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Il fuggiasco: Harmony History
Il fuggiasco: Harmony History
Il fuggiasco: Harmony History
E-book245 pagine3 ore

Il fuggiasco: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1794
È una fresca sera d'agosto, e Grace Dovercourt sta lavorando nel suo studio quando degli strani rumori turbano la quiete della notte: uno sparo lontano, poi un tonfo soffocato e degli insoliti fruscii. Fuori però non si vede nessuno, e dopo un po' Grace decide di andarsene a dormire. La mattina seguente la sua governante scopre un uomo ferito nel cortile di casa: è un francese braccato da loschi figuri, che prima di perdere i sensi le affida un plico di misteriosi documenti chiedendole di metterli al sicuro. Impulsivamente, Grace decide di soccorrere l'affascinante fuggiasco e lo nasconde in casa propria, senza tuttavia immaginare che così facendo andrà incontro a un mare di guai.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2020
ISBN9788830521346
Il fuggiasco: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Il fuggiasco - Elizabeth Bailey

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Count’s Charade

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2003 Elizabeth Bailey

    Traduzione di Ilaria Parini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-134-6

    1

    Il rumore, sebbene smorzato, fu abbastanza secco da attirare la sua attenzione. Grace Dovercourt smise di scrivere, sollevò il capo e si mise in ascolto. Non sentì più niente, ma l’eco di quel colpo continuò a rimbombarle nella testa, come se chiedesse di essere identificato. Proveniva da una certa distanza, forse addirittura dall’altra parte della palude. I suoni in quella zona si propagavano con facilità, e quella casa isolata tendeva misteriosamente ad amplificarli, persino i più indistinti, anche se non era quello il caso.

    Grace allontanò la sedia dallo scrittoio, si alzò con uno sforzo e prese il candelabro. Trascinando il pesante stivale destro si diresse verso la porta del salotto con la sua andatura claudicante. Giunta sulla soglia scorse la sua domestica che si affrettava giù per le scale, in vestaglia e con una cuffietta da notte che copriva parzialmente i riccioli scuri.

    Jemima si fermò non appena notò la padrona, e sollevò la candela che teneva in mano.

    «L’avete sentito, miss Grace? Mi ha fatto prendere un colpo!»

    Grace guardò verso l’alto. «Era più forte dalla tua camera? Io ho potuto coglierne soltanto l’eco.»

    Jemima si accigliò. «Stavate ancora lavorando? Vi rovinerete gli occhi!»

    «Lascia perdere i miei occhi» rispose Grace dirigendosi verso la porta principale. Era chiusa a chiave, perché Jemima non dimenticava mai di serrare tutto di notte, nonostante ben pochi viandanti passassero per il viale accanto alla loro casa. Un lieve alito della brezza notturna le soffiò sul volto quando uscì nel piccolo portico. Dietro di lei, Jemima indugiava sulla soglia.

    «Fate attenzione! Chissà quali mascalzoni ci sono là fuori, per mettersi a sparare con una pistola o quello che era!»

    Grace si voltò. «Pistola?»

    «È quello che mi è sembrato. Mi ha fatto fare un salto dalla paura!»

    Il rumore riecheggiò nella testa di Grace. Possibile che fosse stato davvero uno sparo? Fece qualche altro passo sul sentiero, spingendosi fino al viale. Alzò il candelabro e scrutò nell’oscurità. Quella sera non c’era la luna, ma le parve comunque di scorgere in lontananza l’ombra che delimitava il confine della palude di Rainham. Oppure lo vedeva solo perché sapeva che si trovava lì.

    In quella calma notte d’agosto non si muoveva niente, e nessun indizio poté confermare né negare la natura del suono che aveva sentito. Era difficile credere che si fosse trattato di un colpo di pistola. I cacciatori di frodo non si aggiravano per le paludi, dove il pericolo era in costante agguato nelle pozze nascoste di fango scuro che potevano inghiottire un uomo in pochi minuti. Le persone del posto seguivano i sentieri che conoscevano, e si avventuravano laggiù solo di giorno.

    «Vi prego, tornate dentro, miss Grace» la implorò inquieta Jemima.

