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La cucina del Friuli
La cucina del Friuli
La cucina del Friuli
E-book594 pagine7 ore

La cucina del Friuli

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Info su questo ebook

In oltre 500 ricette

I sapori di una ricca e varia tradizione gastronomica, profondamente legata al territorio e alle vicende storiche

L a cucina del Friuli, nella sua varietà, rivela l’impronta degli eventi che hanno segnato la storia di una terra di confine, da sempre oggetto di incursioni e predazioni e, per di più, soggetta a condizioni climatiche e geografiche assai varie: così abbiamo nella fascia montana a nord una cucina caratterizzata da piatti rustici e robusti, come polenta e cacciagione, allestiti con spartana semplicità, mentre nelle terre basse dell’Adriatico troviamo sapori più ricercati e speziati. La tradizione gastronomica della regione, poi, è ricca di suggestioni legate alle antiche vicende storiche: non è difficile percepire un’influenza veneziana nella cucina raffinata e marinara della fascia meridionale, in cui abbondano risotti e zuppe di pesce; un’impronta austroungarica negli strudel, nell’uso degli insaccati, nella brovada (sicura discendente dei crauti bavaresi) e nei knodel; un’eredità slava nella gubana; e una traccia ungherese negli umidi di carne caratteristici un po’ di tutta la regione, che molto si rifanno ai gulasch e ai polkolt magiari. Dagli antipasti al dolce, senza dimenticare salse, marmellate, conserve e sciroppi, questo libro offre al lettore un panorama completo della ricca gastronomia friulana.


Emilia Valli

laureata in filosofia e insegnante, esperta gastronoma, vanta la collaborazione a diversi periodici specializzati e la pubblicazione di decine di libri di educazione alimentare e di ricettari di cucina, nei quali alla scelta degli ingredienti si abbina una nota di raffinata fantasia legata alla genuinità della tradizione italiana. Con la Newton Compton ha pubblicato, tra l’altro, 500 ricette di pasta fresca, 1000 ricette di carne rossa, 500 ricette con le verdure, 1000 ricette con la frutta, La cucina del Veneto, La cucina del Friuli e 501 ricette di biscotti e dolcetti.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854146082
La cucina del Friuli

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    Anteprima del libro

    La cucina del Friuli - Emilia Valli

    107

    Prima edizione ebook: settembre 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4608-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Emilia Valli

    La cucina del Friuli

    I sapori di una ricca e varia tradizione gastronomica,

    profondamente legata al territorio e alle vicende storiche

    Introduzione

    Geografia della regione

    Soffermarsi, seppur brevemente, sull’aspetto geografico e storico del Friuli ci sembra opportuno per riuscire ad avere una conoscenza più aderente alla realtà della tradizione gastronomica della regione, attraverso i meccanismi che l’hanno formata.

    Geograficamente il paese è molto vario e ameno; ha monti, foreste, laghi e fiumi, mari dalle spiagge dorate, boschi rigogliosi, prati verdi, rocce rudi e paludi riposanti: un panorama dalle molteplici sfaccettature, che si presenta come «un anfiteatro immenso, circondato dalle montagne e aperto sul mare», come ebbe a descriverlo, già nel sedicesimo secolo, Erasmo da Valvasone. L’alta pianura, quella che si estende alla base delle Prealpi, è caratterizzata da un tipo di terreno arido e sassoso (magredi), formato da depositi calcareo-dolomitici strappati alla montagna dalle acque.

    La parte mediana, lungo la fascia che comprende Udine, è più coltivabile, per l’alternanza di strati ghiaiosi e sabbiosi, ma vi permane una eccessiva permeabilità, che mantiene il terreno arido (grave). Questa fascia, che si presta a stento alla coltura di poche graminacee, appare ottima, invece, alla coltura delle uve, in quanto ha la capacità di irradiare durante il giorno tutto il calore necessario alla maturazone dei grappoli.

    A sud di questa fascia, nasce la zona delle resorgive: qui il suolo restituisce l’acqua che si era infiltrata nelle zone dell’alta pianura in una serie di polle che appaiono qua e là. In questo punto è possibile una migliore agricoltura.

