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Saul Alinsky - Rivoluzionario Democratico
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E-book177 pagine2 ore

Saul Alinsky - Rivoluzionario Democratico

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Info su questo ebook

Il volume presenta una panoramica inedita e variegata sulla figura di Saul Alinsky, ideatore e creatore dell'"organizzazione di comunità" - scienza pratica di coinvolgimento attivo ed educazione alla presa di potere e governance diretta della cittadinanza studiata nella cattedre di mezzi Stati Uniti - mai così attuale negli odierni anni zero di democrazia partecipativa, cittadinanza attiva, primavere arabe, liquid feedback ed e-governance.

Una della più grandi figure dell'attivismo civile e politico dello scorso secolo, e cruciale per capire il corrente, se oltreoceano Alinsky è celebrato come un guru dall'ala più a sinistra dei Democrat (e da Barack Obama, che fu un 'community organizer' dal giugno 1985 al maggio 1988), è demonizzato dalla destra più estrema come il Tea Party.

Il volume presenta anche il "testamento" di Saul Alinsky: la traduzione della sua ultima densissima intervista concessa a Playboy poco prima della morte, e un'intervista dell'autore al figlio di Saul, Lee David.
LinguaItaliano
Data di uscita24 gen 2013
ISBN9788867555130
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    Anteprima del libro

    Saul Alinsky - Rivoluzionario Democratico - David Tozzo

    2012

    Saul Alinsky

    Le due parole a titolo di questo libro, pur se a pennello, non rendono appieno e non rendono piena

    giustizia a una definizione, se non completa, perlomeno comprensiva di chi sia Saul David Alinsky.

    Se la coppia di parole scelte è – si crede – la più degna, nobile (ma su questo lemma, egli avrebbe sputato o quantomeno sbuffato), a fuoco, per organizzare un orizzonte più accurato prima ancora che più ampio, bisogna da qui senza indugio né dubbio proseguire: rivoluzionario, democratico, radicale, ribelle, animatore sociale, agitatore sociale, provocatore, pensatore (l’avrebbe preferito a filosofo) uomo d’azione, violento (all’occorrenza, anche qui senza indugio), community organizer (ufficialmente ed effettivamente, il suo mestiere fu questo, ‘organizzatore di comunità’), paladino dei poveracci, Machiavelli americano (questa a detta di molti), eroe democratico, autentico rivoluzionario e uno dei pochi uomini davvero grandi del XX secolo (quest’ultime tre a detta di Maritain¹), pioniere di pressione popolare, democrazia diretta e democrazia dal basso.

    Saul Alinsky è stato tutto questo, e l’eccezionale risiede nel fatto che in molto, di questo, egli ha non solo eccelso ma è giunto più in alto d’ogni altro.

    Ma facciamo un centinaio e un paio di passi indietro.

    Stati Uniti, 1909.

    Siamo agli sgoccioli della Presidenza del primo grande Roosevelt²; siamo dopo la Ricostruzione³ e al culmine del grande processo della Seconda Rivoluzione Industriale⁴, ambedue cominciate nel 1865.

    Quest’ultima è caratterizzata da un’espansione cruciale, nella storia statunitense e poi mondiale, dell’organizzazione e coordinazione dell’industria, la quale assume dimensioni senza precedenti grazie soprattutto alle evoluzioni delle tecnologie e dei trasporti. La ferrovia collega tutto il paese e comunità e cittadine spuntano come funghi un po’ ovunque dove prima v’erano deserti, quasi miracolosamente. La prateria sterminata si moltiplica in oasi. Le ferrovie le vene il treno il sangue, vita verso vita ovunque, da un unico grande agorà desertico a tante piccole piazze nuove, vive.

    Il culmine di questa rivoluzione industriale sono la catena di montaggio e la produzione di massa. La rivoluzione nella rivoluzione è quella controcoloniale: gli Stati Uniti sorpassano l’ex-colonizzatrice inglese [è anche questo un passo decisivo del declino dell’Impero Britannico, il ‘sinistro dopo il destro’ per usare un gergo pugilistico: prima l’Indipendenza (lo strappo), poi la Rivoluzione (lo smacco), maiuscolo a ogni buon conto].

