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novantaquattro
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E-book801 pagine11 ore

novantaquattro

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Info su questo ebook

"Dani aveva stoppato il walkman e tirato fuori la cassetta con la compilation del suo quattordicesimo anno di vita. Con il dito si era messo a riavvolgerla: bisognava riascoltare tutto dall’inizio, di nuovo."
Durante una festa di capodanno, per i tre amici quattordicenni Dani, Ste e Giamma il Novantaquattro inizia con una finestra rotta da un petardo e un due di picche clamoroso: chi ben comincia... Eppure, nella sonnacchiosa città di provincia che è un po' il loro regno, si prospetta un anno dal sapore epico, tra tornei di calcetto presi un po' troppo sul serio, "mosse Sid Vicious", professori carogne, rivalità di quartiere, bravate di ogni genere e, ovviamente, le prime disastrose esperienze sentimentali...

Il "novantaquattro" che Matteo Giordano ci racconta attraverso gli occhi di tre adolescenti è un omaggio all'Italia degli anni '90 e alle sue contraddizioni, ma chi quegli anni li ha vissuti, scoprirà che l'autore si è divertito a giocare con la Storia, immaginandosi un anno in cui il leader dei Nirvana sbaglia mira, e i risultati sportivi e elettorali prendono pieghe inaspettate... Un po' "teen comedy", un po' romanzo di formazione e un po' ucronia, "novantaquattro" è un viaggio nel tempo e nella cultura pop che entusiasmerà gli adolescenti di oggi... e di ieri.

L'autore - Matteo Giordano: sono nato nell’anno in cui hanno scoperto la P2 mentre Fulvio Collovati siglava il gol dell’1-0 contro il Lussemburgo. Dopo anni passati a minacciare di farlo, finalmente mi sono trasferito a Londra in tempo per beccarmi gli Hipsters, il Royal Wedding, le Olimpiadi e il primo inutile gol di Mario Balotelli alla Coppa del Mondo.
Odio le lettere maiuscole e ho la fissa dei due puntini alla fine delle frasi. Sono vintage, per non dire vecchio dentro, preferisco i Beatles ai Rolling Stones, ascolto pochissima musica moderna e aspetto invano la reunion degli Oasis.
Vivo a due passi da Abbey Road e per fare il figo ostento insofferenza ogni volta che
passo vicino alle strisce pedonali e ci sono orde di turisti che attraversano bloccando il traffico.
Dopo altri anni a minacciare di farlo ho finalmente scritto un romanzo (senza prendermi un anno sabbatico come fanno quello seri), “novantaquattro”, che punta a vendere 60 milioni di copie, nel qual caso giuro che smetterò di scrivere…
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2016
ISBN9788898754588
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    Anteprima del libro

    novantaquattro - Matteo Giordano

    matteo giordano

    novantaquattro

    I edizione digitale: giugno 2016

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Broccaindosso n.16, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-58-8

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    Copertina a cura di Elena Fasolini

    INTRO

    Dani era al primo appuntamento della sua vita con una ragazza e la ragazza in questione non era nemmeno la sua. This is the strangest life I've ever known, avrebbe detto il cantante dei Doors morto di infarto in giovane età. O forse Jim, senza dire niente, si sarebbe semplicemente portato a casa la ragazza, indipendentemente dal fatto che fosse stata single oppure impegnata con Ray Manzareck.

    Ma quello era pur sempre il novantaquattro e in testa alle classifiche c'era Ambra: non si era mica nell'anno di grazia 1967.

    Dani aveva stoppato il walkman e tirato fuori la cassetta con la compilation del suo quattordicesimo anno di vita. Con il dito si era messo a riavvolgerla: bisognava riascoltare tutto dall’inizio, di nuovo, come fosse il Disco Verde.

    UNO

    Vanessa più che bella era avvenente. Aveva in sé quel tratto di irraggiungibilità che la rendeva anni luce distante dalle acerbe coetanee col pensiero già rivolto ai compiti delle vacanze. Era in quel momento una delle tre ragazze più belle della città per gli under quindici: una che se solo ti salutava fuori da scuola ti era già consentito tirartela. Se poi addirittura si ricordava il tuo nome o se ti teneva in considerazione per un eventuale ingresso nella sua ristretta cerchia di amicizie, costituita in larga parte da ragazzi più grandi, allora finivi sulla mappa come personaggio di interesse.

    Ste si trovava esattamente in questa fase: forte di una militanza comune all'asilo delle suore e di un paio di presenze ai suoi compleanni di quarta e quinta elementare. Ma adesso la situazione e l'approccio erano molto diversi dai tempi delle loro frequentazioni giovanili accanto al bidone dei Lego. Lui le stava sbavando dietro da settimane, incurante del fatto che lei fosse ormai da quasi un mese la ragazza ufficiale dalla promettente ala piccola della locale formazione di basket, da sempre fucina di talenti per le prime squadre delle serie minori regionali. Non pareva importargli più di tanto nemmeno il fatto che il di lei boyfriend avesse già collezionato un discreto numero di falli tecnici e di espulsioni, tanto da guadagnarsi il soprannome di Charlie, come Barkley, l'asso dei Phoenix Suns con qualche problema comportamentale. Ste anziché fare il bullo a meno uno negli ultimi istanti del novantatré, avrebbe invece fatto meglio a starsene a casa a dormire preoccupato. Charlie aveva due anni in più, si faceva la barba e una volta aveva tirato un pugno a un tipo: un pugno vero, tanto che a questo era uscito sangue dalle gengive come nei film. Ma Charlie quella notte era lontano, in Austria per un torneo giovanile, mentre lui era lì appoggiato al muro a mezzo metro da lei. Vanessa gli stava parlando avvolta da un alito di sigaretta che a Ste ora sembrava l'odore più bello del mondo. Lui dal canto suo stava accompagnando il fumo che gli usciva dalla bocca per il freddo a qualche punta troppo accentuata di aglio col quale aveva abusato nel sugo. Vanessa non aveva sembrato farci molto caso, ma Ste era almeno dieci centimetri più alto di lei, non solo fisicamente, e a quelle altitudini anche gli odori come l'aria sono rarefatti.

    Che cos'è il tempo? Sono i secondi che scattano inesorabili sul Casio di Ste verso il nuovo anno?