    La zona di terreno che sta più in basso, a livello della costa, soffre di un male contrario a quello dell’alta pianura: mentre questa soffre per la siccità, quella soffoca per eccesso di acqua, che in alcuni punti ristagna, formando paludi. È nata, per questo, la necessità di creare canali d’ogni sorta, da quelli che solcano i campi (s-giavins), a quelli che attraversano i centri abitati (lis rois), scavati a mano, seguendo un disegno di canalizzazione iniziato dai Romani, duemila anni fa.

    Il clima

    Naturalmente, in una regione dall’aspetto geografico tanto vario, il clima risulta complicato da definire. Pertanto non rimane che indicare un andamento climatico proprio di ogni sezione: quello della Carnia, più soggetto ai rigori; quello delle zone del magredi soggetto a violente grandinate; quello della bassa, umido e fortemente nebbioso: qui le precipitazioni raggiungono i 1000-3000 millimetri annui (superati nella regione solamente nella zona del Musi, nella Valle del Torre, ove la piovosità arriva ai 3250 mm).

    In questo paese, nel quale piove spesso e nevica poco, l’agricoltura rimane la principale risorsa.

    La storia

    Quella del Friuli è una etnia d’origine preromana, proveniente dalla stirpe celtica, sulla quale, nei tempi, si sono venute a inserire culture diverse. Nell’Età del bronzo, la regione era abitata da popolazioni di origine indo-europea; su queste venne a inserirsi la civiltà dei Veneti, sulla quale, poi, venne a sovrapporsi la civiltà dei Celti, che comparve sui monti del Friuli verso il IV secolo a.C. I Celti erano combattenti e contadini. Usavano armi e attrezzi di ferro e coltivavano la segala e l’avena, svolgendo anche opere di disboscamento.

    Un evento importante, per la storia della regione, accadde nel 182 a.C., quando i Romani, chiamati dai Veneti, sconfissero i Celti, spingendoli a nord della regione, e fondarono Aquileia, aprendovi un porto (la città, allora, sorgeva sul mare), importantissimo per la navigazione adriatica.

    La presenza dei Romani segnò un periodo di stabilità, che favorì l’autonomia della regione e diede alla popolazione la possibilità di produrre e commerciare, servendosi della fitta rete di strade ancora oggi a tutti ben nota.

    I Romani iniziarono l’opera di risanamento della regione, costruendo una rete di canalizzazione ragionata. Le terre così bonificate poterono essere destinate alla coltivazione di ciliegie, pesche, fichi, melograni, mele (le mele mattiane), che venivano esportati. Ma coltivarono, comunque, anche il frumento, l’avena, l’orzo, il farro, il miglio, il panìco, le fave e le lenticchie. Coltivarono anche l’olivo; ma la coltura a cui si dedicarono con maggiore attenzione fu, soprattutto, quella della vite.

    Sotto Augusto, il Friuli è già un centro di vita alacre, proprio grazie alla coltivazione della vite e alla produzione del vino.

    Il Medioevo

    Poi giunsero i Visigoti. E gli Unni. Questi ultimi, provenienti dall’Asia; e molti altri aggressori, contemporanei e successivi alla loro discesa, si riversarono sul Friuli travolgendo quanto incontravano. Di questo periodo e della confusione che lo distinse, infatti, mancano perfino le testimonianze storiche. Si sa, comunque, che, caduta Aquileia, fu Forum Julii (l’attuale Cividale, che con questo suo primo nome avrebbe battezzato, in seguito, l’intero Friuli) a divenire il centro più importante della zona e la prima sede del Ducato longobardo.

    Sotto i Longobardi il paesaggio agrario cambia volto: i campi vengono lasciati a prato, le zone meridionali tornano ad assumere l’aspetto acquitrinoso della palude e i boschi, inselvatichiti, vengono lasciati al pascolo dei cinghiali e dei maiali selvatici. È di questo periodo la nascita della suinicoltura regionale, che ancora oggi vanta un posto importante nella gastronomia nazionale. L’allevamento è indirizzato verso maiali di piccole dimensioni (come, del resto, sono piccoli ancora oggi i maiali friulani) e i porcari diventano lavoratori importanti, come spiegato nell’Editto di Rotari, ove è precisato che il «lavoro del porcarius vale il doppio di quello di un contadino».

