Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Ritorno Degli Encala (Heku: Una storia un po’ diversa)
Il Ritorno Degli Encala (Heku: Una storia un po’ diversa)
Il Ritorno Degli Encala (Heku: Una storia un po’ diversa)
E-book310 pagine5 ore

Il Ritorno Degli Encala (Heku: Una storia un po’ diversa)

Valutazione: 1 su 5 stelle

1/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Spin-off della serie Heku, questo libro coincide cronologicamente con i libri 7, 8 e 9 della serie Heku e potrebbe contenere delle anticipazioni.

Gli Heku vivono tra di noi, inseriti nella società dei mortali mentre, dietro le porte chiuse e complessi strettamente controllati, continuato le pratiche millenarie degli immortali. Sono indigeni di questo pianeta e molto più Antichi della razza umana. Hanno creato una società militaristica e chiusa. Sono legati a regole molto strette che li separano e li proteggono dai mortali.

Dopo essere stati sistematicamente sterminati dalle forze degli Equites a seguito della morte di un membro del consiglio, gli Encala stanno cercando di ricostruire la loro fazione, per diventare nuovamente una superpotenza nel mondo degli heku. Mentre i pochi membri sopravvissuti si stanno radunando in Canada, incontrano una donna che era stata bandita molto tempo prima per essersi nutrita senza consenso. Quello che trovano li sbalordisce e scoprono che uno dei giochetti degli Antichi esiste ancora.

Questa visione particolare della specie degli Heku si concentra sulla loro vita quotidiana. Mentre la serie Heku riguarda i membri di più alto rango e potenti delle fazioni, questa storia vi mostrerà gli heku nei clan che lavorano e cercano di cavarsela nel mondo degli immortali.

LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2014
ISBN9781310224270
Il Ritorno Degli Encala (Heku: Una storia un po’ diversa)
Autore

T.M. Nielsen

T.M. Nielsen doesn't necessarily consider herself an author. She's an every-day woman who had a story to tell. Never intending to let anyone else read it, she decided to put it all down on paper. What she ended up with is a fascinating tale filling books full of drama, adventure, action, romance, and excitement.When asked why she decided to publish, she stated, "I want for others to be able to forget about problems in life and to lose themselves in my world... the world of the heku. While I write, I laugh, cry, grin, gasp, and my heart races. I want others to experience that too."T.M. Nielsen is a computer tech by trade and lives with her husband and two beautiful daughters. She's the author of Amazon.com's bestselling series The Heku Series and the Dimensions Saga, along with a Heku Series spin-off book called Return of the Encala. She's been listed numerous times on Apple's Breakout Books and on Amazon.com's top 20 in Fantasy.**** From TM ****I updated my books all the time! Check back often for new, cleaner versions. I can't afford an editor, but any time I hear of an error, I fix it immediately.

Leggi altro di T.M. Nielsen

Autori correlati

Correlato a Il Ritorno Degli Encala (Heku

Titoli di questa serie (12)

Visualizza altri

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Ritorno Degli Encala (Heku

Valutazione: 1 su 5 stelle
1/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Ritorno Degli Encala (Heku - T.M. Nielsen

    Chapter 1 : Capitolo 1

    Namid guardava la vasta vallata che ospitava la sua tribù Chippewa. Era una tribù pacifica, piuttosto piccola secondo gli standard dei Chippewa, ma era così che preferiva lei. Le voci che parlavano dell’uomo bianco avevano viaggiato in fretta attraverso le terre, ma la tribù di Namid si sentiva al sicuro annidata nella verde vallata tra alte, maestose montagne.

    Avevano tutto quello che serviva. I bufali erano numerosi e c’era un fiume che scorreva veloce dove catturare pesci e prendere l’acqua. Vide alcuni cacciatori che stavano tornando con carne fresca di bufalo e capì quella sera avrebbero fatto festa.

    A Namid piaceva quando la tribù si riuniva per una festa. Si raccontavano storie di coraggio e si ballava e tutti andavano a letto più che sazi. Il suo lavoro era di conciare le pelli di bufalo per la sua famiglia e sapeva che sarebbe dovuta tornare indietro per cominciare.