    23.59 e 22 secondi, 23.59 e 23 secondi…

    Fiori Rosa Fiori di pesco, c'eri tu? Fiori nuovi stasera esco, ho un secondo di più…

    Ste aveva da poco trafugato una raccolta di Battisti dalla Fiat Tipo di famiglia.

    Oppure il tempo è quanto rimane di una sigaretta fumata per tre quarti, a lunghe boccate, da chi sa che è l'ultima per quella sera?

    Andavano più veloci i secondi dell'orologio o il fuoco che stava consumando la cartina?

    O forse ad essere più veloce era la cenere che svaniva, sospinta da sciabolate di vento gelido, ogni volta che Vanessa la liberava con un gesto esperto dell'indice.

    Ste non aveva dubbi: la cenere stava andando come Carl Lewis ed ogni granello era un po' di tempo in meno che poteva passare dentro la sua personale definizione di capodanno perfetto.

    Ma a Ste stava rimanendo sempre meno tempo per fare o dire qualche cosa di intelligente o per osservare ammirato la sua bocca aspirare nicotina.

    Dani intanto era sbucato da dietro l'angolo con la stessa grazia di Bud Spencer in mezzo ad uno zoo di animaletti Swarovsky. Aveva lasciato Giamma a sparare gli ultimi raudi che gli erano rimasti in tasca per andare a richiamare all’ordine Ste.

    Dani aveva quasi dovuto urlargli nelle orecchie per ridestarlo dal suo torpore da troppo fumo passivo. Nemmeno aveva preso in considerazione l’ipotesi che lui avesse voluto salutare il novantaquattro infilando la lingua in bocca a Vanessa, perché altrimenti la colletta per comprare i petardi che cosa la avevano fatta a fare?

    DUE

    Il conto alla rovescia ufficiale era finalmente partito, anche se da alcuni balconi del vicinato, in collegamento con il veglione di Raiuno, lo spumante era già stato stappato. L’obiettore stava faticando a far saltare il tappo alla sua bottiglia e persino per levare la gabbietta metallica gli ci era voluto un bel po’. Era rosso in volto, sotto gli occhi spalancati e silenti dei ragazzini che aveva intorno. Se avesse optato per il servizio militare ci sarebbe stata bene qualche bestemmia, ma date le circostanze si era limitato a pronunciare il nome di Dio solo per qualche silenzioso Pater Ave Gloria. Alla fine, quasi senza il botto di rito, era riuscito a stappare lo spumante, quando oramai il novantaquattro era già arrivato da parecchi secondi.

    Esultanza immotivata da parte di quasi tutti: soltanto i cuori più accorti, cui la botta di adrenalina era passata presto, si erano ritrovati di colpo travolti da una sensazione al limite della crisi depressiva. Dani, che fino a un minuto prima era iperattivo, iperagitato, iper qualsiasi cosa, adesso si stava frugando le tasche piene di petardi con la noiosa sensazione che oramai non gli servissero più a niente. Non c’era proprio più nulla da festeggiare: solo freddo, compiti delle vacanze da finire e decisioni che ti cambiano la vita da prendere. Decisioni del tipo, a che scuola superiore mi iscrivo? Ok, aveva già deciso, da almeno un paio di anni, ma adesso si doveva fare sul serio e c’era soprattutto da convincere definitivamente i suoi, che gli dicevano sempre sì ok vediamo, per poi alla fine dire no. Come l’anno prima, quando Giamma gli aveva proposto di andare insieme a lui in vacanza studio a Exeter. Sì vediamo era stata la risposta standard durante ogni pasto in cui Dani aveva sollevato l’argomento. Alla fine, quando si era trattato di iscriversi per davvero e di versare la quota (talmente alta da essere persino ridicola per la famiglia Alessandrini) la risposta si era tramutata in un No, condito da un Ma sei matto?

    In mezzo a tutto quel casino, Dani, animo sensibile, stava osservando in silenzio la fine delle feste (perché la Befana non la caga nessuno) e la fine degli happy days da bambini: era appena iniziato il novantaquattro e c’era davvero poco da stare allegri. Il giradischi della sua voce interiore lo stava già ponendo davanti a ciò che dal giorno dopo avrebbe dovuto affrontare, ma lui, con un ultimo atto sfrontato, aveva deciso di sollevare la puntina e di concedersi ancora qualche attimo di giubilo e un sorso di moscato. C’erano in tutto tre bottiglie di spumante per una trentina di persone. I ragazzi si erano ammassati come la folla in attesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci intorno all’obiettore e al pretino. Per alcuni di loro era stato il primo assaggio alcolico e lo avevano fatto durare nel bicchiere di carta una buona mezz’ora. Anche qualche ragazza, sbandieratrice o pallavolista, si era arrischiata ad accostarsi a quel calice, con reazioni più o meno condite da ridolini e ventilate minacce reciproche di riferire tutto ai rispettivi genitori.

    Vanessa aveva bevuto il proprio spumante con la classe innata di chi, nella vita precedente, era probabilmente stata la regina Vittoria. Aveva brindato con Ste, a cui aveva riservato, data l’occasione, due baci sulle guance. Per Dani e Giamma un cin cin distratto era stato più che sufficiente, anche se agli occhi di Vanessa le quotazioni di quest'ultimo si erano improvvisamente impennate.

    Oh, guardate un po’ qua… Giamma si era messo a sventolare sghignazzando un portachiavi con l’effige di Sant'Antonio Abate. Sapete cosa sono?

    Chiavi? Aveva detto Ste.

    Perspicace Stefano, ma non sono mica chiavi qualsiasi: sono le chiavi… Giamma aveva abbassato il tono della voce con fare guardingo, guardandosi attorno per assicurarsi di non avere addosso occhi indiscreti. Sono le chiavi della cantina.

    E andiamo! Dani si era messo a gridare, attirando l’attenzione della gente che alla chetichella stava rientrando nel salone delle feste.

    Oh, ma sei coglione! Gli aveva gridato Giamma. Abbassa la voce!

    Persino Vanessa gli aveva lanciato un’occhiata storta.

    Il bambino tarocco, come lo chiamavano tutti perché aveva frequentato la primina, godeva da sempre di un'immotivata fiducia da parte dell’apparato clericale ai vertici dell’oratorio e del pio collegio annesso. Le laute offerte che suo padre elargiva, non solo la domenica alla Santa Messa, di sicuro giocavano a suo favore, anche se questo finanziamento illecito a ciò che restava della DC non serviva certo a giustificare il fatto che Giamma fosse in possesso di una copia delle chiavi della cantina e di chissà quali altri locali. Forse le aveva rubate. Forse.