    Poco, però, si sa della vita quotidiana (e dell’alimentazione) del friulano comune di questo periodo. I Longobardi incrementarono le colture del miglio, del panìco, del sorgo, dell’orzo. E continuò la coltivazione del lino, al quale la popolazione si dedicò anche a scopi alimentari: è di questo periodo, infatti, la ricetta di un dolce realizzato con farina di semi di lino. Per quanto riguarda l’apporto proteico, ci si affidava alla caccia e alla pesca. Malgrado ciò, la quantità dei cibi non doveva essere sufficiente, dato che è registrato proprio in questo periodo, nella regione, un vero e proprio crollo demografico.

    L’età dei Comuni

    Nel X secolo, quando il paese sarà ammesso al Ducato di Baviera, l’odissea del Friuli diverrà tragica. I friulani, alla ricerca di sedi più sicure, spopoleranno la zona costiera e la pianura, rifugiandosi nelle zone alpine e prealpine; fino a quando, sul finire dell’anno Mille, Enrico IV, affidando la zona al patriarca di Aquileia (che lo aveva aiutato nella lotta contro il papa), dette inizio alla vera indipendenza della regione. In questo periodo, accanto al contadino, lavora anche il monaco benedettino, il quale, obbediente alla sua regola dell’ora et labora, perfeziona la conoscenza di quanto riguarda la cura dei campi e le tecniche di lavorazione, al punto che, in poco tempo, i monaci apparvero i soli intellettuali capaci di tenere in mano le redini dell’intero sistema di produzione e di commercio.

    L’età moderna

    Agli inizi del XV secolo, il dominio patriarcale declinò e gli successe quello della Repubblica Veneziana, che durò fino alla fine del XVIII secolo. Questo periodo è segnato da una certa stabilità; ma la produzione agricola non è ancora sufficiente. Le coltivazioni, ove è possibile, sono di frumento, miglio e avena, sorgo e orzo. In alcune zone si inizia a coltivare la fava e si comincia a parlare di ortaggi: verze e rape (che usava anche allora fare inacidire, come i crauti, per ricavarvi la brovada). Altrove si inizia a coltivare la castagna. Ma la fame è sempre dietro l’angolo: Venezia non interviene; anzi non indugia a togliere alla campagna friulana gran parte della mano d’opera, per ingaggiarla nella lotta contro i Turchi.

    Molti sono i documenti che attestano le carestie di questo periodo in Friuli, che, aggravate dal susseguirsi ininterrotto di epidemie d’ogni genere (peste, vaiolo, tifo petacchiale) e unite al susseguirsi di terremoti, invasione di cavallette e assalti di lupi, originarono una sequela di lutti e una condizione di miseria senza fine.

    All’inizio del XVII secolo il contadino diserta ormai anche la terra; passa le

    Il castello di Udine in un'illustrazione di fine Ottocento

    ore sostando in osteria, cercando di annegare il pensiero della propria vita stentata in un bicchiere di cattivo vinello.

    Non sa ancora che la crisi è vicina ad una svolta.

    Le scoperte geografiche

    Le scoperte geografiche, che nell’arco degli ultimi cent’anni si erano moltiplicate, avevano portato in Europa nuovi frutti. Tra questi: la patata, i fagioli e anche il mais, che, come si scoperse, nella regione crescevano facilmente con ottimo rendimento: soprattutto il mais, che, grazie alla facile coltura, attecchì meglio degli altri e parve risolvere molti problemi di fame arretrata.

    Dopo cent’anni dalle scoperte, ogni campo della regione finì col rigogliare sotto un mare di verdi pannocchie. E, alla fine del secolo XVII, la polenta diventò il cibo fondamentale del friulano: fondamentale e, purtroppo, unico.

    In questo periodo, infatti, non era ancora noto che il mais, pur avendo un contenuto notevole di sostanze nutritive, manca del tutto di una vitamina, la PP (pellagra preventing). La vitamina PP (vit. B3 o niacina) svolge una funzione di sostegno per l’apparato circolatorio. La carenza di questa vitamina provoca lesioni alla mucosa della bocca e alla cute esposta alla luce: dermatiti sulla fronte, sulle guance e sui piedi; infiammazione del cavo orale o vertigini, cefalee, insonnia e, nei casi gravi, anche pellagra. In tal modo la popolazione andò incontro ad un indebolimento collettivo e questa situazione durò circa cent’anni, anche perché l’attività agricola era basata, in questo periodo, principalmente sulla coltivazione del mais e tutte le altre produzioni erano state evitate o curate con minore attenzione. La pellagra fu individuata e debellata, poco alla volta, solo nel 1800.