    Lei gettò una rapida occhiata nella direzione opposta, dove esisteva la remota possibilità che qualche mascalzone avesse sparato a un coniglio nei campi di una fattoria, anche se istintivamente sapeva che quel suono non proveniva da lì. L’unica altra possibilità era una collisione sul Tamigi, oltre la palude. Tuttavia il suono sarebbe stato più forte, e di certo il rimbombo sarebbe durato più a lungo, anche se, a dire il vero, il ricordo di quel rumore stava cominciando a sbiadire nella sua mente.

    Il fresco dell’aria notturna iniziava a penetrarle nelle ossa attraverso la veste sottile, così Grace si decise a dare ascolto alle preghiere della domestica e rientrò. Jemima si affrettò a richiudere a chiave la porta.

    «Pensate di salire di sopra adesso? Oppure vi preparo un bel latte caldo? Dovete mangiare qualcosa se intendete passare metà nottata a scrivere.»

    Quell’interruzione, però, aveva dissolto la sua concentrazione. Avrebbe dovuto rileggere tutto il documento per coglierne appieno il senso e ricordare la sua particolare terminologia. Il lavoro che aveva accettato dal direttore della scuola era decisamente complicato, e richiedeva uno sforzo maggiore delle lettere che era solita scrivere per gli analfabeti che domandavano i suoi servizi. Inoltre, non avrebbe dovuto consegnarlo prima del sabato, e non era che giovedì.

    Grace rifiutò quindi l’offerta di Jemima, spedendola a letto e assicurandole che si sarebbe ritirata ben presto. Ripose i fogli in uno dei cassetti, la penna nella guaina vicino al calamaio e chiuse lo scrittoio. Presa una candela, spense quelle del candelabro e salì con calma le scale.

    L’anca le doleva un poco. Dalla nascita aveva la gamba destra più corta della sinistra di diversi pollici, ed era costretta a indossare uno stivale con una suola speciale molto pesante che le aveva costruito appositamente Billy Oaken, il migliore artigiano di Barking. Sebbene quella scarpa le permettesse di camminare con molta più facilità, quando stava seduta per diverso tempo nella stessa posizione il suo peso le provocava uno sbilanciamento, con conseguente dolore al fianco.

    Raggiunse la sua camera, che era situata esattamente sopra il salotto, posò la candela sul mobiletto accanto al letto e zoppicò fino alla sedia. Si tolse l’abito color blu scuro, e lo posò con cura sullo schienale, pronto per il giorno seguente. Non le occorse molto tempo per levarsi gli altri indumenti, e dopo essersi infilata la camicia da notte si sedette sul letto per sfilarsi il pesante stivale. Tirò il solito sospiro di sollievo. Era contenta di averlo, ma la sera era ancora più felice di potersene finalmente liberare.

    Sentendosi subito più libera e leggera, spense la candela e assaporò soddisfatta per diversi momenti la lussuosa morbidezza del suo letto di piume.

    L’episodio del rumore non identificato si affacciò di nuovo a tormentarla. Ancora una volta si domandò che cosa potesse essere stato e se la teoria di Jemima avesse qualche fondamento.

    Si figurò degli uomini che cacciavano nelle paludi. Sarebbe stato rischioso, oltre che inutile. Vi avrebbero trovato pochi animali, e nessuno di questi avrebbe fornito loro granché da mangiare. Inoltre, come avrebbero potuto mirare a un bersaglio in quella oscurità? No, doveva esserci un’altra spiegazione.

    L’enigma continuò a ronzarle per la testa per qualche tempo, fino a diventare inesplicabilmente confuso mentre cominciava a sprofondare nel sonno.

    Era ormai quasi del tutto addormentata quando sobbalzò, convinta di aver sentito qualcos’altro a distanza ravvicinata, un rumore raschiante seguito da un tonfo.

    Fissando il buio con gli occhi spalancati, rimase ferma ad ascoltare, mentre il cuore le batteva all’impazzata. Era sempre più sicura che ci fosse qualcuno accanto alla casa.