    Allora andiamo? Aveva detto Giamma facendo tintinnare ancora una volta il portachiavi.

    Il gruppetto era scivolato rapido lungo il salone delle feste dove un'oscena canzone di Phil Collins stava accompagnando le prove generali di alcune sbandieratrici che stavano danzando a ritmo lento fra di loro, in attesa che qualcuno dell’altro sesso le invitasse a ballare. I ragazzi si erano infilati con naturalezza attraverso la porta del bar ed avevano bypassato facilmente le due suore ultrasettantenni afflitte da una miopia allo stato terminale. Le sorelle erano intente ad affettare gli ultimi panettoni rimasti e non si sarebbero fatte distrarre nemmeno se a passare dietro di loro fossero stati i quattro cavalieri dell’apocalisse.

    Giamma aveva fatto scattare la serratura velocemente, aprendo la porta di legno:

    La luce è in fondo alle scale. Non chiedetemi perché. Occhio a non scivolare. Appena Giamma aveva richiuso la porta alle loro spalle si erano ritrovati nella più profonda oscurità.

    Clic.

    Vanessa aveva fatto scattare il suo accendino blu e subito una luce fioca aveva preso ad illuminare i volti, le spalle e i piedi, ora dell’uno, ora dell’altro man mano che si muoveva.

    Vanessa vai avanti tu, illumina gli scalini. Ste si era schiacciato contro la parete per farla passare alla testa del gruppo. Dani aveva avuto un sussulto quando lei gli era passata ad un centimetro dalla faccia, mettendogli pure una mano sul braccio per non perdere l’equilibrio.

    Scusa, mi attacco se no cado. Avevano detto le labbra di Vanessa semi illuminate nel minuscolo fascio di luce dell’accendino.

    Dani non aveva risposto nulla. Alito di sigaretta.

    Chissà com’è baciare una che fuma? Chissà com’è baciare una, punto. Aveva pensato.

    Anche dopo che lei gli aveva lasciato andare il braccio, Dani aveva continuato a sentire il calore sulla pelle, persino sotto il tessuto pesante della felpa. E poi quel profumo, come di frutti tropicali: forse il suo shampoo, forse il deodorante o forse era soltanto Ste, che dietro di lui stava masticando l’ennesima Fruittella. Ma al buio chi poteva dirlo? Era rimasta comunque per Dani le sensazione di avere vissuto l’esperienza più erotica della propria vita.

    Arrivati incolumi in fondo alla scala avevano finalmente trovato l’interruttore e soprattutto una bottiglia di spumante decente su uno degli scaffali, probabilmente lasciato lì pronto per l’uso nel caso di qualche cena importante, con il vescovo magari.

    Qualcuno ha preso i bicchieri? Aveva chiesto Dani.

    No.

    No.

    Va beh, io mica mi formalizzo. Vanessa era quella più avanti di tutti.

    Un botto sordo ed il tappo era schizzato in alto, battendo sul soffitto per poi ricadere da qualche parte tra gli scaffali carichi di Crazy West e Goleador.

    Buon anno. Giamma aveva finto una sorsata più breve di quanto avesse voluto millantare, tenendo la bottiglia alla bocca per parecchi secondi anche se non stava bevendo.

    Ste invece aveva dato per davvero una bella sorsata, costringendo Dani a non essere da meno: c’era pur sempre una ragazza da impressionare fra loro. Ma Dani era riuscito solamente a mandarselo di traverso e a sbrodolarsi la felpa, tossendo col sapore in bocca di chi ha appena mangiato un limone.

    Viene via lo spumante? Aveva chiesto mentre già iniziava a costruire nella sua mente una giustificazione plausibile da vendere a sua madre.

    No. Aveva risposto ridendo Vanessa prima di bere a sua volta la sua parte di peccato.

    Ma no dai, viene via, vero? Ste?

    Sì, Sì…

    Viene via, viene via… Aveva confermato Giamma prima di scoppiare anche lui a ridere.

    Che merde, fammi fare un altro sorso va…

    Dani aveva ufficialmente superato la soglia alcolica dei due bicchieri di spumante sperimentata al matrimonio di uno zio. Un piccolo sorso in più e la sensazione un po’ costruita di essere sbronzo si era impossessata di lui.

    Già se la raccontava e raccontava nella testa quella discesa agli inferi della cantina, quella trasgressione totale a tutto quello che più o meno velatamente gli era stato inoculato come disciplina e come comportamento da bravo bambino, di quelli che danno del Lei agli adulti.

    Lo vedi Maria Stuarda che dice buongiorno signora, come è educata? E tu? A malapena dici ciao.

    Questo appunto di sua madre con riferimento alla figlia di un’amica che in prima media aveva il massimo dei voti lo mandava sempre in bestia.

    Ecco, stava pensano Dani soffocando un rutto: Maria Stuarda a quest’ora dorme e io invece mi ubriaco. Cazzo quest’anno faccio quattordici anni! È ora che i primini inizino a dare a me del Lei.

    TRE

    I ragazzi erano ritornati a riveder le stelle giusto in tempo per il momento di preghiera: il prezzo da pagare caro per potersi divagare fino all’una.

    Tutti in cerchio e più che mai in religioso silenzio: volti nascosti tra le mani, espressioni contrite, atti di dolore e pentimenti per peccati ancora da compiere nei dodici mesi a venire. Solo alcuni fra i più sacrileghi stavano già pensando a scatenarsi di nuovo al ritmo di Double You e Corona, come i fratelli maggiori al live pomeridiano della locale discoteca.

    Il pretino aveva fatto il solito discorso sui valori e su quanto fosse semplice da percorrere la via del peccato soprattutto alla vostra età: la stessa noiosissima manfrina, riproposta di tempo in tempo ad ogni sessione di catechismo il sabato pomeriggio dalle tre alle quattro.

