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TRATTO DA FATTI REALMENTE ACCADUTI.
UNA STORIA STRUGGENTE.
Dall'autore de : Il Codice Tesla.
Sinossi.
Quando Cris firma il contratto di cessazione della casa con il signor Donaldson, capisce che un pezzo della storia della sua famiglia sta per svanire per sempre.
La vecchia casa dei bis-nonni si trova nella zona di costruzione di un imponente complesso residenziale e Donaldson ha bisogno del permesso per abbatterla e poter proseguire i lavori.
A Cris, pro-nipote del vecchio proprietario, viene concesso un intero giorno da spendere in quella struttura decrepita e se lo vorrà potrà portar via qualsiasi cosa ritenga opportuno o che susciti ricordi particolari. Cris e il figlio Jeremy perlustrano l'abitazione in lungo e in largo, tranne qualche vecchia sedia e alcuni cimeli di legno non vi è nulla di interessante, anzi, la casa sembra esser stata preda di passate razzie ad opera di vagabondi e senzatetto.
Padre e figlio pensano che andare lì sia stata solo una perdita di tempo, la sola cosa che a Cris dispiace è di non aver potuto ristrutturare quella casa come sua moglie, Serena, avrebbe voluto... ma forse è stata proprio l'anima della moglie a trattenerli lì, perché ciò che cercavano non era sui muri o tra gli scaffali, bensì giaceva silente in un luogo, ove nessuno avrebbe mai cercato.
Queste sono le memorie che narrano della battaglia e del coraggio di una donna, che ha dato il via al cambiamento delle leggi sul lavoro in America, a partire dall'anno 1928.
Essa, e tutte le donne come lei, sono passate alla storia con il soprannome di "Radium Girls."
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Cerca le mie parole - Alessandro Falzani
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PAROLE
diario segreto di una Radium Girl
ALESSANDRO FALZANI
Copyright text 2020 Alessandro Falzani
Copyright cover illustration 2020 Alessandro Falzani
All rights reserved.
BASATO SU FATTI REALMENTE ACCADUTI E DOCUMENTATI.
OGNI RIFERIMENTO A NOMI DI PERSONE, LUOGHI E COINCIDENZE E' PURAMENTE CASUALE E FRUTTO DELLA FANTASIA DELL'AUTORE.
New Jersey,
Orange,
1988.
«Dai o faremo tardi, se non ci muoviamo non avremo tempo di liberare la casa, ammesso che ci sia rimasto qualcosa».
«A chi vuoi che importi papà. È un rudere, non ho ancora capito perché tu ci tenga così.»
Cris sospirò, osservando il figlio indossare le scarpe.
Il ragazzo se ne stava seduto sul letto con la testa bassa, una ciocca di capelli cadente sul viso angelico, l'espressione contrita che nascondeva una grande rabbia repressa.
Il padre lo poteva capire benissimo, Serena era venuta a mancare circa un paio di mesi fa, un male se l'era portata via, così, in silenzio, allo stesso modo di come i due si erano conosciuti anni prima.
«Dai, fatti forza», lo accarezzò scompigliandogli i capelli, «la mamma manca anche a me.»
«Eppure non sembra, papà.»
«Ti sbagli. Non tutti danno a vedere le loro emozioni nello stesso modo. É una questione di carattere, di animo e di sentimenti. É normale che tu ti senta così, anch'io ho un vuoto enorme dentro il petto, ma dobbiamo farci forza. La mamma non tornerà e possiamo solo sperare che lei ci stia guardando da lassù, e sono sicuro che stia pregando per noi.»
Jeremy aveva gli occhi umidi, strinse le labbra, chiuse i pugni e divagò con lo sguardo.
«La sogno tutte le notti, mi si stampa davanti agli occhi: perché i medici non sono riusciti a salvarla?»
«Ci hanno provato Jeremy, posso giurarti che hanno provato a fare di tutto. Io ero lì, ci sono stato per tutto il tempo. Purtroppo quello era un male bastardo, era troppo radicato in lei, ormai era tardi. Hanno dovuto lasciarla andare. Io ho dovuto lasciarla andare, per la sua pace.»
Cris lasciò cadere una lacrima, dando un colpetto sulla spalla del figlio, «a tua madre piaceva quella casa. Era della mia bis nonna. Diceva sempre che avrebbe voluto ristrutturarla per farne un luogo carino in cui trascorrere le vacanze.»
«Io non ci sono mai stato, nemmeno da piccolo?»