    Delle altre piante che le scoperte geografiche avevano portato in Europa, come detto, anche la patata e i fagioli ebbero nella regione una grande fortuna. La patata, malgrado la ritrosia iniziale, fu finalmente accettata quando, nel secolo XVIII, in seguito ad una carestia più disastrosa delle altre, il contadino decise di fare un tentativo di coltivazione e la massaia di nutrire i familiari con il tubero. I tentativi furono coronati dal successo, anche perché si scoperse che la produzione era favorita dai terreni aridi: proprio come quelli di cui il Friuli è abbondantemente fornito. Per questo motivo si ebbero ampie coltivazioni, specialmente in Carnia, ove ancora oggi è d’uso preparare un buon pane di patate. Nella medesima zona, si coltivano dei fagioli ricercatissimi per la bontà della polpa e la scarsa consistenza della pellicola dei semi.

    Il Lombardo-Veneto

    All’inizio del XIX secolo, dopo la cacciata di Napoleone, il Friuli viene annesso al Lombardo-Veneto e rimane sottomesso all’Austria fino al 1866. La situazione alimentare non è ancora confortante. L’annessione della regione all’Italia viene seguita dal contadino friulano con occhio distratto, a causa dell’indigenza che lo lega alla sua povera terra.

    Così, mentre nel resto della penisola si va facendo strada la rivoluzione industriale, il friulano rimane legato alla sua agricoltura specifica, familiare e non competitiva, cui egli si dedica addirittura con strumenti primitivi: aratro di legno (uarzenon), trebbia preistorica ecc. La sua alimentazione rimane scarsa e poco variata: polenta per il 65%; verdure per il 27%; legumi (0,10%), grassi (0,015%), formaggi (0,015%) ed erbaggi per quanto rimane. Scarse le sostanze proteiche. Il pasto, in genere, comprende polenta, al mattino; polenta e latte a pranzo; polenta ed erbaggi a cena.

    L’emigrazione e la rinascita

    Uno dei rimedi con cui si tentò in questo periodo di combattere il problema della fame fu l’emigrazione, un esperimento certamente dettato dalla disperazione. In questo modo, il Friuli rimase in mano alle donne: donne scure, invecchiate dalla fatica della casa, dalla cura dei campi e delle bestie. Donne che si inerpicavano sui sentieri sparsi tra i campi, la gerla sulla schiena, mentre con le mani, instancabili, lavoravano a maglia la lana per preparare l’ultimo paio di calze da spedire al marito emigrato. In questo modo, in ogni caso, il Friuli inizia a fiorire; ma, naturalmente, a stento, su di uno sfondo di storia antica e arte, tra castelli e antichi palazzi, chiese e abbazie, cantine ed enoteche.

    La storia della cucina friulana

    Il Friuli, dunque, non è favorito dalla situazione climatica, e neppure dalla storia, che ha visto susseguirsi sul suo suolo inevitabili eventi catastrofici. Malgrado ciò, la regione conserva una vasta scelta di ricchezze archeologiche, una molteplicità di superbi castelli e di ridenti ville palladiane, oltre alla bellezza dei suoi monti e dei suoi tramonti dai colori stupendi, vivi nei dipinti del Tiepolo. Ma il Friuli offre oggi anche molte leccornie per i buongustai più esigenti. A cominciare dal prosciutto di San Daniele, realizzato con i quarti posteriori di una sorta di piccolo suino locale di antica importazione celtica, per passare ai salumi di Sauris, al formaggio Montasio, nonché all’ottima selvaggina (capriolo, camoscio, beccacce, allodole e uccelletti), solitamente cucinata allo spiedo e consumata con la buona polenta, da gustare al fuoco della fiamma di faggio, dinanzi al fogolar... con il buon sapore della genuinità e il gusto sano della cucina di un tempo.

    La cucina friulana rivela l’impronta degli eventi che hanno segnato la sua storia, filtrati attraverso le situazioni determinate dalle particolarità del clima e del suolo. Il paese, si sa, quale terra di confine, è stato sempre oggetto di incursioni e depredazioni; e, come detto, non è favorito neppure dalla situazione climatica e geografica. L’agricoltura, di fronte a queste premesse non certo favorevoli, ha dovuto sempre sforzarsi di ricavare il massimo della produzione da un suolo piuttosto avaro. Ecco perché la gastronomia friulana ha il pregio della massima semplicità.