    Sempre nel 1909 le ultime truppe statunitensi della guerra ispano-americana⁵ lasciano vittoriose Cuba, e sempre gli Stati Uniti acquistano il primo aereo da guerra del mondo.

    Nascono Simone Weil⁶ (a Parigi), Kwame Nkrumah⁷ (a Nkroful), John Fante⁸ (a Denver), Rita Levi-Montalcini⁹ (a Torino) e Francis Bacon¹⁰ (a Dublino).

    A Fort Sill muore Geronimo¹¹.

    A Chicago, il penultimo di Gennaio, Saul David Alinsky nasce in una famiglia ebrea-russa di condizioni relativamente modeste.

    Bimbo di non comune intelligenza, ebreo devoto fino ai dodici anni, da quell’età cominciò a temere che i suoi volessero indirizzarlo verso la vita di rabbino, e il suo innato senso di ribellione lo fece rivoltare contro questa eventuale imposizione, e lì il discorso s’infranse morendo al nascere dei ‘20.

    Quasi contemporaneamente, il 16 Gennaio 1919 con la ratifica del diciottesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti fu istituito il Proibizionismo, che proibiva la …fabbricazione, vendita o trasporto di liquori inebrianti all’interno, l’importazione degli stessi entro, o l’esportazione all’esterno degli Stati Uniti…. Il Congresso passò il Volstead Act per far rispettare la legge il 28 ottobre dello stesso anno. Così, mentre per il piccolo Saul si chiudevano le porte della sua sinagoga (almeno come futuro rabbino), per il giovane Al Capone e altre 1000 gang si spalancavano quelle di tutta Chicago al profitto di malaffare e mafia.

    Nello stesso anno in lungo e in largo negli Stati Uniti esplode il conflitto razziale e nell’Estate Rossa del 1919 in dozzine di città gang di bianchi attaccano neri che solo a volte si organizzano per difendersi e più spesso restano uccisi. La più grande rivolta scoppia a South Side, Chicago, dopo che il 27 luglio un ragazzo nero osa farsi una nuotata nel Lago Michigan, nelle cui spiagge vigeva de facto, se non per legge, la segregazione. Un gruppo di bianchi comincia a prenderlo tanto violentemente a sassate fino a farlo affogare sommerso dalle pietre e dal resto dell’odio, e quando la polizia si rifiuta di prendere qualsivoglia provvedimento erompe una rivolta che per tredici giorni vede i bianchi, guidati dagli irlandesi (il cui territorio confinava con quello dei neri), contrapposti ai neri. Muoiono 38 persone, ne restano ferite 537 e oltre 1000 famiglie di neri restano senza casa.

    Chicago si conferma, e si confermerà spesso in seguito, città sporca e cattiva, difficile e violenta. Un tessuto sociale a dir poco vitale e caldissimo a poggiarsi su terreno allo stesso tempo fertilissimo e bollente.

    Un decennio dopo il Proibizionismo venne la Depressione¹², e Alinsky, che nel frattempo era entrato all’Università di Chicago e si era laureato in archeologia, si trovò senza un soldo e senza particolari prospettive di farne alcuno.

    In questi anni ebbe modo di fare la sua prima esperienza come organizzatore¹³ e la sua prima entrata nel mondo della mafia, proprio nel clan di Capone – come osservatore, non come operativo¹⁴ – ma dopo un paio d’anni a scandagliarne i risvolti si annoiò e lasciò, sempre senza un’idea precisa o provvidenziale per il futuro.

    In suo soccorso piovve (del tutto immotivato e salvifico, a suo dire) un lavoro decentemente retribuito come criminologo, ma la svolta cominciò a intravedersi quando affiancò parallelamente all’impiego di criminologo un impegno part-time come organizzatore presso il Congress of Industrial Organizations¹⁵. Nel 1939, alla fatidica soglia dei trent’anni, cominciò ad esser meno attivo nel movimento sindacale, e prese ad essere più attivo, cominciando dalla sua Chicago, in quel che lui coniò come community organizing.