    Il fratello di Namid, Ahmik, era il principale cacciatore della sua famiglia, da quando suo padre era stato ucciso dai Sioux. Odiava pensare a quel giorno e al cannibalismo rituale che era seguito quando suo padre era morto.

    Era molto giovane quando era stato ucciso, ma ricordava di aver visto i Sioux che gli staccavano la testa e poi cominciavano a mangiare la carne morbida dei suoi organi interni. Cercava di non pensarci e sperava che il ricordo svanisse.

    Namid, il suo nome ricordava le stelle danzanti che si vedevano sopra il cielo della valle la notte in cui era nata. Aveva i soliti lineamenti spigolosi comuni alla sua gente e i lunghi capelli neri erano legati in due strette trecce che le ricadevano fino in vita. I capelli erano lisciati indietro con il grasso e brillavano al sole del pomeriggio.

    Namid! Gridò sua madre dal villaggio.

    Namid sospirò e scese dall’albero su cui si era arrampicata. Le piaceva sedersi lì e guardare il villaggio. Dal ramo in alto del noce nero dove nessuna poteva vederla, riusciva a osservare di nascosto tutto quello che succedeva nella tribù, mangiando le noci.

    Andò lentamente verso il wigwam della sua famiglia, dove sicuramente suo fratello si stava vantando per il suo successo nella caccia. Si chiamava Ahmik, come il castoro. Lui era convinto che fosse perché suo padre sapeva che sarebbe diventato una delle sentinelle della tribù che erano posizionate tutte intorno e avvisavano gli altri dell’avvicinarsi dei pericoli. Le sentinelle erano molto rispettate ed era considerato uno dei lavori più prestigiosi.

    Namid non era d’accordo. Segretamente, pensava che Ahmik si chiamasse così perché aveva i denti davanti leggermente sporgenti, e puzzava.

    Aveva avuto ragione sul vantarsi, e mentre girava intorno al wigwam verso il suono delle parole, vide Ahmik in piedi accanto a un bufalo di dimensioni rispettabili. Prese il suo coltellino dalla tasca e si mise al lavoro, ignorando Ahmik che parlava della caccia. Tutte le volte che uccideva un bufalo, suo fratello raccontava di essere quasi stato calpestato e di aver dovuto lottare con i lupi per difendere la sua preda. Era sempre la stessa storia e Namid si chiedeva come mai sua madre lo ascoltasse tutte le volte con palese eccitazione, quando sapeva benissimo che la storia era inventata e abbellita da molte bugie.

    Namid lavorava in fretta. Poteva scuoiare un bufalo in meno di venti minuti. Dopo aver rimosso la pelle, si spostò verso il cavalletto e la appese. Namid era così brava nello scuoiare gli animali che rimuovere la carne residua era facile. Decise di farlo subito, prima di cominciare il lungo, difficile compito di raschiarla a secco.

    Mentre lavorava, Namid sentì Ayasha che arrivava nel loro campo. Ahmik aveva chiesto la mano di Ayasha a suo padre e dovevano sposarsi alla prossima mezzaluna. Namid sbuffò sentendo il modo sdolcinato in cui si parlavano.

    Ayasha significava ‘la piccolina’ e Namid aveva sempre pensato che si riferisse alla dimensione del suo cervello. Si augurava che Ayasha e Ahmik si sposassero presto, così avrebbero avuto il loro wigwam. Ahmik avrebbe sempre avuto la responsabilità di nutrire sua madre e sua sorella, ma avrebbe avuto un alloggio separato.

    Namid non vedeva l’ora di dormire da sole, lei e sua madre nel wigwam. Ahmik russava e scoreggiava spesso, e sua madre rideva quando il rumore le svegliava. Desiderava notti tranquille e sorrise tra sé pensando ad Ayasha che coglieva una zaffata della flatulenza notturna di Ahmik.

    Rabbrividì quando sentì Sakima avvicinarci e parlare con Ahmik. Sakima stava cercando di ottenere la mano di Namid, ma lei lo disprezzava. Era il figlio del capo e gli piaceva esercitare il suo potere sugli altri della tribù, inclusa Namid.