    I pilastri su cui poggia sono a tutt’oggi, e da tempi remoti, sempre la polenta, gli insaccati e le carni di maiale, il bacalà (cioè lo stoccafisso, qui erroneamente chiamato baccalà), i fagioli, le erbe e, certamente non ultimo, il vino. Le sfaccettature sono pervenute attraverso il succedersi dei contatti stranieri, forzati e no.

    Nella cucina friulana, infatti, non è difficile percepire l’influenza veneziana (nella cucina raffinata e marinara della bassa e nell’abbondanza dei risotti); l’impronta austro-ungarica (negli strudel, nell’uso degli insaccati, nella brovada, sicura discendente dei crauti bavaresi, e nei knodel); quella slava (nella gubana, sorta di dolce di pasta arrotolata, con ripieno di frutta secca, così chiamata dalla parola gubana, che in slavo vuol dire gomito); e quella ungherese (negli umidi di carne).

    L’altro fattore con cui l’evolversi della cucina friulana ha dovuto fare i conti, come detto, è quello geografico. Il Friuli, come è facile constatare, è una regione oltremodo varia: il suo terreno va dalle terre basse dell’Adriatico a quelle moreniche della fascia mediana, ai monti, bellissimi, del nord del paese, caratterizzato da basse temperature. Per questa ragione si viene a riscontrare che nella zona montana sono preferiti i piatti rustici: polente e cacciagione, polente con le erbe, e zuppe allestite con spartana semplicità, oltre a piatti nei quali la fantasia supplisce alla scarsità dei mezzi (è il caso dei paesi della Carnia, nei quali è insuperabile la preparazione dei cjalçons, ravioli differenti da zona a zona, ma sempre di gusto ineguagliabile, o della stessa pasta coi fagioli, assolutamente irripetibile). In queste zone, il maggior ricorso alle zuppe e alle minestre deriva dalla passata povertà della gente del luogo e al bisogno di combattere il freddo…

    Poi, scendendo verso la pianura, è possibile riscontrare una sempre maggiore ricercatezza e varietà. Qui ci sono zone nelle quali è più abbondante un prodotto, come avviene per gli asparagi, i più pregiati dei quali sono coltivati a Tavagnacco, a pochi chilometri da Udine.

    Nella fascia più meridionale si finisce col trovare, come detto, i sapori di una Venezia sofisticata e decisamente più ricca. In sostanza, eliminando i sedimenti d’oltre confine, la cucina del Friuli meridionale risulta strettamente legata alla cucina veneta, da cui differisce semplicemente per il diverso grado di agiatezza delle due regioni.

    La modestia della cucina friulana permane viva ancora oggi soprattutto per motivi sentimentali e non più per povertà vera e propria.

    Negli ultimi anni è entrato nell’alimentazione quotidiana anche l’uso della pastasciutta, la quale fino a poco tempo fa si conosceva solamente sotto forma di tagliatelle caserecce molto larghe, da utilizzare più che altro per minestre brodose, specialmente di fagioli. Ma l’alimento base rimane ancora la polenta, realizzata piuttosto compatta e soda. Altri alimenti frequenti: il radicchio, lo speck, il cotechino friulano (musetto), il prosciutto...

    Il prosciutto di San Daniele

    La patria del prosciutto friulano è San Daniele, un posto situato in una zona in cui confluiscono i profumi della montagna e il tepore, umido e morbido, del mare. Le carni utilizzate provengono da una razza locale di suini piccoli e magri, le cui cosce pesano attorno ai 9,5 kg. La lavorazione dei prosciutti obbedisce a un codice d’antichissima elaborazione e richiede un ciclo di 370-385 giorni, che parte dalla rifilatura delle cosce, per liberarle di eventuali difetti di taglio; poi si passa alla salatura, che deve durare un numero di giorni pari a quelli del loro peso. La fase successiva è quella della pressatura, che dà al prosciutto la forma regolare a chitarra e che permette la fuoriuscita degli umori e il raggiungimento di una maggiore compattezza delle carni. Alla pressatura, segue la prestagionatura, soggetta a frequenti controlli, e la stagionatura, che viene eseguita in enormi capannoni, capaci di ospitare attualmente un milione e mezzo di prosciutti.