    Poi, a mani giunte, e con il mento poggiato sulla punta delle dita, il giovane ministro di Dio aveva intonato solenne: Padre nostro che sei nei cieli… Ave Maria piena di grazia…

    Padre Nostrum qui es in cielis, Ave Maria gratia plena… Dani se le pregava in testa sempre in lingua originale, così come le aveva apprese al corso di infarinatura di latino che la scuola media aveva istituito per gli aspiranti liceali. Recitate in latino, le preghiere acquistavano molto più senso e fascino: diventavano una sorta di litania ancestrale sconosciuta ai più che ben testimoniava il distacco che la religione aveva iniziato a praticare nei confronti delle persone a partire dal momento in cui si era fatto buio su tutta la Terra. Anche la messa in latino era molto meglio, a partire dal prete girato di spalle ai fedeli. Senza ombra di dubbio il cattolicesimo propinato in lingua originale era il vero atto di fede, come girare indossando le magliette dei Guns N' Roses sotto la camicia di flanella aperta, scimmiottando le parole di Sweet Child O' Mine senza nemmeno sapere cosa cavolo si sta dicendo.

    Angelo di Dio che sei il mio custode…

    Angelo Di Livio che sei il mio custode. Dani non stava aspettando altro; Ste gli aveva tirato un pugno nel fianco mentre tentava di soffocare una risata: infilare il centrocampista della Juventus nei panni di un cherubino era da tempo una delle attività che Dani trovava più divertenti.

    Poco più in là anche Vanessa si era calata benissimo nel ruolo di devota, tanto da dare del filo da torcere a tutte le Marie Goretti che affollavano il salone delle feste. Si era stupita nel ricordarsi perfettamente le parole delle preghiere recitate, compreso il Salve Regina che aveva visto parecchi, anche fra i più grandi ed esperti, andare in confusione fra le valli di lacrime e gli occhi piangenti, improvvisando playback da Festivalbar e nascondendo la testa fra le mani per celare la sacrilega dimenticanza. Le aveva snocciolate tutte senza tentennamenti e senza sbagliare nemmeno una virgola, quasi fossero i testi di Luca Carboni.

    Ed ora Aveva concluso il pretino: Prendiamoci trenta secondi di raccoglimento…

    Sai cos’è un mezzo minuto di raccoglimento? Aveva sussurrato velocemente Vanessa all’orecchio di Ste.

    Eh?

    Niente, lascia perdere.

    Shhhhhhhhhhhh!!!!!!

    Dal lato di Comunione e Liberazione era calato un richiamo formale e tutti erano tornati in silenzio in attesa della ricompensa per cotanta professione di fede.

    E la ricompensa si era infine palesata: l’atto finale della festa sarebbe stato il ballo lento, ex ballo del mattone, con annesso gioco delle coppie per coinvolgere proprio tutti in questa attività ricreativa. Ognuno dei partecipanti avrebbe dovuto pescare un bigliettino con vergato il nome di un personaggio famoso e partire alla ricerca del proprio compagno, che sarebbe diventato il partner per quell’ultimo ballo.

    In principio fu Adamo: al primo a pescare era toccato in sorte il progenitore dell’umanità. Il ragazzino stretto nel suo maglione con le renne era rimasto in attesa che la sua Eva si palesasse, in una maniera meno biblica e cruenta.

    Tutti a turno avevano infilato la mano nell’urna:

    Vialli e Mancini

    Cossiga e Andreotti

    Brenda e Dylan

    Topolino e Minnie

    Bianca e Bernie

    Giamma aveva pescato Albano e la sua Romina era una delle ragazze più disinibite del gruppetto che girava fra il campetto e la chiesa. Giamma la conosceva bene perché erano compagni di scuola da tre anni.

    Valeria, che non era così magra come la vera Romina Power, aveva capelli castani dritti come spaghetti e perennemente legati in una coda di cavallo. Occhi castani, bocca furba e, particolare decisamente non trascurabile, tette grosse: decisamente le più grosse fra tutte le sue compagne di classe. Giamma le aveva sempre gironzolato intorno con poca convinzione: Vale se la tirava un po’ troppo per i suoi gusti, anche se lei non aveva mancato di mostrargli in più occasioni il proprio interesse; ma, chi più chi meno, quasi tutte le ragazze della sezione F ci avevano provato con lui, che nelle classifiche dei più fighi della scuola finiva sempre nella top three.

    Grande Mancinelli, finalmente riesco a saltarti addosso! Aveva detto Vale ridendo.

    Oh, buona che siamo all’oratorio… Giamma la aveva presa per mano e accompagnata a centro pista. Le mani di Vale erano sempre curate e lisce e non avevano nulla a che vedere con quelle di Giamma, dalle dita scassate a forza di schiacciare sulle corde del basso.

    Nel frattempo, Ste era andato a sbirciare con fugace indifferenza il nome pescato da Vanessa: Garfunkel. Nel corso degli anni aveva preso parte a sufficienti gite fuori porta sul lago, dove si andava di The Sound of Silence e di Bookends, per sapere che il nome di cui aveva bisogno era Simon. Ste per la verità col sottofondo di quei due ci dormiva, del sonno inquieto di chi vede mezz’ora di gallerie intromettersi nel segnale radio di Tutto il calcio minuto per minuto, proprio a metà dei secondi tempi. Si ridestava soltanto su Mrs Robinson.

    Oh Diceva sempre battendo sul sedile di suo padre concentrato come se stesse affrontando il tunnel di Montecarlo. Questa è la canzone dei Lemonheads!

    Chi? Questi sono Simon e…

    E Garfunkel sì lo so… comunque è uscita la cassetta dei Lemonheads, me la prendi?

    Eh, vediamo come finisce il quadrimestre.

    Benedetti Simon e Garfunkel, Aveva pensato Ste, era ora che mi ritornasse indietro qualcosa per tutti quei viaggi soporiferi…

    Quel pomeriggio Ste aveva scientemente trafugato un pennarello dello stesso tipo di quelli utilizzati per vergare i nomi sui biglietti, e senza battere ciglio aveva voltato il suo con sopra scritto Richard Gere (con buona pace delle sua Julia Roberts) per scriverci sopra Simon. Senza pietà.

    Intanto l’occhialuto e ignaro possessore del Ticket to ride with the most beautiful girl in the world (a scuola in inglese erano arrivati ai superlativi) stava vagando invano alla ricerca dell’altro Simon, come la serie Tv degli anni ottanta: Simon and Simon, che andava tipo alle sette e mezzo del mattino su Italia uno, prima di Riptide e dell’A Team.