    Continuò a lavorare, sperando che lui capisse che era troppo occupata e se ne andasse. Non funzionò e quando Sakima la vide, si avvicinò, e Namid era sicura che flettesse apposta i bicipiti mentre camminava. Indossava solo i pantaloni di pelle con le frange lungo le gambe, ma non aveva la camicia ed era appena tornato dalla caccia, quindi era lucido di sudore. Namid continuò a lavorare per togliere la carne dalla pelle, pregando gli dei che Sakima se ne andasse.

    Sakima restò lì a guardarla lavorare. A Namid veniva la pelle d’oca sapendo che la stava guardando e probabilmente giudicando il suo lavoro. Le indicò un punto che aveva saltato, e Namid si tolse le lunghe trecce dal volto e continuò a lavorare senza reagire.

    La festa quella sera fu più di quanto Namid avesse mai visto. Non solo ciascuno portò carne di bufalo, ma c’erano bacche e radici, pasta di fagioli selvatici e quello che preferiva, patate dalla fattoria tribale. Mentre la notte avanzava, i membri della tribù Chippewa cominciarono a ritirarsi nei propri wigwam, ciondolanti per il troppo cibo.

    Namid aiutò sua madre a trascinare a letto Ahmik. Aveva trovato qualcosa da bere e riusciva a malapena a camminare con le sue gambe. Era responsabilità loro prendersi cura del cacciatore della loro famiglia, quindi lo svestirono doverosamente e lo fecero stendere sulle pelli morbide sulle quali dormiva.

    Namid fu l’ultima ad andare a dormire. Aveva dovuto preparare il wigwam per la notte, assicurarsi che i fuochi fossero coperti e che i cavalli avessero mangiato. Era esausta quando alla fine si sdraiò e si addormentò quasi immediatamente.

    Il richiamo arrivò molto prima dell’alba. Era il richiamo forte e acuto dalle sentinelle. Namid si alzò di colpo e vide Ahmik che si infilava i pantaloni e afferrava l’arco e la faretra. Aiutò sua madre ad alzarsi ed entrambe si spostarono sul fondo del wigwam, dove dovevano restare in caso di attacco.

    Sioux? sussurrò la madre di Namid.

    Gaawesa, sussurrò Namid in risposta.

    Non credeva si trattasse di un attacco Sioux. Sentiva il rumore di combattimenti e non sembravano i sibili delle frecce e nemmeno il rumore di combattimenti a corpo a corpo. Le sembrava il rumore di carne strappata e urli improvvisi che diventavano velocemente gorgoglii di morte.

    Namid e sua madre si alzarono entrambe quando Ahmik corse nella tenda. Era coperto di sangue e gridava loro di scappare. Alla luce scarsa del fuoco, Namid vide che era mortalmente pallido e aveva il sangue che sgorgava dal collo. Ahmik cadde sulle ginocchia e Namid si inginocchiò accanto a lui cercando di aiutarlo. Lo sentì freddo e aveva gli occhi vitrei.

    I rumori all’esterno del loro wigwam divennero più fiochi e alla fine svanirono. Namid guardò sua madre quando sentì dei passi che si avvicinavano al loro modesto alloggio. Erano entrambe terrorizzate.

    Quando uno strano uomo entrò attraverso la porta, Namid e sua madre arretrarono fino alla parete della loro abitazione. Era più alto di chiunque altro Namid avesse mai visto. Non indossava una camicia e i suoi muscoli erano enormi. Era coperto di sangue e ne sembrava fiero. Aveva la pelle chiara e Namid pensò che fosse uno degli uomini bianchi di cui si favoleggiava.

    Entrarono altri tre uomini. Erano altrettanto alti e muscolosi, ma uno di loro aveva la pelle scura come la notte. Namid aveva la bocca secca per la paura e cominciò a tremare.

    L’uomo scuro sorrise e le parlò in una lingua che Namid non capiva.

    Lei si schiacciò più forte contro la parete alle sue spalle.

    Dissanguate la vecchia e portiamo con noi la giovane.

