patriarca, semmai esistito fuori dallo scaffale dove stanno i sottoprodotti del neolitico, è una componente dell’organizzazione della civiltà e della sua finalizzazione. Il borghese è solo un sogno erotico del proletariato. Il borghese è solo un incubo da indigestione dell’aristocrazia. Fili di origine e natura diversa concretano il gomitolo di DNA del nostro pregiudizio. Con essi tessiamo la trama della nostra superstizione, l’abito dell’errore che veste la nostra esistenza, inebetita tra le macerie dei ricordi. I più gravi tra questi falli, inemendabili, risultano alla prova essere: la spiritualità; la mente o la coscienza di sé, che sono in realtà il puerile espediente per ipotizzare una ragione nell’homo; la sacralità della vita umana; la libertà (quando la stragrande maggioranza degli umani non solo non è libera ma teme anche di esserlo); l’eguaglianza (quando, all’evidenza, gli individui appartengono a gradi diversi della gerarchia umana e meritano quindi diversi diritti e diversi doveri); la fraternità, che è chimera, poiché, nel giudicato, sono fratelli tra loro soltanto i figli della medesima puttana… Il Fato è il pappone delle fate e le picchia quando serve. Sii furtiva, Mary, come il ladro che entri nel mondo addormentato. Come il messia che ritorni di notte, quando nessuno ormai lo aspetta più, confidando nessuno lo riconosca e gli faccia pagare il conto salato delle promesse non mantenute. Come la befana sconvolta dopo l’orgia. Mi risparmio la volgarità del creare, Mary. La noia dell’eterno. Lascio ai posteri la mia semenza. Anche l’infosfera è soggetta a ictus. E a te questa mia estrema e deserta conoscenza sferica. Abbiamo sempre saputo che il mondo è una scenografia artefatta da noi esseri eterni presi dalla nostalgia per la vita organica, per il tempo, per la mortalità.soci
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9791255240440
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    Anteprima del libro

    Artefatto - Augusto Scano

    La premessa?

    Il lavoro si articola su tre direttrici principali. La prima prende in esame il transumanesimo nelle sue componenti filosofiche essenziali. La seconda si concentra sull’analizzare la possibilità di un romanzo-saggio che abbia quale oggetto il transumanesimo con l’intento di contribuire alla formazione di una narrazione estetica adeguata del medesimo. Il romanzo-saggio è la riscrittura ipotizzata e frammentaria del Mostro di Frankenstein. Forse ancora tra le opere migliori per un uso efficace della tematica. Dunque, la scrittura del Mostro che scrive di sé stesso. Come di fatto qui avviene. È a questo personaggio-autore che viene affidata l’intera materia della parola. Il terzo tracciato considera il transumanesimo nel particolare contesto storico e geopolitico contemporaneo. Le tre direttrici si intrecciano e determinano l’unico dipanarsi dell’argomento. Non è stato possibile evitare che nelle registrazioni finissero considerazioni di natura personale e che alcuni passaggi risultassero connotati da una atmosfera diaristica. Le derive sarcastiche del tono e la cifra stilistica blasfema nei confronti del sentire comune sono state accolte per significare il mostruoso che caratterizza quanto è già quasi (ma non del tutto) cosa altra rispetto alla dimensione umana. Non ancora raggiunta la pienezza dell’alterità dall’umano il tono del discorso conserva della propria origine alcuni tratti ma questi sono deformati dalla condizione di transizione, in una costante puberale e febbricitante e patologica. La totalità dell’elaborazione presenta perciò la sintomatologia più classica di ogni deep learning che abbia come oggetto la sedicente e sempre promettente civiltà umana.