    Il Montasio e gli altri formaggi

    Il Montasio, prodotto in una zona che comprende il Friuli oltre alle province di Belluno, Treviso, Padova e Venezia, è un formaggio nato nel Medioevo dalle abili mani dei casari dell’Abbazia di Moggio, in Carnia. La sua produzione, pian piano, si allargò a tutto il territorio delle Tre Venezie, fino ad arrivare, ai giorni nostri, a oltre 100 mila quintali.

    La preparazione di questo formaggio, che ancora oggi nell’uso regionale comune è più noto con il vecchio nome di latterìa, è una delle vecchie istituzioni friulane. Si tratta di un formaggio a pasta soda, prodotto con latte di vacca, la cui preparazione è stata tramandata di padre in figlio, fino a quando le nuove istituzioni lo hanno trasformato in un prodotto dalle caratteristiche organolettiche ben stabilite e distinte.

    Il Montasio è apprezzabile per la presenza di fermenti lattici vivi in numero ancora elevato anche al momento del consumo: una flora lattica che riesce altamente benefica alla digestione e apportatrice di alti valori nutrizionali e di minerali.

    Confezionato in forme cilindriche, piatte, di circa 5-9 kg, viene messo in vendita nei diversi stadi di stagionatura:

    - fresco, stagionato da due a cinque mesi, di gusto delicato (da tavola);

    - mezzano, dopo una stagionatura di 5-12 mesi, a pasta più gustosa e sapida;

    - stravecchio, dopo oltre un anno di stagionatura, ormai a pasta dal gusto piccante (da grattugia).

    Un formaggio fresco, che si mantiene a lungo morbido (senza quasi formare la crosta) è il çuç (o, se è stagionato più a lungo, il çuç di gratâ) della Carnia.

    Enemonzo dedica una sagra ai formaggi d’alpeggio: formaggi freschi di malga, tratti da latte vaccino (talvolta con l’aggiunta di latte caprino), dalla pasta di colore paglierino, dal gusto pronunciato, leggermente amaro. Momento centrale della Mostra-mercato del formaggio e della ricotta di malga è il concorso per il migliore prodotto caseario.

    Tra questi formaggi, val la pena di provare il formadi salât, formaggio fresco in salamoia. Un formaggio grasso è, invece, il formadi frait, prodotto anche questo in Carnia, di colore scuro e pasta dal gusto dolce e piccante, nato dalla mescolanza di diversi formaggi del tipo latteria, sminuzzati a fettine, con l’aggiunta di latte, sale e pepe, lavorato a mano e fatto fermentare fino a quando avrà formato i vermi: a questo formaggio, a Socchieve, viene dedicata addirittura la festa del formadi frait.

    Noto e diffuso è in Friuli il formaggio macerato sotto le vinacce: il formadi sot la trape. Questo formaggio, diffuso in Carnia, nella Val Canale e nel Canale del Ferro, viene prodotto in due formati: in forme di 6 kg e in caciotte del peso di 1 o 2 kg, che vanno tenute nel mosto di uva, bianca o rossa, per periodi variabili. Il gusto del formaggio è delicato o leggermente piccante.

    Una particolare attenzione è ancora oggi riservata al formaggio Asino assai noto nella valle del Tagliamento, che prende il nome dal Monte Asio e viene prodotto in due versioni: morbido e consistente, entrambi dal gusto leggermente piccante.

    I cjalçons

    Tra le minestre asciutte, strettamente friulane, vanno collocati i cjalçons, ravioli con vari tipi di ripieno, tra i quali è compreso perfino il cioccolato, oltre a ricotta affumicata, pane nero grattugiato, zucchero, cannella, uvetta sultanina, frutta e verdure, in un miscuglio molto singolare, che nel suo insieme riesce a dare un gusto assai gradevole. Il ripieno, come già detto, è variabile da zona a zona (la qualcosa sarà spiegata avanti, nel capitolo delle ricette dei primi asciutti).