«Sì, avevi due anni quando ti ci ho portato la prima volta, non puoi ricordartelo. Eri voluto scendere dalle mie braccia e poi hai iniziato a gironzolare. Ti eri seduto sul vecchio camino, dove nonno Aaron si sedeva sempre. Tua madre si era commossa.»
Il figlio lo guardò, cercando un grappolo di ricordi troppo sedimentati nella sua mente ancora giovane. «E quindi, ora, perché lasci che la abbattano?»
«Perché è ridotta troppo male. Nonna Jennifer e nonno Aaron si erano trasferiti lì agli inizi del novecento, appena poco dopo che la nonna aveva iniziato a lavorare. Sono passati decenni senza fare nessuna manutenzione. Io sono sempre in giro per la mia azienda, e purtroppo, lo zio Tomas ha perso la vita in Vietnam. Nessuno ha mai potuto occuparsi di quella casa.»
Un velo di tristezza scese sul viso di Cris, la ferita per la morte del fratello bruciava ancora, dopo ogni ricordo.
«Anche allo zio piaceva così tanto?»
«Certamente», disse il padre alzandosi dal letto, «lui diceva sempre che alla pensione se ne sarebbe andato lì, che avremmo potuto dividere la casa in due parti e passare la nostra vecchiaia accanto a quel camino. Purtroppo nessuno di noi due riuscirà a farlo, e me ne dispiace tanto.»
Jeremy gli prese la mano, dandogli la forza della sua gioventù.
«Dai papà, andiamo. Vediamola per l'ultima volta.»
I due si avviarono verso la macchina, salirono a bordo e si diressero verso la casa di Jennifer Vins e Aaron Stuart. La periferia di Orange distava dalla loro abitazione circa quarantacinque minuti e la casa dei nonni di Cris si ergeva tra una selva di palazzine di nuova costruzione: coraggiosa, minuta e cupa, aveva resistito a due guerre mondiali, alla guerra fredda e al progresso tecnologico, ma ormai era giunto il suo tempo.
Quando Cris arrivò sul posto, sentì un magone salirgli nel petto, non aveva ricordi dei nonni, se ne erano andati presto e Jennifer, soprattutto, se ne era andata che era ancora una fanciulla. Prendere la decisione di far abbattere quella casa era una responsabilità enorme, era un potere che Cris non meritava e che non voleva assolutamente, ma era anche l'unico erede in vita e ormai si trattava più di una questione di sicurezza pubblica piuttosto che conservare ricordi impolverati.
Scese dalla vettura, invitando il figlio a fare lo stesso.
Un uomo in giacca e cravatta li stava aspettando, due enormi ruspe riposavano sullo sfondo del nuovo quartiere residenziale di Orange.
Era una domenica mattina, uggiosa e triste, come spesso se ne vedevano nel New Jersey.
«Signor Stuart, ben rivisto.»
L'uomo aggrottò la fronte, si vedeva benissimo che ne aveva le scatole piene di quella faccenda che si stava prolungando da circa tre mesi.
«Signor Donaldson, salve.»
Si strinsero la mano, in un convenevole gesto di forzata cortesia.
Cris non avrebbe mai fatto abbattere quella casa, era da sempre la volontà del fratello e della moglie, ma quel rudere si era ritrovato solo e circondato da colate di cemento e in un modo o nell'altro, la compagnia esecutrice dei lavori avrebbe ottenuto la concessione a distruggerlo.
Cris aveva tergiversato e guadagnato tempo, Donaldson sapeva del lutto della moglie e umanamente lo aveva atteso per oltre un mese, ma il cantiere era ormai in prossimità della vecchia abitazione, esattamente sulla linea dei nuovi impianti fognari che avrebbero dovuto passare in quella direzione.
Era solo questione di tempo, e sarebbe venuta giù come un esile castello di carta.
«Possiamo procedere con gli atti dovuti signor Cris, ha deciso?»
L'uomo annuì, quasi sconsolato, Jeremy si strinse accanto alla sua gamba per sostenerlo.
«Bene», convenne l'uomo titolare della compagnia, cercando di mascherare un palese disagio dinanzi alla sventura che aveva da poco colto quella famiglia.
Gli affari sono affari, si ripeteva sempre Donaldson quando il suo lato umano cercava di venire a galla.
«Dunque Cris, vi concedo tutto il giorno per sgomberare la casa. Se domani mattina alle sette in punto troveremo ancora qualcosa lì dentro significa che saremo autorizzati a distruggerla. Non vi contatterò nuovamente, ok?»
«Ok», replicò Cris.