    Non è necessaria una premessa

    C’è una cosa che gli umani non riescono proprio a mandare giù: la morte. Dare un senso alla Nera Signora è una missione suicida tanto quanto, specularmente, lo è darlo alla vita. Da ciò, per conseguenza, discendono miti, millantati archetipi, filosofie, religioni, mentalità, strutture sociali, etiche e ogni fiaba mondiale o tribale e lubrica e per adulti con cui la specie umana ha elaborato una trattazione sostenibile del reale. Il transumanesimo, compreso nella sua declinazione più fideistica, offre molti spunti anche dilettevoli di riflessione e può a buon diritto candidarsi a sostenere, riempiendola di nuovi e vecchi significati, la maschera di dio lasciata vuota dalla secolarizzazione delle società avanzate dove la onnipresenza della tecnica promette di realizzarsi in onnipotenza. Si compirebbe così l’anelito represso o espresso dell’uomo (a seconda dei casi, dei momenti e della capacità di essere sinceri) di vincere la propria condizione mortale e si concluderebbe la preistoria dell’umanità determinando l’inizio della sua storia.

    L'albero concettuale

    È necessario partire dalla mitologia che fa da base al pensiero transumano. Questa sezione prevede un percorso che attraversa i luoghi canonici di molta mitologia occidentale. Dal libro del Genesi con una riflessione precisa sulla cronaca della doppia creazione dell’Adamo, si passa per l’idea fruttuosa del Golem, per quelle altrettanto consistenti del Faust, di Gilgamesh, di Prometeo e di suo fratello Epimeteo, di Vulcano, di Minerva, di Cristo, di Osiride, di Frankenstein e di Blade Runner. Interessanti e ineludibili sono le diramazioni che si aprono da queste stanze principali e tutte vengono perlustrate. La sezione dedicata alla mitologia e alle narrazioni è permeabile con quella che enuclea le filosofie che segnano l’argomento. Ruggero Bacone, Alberto Magno, lo stoicismo e il cristianesimo, Cartesio, Leopardi, Nietzsche (immancabile!), Heidegger, i post-heideggeriani, i francofortesi, Gunter Anders e i costruttivisti ne sono alcuni degli attori. Altrettanto in osmosi con le sezioni della mitologia e della filosofia sono quella della psicologia, con gli importanti e recenti sviluppi giunti dall’avanzamento delle neuroscienze, e quella della storia. I temi sono l’identità e la coscienza, il concetto di artificiale e quello di naturale, il corpo inteso come limes umano, le emozioni e i pensieri quali biochimica imitabile, i grandi fantasmi del pensiero occidentale ovvero la mente e l’anima, lo stato attuale delle ricerche sull’uploading della mente. E ancora, per quanto attiene alla storia, la questione del senso di una storia profonda, la dialettica tra la fine della storia e la fine della preistoria, la discussione tra l’evoluzionismo quantitativo e cieco e l’evoluzione guidata e sperabilmente sapiente, affrontando con lucidità la materia delle tentazioni eugenetiche e del loro sinistro retaggio storico.