    Chi hai pescato? Aveva chiesto Ste a Vanessa con la stessa aria innocente del mostro di Dusseldorf che ha appena fatto a pezzi una donna.

    Garfunkel

    Ahahah! Non ci credo… E mostrandole il biglietto taroccato. Sono il tuo Simon!

    Grande.

    Poi lui dall’alto del suo quasi metro e ottanta la aveva abbracciata chinandosi sul suo metro e sessanta scarso per avvinghiarla un po’ come Helmut Kohl faceva con Andreotti ad ogni incontro ufficiale.

    Inutile sottolineare come la mossa scorretta di Ste avesse creato una serie di complicazioni per i ragazzi più grandi responsabili della riffa, seconda solo alla scarsità di donne di fronte ad un gruppo ben più nutrito di maschietti. Erano state pertanto reclutate alcune suore fra le meno anziane, in una sorta di Uccelli di rovo al contrario, e solo dopo svariati minuti di confusione si era finalmente riusciti a formare tutte le coppie.

    Giamma con Vale e Ste con la sua Garfunkel dai capelli più corti ed il seno più pronunciato erano carichi a mille a centro pista. In quanto a Dani, la sorte lo aveva scaraventato al culmine dell’ipotesi di ciò che sarebbe stata la sua vita da quel momento e per il resto degli anni che gli restavano da vivere. Gli era piombata addosso una tranvata che ti sega le gambe come un fallo terminale di Pasquale Bruno mentre sei lanciato a rete.

    Quella che gli aveva fatto tibia e perone con interessamento del crociato e del collaterale, sbrindellandogli pure i legamenti della caviglia come a Van Basten, si chiamava Flors.

    Valldeflors o come dicevano tutti Flors era mezza italiana e mezza spagnola, anzi mezza catalana da parte di madre, come precisava fieramente alla classica domanda che ogni nuovo professore che incontrava le rivolgeva. Era più alta di quelle della sua età, ed era la migliore amica di Vale, forse perché il suo carattere, introverso e scuro come il tono della sua pelle, tendeva a frenare l’esuberanza di quella che non aveva esitato a aggrapparsi a Giamma senza lasciare nemmeno un centimetro di spazio fra i loro corpi.

    Dani aveva pescato John Lennon, lei Yoko Ono. Ecco, non poteva essere solo un caso.

    Flors accidenti, aveva pensato Dani. La aveva vista decine di volte, ma mai si era voltato a guardarla. E dire che era in classe con Ste e Giamma e pure sbandieratrice. Fra le scorribande all’intervallo e al campetto, di occasioni per rendersi conto di chi aveva di fronte ne aveva avute parecchie. Ma spesso Flors restava troppo nascosta dietro ai suoi occhiali tondi di tartaruga e Dani non si era mai accorto della sua pelle mora e dei suoi capelli lunghissimi e nerissimi che le scendevano quasi fino al culo. Beh sì, glielo aveva guardato, appena appena celato sotto la gonna svolazzante: niente male davvero.

    Sarà il vento o sarai tu la voce che risponde ai miei perché? Sarà lo spumante che ancora gli saliva nelle narici o sarà la testa che gli svolazzava più alta dei palloncini.

    Ciao

    Ciao. Allora tu sei John Lennon?

    Magari… cioè, sì sono io, Dani. Aveva detto porgendole la mano da bambino educato.

    Flors.

    Tu sei in classe con lo Stefano, no?

    Sì. E col Gianmarco.

    Dani si era schiarito la voce, poi più nulla.

    Lui mi vuol bene tanto tanto bene e mi porta a spasso tutti i venerdì… in questi momenti nel cervello di Dani partiva, via grammofono gracchiante, un vecchio pezzo del Quartetto Cetra che tanto piaceva a sua nonna: la colonna sonora di un interminabile intervallo, con le pecore sullo schermo e la scritta Le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile.

    Il brano scelto per la copula spirituale di questi giovani virgulti era Wind of Change degli Scorpions, pezzo quasi al capolinea ma che col suo intro fischiettato ambientato a Gorky Park faceva ancora da inarrestabile traino per l'approccio all’altro sesso.

    Giamma, complice un’indole più che estroversa, stava già ballando, stringendo e parlando all’orecchio della sua bella come se non ci fosse un domani. Erano proprio belli da vedere, di certo la coppia più convincente, o almeno la più sciolta. Tutto intorno era una fiera di tronchi che nemmeno una segheria. Ste era partito ad una certa distanza, guadagnando centimetri man mano che la canzone andava avanti, sempre più vicino, fino ad arrivare con la testa di Vanessa abbandonata sulla sua spalla. Lei non era del tutto indifferente a quelle attenzioni, a tratti opprimenti, tanto da prospettare addirittura un clamoroso cedimento finale, in barba a Charlie che già si immaginava alle prese con chissà quale austriaca felice. Se Ste alla fine si fosse deciso a baciarla, lei quasi sicuramente non si sarebbe tirata indietro.

    Nel frattempo Dani, dall’altra parte della pista, era alle prese con i quattro minuti più lunghi della sua vita. Tutte le sue certezze crollate; tutto quel minimo di dignità che ancora conservava si era miseramente sbriciolato sotto i colpi della sua malcelata timidezza. Lo spumante che gli stava girando nel sangue non pareva essere in grado di infondergli sufficiente coraggio, anzi, si stava invece insinuando nella vescica, aggiungendo a sofferenza altra sofferenza. Le stava tenendo le mani pietosamente sulle spalle, mantenendo una distanza di almeno mezzo metro da lei. Flors dal canto suo pareva tutt’altro che coinvolta: gli aveva poggiato a sua volta le mani sulle spalle e verso l’inizio della seconda strofa aveva pure iniziato a pensare ai compiti delle vacanze.

    Chi più chi meno gli altri erano ormai stati trascinati dalla melodia in un trasporto, se non erotico, almeno al limite del romanticismo da due soldi di qualche fotoromanzo di successo. Flors e Dani invece niente. Certamente i peggiori, Persino le suore, chiamate in terra per una notte, stavano dando vita ad una danza meno macabra. Alla terza strofa Flors aveva davvero iniziato a non poterne davvero più. Dani la guardava, distogliendo subito lo sguardo appena lei incrociava il suo.

    Ho deciso che ti amo. Ti amo senza speranza come in una canzone marcia di Masini.