«Questi sono i documenti con i quali lei mi concede l'uso esclusivo dell'immobile a mia totale discrezione, firmi qui, prego.»
Donalson stese i fogli sul cofano della sua Corvette nera, indicando con l'indice il punto in cui dovevano essere firmati.
Jeremy allungò il collo, cercando di leggere tra le fitte righe d'inchiostro.
«Tranquillo giovanotto, sono solo carte, scartoffie da riempire», gli sorrise Donaldson.
«Credo sia tutto», concluse poi l'uomo d'affari, estraendo un blocchetto degli assegni, «adesso, come da accordi telefonici, le farò un assegno per l'indennizzo. Tremila dollari, non un centesimo in più. Capirà bene che abbattere questa casa è solo un altro costo per me.»
L'uomo pose la stilografica sul blocchetto degli assegni, attendendo il consenso di Cris.
«Mi sembra giusto, anzi, lei è stato molto paziente... con me.»
Cris forzò un sorriso. Era un consulente finanziario, sapeva che quei tremila dollari erano grasso che colava, conveniva prenderli e ringraziare.
Donaldson compilò l'assegno e lo stese all'altro, «mi spiace sinceramente per quello che è successo. Si faccia coraggio.»
Allungò la mano verso di lui e Cris la strinse, «grazie Donaldson.»
L'uomo tirò su il bavero della giacca e si sedette nella Corvette, «per oggi la casa è ancora vostra, fatene ciò che volete. Buona domenica.»
Il rombo del motore accompagnò Donaldson fuori dal cantiere, pochi minuti dopo, padre e figlio erano rimasti soli, con i loro ricordi sbiaditi.
«Che dici Jeremy, entriamo?»
Il piccolo annuì, tornando in auto per prendere un grosso cartone.
«Non penso che quello ci servirà, Jeremy, non c'è nulla di buono lì dentro.»
«Non si sa mai, papà», replicò il figlio accostandosi all'ingresso.
Cris aprì, la porta socchiusa era stata oggetto di precedenti atti vandalici, Donaldson l'aveva avvisato di questo e in cuor suo lui sapeva che sarebbe potuto accadere.
I cardini cigolarono pesantemente e un odore di stantio proruppe immediatamente pizzicando le loro narici. Jeremy arricciò il naso guardandosi intorno con curiosità. Un vecchio pavimento fatto di assi di legno tarlate era depositario di anni di polvere, alcune orme s'intravedevano, sicuramente recenti e dovute ai senza tetto che girovagavano lì intorno da sempre. I vetri delle finestre, rotti, non riflettevano più la luce del giorno per via del tappeto di polvere e se ne stavano lì, a terra, inermi e stanchi, soffocati da decenni di storia. Il camino era ancora in buone condizioni ma carcasse di piccioni e altri volatili erano caduti dalla canna fumaria per trovare giaciglio sul pianale di mattoni.
Un vecchio tizzone era rimasto lì, nero come la notte, a raccontare una storia chissà quanto antica.
«Papà, qui è un disastro.»
Cris sorrise, nemmeno lui si sarebbe aspettato un simile scenario, triste e desolante. «Beh, già che ci siamo facciamo un giro, abbiamo tutto il giorno.»
La cucina era adornata da un lavandino in ceramica e il tavolo da pranzo era rimasto in piedi, anche se ormai completamente tarlato. Un bicchiere se ne stava in equilibrio precario, adagiato poco distante dal bordo. Vi era poi un piccolo spazio, che presumibilmente doveva fungere da sala e ne erano testimoni due vecchie sedie intarsiate, ancora timidamente disposte in un angolo buio e freddo. Era il mese di febbraio e Cris poteva solo immaginare che freddo facesse a quei tempi, quando non esistevano ancora i mezzi odierni per riscaldarsi. Ecco allora che quel camino rivestiva un'importanza centrale, forniva calore e compagnia, era un rifugio sicuro, l'amico che mancava.
Cris fu colto da uno strano senso di quiete, un'inattesa armonia con quel luogo lo stava assorbendo, quasi si pentì di aver accolto la richiesta di Donaldson. Scosse la testa, in fin dei conti a che sarebbe servito? L'avrebbero buttata a terra, inesorabilmente, senza pietà.
«Prendiamo le sedie papà?»
«No», rispose il padre, destandosi dai suoi ragionamenti. «Sono ridotte troppo male, e poi non abbiamo spazio in auto. Cerchiamo piuttosto qualche foto, magari qualche piccolo cimelio da tenere a casa nostra. Ok?»
Jeremy fece un segno di assenso e per