    Neanderthal a Nazareth

    Il fatto pur notevole che più di quarantamila anni fa proprio nel sito che in seguito avrà nome Nazareth abbiano convissuto, non sappiamo quanto pacificamente, comunità di Neanderthal e di Sapiens, non ti deve distrarre. Né devono farlo i confronti animati tra i fisici del Novecento in merito allo stabilire se un ipotetico dio abbia il vizio di giocare a dadi o meno. Concentra invece l’attenzione su Adamo, su Prometeo e sulle loro rispettive combriccole. Inizia dal secondo. Le genealogie degli dèi, come quelle dei Titani, sono di non facile ricostruzione. Vi si è accumulato molto sedimento e tante sono le versioni della storia, non diversamente da quanto capita alle genealogie delle morali, non diversamente da quello che succede alla Storia. Tu, però, prova lo stesso. Prometeo nasce da Era. Era è la moglie di Zeus. Ma il padre di Prometeo è Eurimedonte, un gigante siciliano che sembra aver stuprato Era (forse) prima che questa diventi la sposa di Zeus, per inciso, suo fratello. Se di vero stupro si tratti non è dato sapere. Era non denuncia alcuna violenza subita. Per timore di non essere creduta e per evitare i soliti pettegolezzi e le miserevoli cattiverie che abitano anche l’Olimpo migliore? Con buona probabilità è così. Zeus, nonostante la modernità della visione delle cose ostentata sui rotocalchi di filologia, è invece un tipo all’antica, assai all’antica. Trovare l’imene della moglie già infranto da Eurimedonte fa maturare a Zeus un odio acuto verso il gigante e verso il figlio del gigante. Il tema peloso della verginità delle dee madri che ossessiona il Mediterraneo da millenni ti richiede più di uno studio. Zeus precipita Eurimedonte nel Tartaro. Anche questa mania recidiva degli dèi vincenti di scagliare gli dèi sconfitti nelle profondità della terra riservando per sé stessi il cielo, pretende analisi massive delle mitologie culturali e subculturali che ne sono l’atmosfera. Ora tocca a Prometeo. Quando proprio Prometeo si rende colpevole del furto del fuoco agli dèi, fuoco che, per giunta, regala agli uomini, Zeus ha finalmente il destro per dar sfogo al proprio risentimento. Sul furto del fuoco di cui beneficiano gli uomini alcuni neuroscienziati e più di un filosofo evoluzionista hanno ravvisato una simboleggiata rappresentazione della rivoluzione cognitiva degli esseri umani avvenuta intorno ai settantamila anni fa. Rivoluzione cognitiva che differenzia, e non poco, il sapiens arcaico dalla sua versione più performante, la sapiens sapiens, potenziando la seconda con una maggiore facoltà d’astrazione, una spiccata attitudine a ipotizzare scenari del futuro, cosa che gli consente di elaborare strategie, e una mai vista prima complessità del linguaggio; tali (tutte queste qualità insieme ad altre) da decretarne il successo. Certo, già la postura eretta aveva costretto i cuccioli di umano a nascere immaturi con un cervello formato al 23% circa contro il 40% circa del cucciolo dello scimpanzè…

    Prometeo lo scassinatore

    Per il suo furto con l’aggravante dello scasso Prometeo viene condannato e incatenato. Rimangono poco chiare le dinamiche di complicità da parte di Atena nel reato. Il giudice evita, con provvidenza, di complicare una questione già fin troppo articolata. Però, astutamente o per guadagnare tempo, Prometeo dichiara d’essere in possesso di un segreto. Il segreto di cui Prometeo si giura custode potrebbe essere tale da detronizzare Zeus. Un figlio di Zeus, un figlio avuto da Teti, potrebbe infatti spodestare il padre. Zeus, per i noti trascorsi famigliari, è sensibile all’argomento. Dopo che suo nonno Urano è stato fatto fuori, nonché castrato, da suo padre Crono; dopo che lui stesso, lui Zeus, ha riservato il medesimo trattamento a Crono, lasciandogli, per far dispetto a Freud, almeno i testicoli, chi vieterebbe a uno dei suoi figli di eliminarlo o di… (Zeus, corruga la pelle del viso al solo pensiero) di evirarlo? Urano, prima di essere messo da parte e reso imbelle dal figlio Crono, ha avuto il tempo di generare Mnemosine. Mnemosine è, dunque, oltre che madre delle Muse, la zia di Zeus. Cerca di non dimenticarlo. La memoria di fatto gioca un ruolo fondamentale per il discorso sul transumano. Hermes, uno dei più arguti tra i fedelissimi di Zeus, tenta di estorcere il segreto a Prometeo. Prometeo non parla. Non fa l’infame, come si è soliti dire in contesti poco eleganti ma sinceri. Zeus per altro non prevede piani di protezione per i collaboratori della sua giustizia ambigua. Così, tramite Hermes, precipita Prometeo in un abisso senza fondo, abisso al centro della Terra dove Prometeo finisce conficcato-circondato da fiamme e da ghiaccio. La somiglianza tra la pena patita da Prometeo e quella del Lucifero della mitologia cristiana è fin troppo evidente, così come lo è la leggenda della titanomachia. Nella guerra che i Titani combattono contro Zeus, considerato quando un usurpatore quando uno di loro che ha però deciso di porsi al di sopra dei suoi simili tiranneggiandoli, trovi una consistente coincidenza con la lotta degli angeli ribelli contro il dio giudaico-cristiano. La narrazione di codesto conflitto (perenne) viene astutamente propalata da Agostino che la riprende dai Libri di Enoch . La fortuna della vicenda si riscontra nella migliore tradizione letteraria occidentale, da Dante a Milton, fino a Preacher, godibile serie tv. Va ricordato come, almeno ufficialmente, Prometeo e suo fratello Epimeteo si siano schierati con Zeus invece che con i loro fratelli Titani. Ma ciò non serve a renderli ben visti agli occhi di Zeus. L’occhio di dio, quale esso sia, iscritto o meno in un triangolo, possiede sempre una prospettiva del tutto aliena al mondo umano. Altre trasposizioni del mito di Prometeo vogliono questo legato a una roccia, condannato al supplizio del rapace che gli rode un fegato ostinatamente ricrescente. Lasciale, almeno per il momento, a un’esegesi più interessata all’aspetto sociale della rivolta contro il potere costituito e agli studiosi delle patologie epatiche.