    Si sarebbe dovuta alzare e andare a controllare, ma il pensiero di infilarsi di nuovo lo stivale e la riluttanza di affrontare chiunque fosse il responsabile di quel rumore la tratteneva. Era molto più probabile che si trattasse di uno dei braccianti del signor Mayberry che rincasava ubriaco che non di un ladro. Forse aveva sbagliato strada ed era inciampato nel cortile sul retro.

    Udì un altro suono attutito, dopodiché, con suo grande sollievo, il miagolio di un gatto. Sospirò e si lasciò cadere contro i cuscini. Dannato animale! Probabilmente era entrato nel locale dietro la casa dove Jemima faceva il bucato, e aveva buttato giù qualcosa.

    Per fortuna la domestica non si era svegliata. Quella povera ragazza era sempre in piedi all’alba, e sarebbe stato un peccato se avesse perso altro sonno. Lavorava di gran lena, ed era molto più docile della sua vecchia governante che, essendosi presa cura di lei fin dalla nascita, tendeva sempre a rimproverarla ed era decisamente troppo protettiva. Solo quando Mab si era sposata, pochi anni prima, Grace aveva infine ottenuto un po’ di meritata indipendenza. Proprio mentre rifletteva su quanto fosse più libera con Jemima, si addormentò.

    La mattina seguente Grace si svegliò di buon’ora e da principio non ricordò nulla degli eventi della sera prima.

    Mentre si preparava per scendere le venne in mente che il signor Mayberry sarebbe passato per ritirare i conti del distretto del mese precedente. Aveva avuto il noioso compito di trascriverli in triplice copia da Joe Piper, il padre di Jemima, che sbrigava parte del lavoro amministrativo al municipio.

    Lei sospettava che l’uomo le avesse ceduto quel compito non perché oberato da troppo lavoro, anche se in effetti la sua occupazione principale era quella del portalettere nella zona. Era molto più probabile che Jemima lo avesse pregato di trovare qualcosa per la sua padrona. Nessuno sapeva meglio di lei quanto faticasse a far quadrare il bilancio per tirare avanti con decoro.

    Aveva appena finito di legare con un nastro i suoi soffici capelli castani, quando un trambusto allarmante provenne dal cortile sul retro della casa.

    Sentì chiaramente uno strillo soffocato, poi il rumore di qualcosa che cadeva. Jemima! Cosa diamine stava succedendo?

    Arrancò più in fretta che poté fino al pianerottolo, alzò la finestra a ghigliottina che dava sul retro e guardò fuori. Un secchio era rotolato rovesciando il suo contenuto sui ciottoli, e la domestica stava guardando verso la lavanderia con entrambe le mani premute sulla bocca come per impedirsi di urlare.

    Grace gridò: «Che cosa c’è, Jemima? Che cosa hai trovato?».

    L’altra alzò lo sguardo e la vide, e immediatamente le fece un cenno per zittirla. Indicò con frenesia la lavanderia, ma da quell’angolatura lei non riusciva a vedere niente.

    «Fareste meglio a scendere, miss» le suggerì sottovoce, gesticolando.

    Mentre richiudeva la finestra Grace si rammentò dei rumori della notte precedente. Allora qualcosa era entrato nel locale! Una volpe, o qualche altro animale. Forse era stato ferito nella palude e aveva cercato un rifugio.

    Scese le scale il più velocemente possibile e percorse il corridoio che conduceva alla porta interna della lavanderia.

    Nell’istante in cui oltrepassò la soglia le fu chiara la causa dello sconvolgimento di Jemima: qualcosa era davvero entrato nel locale, ma non si trattava di un animale. Su un lato della stanza c’era la stufa in pietra con ancora la brace del fuoco che veniva tenuto acceso durante il giorno per fornire l’acqua calda. Davanti alla stufa, ripiegato su se stesso, con una gamba allungata verso il punto in cui si trovava lei, giaceva il corpo di un uomo.

    Per un momento Grace ammutolì, e fu assalita da un’ondata di nausea. Vide Jemima che si affacciava sull’uscio che dava sul cortile, e indicava quello sconosciuto con gli occhi inorriditi.

    «Sembra ubriaco, miss. Oppure morto» bisbigliò.