    Namid non capì le parole, ma uno degli uomini afferrò sua madre e lei guardò inorridita l’uomo che la mordeva e cominciava a bere il suo sangue. Urlò quando l’uomo dalla pelle scura la afferrò e la trascinò fuori dal wigwam. I suo urli smisero di colpo quando vide i corpi degli abitanti del suo villaggio ammucchiati intorno alle loro case. Erano tutti pallidi e avevano segni rossi sul collo. Capì che erano stati dissanguati e che lei sarebbe stata la prossima.

    L’uomo che la stava trascinando la teneva per il braccio talmente forte da bloccarle la circolazione. Namid sapeva che la stava portando verso la morte e sperava solo che gli dei la avrebbero accolta, per poter rivedere suo padre.

    Dopo averle legato i polsi, l’uomo la sollevò facilmente e lei sentì il vento contro la pelle mentre l’uomo correva nella notte. Perfino la luna non faceva abbastanza luce da permetterle di vedere, ma le sembrò che l’uomo si stesse muovendo sul terreno incolto a una velocità sovrumana.

    Faceva fatica a respirare. Non si era mai mossa così in fretta e la mano con cui l’uomo la teneva saldamente sembrava più fredda di quanto avrebbe dovuto.

    Quando l’uomo rallentò e la mise a terra, Namid vide era in uno strano edificio. Il pavimento era di terra battuta ma le pareti erano fatte di pietra, una cosa che non aveva mai visto prima. La stanza era rotonda e c’erano strane incisioni sulle pietre.

    Si voltò a guardare l’uomo cercando di afferrare il coltellino che usava per scuoiare gli animali, ma era sparito e anche l’uomo. C’era una sola porta nella stanza rotonda e Namid andò di corsa a cercare di aprirla, ma era troppo pesante. Batté i pugni per un tempo che le sembrò infinito, ma nessuno venne ad aiutarla.

    Poi si guardò di nuovo attorno per cercare di capire che cosa stesse succedendo, ma la stanza era vuota.

    Cercò di nuovo di aprire la porta, poi si sedette contro la parete opposta e cominciò a piangere.

    Sapeva che suo fratello e sua madre erano entrambi morti e sospettava che gli strani uomini avessero ucciso l’intera tribù. Aveva solo sentito delle voci sugli uomini bianchi che cominciavano a invadere lentamente le loro terre, ma non aveva creduto alle storie che raccontavano i Sioux. Le erano sembrate favole destinate a instillare la paura nella loro tribù. Ora, però, cominciava a crederci e l’orrore per le azioni degli uomini bianchi la invase.

    Quando la porta si aprì, si alzò e guardò l’uomo alto che aveva parlato la notte prima. Indossava una veste blu e la guardò attentamente mentre richiudeva la porta alle sue spalle. Namid si chiese come mai riuscisse a vederlo e poi si rese conto che dalle pareti della stanza rotonda emanava un’eterea luce blu.

    L’uomo le sorrise minacciosamente e si tolse la veste, mostrando il torace muscoloso. Quando si avvicinò, Namid cominciò a urlare.

    ***

    Namid riusciva a malapena a muoversi. Era rimastra sdraiata, nuda, per ore, tremando di paura.

    Quando l’uomo ebbe finito, le prese saldamente la testa tra le mani e le sussurrò parole strane. Stava cominciando a capire la lingua che parlavano, ma non abbastanza da comprendere completamente quello che le stavano facendo.

    L’uomo strano era uscito, una volta finito con lei e lei era rimasta sul pavimento di terra da allora. Le faceva male dappertutto e sapeva di star sanguinando. All’uomo sembrava non importasse e la lasciò senza una coperta. Con gli abiti a brandelli, Namid non aveva modo di coprirsi e scaldarsi.

    Alla fine si sedette per valutare i danni. Era coperta di lividi e le sembrava l’avessero fatta a pezzi dentro. Faticava a respirare e sentiva fitte di dolore all’addome. Alzò la mano a toccarsi il collo quando sentì una fitta, trovando due piccole ferite circolari che non ricordava di essersi fatta.