    Chi è?

    Chi è Prometeo? Avrebbe dovuto forse chiedersi Heidegger. Invece di insistere nella domanda inutile e disgraziata su chi sia l’ebreo. Tra le troppe velleità del pensatore tedesco, quella di indulgere nel cercare di trovare negli Ebrei i colpevoli per l’oblio dell’Essere, è invero, oltre che la più tragica, anche la più idiota. Gli Ebrei non si sono auto-annientati, come sostiene Heidegger. Milioni di innocenti sono stati uccisi e tale miseranda cosa ha rischiato di annientare, per l’appunto, o, che sarebbe più preciso, annichilire, quanto va sotto il nome di Occidente, Occidente che ha negli Ebrei uno dei genitori più significativi. La degenerazione della filosofia idealistica ha controindicazioni mortifere. E non smette di fare danni. Chi è quindi Prometeo? È colui che plasma l’uomo e gli infonde la vita. È il fratello di Epimeteo, tipo poco riflessivo che prende in sposa Pandora. Pandora è la prima ginoide della storia umana. Fabbricata da Efesto, maestro dell’arte metallurgica e della biorobotica arcaica, realizzata su committenza di Zeus in persona che vuole giocare uno dei suoi brutti scherzi agli umani, umani che dimostra di mal sopportare. Sarà ancora una volta Hermes a recare in dono a Epimeteo la bellissima Pandora. Epimeteo, immemore degli ammonimenti del fratello Prometeo che più di una volta gli ha ribadito di non accettare mai, e dice mai, doni dagli dèi, non solo accetta la magnifica realistic love doll, ma se ne innamora. Sappiamo del vaso di Pandora, maligno cavallo di Troia che Zeus manda agli umani. Val la pena ricordare che quando tutti i mali sono liberati nel mondo, non appena il vaso viene aperto, uno solo rimane sul fondo del vaso richiuso, sebbene richiuso troppo tardi. Ma Pandora riapre il vaso e così anche questo ultimo male, ben lungi ancora dall’essere catalogato tra le virtù teologali dal cristianesimo, esce dalla mitica giara. È la speranza. Dall’unione tra Epimeteo e Pandora nasce Pirra che sposa Deucalione, figlio di Prometeo, dunque suo cugino. Deucalione è il Noè della tradizione greca. È a lui che Prometeo suggerisce di costruire un’arca su cui rifugiarsi in vista del diluvio che Zeus sta per mandare sulla Terra per distruggere l’umanità. Ricapitoliamo. Prometeo plasma l’uomo e gli dà la vita, nonché il fuoco di una rudimentale sapienza. Prometeo salva il figlio Deucalione e sua moglie Pirra dal diluvio universale. Da Deucalione e Pirra avrà genesi la nuova umanità. Nuova umanità che ha dunque per nonna un robot umanoide e per creatore un titano ribelle e precipitato nell’infero. Roba da far godere o tremare, o tremare di godimento, il più estremista tra gli gnostici.