    Dani aveva l’infatuazione facile ed un cuore di panna peggio di un cornetto dimenticato fuori dal freezer.

    QUATTRO

    La musica è finita, gli amici se ne vanno. When the music is over turn on the lights.

    Le luci si accendono e a coprire il senso di vuoto rimane soltanto il vociare sparso della gente, gli applausi, le risatine e quel senso di avere in qualche modo portato a casa il risultato. Dani era rimasto immobile a centro pista con le mani sui fianchi in preda al disorientamento più totale. Flors era uscita dalla sua vita con un grazie di cortesia per rientrare immediatamente nel cerchio magico delle sbandieratrici. Poi di colpo lui si era ricordato di dover fare pipì, la scusa più banale per lasciare il salone delle feste, fra i mille saluti di chi non ne vuol sapere di andare a dormire.

    Era entrato nel bagno semibuio e privo di riscaldamento, infilandosi come al solito nella porta in fondo, l’unica che ancora aveva lo scatto per chiuderla. Dalla finestra in alto che dava sul piazzale si stavano proiettando le prime luci dei fari di Panda quattro per quattro e Station Wagon con le catene: i papà si stavano ammassando in attesa dell’uscita dei figli come al termine di un qualsiasi giorno di scuola.

    In fondo era l’una: all’una del pomeriggio si esce da scuola e all’una di notte si esce dalle feste.

    Oh. La voce di Giamma, apparso come suo solito dal nulla manco fosse il principe delle tenebre, aveva fatto sobbalzare Dani davanti al lavandino, come chi viene beccato a trafugare Nutella dall’armadio in alto.

    Ma è possibile che non ti si sente mai arrivare?

    Ho il passo leggero.

    Sì va beh… ma lo Ste?

    Boh… sarà con la sua bella…

    Sì, ce lo vedo proprio: a lei serviva una superficie comoda dove pulirsi le scarpe. Dani si stava lavando le mani con l’acqua gelida senza capire come ci si potesse umiliare a quel modo per una ragazza, ma forse stava solo cercando di mascherare che lui adesso per Flors avrebbe fatto anche di peggio. Si sarebbe persino tagliato dei polsi le quattro vene come nella canzone di De Andrè."

    Tu piuttosto, con la Flors? Giamma aveva il solito sorrisino da mezza presa per il culo. Sapeva che Dani con le ragazze era più scarso che a fare le impennate in bicicletta.

    Dani si era schernito come se non sapesse nemmeno di che cosa Giamma stesse parlando. Ma chi, quella? Invece te con la tua compagna?

    Ma va, la Vale la conosco da tre anni… me la sono anche già mezza fatta…

    Non che a lei avrebbe fatto schifo, ma Giamma in due anni e mezzo di militanza comune alla Carducci si era limitato solo a prenderla per il culo in classe quando le spuntava un brufolo sul naso e a guardarle le tette sotto la maglietta durante l’ora di educazione fisica.

    Ma va, e quando?

    Eh, una volta che te non c’eri…

    Ragazzi, dai che devo chiudere, cosa fate ancora qui? Il pretino spazientito era apparso sulla soglia, minaccioso più delle loro madri in trepidante attesa con le tre domande in canna: ti sembra l’ora di tornare? Hai fumato? Ma che cos’é questo odore che hai sui vestiti?"

    Scusa Don.

    Andiamo via subito, grazie per la festa…

    Domani mattina dopo messa, ci troviamo tutti per riordinare il salone, ci siete?

    Come no, buonanotte! Dani e Giamma avevano risposto distrattamente mentre camminavano svelti verso l’uscita.

    Ti pare che domani mattina vengo qua a spazzare il pavimento. Aveva bofonchiato Giamma vigliaccamente non appena si era sentito fuori dal campo uditivo del pretino.

    Io devo ripassare scienze, poi figurati se mia mamma mi lascia uscire. Dani aveva come sempre la scusa pronta, condita da una punta di vittimismo. Io vorrei ma proprio non posso, motivi famigliari.

    Ma non dobbiamo suonare domani, vero? Aveva chiesto Giamma preso da un dubbio improvviso.

    Ma va, domani c’è un solo grande show alle dieci: organo e coro. Dani aveva ben chiara in testa la turnazione delle messe beat, nelle quali prestava la sua opera insieme con Giamma e Ste, con l’ausilio talvolta dell’organista di ruolo e del famigerato coro dei giovani stonati.

    Meno male va…

    Sì, ma lo Ste?

    Boh…Il pretino avrà cacciato fuori pure lui… e infatti, guardalo là, solo e con la coda fra le gambe… Giamma aveva allungato l’indice verso il porticato della chiesa: seduto sul muretto umido e gelido, Ste a braccia conserte stava attendendo l’arrivo della morte per assideramento.

    Oh.

    Oh.

    Che hai fatto? Hai la stessa faccia di quando il Corvo ti ha chiamato il gol di Galia… Gli aveva detto Dani raccogliendo un po’ di neve.

    Ci manca pure il Corvo stasera… Ste, al solo pensiero di uno dei più grandi portasfiga della storia, era sbiancato.

    Ma perché che è successo? Giamma lo stava incalzando tirando su col naso.

    Ciao, buonanotte! da una Panda sgommante nella neve fresca si era levato l’anonimo saluto di un catechista.

    Ciao…

    Quindi?

    Eh… quindi… se quella merda del Don non fosse entrato al bar sul più bello per dirci che dovevamo andare a casa…

    Cosa… Lo aveva incoraggiato Dani Se non fosse entrato…?

    Ma no, niente… Ste aveva girato lo sguardo da un’altra parte. Non era nemmeno andato vicino a creare una situazione tale per cui un bacio poteva essere un'opzione, ma scaricare la colpa sulla inopportuna intrusione del pretino serviva a farlo sentire meglio.

    Vi siete baciati? Aveva chiesto Dani senza mezzi termini.

    No.

    Le hai toccato le tette almeno? A Giamma interessavano i dettagli più scabrosi.

    Ma ti pare che se non ci siamo baciati le ho toccato le tette?

    Il culo?

    Ciao, io vado a casa… Ste si era alzato con tutta la sua mole che sembrava essere ancora più imponente quando si incazzava."

    Ma dai biffo, aspetta, vieni qua… Dani lo aveva preso per un braccio.