    La straordinarietà d’una personalità già a fortissime tinte di per sé – fu Saul eccezionalmente attivo, acceso, veramente appassionato; estremamente vulcanico, verace, anche violento – è la straordinarietà di un uomo non solo homo novus, fatto da sé, non solo un uomo capace di ‘reinventarsi’, e neanche solo un uomo capace di inventare una scienza: Saul Alinsky fu addirittura capace di inventarsi

    . Si mise in pratica come quel che aveva teorizzato. Concepì una posizione, e l’assunse. Disse cosa sarebbe potuto, dovuto essere un community organizer, e in prima persona per primo lo divenne, e divenne il migliore.

    Come se ad inventare la pallacanestro non fosse stato un apparentemente poco atletico canadese, tale James Naismith, bensì Michael Jordan.

    O come fosse stato Michelangelo ad inventare per primo scultura e pittura.

    Su due piedi viene alla mente solo un Bruce Lee inventore del Jeet Kune Do¹⁶.

    Saul Alinsky fu non solo il primo community organizer ma il migliore, non solo il migliore ma Saul Alinsky.

    Community Organizer

    Scopriamo queste altre due parole, ancora seminascoste come le ulteriori due "Saul Alinsky".

    Che cos’è, il community organizing, da dove viene, cosa fa, dove va?

    Scindiamo.

    ‘Comunità’ deriva dal francese antico communité, a sua volta derivante dal latino communitas (cum, con/insieme + munus, dono), termine esteso per associazione o società organizzata

    . In realtà qui siamo un passo prima. Comprimiamo. La comunità, tipicamente, adotta questa definizione al momento stesso della sua costituzione, che avviene quasi sempre senza consapevolezza, di costituzione: si limita ad avvenire e basta. Insomma, una palazzina è già di per sé una comunità, ma non si estende già all’atto di nascita (ammesso e non concesso ve ne sia uno unico e univoco) all’elaborazione estesa in comunità organizzata

    , ma si limita al compresso, incompleto, comunità.

    Ed ecco, passando per una sorta di gioco d’estensione e compressione (e di parole), che per fare acquisire il significato esteso di comunità organizzata

    , occorre effettivamente aggiungere, questa parola, a seguire comunità.

    Seguiamo.

    Organizzazione. Dal greco antico ὅργανον - organon – strumento.

    L’etimologia è qui particolarmente aderente all’incarnazione dell’espressione organizzazione di comunità, dal momento in cui tale organizzazione mira a farsi mero strumento e a spronare la comunità ad accoglierlo, impugnarlo, impararne e poi utilizzarlo; a pungolare una comunità tanto quanto basta per (stimolata) attivarsi e uscire dal proprio angolo buio e prendere possesso del pungolo stesso, e attraverso questo, del potere.

    Il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies distingue due tipi di associazione umana: il Gemeinschaft (solitamente tradotto proprio come comunità) e Gesellschaft (società o associazione). Nel suo lavoro del 1887, Gemeinschaft und Gesellschaft, Tönnies sostiene come il Gemeinschaft sia percepita come una più stretta e coesa entità sociale, data la sussistenza di un’unità di intenti, di uno scopo comune. Individua immediatamente come perfette forme di questo la famiglia e le parentele, ma subito dopo evidenzia come altra caratteristiche condivise, come un posto o un credo, possano anche essere Gemeinschaft.

    Nel Gesellschaft, invece, la motivazione di prendere parte al gruppo è mossa unicamente dall’interesse personale.

    Chi scrive rilancia: il Gemeinschaft più puro e (persino, paradossalmente) solido è quello spontaneo per un genuino comune moto d’intenti, non quello che deriva dall’ineludibile ereditarietà familiare. La scelta può esser sprone più potente del sangue, dato che deriva da un cercare attivo, non da un trovare retroattivo.

    Dalla Germania torniamo oltreoceano.

    Scientificamente uniamo.

    Il community organizing è un processo per il quale gruppi di persone che coesistono in una prossimità generalmente geografica (ma il concetto si è poi da Alinsky evoluto a prossimità d’idee, d’intenti ecc.¹⁷), ad esempio vivendo in una stessa baraccopoli, sobborgo, banlieue o altro, si uniscono sotto l’egida di un’organizzazione che agisce nel loro comune interesse, di più, che li educa, instrada ed indirizza ad agire assieme per perseguire gli obbiettivi della comunità tutta, comunità della quale l’organizzazione si fa momentaneamente portavoce e portabandiera, in attesa di passare la palla alla comunità stessa una volta che questa sia pronta sa camminare con le proprie gambe e a corrervi appresso da sé.