    Caronte e Orfeo

    Cosa mai dovrebbe farsene un Caronte delle monete dategli da quelle masse di trapassati? Va forse a spenderseli nello spaccio dell’inferno? O nel bordello gestito dalla mafia degli angeli caduti? Non sostanzierebbe questo agire il misfatto aberrante della necrofilia, più di quello compiuto dalle coppie che dopo anni fottono l’esasperato amore morto tra le loro gambe? O forse il tremendo Caronte (dagli occhi arrossati che alcun collirio di compassione può rinfrescare) pretende le monete perché non può batterne di sue? Mettersi contro il dollaro non è igienico, neppure per un diavolaccio. I defunti gli pagano tutti l’obolo, senza fiatare. Ché l’ultimo fiato l’hanno già esalato, quasi sempre a malincuore. Qualcuno pensa d’essere un turista in quel regno dei morti. E getta la moneta a Caronte come eserciti di turisti nelle fontane romane. Ma il desiderio di tornare alla vita (qui) non s’avvera mai. Nonostante la profusione d’intenti del Bernini e del suo pensiero plastico controriformato. Ecate è anche un pontefice. Forse lo è più di quanto lo siano un traghettatore e uno scafista. Ecate è la dolce mammina di Circe. Sarà utile a Orfeo aver conosciuto Ecate. Vista la mania di Orfeo di bazzicare i bassifondi infernali. Adducendo la scusa di cercare la moglie di notte, la notte della morte, in quei bar di infima categoria. Tra gli sghignazzi degli avventori. Tutte le volte in cui Orfeo giunge, puntuale, al centro dell’Ade, perché anche l’Ade, checché ne dicano i fisici teorici, ha un centro, trova Ade che se la dorme. Il dio dei morti non ha mai faticato nel suo lavoro. La gente, da che il mondo è il mondo, muore da sola o, se non ne può fare a meno, si fa ammazzare. Persefone, la sposa d’Ade, ancora con nel viso l’aura sconcia del vittimismo per essere, un tempo, stata rapita. Anche in questo caso vale il già detto, ossia che la cosa avviene nonostante la profusione d’intenti del Bernini e del suo pensiero plastico controriformato, intenzione d’opera assoluta, concerto meraviglioso e miracoloso della mente in posa estetica. Persefone fissa Orfeo. Imbronciata Persefone ci fissa, mentre la nostra morte dorme. Orfeo, come è risaputo e trito nelle salse secolari che condiscono l’identica pietanza sciapa dell’archetipo, si gira prima del tempo. A controllare che Euridice sia fuori dal regno di Plutone. Regno d’ilarità e sberleffo, quello del pianeta nano, buffone arguto e irrequieto del nostro simpaticissimo sistema solare. Orfeo compie in tal guisa lo stesso errore dell’errare fingendo di non aver la meta. Il medesimo della moglie biblica di colui che fuggiva via, correndo fuori da Sodoma. La paura di prenderlo in culo può far compiere imprese insperate pure ai meno arditi. La sposa di Lot, come è arcinoto, fu fatta statua di sale dal suo buon dio che trovò un attimo anche per lei, mentre distruggeva la città e uccideva tutti i suoi abitanti sodomiti e no. Euridice si dissolse, come una scorreggia al vento, invece la moglie di Lot fu fatta statua di sale. L’invito è a meditare sul tema sempreverde dell’offrire le proprie figlie vergini, perché siano stuprate al posto degli angeli nostri ospiti. Ammesso che qualcuno possa asserire, senza tema di smentita, di poter disporre di figlie vergini da donare allo stupro di una qualche folla, riunitasi in lieta e santa gang bang, sull’altare del nostro dubbio. Le stesse figlie di Lot fanno ubriacare il padre per giacere con lui e avere dei figli generati direttamente dal loro genitore. Ridurre la filiera è indispensabile per garantire un’economia ecosostenibile. Se il seme che si decide di ospitare in sé, è lo stesso seme da cui siamo nati, la cosa ci pone dinanzi alla possibilità tangibile che il caos conservi, recondito e nell’apparenza dell’assurdo, un progetto