    Cercò di alzarsi, usando la parete come sostegno. Aveva le gambe molli e ricadde lentamente sul pavimento. Con le mani tremanti, cercò di coprirsi con gli abiti stracciati, sperando di ottenere un po’ di calore dalle pelli a brandelli.

    Alla fine la porta si aprì di nuovo e l’uomo tornò. Ogni volta che entrava, lei cercava di difendersi, ma l’uomo aveva una forza incredibile. Non sapeva quanto tempo fosse restata in quella stanza, a soddisfare le voglie di quell’uomo enorme, ma aveva cominciato a rendersi conto che non ne sarebbe uscita viva.

    L’ultima volta che entrò, l’uomo le sorrise e lei si premette contro la parete, cercando di allontanarsi il più possibile da lui. Questa volta, l’uomo non si tolse la veste blu ma si voltò a guardare entrare altri dodici uomini. Indossavano tutti vesti simili, eccetto uno, vestito di nero come la notte. Namid non riusciva a vedere i loro volti, ma la sua mente immaginò occhi demoniaci sotto l’ombra dei cappucci.

    L’uomo in nero la afferrò rudemente. Sembrava non gli importasse che fosse nuda e coperta di lividi e graffi. La portò in mezzo alla stanza mentre gli altri uomini in blu si mettevano lungo le pareti.

    Le prese nuovamente la testa tra le mani e le parlò in tono brusco. Le parole erano piene di cattiveria e l’uomo le sputava come fosse disgustato.

    Perché gliele stai insegnando? Chiese uno degli uomini in blu.

    Perché farà in modo che diano la caccia a lei e non a noi.

    Ma non può sapere queste cose! Tu sei un Vecchio e sono informazioni riservate ai Vecchi.

    Stai zitto!

    Le stai insegnando le parole di incantesimi riservati agli Antichi! Non credi che la renderanno potente?

    No, la faranno odiare, disse l’uomo, poi tornò a fissare Namid.

    Una volta finito, fece un passo indietro guardandola con disgusto.

    Mortale, sai dove sei? Chiese uno degli uomini in blu. Le sue parole non erano familiari a Namid che alzò gli occhi, chiedendosi che cosa avesse in serbo per lei adesso.

    Lo sa, rispose l’uomo in nero. La sua voce quasi le fermò il cuore e Namid si chiese se l’avrebbe violata un’altra volta. Il dolore per quello che aveva fatto prima era fresco nella sua mente, e il corpo le doleva ancora.

    Sai che cosa sta per succedere?

    Lo sa.

    Lo fai volontariamente e senza coercizione?

    Sì. Namid pregò gli dei chiedendo di poter capire che cosa le stava succedendo. Nessuna delle parole le era nemmeno lontanamente familiare.

    Procedete, disse l’uomo in blu.

    Namid si ribellò quando l’uomo in nero la spinse sul pavimento di terra. Temeva che l’avrebbe violata ancora una volta e non pensava di poter sopravvivere, specialmente con gli altri che guardavano.

    Quando gli uomini in blu si avvicinarono e affondarono i loro denti nella carne tenera del suo corpo nudo, Namid cominciò a urlare. Il dolore era straziante e sembrava non avere fine. Si sentiva morire mentre la dissanguavano. Poi sentì qualcosa premerle contro le labbra e aprì la bocca nel disperato tentativo di salvarsi. Quando il sangue dell’uomo le scivolò giù nella gola, gli afferrò strettamente il braccio, apprezzando il sapore salato del sangue. Non assomigliava a niente che avesse assaggiato prima, e cominciò a desiderarlo.

    Era troppo debole per lottare quando l’uomo tirò via il polso sanguinante. Fece per afferrargli il braccio, per bere ancora, ma lui si allontanò senza fatica. Namid si sentì sollevata quando smisero di morderla, ma si sentiva troppo debole perfino per muoversi mentre giaceva nuda sulla terra fredda.