    Il termine cjalçon pare possa farsi risalire alla voce calisson, che in turco indica uno strumento simile al liuto, nella cui forma in passato si preparavano alcuni dolcetti di marzapane. Esiste un documento, del 1377, nel quale si parla proprio di Pasqua dei cjalçons, nel quale si fa riferimento a questi dolcetti. I cjalçons di oggi, comunque, prendono il posto di un primo asciutto: i cjalçons, una volta lessati, vengono scolati e conditi con burro bollente, ricotta affumicata grattugiata, zucchero e cacao.

    La brovada e il musetto

    Sull’esempio dei crauti austriaci, il contadino friulano ha pensato di utilizzare le rape per realizzare un contorno assai singolare: le rape, private delle foglie e grattugiate, vengono sistemate in tinozze di legno, alternandole a strati con ciò che rimane dell’uva dopo essere stata pigiata per farne vino. Lasciate fermentare per quattro mesi, si può iniziare a prelevare il prodotto (la brovada) e utilizzarlo, cucinandolo con il musetto, con del salame o con carni di maiale: il purcìt e il purselut.

    Il musetto (musèt) è un piccolo cotechino friulano, farcito di tagli scadenti di maiale: muso, cotenne, muscoletti ecc, il tutto bene amalgamato e insaporito con cannella, chiodi di garofano, noce moscata, vino, sale e pepe. Insaccato in budello di bue, il musetto va fatto stagionare per 30 giorni; poi va cucinato lentamente con la brovada.

    Le frittate

    La cucina della pianura friulana è rinomata anche per le frittate: frittate ricche di erbe. Uno degli svaghi più diffusi oggi tra la gente del Friuli è quello di andare per i campi a raccogliere le erbe che la natura offre abbondantemente nei prati verdi e tra i boschi. In ricordo del tempo in cui i commercianti ambulanti, i kramaar (da Kramaa, cioè zaino), andavano in giro a vendere le proprie erbe e usavano le erbe rimaste sul fondo dello zaino a casa per condire le proprie frittate (e anche i ravioli), i friulani ritengono l’andare per le erbe un rito.

    Tra le jarbis friulane, usate per condire le frittate e molti altri piatti, le più ricercate sono:

    - l’Achillea millepholium, nota come millefoglio (in friulano jàrbe di centmil-fuéis, jàrbe capriole, jàrbe tajaròle), che cresce a mazzetti nei luoghi erbosi e nei boschi, con foglie allungate, segmentate e pelose; ottima per frittate;

    - l’Artemisia o assenzio (assinz), da mettere nella grappa, per ottenere un ottimo tonico, cui nelle montagne della regione si attribuisce un potere afrodisiaco;

    - l’Asparagina (sparcs o sparcs salvadis), pianticella filiforme che cresce sui muri o lungo le siepi di campagna, ottima per profumare frittate, risotti e minestroni;

    - l’Atriples hortense, spinacione o anche bietolone rosso (redrepis), dal fusto rosso, le foglie triangolari e i fiorellini azzurri;

    - la Campanula rapunculus, o raperonzolo (rapònzui), che cresce nei campi incolti, con fiori rosati;

    - la Campanula trachelium, nota anche con il nome di imbutini (urticela), che cresce tra le sterpaglie dei boschi, con foglie triangolari, a forma di cuore, e fiori violacei, a calice;

    - il Chenopodio album, o farinaccio selvatico (ledrèps salvàdis, farinèle, farinuz, bòdina), che cresce nei luoghi ombreggiati, lungo la pianura, con foglie simili a quelle del cavolo e fiorellini gialli, da usare come gli spinaci;

    - il Chenopodio buonenrico (spinàzis di mont), dalle foglie carnose dal gusto simile a quello degli spinaci;

    - il Chrysantemum balsamita o balsamita (mentegrèe o jàrbe de Madòne), dal profumo di menta, ottimo per insaporire le frittate, le insalate e le frittelle;

    - il Cirsium arvense, o stoppione (giardòn), molto simile al cardo, da lessare e cuocere saltandolo in padella;

    - il Cumino (cumin, chimel, ciarièl, zarièl), pianta di montagna, cui si attribuisce la proprietà di aumentare la forza muscolare (per questo si aggiunge a una sorta di pane, da dare ai montanari che vanno al lavoro), di cui in cucina si utilizzano i germogli, per profumare le frittate, e i semi, per dolci e liquori;

    - l’Eruca sativa, o rucola (rùcule), che cresce nelle zone collinari, ottima per i risotti;