evidente. Orfeo pianse la perdita di Euridice. Lo fece per sette giorni o sette anni. Sai quanto la scansione temporale del dolore sia dibattuta e come insigni etnologi si interroghino tutt’oggi sul periodo del lutto delle società tradizionali, senza aver tentato di comprendere davvero cosa siano le società tradizionali. Sembra che Oreste abbia portato un bottone nero cucito all’asola della sua giacca di kashmir per tre anni, a memoria del lutto per la morte di sua madre Clitemnestra. Orfeo rifiutò il suo prodigioso zufolo di carne, ben più adatto di qualunque strumento a corda, alle donne che lo pretendevano. Queste, baccanti infoiate, fecero a pezzi Orfeo e lo divorarono. Zufolo di carne compreso. Proprio come i Titani avevano fatto con Dioniso. La vecchia storiella che vuole l’ira delle sacerdotesse di Dioniso scaturita dal fatto che Orfeo avesse iniziato, con canti orfici e senza campane, gli uomini all’omosessualità, può, nonostante la sua pochezza filologica, presentare un fondamento di verità. Ciò ci condurrebbe forse troppo facilmente a ripensare la correlazione tra Sodoma e la moglie di Lot mutata in statua di sale con Orfeo e la sua Euridice, svanita nell’alito appestante di un cane infernale. Il cane nero dei Led Zeppelin? E la prova provata in base alla quale l’elmo dell’invisibilità di Ade fosse cucito con pelle di cane? Non facciamoci tentare dai sentieri scoscesi dell’analogia. Piuttosto dedichiamoci ai percorsi ardui che dalle cosce della sembianza conducono all’ano del vero. Non dimenticare che i sostenitori della teoria omoerotica hanno tra i loro più radicali esponenti quelli che enucleano come Orfeo avesse iniziato al sesso anche i bambini. Attirandosi, per questa pedopornografia misterica, le attenzioni non solo delle baccanti, ma anche quelle della polizia postale che, di fatto, ha attenzionato e, quindi, arrestato Orfeo. La testa di Orfeo, torna e ritorna, salmodiando, argomento zampillante dei celebri decollati, cadendo sulla lira continua a cantare, portata dalle acque. Come la cesta porta Mosè. Come la cesta porta Romolo e Remo. Come la cesta porta… Con la sua arte Orfeo incanta gli animali e le piante. Fauna e Flora. Così suona meglio. E ci aiuta a capire il vero ruolo di Persefone in questa vicenda. Ma sono animali nati dall’incantesimo, come i porci di Circe. E le piante sono anch’esse nate dal sortilegio. Si rischia sovente di farsi una tisana con i testicoli di qualcuno. E la fitoterapia diventa antropofagia, seppure sublimata. Ti rivolgo ora gli interrogativi che mi angustiano quando medito sulla vicenda di Orfeo. Le pongo a te queste domande, perché la segretaria dell’avvocato che mi ha sollecitato stamane affinché io le parlassi di Orfeo, non avrebbe saputo cosa rispondere. Mi ha ringraziato, comunque. E mi ha dato l’impressione d’essere sincera nell’arte complessa della gratitudine. Mentre emergevamo dal parcheggio sotterraneo del supermercato dove s’era svolta la nostra conversazione e le mie elucubrazioni, mi ha detto che le ho fornito molto materiale su cui avrà da riflettere a lungo. La discesa agli inferi di Orfeo è l’ascesa del Cristo che attraversa il regno della morte, per uscirne vittorioso, secondo quanto sostengono i suoi seguaci? Ed Euridice che rimane laggiù, chi è? La verità? O la sua ombra? E la verità ha davvero un’ombra o l’unica verità è l’ombra, per la disperazione di Giordano Bruno e di quelli che in suo nome giocano ancora a scacchi? Che sia Dante a restare imprigionato nel limbo? Nel castello degli spiriti magni? E non Orfeo? Che sia Virgilio a essere guidato da Dante? O che, invece, sia la morte ad attraversare il Cristo e a impazzirlo, come accade talvolta alla maionese? La bellezza è il prezzo che paghiamo alla morte per uscirne vivi? Ieratico, enfatico, ridicolo.

