Due razze
Di Celine Finco
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Info su questo ebook
Il mondo dopo la fine del mondo, natura ostile, terra sterile, freddo perenne, solo prede e predatori in costante lotta per la sopravvivenza.
L’Uomo è ancora vivo: non controlla più nulla, attende.
In questa immensa campagna ammantata di neve solo un piccolo villaggio circondato da mura insormontabili cerca di difendersi e sopravvivere all’ignoto che impera al di fuori, regno di predatori forti e feroci. Un grande fuoco alimentato di continuo ricorda a ognuno la necessità di sopravvivere, di preservare la Razza Antica a ogni costo.
La storia di Maryam, di Aidan, le vite di Dareh, Sarah e Adam arrivano da lontano, ognuno attore e succube di un destino condizionato dal gelo.
Il pericolo nasce all’interno del gruppo, cresce come crescono i bambini. Il pericolo è il diverso, i cui segni i Saggi riescono a riconoscere in tenera età.
Il pericolo va estirpato, in nome della Razza.
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Anteprima del libro
Due razze - Celine Finco
tempo.
1. LA RAZZA ANTICA
Se la neve non smettesse di scendere…
Risalendo il fiume per diverse miglia a ovest di quella pianura era possibile scorgere un disegno grigiastro nel cielo sempre mutevole, plasmato dal vento. Una colonna di fumo che orientava chi avesse smarrito la via di casa, un faro a segnalare il porto più vicino: era il Fuoco Continuo, che contraddistingueva il luogo in cui dimoravano gli uomini appartenenti alla Razza Antica.
Un insieme di rovine sgretolate dal freddo, tagliate da strade fangose che si ricongiungevano tutte davanti all’enorme catasta di fiamme alta metri e metri, quotidianamente alimentata da rami, scarti e alberi abbattuti. Un villaggio a raggiera con un grande falò ardente al centro, come un sole capace di rievocare un caldo passato ormai sconosciuto alle nuove generazioni di superstiti.
Gli abitanti avevano creato rifugi e dimore tra queste macerie di muratura cadente, un tempo antiche case, disposte una a fianco all’altra, alcune signorili altre più modeste; oggi solo resti, scheletri di abitazioni tenute in piedi da puntelli provvisori per ostacolarne il crollo sotto la forza dirompente del vento, durante le bufere e le tempeste di ghiaccio. Nelle vie si trovavano anche ruderi di facciate con finestre abbellite da fregi e stucchi, resistite ai frequenti disfacimenti, rattoppate con l’aggiunta di tetti e pareti laterali composte da assi di legno, lastre di metallo arrugginito inchiodate per migliorarne la stabilità. Poco più in là, palazzi monchi del piano superiore ospitavano baracche pensili senza finestre. Era difficile comprendere quali rifugi fossero abitati e quali semplicemente abbandonati a loro stessi.
Ogni apertura di queste abitazioni verso l’esterno era sbarrata, ogni scorcio era tappato, al fine di non disperdere il calore accumulato al loro interno: il vetro era destinato a un differente utilizzo. Non filtrava nessuno spiraglio di luce in questi cubi deformi serrati al mondo esterno.
L’unica via di accesso alle dimore era dal basso, attraverso il terreno. Ogni abitazione era provvista di una botola nascosta da cui s’interrava uno stretto cunicolo che conduceva a un’entrata collegata al pavimento della casa. Il tunnel consentiva di conservare la temperatura all’interno dell’abitazione durante l’uscita e l’entrata; inoltre, rendeva il rifugio difficilmente espugnabile.
Tutt’intorno al villaggio si ergeva imponente una cinta muraria, costruita a un’altezza tale da impedire che qualsiasi animale feroce potesse penetrarvi. Chi l’avesse osservata da lontano sarebbe rimasto incantato di fronte a quella muraglia circolare: ad alcune ore del giorno sembrava brillare di scintillii fugaci, riflessi dei pezzi di vetro acuminati incastonati nella superficie, che impedivano a chiunque di arrampicarsi.
Sulle alte torri di vedetta equidistanti le coppie di sentinelle si alternavano a ritmo metodico, per controllare notte e giorno che nessuno si aggirasse nei paraggi senza permesso.
Era un ristretto microcosmo in cui gli uomini riuscivano a sopravvivere al clima di eterno gelo. Una civiltà che si conservava e si sosteneva autonomamente, nonostante quella che sembrava essere una severa punizione: il freddo, ogni giorno più faticoso.
Il Fuoco Continuo costituiva il centro cittadino, il fulcro della vita conviviale: ogni abitante sentiva grande la responsabilità di alimentarlo giorno e notte. Il fuoco rappresentava la vita, l’unico legame con quel calore in grado di far riaffiorare una speranza che rischiava di affievolirsi ogni nuovo giorno che iniziava, ogni nuova bufera che soffiava, ogni nuova perdita.