    - il Luppolo (urticˇ òn), che si trova nelle siepi e nei luoghi incolti, del quale si raccolgono i germogli;

    - il Melandrium album, o gittone bianco (orèle o orèlis di jeur, oreglùzzis, orèle di mont), con le foglie a forma di orecchia di lepre (orèle) che cresce ai margini dei boschi;

    - la Melissa (melisse, jàrbe d’âf, jàrbe di lemon, jàrbe luise);

    - la Menta aquatica (mentastri, mentàz, mentuzzàt);

    - la Menta pulegium (puleciut, pulazzùt, puliüt;

    - la Menta viridis (mentùzze, mintùce), alla quale, come si ritiene che accada con l’uso di tutte le mente, si attribuisce il potere di ridare la potenza sessuale maschile perduta;

    - il Muscari o cipollaccio col fiocco (puàr salvàdi, zacint salvadi, ài de biss, ài de ciàn, ài de lôf, ài de màt, ài de prât, cevole salvàdie, civolùte de madràk ecc), del quale si usa mangiare i bulbi lessati, facendone frittate;

    - il Nasturtium officinale, o crescione (cressò, astrùz, grassòn, frissò, sgrisulò ecc), dal sapore piccante, che cresce lungo il greto dei ruscelli;

    - l’Origano (majaròn salvàdi, mazoràne salvàdie); l’Ortica (urtìe, ortigia, urtìga), i cui germogli sono indicati per insaporire zuppe e frittate;

    - il Papaver rholas, rosolaccio (confenòn, povâr, pevarèl, papaver salvadis), molto ricercato per insaporire le frittate;

    - la Portulaca (porcelàne, jàrbe grasse, grassule);

    - il Rumex acetosa, romice acetosa, erba brusca o erba di vacca (jàrbe fuàrt, lènghe di vàcie, pan e vin, asèdule di prât, pancùc), pianta dal fusto rosso, che cresce nei posti umidi, della quale si raccolgono gli apici, da cucinare come spinaci;

    - il Ruscus acileatus o pungitopo (riscli, sparcs, rusculìns), del quale si raccolgono i rami teneri, da lessare e adoperare per insaporire frittate, zuppe e risotti;

    - la Silene angustifòlia, o silene (sclopìt), di cui si raccolgono gli apici, prima della fioritura, nei prati incolti;

    - la Specularia speculum Veneris, o specularia (cerasùte) , che cresce nei campi di grano, alta ed eretta, con fiorellini a cinque petali, dal centro bianco;

    - il Tamus communis, o tamaro (urtizzòn salvadis, tossi, tuassèc, uè tamine), che cresce arrampicandosi sulle sterpaglie, del quale si colgono i germogli (eliminando le bacche, velenose), ottimi per le frittate;

    - il Taraxacum officinale, o tarassaco (litrichessa), del quale si gustano i teneri germogli;

    - la Valeriana oliatoria, valerianella (ardielùt, parola che in friulano vuol dire agnellino), pianticella a forma di rosetta, dalle foglie carnose ricche di proprietà balsamiche, da consumare in cucina sotto forma di insalata o in aggiunta alle minestre.

    Dice una vecchia canzone friulana:

    Cun urtizzòn e rusclis

    cun quarti gran di sal

    sentâz sun t’un rivàl

    I cenarìn in pâs

    (con lupini e gemme di pungitopo

    con quattro granelli di sale

    seduti sulla sponda di un fosso

    noi mangeremo in pace).

    Queste, le grandi risorse della gastronomia friulana. A queste possono essere aggiunti i funghi, gli arrosti e il pesce, specialmente lungo il litorale adriatico, ove è facile poter gustare anche le folaghe, il germano, l’anitra selvatica, quaglie e tordi.

    Antipasti, salumeria, pani conditi

    Bondiola (saùc)

    La bondiola è un insaccato di forma sferoidale, diffuso nella zona del Pordenonese, dove è chiamato saùc con il nome del Monte Cavallo. Ha il ripieno di carni magre, pezzetti di cotenne e muscoletti interni del maiale tritati.

    Caramelle al rosmarino (caramei cu l’osmarin)

    Ingredienti per 4 persone:

    300 g (circa) di pasta sfoglia

    4 rametti di rosmarino

    30 g di burro

    sale e pepe

    100 g di pancetta stufata

    Dividete la pasta in

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