    «Tieni quella porta aperta per fare entrare la luce» le ordinò bruscamente. Respingendo la repulsione, oltrepassò la tinozza rovesciata e raggiunse lo spazio limitato che l’intruso occupava. Appoggiandosi contro il muro con una mano, si accovacciò.

    «È morto?» domandò timorosa la domestica.

    «Non lo so.»

    Era difficile dirlo, perché il volto dell’uomo era nascosto sotto una mano, e il braccio era piegato in modo strano sotto il petto. Indossava un cappotto pesante bagnato, e i suoi stivali erano incrostati di fango. Non portava il cappello e i capelli scuri erano sparpagliati sulla sua guancia.

    Grace inghiottì e infilò con cautela una mano sotto il braccio per sentirgli il cuore. Il tessuto del pastrano era troppo spesso, così provò a insinuarsi tra le sue pieghe, ma non riuscì comunque a percepire alcun battito. I suoi pensieri si bloccarono e nella mente riudì il forte rumore che aveva squarciato il silenzio della notte. Era stata davvero una detonazione! Quando ritrasse la mano, Jemima urlò dietro di lei. Le sue dita erano ricoperte di sangue.

    Per un istante Grace fissò la mano rossa con il cuore che batteva all’impazzata. Stordita, rivolse la sua attenzione al volto nascosto dell’uomo. Gli spostò il braccio con gentilezza, timorosa di provocare ulteriori danni. Quindi gli scostò i capelli, rivelando un profilo mortalmente pallido, e immobile. Tremando, si chinò su di lui, per ascoltare da vicino.

    Sentì un lievissimo respiro e quando posò le dita sulla sua bocca aperta percepì una debole traccia di vita.

    «Respira ancora!» esclamò rialzandosi.

    «Santo cielo, sembra incredibile» sussurrò Jemima.

    «Corri a chiamare Clem e Samuel! Dobbiamo metterlo subito a letto, e farlo vedere da un dottore» ordinò Grace con febbrile urgenza.

    La domestica sembrava incapace di comprendere. «Metterlo a letto, miss? Qui

    «Non startene lì impalata!» la rimproverò. «Vai da Clem e Samuel! Dovrebbero essere a casa a quest’ora, e se non ci sono cercali nei campi e portali qui, hai capito? Vai, Jemima! Adesso

    La ragazza sobbalzò come se fosse stata risvegliata da un sogno, e scomparve. Grace la sentì correre sui ciottoli. Le casette dei braccianti distavano solo poche centinaia di iarde, e lei sperava che fossero tornati a casa per fare colazione dopo aver sbrigato le incombenze più mattiniere. Non sapeva che cosa avrebbe fatto altrimenti, perché lei e Jemima non potevano certo trascinare quell’uomo ferito su per le scale, rischiando di aggravare le sue condizioni.

    Mentre attendeva cominciò a sfregargli le parti del corpo che riusciva a raggiungere, stando bene attenta a non toccare il braccio e la spalla per timore di far sanguinare maggiormente la ferita. C’era da stupirsi che non fosse morto dissanguato!

    L’uomo emise un lieve gemito, pur rimanendo inerte, e Grace si sporse per guardargli il viso. Le parve che avesse mosso la testa, così si avvicinò.

    «Restate fermo, per favore» mormorò. «E non parlate. Presto vi sistemeremo e sarete più comodo.»

    A quelle parole l’uomo voltò di scatto il capo, e trasse un lungo respiro. Grace trasalì vedendolo bene in volto. Aveva dei bei lineamenti, gli zigomi alti e le labbra scolpite. Aprì gli occhi, e il verde delle sue iridi brillò nella luce che proveniva dalla porta. Quindi borbottò qualcosa.

    «De l’Anglais! Où suis-je?»

    «Siete francese!» esclamò lei turbata. «Oh, santo Dio!»

    Lui non prestò attenzione alle sue parole e cercò di muoversi, liberando il braccio su cui giaceva.

    «Vi prego, state fermo, altrimenti la vostra ferita ricomincerà a sanguinare!» lo esortò Grace, presa dall’ansia, e lo sguardo dell’uomo si rivolse di nuovo verso di lei. «Chissà se mi capisce?»