    L’uomo in nero afferrò un lungo bastoncino e cominciò a scrivere strani simboli nella terra intorno a lei. Namid cominciò ad avere le convulsioni ma era acutamente conscia di tutto quello che succedeva nella stanza. La sua schiena si arcuò e i muscoli del collo risaltarono mentre i simboli incisi nelle pareti e sul soffitto cominciavano a brillare.

    Udì un sommesso cantilenare tutto intorno a lei ma non riuscì a capire le parole. Era sul punto di perdere conoscenza quando vide l’uomo alzare il bastoncino sopra di lei e poi affondarglielo nel cuore. Il dolore fu come se un lampo incandescente l’avesse colpita direttamente nel petto, ma non riusciva più a urlare. Poi l’oscurità la invase.

    Namid si svegliò e si toccò immediatamente il petto per capire quanto fosse grave la ferita, ma non trovò niente. Si guardò le braccia, confusa. Sembravano più lunghe e più muscolose di prima. Le mani erano possenti e lei le chiuse lentamente, solo per assicurarsi che fossero veramente le sue.

    Si alzò cautamente in piedi e guardò gli alberi. Non era in un territorio familiare e le cose sembravano, odoravano e suonavano strane.

    Sentiva il sommesso rumore del cuore di un uccello che batteva mentre volava lungo le montagne vicine. Non sapeva come, ma riusciva a odorare un ruscello che scorreva rapidamente attraverso i boschi. I suoi occhi ispezionarono gli alberi, e riuscì a vedere ogni piccolo insetto e animaletto. Si spostò accanto a un albero e toccò la corteccia, vedendone ogni minima fibra.

    Le tornò in mente la strana cerimonia e si guardò il corpo per vedere se i morsi fossero visibili. Quello che trovò fu una figura alta, muscolosa. Era ancora nuda, quindi riuscì a vedersi tutto il corpo. Non sembrava il corpo che aveva il giorno prima e la sua confusione aumentò.

    All’improvviso, Namid cominciò a salivare mentre inalava profondamente l’odore appetitoso che arrivava sulla brezza. Dimenticò di essere nuda, concentrandosi istintivamente sull’odore e cominciò a correre verso ovest. Corse più forte di quanto avesse mai immaginato e, a ogni passo, l’odore diventava più forte.

    Quando emerse in una radura, riuscì a sentire il sapore salato del sangue nell’aria.

    C’era qualcun altro con lei, un uomo bianco accucciato a scuoiare un piccolo roditore.

    L’uomo alzò gli occhi e la guardò sorpreso. Da dove sei arrivata?

    Prima ancora di rendersi conto che aveva capito quello che l’uomo le aveva detto, gli fu addosso. I denti andarono istintivamente al collo e mentre l’uomo cercava di spingerla via, lo tenne facilmente per terra e bevve il sangue succulento. Sentiva l’uomo morire sotto di lei, ma non riuscì a fermarsi. Una parte minuscola della sua mente era disgustata e confusa da quello che stava facendo, ma non riuscì ad allontanarsi.

    Quando il sangue smise di uscire, lo lasciò cadere sul terreno muscoso e chiuse gli occhi, continuando a sentirne il sapore sulla lingua. Non si sentiva ancora soddisfatta, però, e sentiva qualcuno che si avvicinava.

    Namid si alzò poi si acquattò leggermente quando vide arrivare un uomo massiccio. Aveva capelli e occhi neri e indossava una cappa verde. Era molto più alto di Namid e la sua struttura muscolosa le ricordò gli uomini che avevano distrutto la sua tribù.

    Non è stata una mossa molto intelligente, le disse, camminandole lentamente intorno.

    Senza sapere perché, Namid sibilò sommessamente guardandolo.

    Che cosa ti ha fatto pensare che fosse giusto farlo? chiese l’uomo. Sembrava arrabbiato.

    Namid era troppo concentrata su di lui per chiedersi perché riuscisse a capire le strane parole che diceva, si sentiva minacciata e dalla sua gola eruppe un ringhio.

    Non c’è bisogno che mi parli perché io proceda, disse l’uomo enorme. Mise una mano in tasca e ne tolse uno stiletto d’argento lucente. "È il mio lavoro come Giustiziere degli Equites trovare

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1