    "No davvero è tardi, devo tornare a casa, piuttosto voi, non avete un orario di rientro?

    Io ho detto che tornavo quando tornava il Dani: tu sei più grande di me, sei responsabile… Giamma aveva messo, anche fisicamente, le mani avanti.

    Sì ma io ho solo un mese più di te…

    Ma cosa vuol dire? Mi prendi sempre per il culo perché sono un bambino tarocco…

    Ammazzati. Comunque io ho detto che tornavo a casa con te, Ste, sai che mia madre si fida della tua.

    Ecco, allora io vado a casa, per conseguenza Dani tu vai a casa e a cascata pure il Giamma.

    Va beh, finiamola così allora, amaramente… però io ve lo dico: ho ancora un raudo in tasca. Dani a riprova del fatto che stava dicendo il vero aveva sfoderato il petardo dal piumino.

    Era bastata quella frase ed uno scambio di sguardi nel silenzio ovattato nella città ricoperta di neve per posticipare l’orario di rientro di cinque minuti.

    CINQUE

    I ragazzi erano girati svelti dietro la chiesa, costeggiando il muro del pio collegio. Arrivati in un punto scarsamente illuminato Ste, con le spalle appoggiate al cemento gelido, aveva fatto la scaletta per Giamma, che si era entusiasticamente offerto volontario.

    Oh… ci sei? Aveva chiesto Ste.

    Sì, ci sette… Giamma si era tirato su appoggiandosi con le ginocchia per poi alzarsi in piedi.

    Si era guardato intorno: nessuno in strada. Al di là del muro, il collegio semivuoto dormiva del sonno dei giusti, silenzioso come un checkpoint dismesso di Berlino Est.

    L’ala riservata ai preti era la più vicina, subito attaccata alla chiesa. Troppo pericoloso scendere e arrivare fin sotto le finestre e lì accendere il petardo. La miccia era troppo corta per potersi garantire una fuga in sicurezza, anche perché il pretino era di sicuro ancora desto, impegnato nelle operazioni di chiusura delle porte. Dopo un breve conciliabolo sottovoce, avevano quindi deciso di scagliare vigliaccamente il raudo dalla cima del muro.

    Allora? Aveva detto Dani guardando nervosamente a destra e a sinistra per controllare che non stessero arrivando macchine.

    Shhhhhhhh!!! Un attimo. Giamma stava soppesando il petardo che aveva in mano, poi dopo aver fatto un lungo sospiro aveva iniziato ad armeggiare con l’accendino. Girare la rotella e schiacciare non gli riusciva quasi mai: una media di una volta su dieci. Questa mancanza di manualità ne aveva ben presto compromesso la carriera di chierichetto, interrotta anzitempo in terza elementare. Sapere accendere le candele è il primo requisito per poter servire messa: anche se a passare dall’accendere candele all’accendere sigarette ci voleva poco.

    Oh, dai! Un’ora per tirare un petardo? Ste stava iniziando a spazientirsi.

    E aspettate… Clic, clic, CLIC. Finalmente la fiamma.

    Giamma aveva avvicinato il raudo e la miccia era partita immediatamente con uno sfrigolio. Gli era rimasto giusto il tempo di prendere la mira, da qualche parte vicino alle finestre dei preti. Alla fine, mimando le mosse di un lanciatore dei New York Yankees, aveva scagliato il petardo con tutta la forza che aveva nel braccio. Poi si era girato svelto e, incurante della neve, dopo essersi messo seduto aveva allungato le gambe verso la strada buttandosi giù. Ste e Dani lo avevano afferrato attutendone la caduta.

    Oh, ma sei sicuro che l’hai acceso? Aveva domandato Dani.

    Come no?

    Un tuono.

    Un botto.

    Uno sparo nel buio che aveva spedito il cuore di tutti e tre ben oltre la gola; ma era stato il rumore inaspettato che ne era seguito a far loro gelare il sangue ben più di quanto non stesse già facendo la temperatura: un rumore di vetri infranti e poi quello di una sirena dell’antifurto.

    Via, via via!

    Le prime luci del collegio e delle case intorno stavano iniziando ad accendersi.

    Dani, Ste e Giamma si erano subito dileguati per una stradetta laterale poco illuminata, correndo più veloci che alla corsa campestre dei giochi della gioventù.

    Dani, più leggero e scattante, stava trascinando Ste per la manica del cappotto. Dai! Dai! Dai! Erano passati velocissimi, facendo scricchiolare la neve sotto le scarpe, nella piazzetta davanti al negozio di alimentari dove andavano sempre a comprare le Sprite; poi lungo la via con i parcheggi per i residenti tutti occupati; una svolta a destra e si erano ritrovati di fronte al cancello chiuso della biblioteca cittadina.

    Avevano rallentato, continuando a camminare ancora qualche decina di metri a passo svelto.

    Ma che hai fatto? Hai tirato giù una finestra? Stava dicendo Dani ansimando.

    Ma che ne so, l’ho tirato solo verso le camere dei preti.

    Dai, allora, cosa gridate? Cerchiamo di svegliare tutti anche qui, mi raccomando. Ste si stava dimostrando ancora una volta il più razionale. Non c'era spazio per le emozioni dopo aver fatto una cazzata. Bisognava negare tutto, anche a costo di risultare ridicoli. Pure di fronte all’evidenza urgeva non cedere di un centimetro. Calma e distacco, anima e corpo di ghiaccio come Val Kilmer in Top Gun. Adesso stiamo calmi che non è successo niente…

    Beh… oddio… Dani era sempre stato il più apprensivo fra loro.

    Dai su, alla fine non ci ha visto nessuno… non può averci visto nessuno. Ste continuava a gettare acqua sul fuoco.

    Ma metti che invece qualcuno ci ha visto? Se ci fanno pagare la finestra? Dani aveva un’inflessione impaurita nella voce.

    Sì, adesso ci arrestano anche… Giamma invece, come suo solito, ostentava sicumera.

    Dai su, adesso non fasciamoci la testa prima di essercela rotta. E poi tutto sommato il petardo l’ha tirato il Giamma: al limite sono affari suoi… Aveva detto Ste ridacchiando.