    Gli obbiettivi d’una comunità e dunque di un’organizzazione possono naturalmente variare da comunità a comunità, ma in genere trattasi di migliori condizioni strutturali-abitative per quanto riguarda le proprie case o le scuole dei propri figli, migliori regimi di assistenza sanitaria, maggiore possibilità di penetrazione nel mercato del lavoro con abbattimento o azzeramento di discriminazioni razziali o altro (ricordiamoci che all’epoca in cui Alinsky comincia ad occuparsi di tutto questo, la più recente legislazione in materia di diritti civili con riferimento all’equità razziale negli Stati Uniti è il Civil Rights Act convalidato da Ulysses S. Grant¹⁸ il 1° Marzo 1875: nel 1883 la stessa veniva dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti), migliori contratti di locazione e di lavoro, trasporti pubblici più capillari e frequenti, raccolte rifiuti meno saltuarie nel proprio quartiere ecc.

    Oltre a questi obbiettivi delle comunità, uno dei traguardi ideali di un buon organizzatore risiede nello sradicare il senso di accidia e di indolenza, di inesistenza civile da sempre intrinseco in ampie frange svantaggiate, e l’aiutarli a dotarsi della consapevolezza di valere, di contare, di poter far sentire le proprie voci e pesare i propri voti: la registrazione di queste masse per il voto è sempre stato un duplice piccione per l’organizzatore, che mette nelle mani del nullatenente l’arma del poter negare il consenso, e in quelle di sé e dell’organizzazione, quella di poter negoziare il contratto.

    Il compito di un community organizer è da principio riuscire a entrare in una comunità, molto meglio se invitato

    dai locali a farlo – questo avviene generalmente per due vie: il nome che un organizzatore si fa, e quanto rumore fa la macchina del fango dei detentori del potere e custodi dello status quo nemici degli interessi di una comunità contro l’organizzatore stesso: in sostanza il miglior biglietto da visita e passepartout per un organizzatore è la merda più sporca e il sangue più marcio scagliati contro di lui. Subito dopo deve venire l’acclimatamento entro la comunità, l’accettazione dell’organizzatore da parte della stessa, sempre da pari a pari: le persone, ricorda sempre Alinsky, non amano essere trattate come degli idioti che non han mai saputo approcciare o come approcciare un problema, o peggio ancora essere trattate come semplicemente degli inferiori, dunque il buon organizzatore non lavorerà a struttura a piramide, quanto a tela di ragno; le persona devono venir catturate e accattivate, non sfruttate e schiacciate.

    Passo successivo importante è quello di individuare dei leader locali, leader naturali di una comunità, con la funzione di coinvolgere quante più persone e quanto più possibile nella battaglia della comunità, persone che riconoscendoli come leader tenderanno a convergere su di loro, e dunque coinvolgersi e convergere sulla lotta (questo è particolarmente utile e valido, ad esempio, con i membri della comunità che per qualsiasi motivo nutrono diffidenza verso l’organizzatore dall’esterno).

    Poi, il fine ultimo del community organizing non è conseguito col raggiungimento di tutti gli obbiettivi della lotta particolare o il risolvimento a favore della comunità di alcune delle recriminazioni specifiche, bensì, contemporaneamente a ciò, con lo stabilirsi di basi organizzative solide per le quali la comunità è ora autosufficiente, auto-organizzata e pronta a proseguire autonomamente il lavoro, cosicché l’organizzazione può serenamente sfilarsi e migrare da queste realtà rinate verso altri disastrati lidi.

    Queste le fasi del community organizing concepito, elaborato e messo in atto da Saul Alinsky.

    Da un punto di vista più o meno impropriamente scientifico, appunto, e d’altra parte è questa ormai da tempo scienza pratica materia di studio per le cattedre universitarie di mezzi Stati Uniti.

    Non senza controversie. Non sarebbe Alinsky.

    Ad una delle tante università, il Wellesley College - università femminile di arti liberali del Massachusetts terribilmente

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