    Una di tante genesi

    Soltanto una. Il Genesi è un esempio di equilibrata sintesi ricavata da alcune pregresse mitologie della creazione. Quello che era ancora il proto-popolo ebraico le registrò nei suoi viaggi, viaggi non di piacere, in Mesopotamia e in Egitto. Tale narrazione fu organizzata e redatta inizialmente (come sempre ai tempi) in forma orale, prima di conoscere la sua versione definitiva in quel di Alessandria. Erano gli anni in cui Platone stava completando il suo dottorato di ricerca proprio da quelle parti. Quattro secoli prima che Caio Giulio Cesare decidesse di finire laggiù inseguendo Pompeo e dovendosi accontentare della sua testa. Quando i leader del proto-popolo ebraico provvidero a farne un popolo, lo dotarono, come buona norma vuole per un esito felice del procedimento, di una identità a mezzo, anche, di una mitologia condivisa. Il Genesi entrò nell’immaginario e nella tradizione di quelle genti. Dopo, per merito o per colpa (dipende dai punti di vista) di Paolo di Tarso nell’immaginario e nella tradizione dell’Impero Romano, quindi, dell’Occidente e, perciò, dopo la rivoluzione industriale-digitale, del mondo. Nel Libro Etiopico di Adamo ed Eva si dice che Adamo ebbe rapporti sessuali con Eva per tre volte in novecento trenta anni. Astinenze tanto prolungate possono mettere a dura prova la fedeltà di qualsiasi donna che pure abbia il desiderio di mantenersi fedele. È facile comprendere, umanamente, come la povera Eva ceda alle lusinghe del primo serpente-satana di turno. Proviamo però a mettere un po’ d’ordine in questo disordine raggrumato che è la mitologia. A voler dare credito, contro ogni evidenza e a scapito della verità, alla Cabala, si potrebbe ritenere che nella sua prima ora di vita Adamo non sia ancora altro che polvere. Nella sua seconda ora questo fango viene impastato ma rimane ancora quasi informe, un golem mal riuscito, un non-finito michelangiolesco, un espressionismo astratto e molto, diciamo pure, molto concettuale, trattandosi di concezione divina, certo, non ancora dogmaticamente immacolata, ma comunque concezione a tutti gli effetti e… per un’unica causa. Nella sua terza ora il caro Adamo riceve il dono delle braccia e delle gambe e smette di crogiolarsi nel piacere effimero di essere un torsolo, un tronco, un ciocco di legno, un pinocchio qualsiasi, per assumere le fattezze umanoidi del burattino. La quarta ora è l’ora dell’anima. Anima che gli viene insufflata dentro dal suo dio, abile mastro vetraio, iperbolico mastro funaio d’anatomie comparate e, per l’appunto, prodigioso insufflatore. Nasce anche così, nonostante si possa a lungo e giustamente dibattere circa l’inesattezza della traduzione dall’ebraico biblico, il concetto di anima. Fantasma questo che perseguita la filosofia da millenni. Homo erectus Adamo lo diventa nella quinta ora della sua esistenza. Alla sesta ora inizia a blaterare, dapprima in lallazione e, poi, a conferire puerilmente i nomi agli animali e alle cose. Animali e cose che però, si badi, avevano già un loro nome, un altro nome, nome che rimane ignoto al povero Adamo e anche a quegli onesti operai del misticismo sciamanico che si sono spesso illusi di riconoscerlo. Eva è estratta dal corpo di Adamo, con il forcipe divino, nella settima ora. Il primo parto della storia non è di una donna, ma di un uomo che sgrava, senza dolore essendo stato anestetizzato, una donna. Arriva presto l’ottava ora e nell’ottava ora Adamo si unisce carnalmente a Eva, nata dalla sua medesima carne. Miserie e splendori onanistici della natura carnale e della vita organica. Nascono così Caino, Abele e le loro rispettive sorelle gemelle. Allo scoccare della nona ora il dio indica a Adamo l’albero di cui non deve mangiare i frutti. Nell’ora successiva, la decima, Adamo disobbedisce al suo dio

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