    Al ferito mancò il respiro, e il suo bel viso scarno si contrasse in una smorfia. Chiuse di nuovo gli occhi e strinse con le dita le pieghe del suo cappotto.

    «I documenti» borbottò in inglese con cadenza francese. «Nascondeteli...» Alzò nuovamente le palpebre e le rivolse uno sguardo implorante. «Vi prego... ces papiers... sono pericolosi.»

    Grace gli prese le dita agitate tra le sue. «Dove sono? Per favore, state calmo.»

    Con un vago gesto le indicò il fianco non ferito, e Grace infilò le mani tremanti nel suo pastrano. Non senza difficoltà, estrasse da una tasca interna un plico di fogli ripiegati, bagnati all’esterno.

    «Li ho trovati. Adesso potete rilassarvi.»

    Alzò una mano, come per salutarla, quindi ripiombò nell’incoscienza. Grace fissò il suo viso bianco. Chi era? Un gentiluomo? Dagli abiti, e dal timbro della sua voce, si sarebbe detto di sì. Un francese, ferito la notte precedente nella palude, e ansioso per la sicurezza delle sue carte.

    Il suo primo pensiero non fu affatto gradevole. E se fosse stato una spia? L’Inghilterra era in guerra con la Francia. Ma allora perché aveva chiesto a lei, un’inglese, di prendere in custodia quei documenti?

    Maneggiandolo con cautela, timorosa di sporcarlo con il sangue sulle sue mani, aprì il plico e ne sbirciò il contenuto. C’erano dei sigilli, e per quel che vedeva erano scritti in francese. Avrebbe dovuto trovare un momento di calma per spiegarli e cercare di decifrarli.

    Il rumore di passi affrettati la riportò alla realtà. Jemima stava tornando con i braccianti! Ripiegò in fretta i fogli, li infilò nello spacco della gonna, nascondendoli nella tasca al suo interno. Un istante dopo, Clem e Samuel entrarono nel cortile, seguiti da Jemima.

    Seduta accanto al letto della camera degli ospiti, Grace contemplava l’uomo preoccupata. Non era stato semplice per i braccianti trasportarlo fuori dalla lavanderia e su per le scale. Aveva ordinato a Clem e Samuel di adagiarlo sul letto e di spogliarlo fino alla vita, spedendo la domestica a prendere una bacinella di acqua calda. Lei era andata in camera sua a procurarsi delle forbici e un vecchio lenzuolo dall’armadio della biancheria.

    La ferita era imbrattata di sangue fresco, provocato dai recenti sforzi. Grace l’aveva ripulita gentilmente con dei ritagli del telo, e aveva guardato con sgomento il foro aperto sulla spalla sinistra, appena sopra il cuore. Aveva ripiegato più volte un pezzo quadrato di stoffa e, usandolo come un tampone, ve lo aveva poggiato sopra, fermandolo con un bendaggio improvvisato.

    Jemima aveva portato una brocca d’acqua e un bicchiere. «Avrà sete quando si sveglierà... se mai succederà.»

    «Ha perso molto sangue, ma deve essere di forte costituzione per aver superato la notte. Tuttavia, deve assolutamente essere visto da un medico, perché sospetto che abbia ancora il proiettile in corpo.»

    Era seguita una piccola discussione riguardo a chi sarebbe stato opportuno chiamare.

    «Non credo che il dottor Ffrith possa aiutarlo» era stato il verdetto di Clem. «A me sembra spacciato, miss Grace.»

    «Avremmo fatto meglio a portarlo direttamente dal signor Holwell per fargli prendere le misure per la bara» aveva dichiarato Samuel.

    Grace aveva deciso di mandare Clem a chiamare il dottore, che viveva a Rainham, a un miglio da lì, e Jemima al più vicino East Hall da Dunmow, il farmacista.

    «Il signor Dunmow potrà almeno estrargli il proiettile, e sarà di sicuro a casa, mentre il dottore potrebbe essere fuori per un’emergenza. Forza Jemima, muoviti, e non tornare senza di lui! E tu, Clem, vai subito a Rainham. Più tardi spiegherò io stessa al signor Mayberry perché

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