Maryam era madre di due figli e vedova di Vartan, allontanatosi dal villaggio per una battuta di caccia assieme al gruppo dei valorosi impegnati nel reperimento dei viveri; il suo cavallo tornò qualche giorno dopo, senza di lui. Di quegli uomini non si seppe più nulla. Maryam faceva parte dei Saggi della comunità; nel suo ceppo scorreva il sangue degli Avi della Razza Antica, coloro che avevano vissuto il trapasso dal tempo delle stagioni all’eterno inverno. I Diari degli Avi riportavano chiaramente l’inizio dello stato di gelo; semplice tanto quanto inspiegabile la situazione che ne derivò.
Iniziò tutto con una soffice nevicata in un pomeriggio di fine inverno. Chi avrebbe potuto immaginare che la neve non avrebbe più smesso di scendere? Tutti pensavano che presto il maltempo sarebbe finito, che sarebbe durato ancora qualche ora, forse ancora un giorno, come l’abitudine insegnava. Il cielo continuò imperterrito a partorire fiocchi sempre più soffici e grandi, mentre la temperatura scendeva precipitosamente.
In poco tempo l’umanità si trovò a fronteggiare un evento mai avvenuto prima, si scoprì impotente e rimase imprigionata in un limbo che sin dall’inizio venne percepito come una disastrosa frenata al divenire degli esseri viventi. Il freddo diventò pausa obbligata: strade vuote e impraticabili, porte e finestre sormontate dalla coltre nevosa, montagne immense di neve continuamente ammucchiata per assicurare un po’ di ossigeno al suolo.
Decine di alberi non resistettero al peso dei fiocchi che piano, uno sopra l’altro, cadevano spietati sulla terra e si posavano su ogni forma di vita: si piegarono i fusti, i rami più robusti si spezzarono inesorabilmente. Fu come se l’orologio si fosse fermato. Così restò.
Quel pomeriggio Maryam avrebbe dovuto partecipare all’incontro solenne attorno al Fuoco Continuo, per discutere argomenti per cui era richiesto l’intervento di tutti i Saggi del Consiglio. Entrò nella sua stanza da letto sorreggendo una candela: era buio ma nella camera non c’erano ostacoli ingombranti. Il letto era contro la parete, lo raggiunse in pochi passi e si inginocchiò a lato, appoggiò le mani carponi e avvicinò il cero per vedere dove fosse posizionato il vecchio baule. Il fuoco della candela annerì i bordi della coperta che penzolava dal letto. Maryam fu veloce, con uno scatto scansò il lume e colpì con forza la parte imbrunita; lo fece con trasporto, per punirla e per salvarla insieme. Sollevò quei fronzoli e si allungò sotto il letto per raggiungere il baule spinto troppo in fondo. Afferrò la maniglia e tirò verso di sé, facendo presa sul pavimento con l’altra mano rimasta libera. Era pesante e vecchio, o forse era lei a essere invecchiata rispetto all’ultima volta che lo aveva cercato? Era rimasto sotto il letto per diversi anni, non era più servito.
I ganci a scatto erano arrugginiti e dovette forzare per aprirli, fino a che un secco schiocco sincerò la donna di averli vinti. Di primo acchito il baule sembrava custodire un vuoto oscuro, come l’accesso a una caverna. In realtà Maryam conosceva bene il suo contenuto, ricordava persino l’ordine in cui aveva riposto ogni cosa; il Registro di Discendenza posto a destra e la mantella scura piegata nella velina leggera stretta con lo spago. Sapeva dove mettere le mani, non aveva bisogno di vedere; la candela ora le era inutile, tuttavia non l’abbandonò, avvicinò il lume e dentro il baule ogni cosa prese forma. Il viso di Maryam s’incrinò, la speranza che qualcosa fosse mutato venne delusa: tutto era lì accomodato ad aspettarla, come ricordava. Decise di fare in fretta, confidando di non essere raggiunta dai pensieri lesti a incupire le volontà. Indossò la mantella, infilò il libro sotto il braccio e si avviò verso il ritrovo.
La strada che portava al Fuoco Continuo era dritta e fangosa; tutte le vie avevano lo stesso aspetto, umide e sporche si diramavano come raggi fino alle mura di protezione. Non ci si poteva perdere in quel villaggio riparato e separato dal mondo: in quel grande cerchio c’era tutto quello di cui il popolo potesse avere bisogno. Il rifugio delle case, il calore del fuoco e la certezza di un pasto caldo.
Maryam si strinse il cappuccio dinanzi al viso per creare una barriera contro il vento che si era alzato, e s’incamminò con passo deciso. In lontananza si stagliava la grande pira ardente. Quella vista le rammentò di essersi dimenticata la legna per alimentarne le fiamme; si fermò dubbiosa e guardinga, esplorando con lo sguardo i dintorni alla ricerca di qualche resto dimenticato accanto ai muri della