    Muori… e comunque il petardo era del Daniele…

    Continuando a parlottare avevano attraversato un paio di incroci con il semaforo lampeggiante fino ad arrivare a casa di Giamma, in un elegante condominio a ridosso del centro cittadino. Dani stava ancora parlando del botto e della finestra quando all’improvviso il suo cervello e la sua voce, salita improvvisamente di volume, avevano virato altrove:

    Sì ma, la mia bici? Dani era corso verso la rastrelliera vuota di fronte al condominio: il suo rampichino era sparito.

    Ecco fatto: di colpo il petardo e la finestra esplosa erano stati ridimensionati. Qualcuno gli aveva fatto la bici. Un capodanno degno di Fantozzi quando gli tirano una lavatrice dalla finestra sulla Bianchina parcheggiata.

    Da un certo punto di vista era pure un po’ colpa sua: perché per uscire in bici con la temperatura prossima allo zero e le strade innevate ci voleva una bella fantasia. Ma Dani in questi casi pensava sempre che se ce l'aveva fatta Leonardo Sierra nella mitica tappa del Gavia con il solo conforto di una Gazzetta dello Sport arrotolata intorno allo stomaco, poteva farcela anche lui con piumino, berretto e guanti di pile. E poi per Dani i primi sintomi dell'insofferenza cronica tipici della sua età, si manifestavano anche andando dappertutto sempre e comunque in bicicletta, rifiutando di essere accompagnati e venuti a prendere in macchina dal papà, o ancora peggio dalla mamma, oltre che ascoltando di nascosto in camera le canzoni degli 883 o di Elio e le Storie Tese piene di parolacce.

    Ma no dai… mi han ciulato la bici? Dani era incredulo, guardava ora Giamma ora Ste alla ricerca di risposte.

    Ma sei sicuro che l'hai lasciata qui? Domanda retorica di Giamma.

    Ma l'avevi chiusa? Aveva detto Ste come se tagliare un lucchetto fosse impossibile.

    Ma sì, era qui! Chiusa col lucchetto… mia mamma mi apre… che cazzo però… ma chi va in giro a rubare biciclette l'ultimo dell’anno? Dani stava sbuffando seduto sulle ginocchia mentre si sfregava le mani in faccia alla ricerca di una soluzione.

    Magari te l’han presa per sbaglio… Il solito punto di vista tanto per dire di Giamma.

    Sì, e mi hanno pure tagliato il lucchetto per sbaglio…

    Dani si era rialzato, facendo un paio di volte su e giù lungo la via, spiando oltre i cancelli e cercando a terra eventuali segni lasciati dalle ruote che si allontanavano portando con loro il vile autore di quel furto.

    Tracce fresche, due ore al massimo, avrebbe detto il protagonista di qualche film d'avventura perso nei meandri della Giungla Nera. Ma Dani si trovava soltanto in una anonima Concrete Jungle dove non valeva la pena nemmeno di perdersi, anche perché date le dimensioni ridotte sarebbe stato abbastanza complicato riuscirci.

    Comunque nulla da fare: la bici era andata e la lancetta dei minuti stava sempre più inesorabilmente correndo oltre l'una e mezza. Vista la situazione non era davvero il caso di aggiungere a cazziatoni altri cazziatoni: la festa era finita da più di mezz’ora e mancava poco prima che i rispettivi genitori iniziassero ad inviare le squadre di ricerca a caccia dei figli.

    Va beh dai. Aveva sbuffato Dani. Meglio andare a casa…Ste, vieni?

    Certo, ti accompagno un pezzo…

    Dai su, magari la ritroviamo… vediamo domani, eh? Aveva detto Giamma tirando fuori le chiavi di casa.

    Sì dai… vediamo… buonanotte

    Lo scricchiolio continuo delle scarpe nelle neve era l'unico suono che accompagnava Dani e Ste lungo la strada verso casa. Date le circostanze nessuno dei due aveva molta voglia di parlare.

    SEI

    Dani aveva lasciato le Airwalk zuppe di neve sciolta sul pianerottolo: persino la punta delle calze era bagnata. Aveva aperto la porta abbassando la maniglia lentamente per non farla cigolare; subito il fascio di luce delle scale si era proiettato nel corridoio buio, fino ad illuminare la sua fotografia in braccio a Topo Gigio che campeggiava incorniciata sulla parete di fronte. Cesenatico, luglio 1990, diceva la didascalia: l’estate delle tue e delle mie vacanze, un’estate italiana, la canzone di Bennato e Gianna Nannini, Totò Schillaci che buttava dentro tutto quello che girava in area di rigore, i capelli a spazzola, il costume a mutandina, i braccioli. Bella vacanza tutto sommato, una delle ultime in cui la sua unica preoccupazione era stata quella di poter rimanere in acqua cinque minuti in più.

    Dani aveva richiuso la porta cercando di fare il meno rumore possibile e dopo essere avanzato di due passi aveva appoggiato una mano sull’armadio del corridoio; altri tre passi, la lunghezza dalla prima all'ultima anta, e poi aveva girato a destra; mano sull’interruttore. Clic, luce accesa nella sua stanza.

    Tum, Tum, tum.

    A seguire era stato solo il rumore sordo dei passi di sua mamma, riavutasi dal coma indotto dal soporifero veglione Rai e piombata, in vestaglia e coi capelli pronti per essere lavati, dietro di lui.

    Ma hai visto che ore sono? Dani era sobbalzato sul posto. L'alito che aveva sbuffato quelle parole sottovoce per non svegliare il resto del mondo sapeva come sempre di Camel. Disgustoso, soprattutto a quell’ora. Nulla a che vedere con quello di Vanessa di poco prima.

    Ho fatto tardi scusa… ci siamo fermati ad aiutare il Don a riordinare…

    Eh sì… Aveva risposto la mamma poco convinta. Sempre la risposta pronta… ma guarda lì quelle calze! Che cosa ti avevo detto? Metti gli scarponcini, e no, lui deve sempre fare di testa sua, poi questi sono i risultati… ma io sono stufa! Stufa marcia!

    Dani si era avvalso della facoltà di non rispondere.

    E ricordati bene che da domani non esci dalla tua camera finché non hai finito di studiare, che scommetto che non hai ancora aperto un libro queste vacanze… dopo vuole fare il liceo… sì sì, te lo do io il liceo.

    Che cazzo ne sai del liceo tu? Avrei voluto vedere i tuoi di voti alle medie paragonati ai miei. E basta con le stronzate, che non sai nemmeno di che cosa stai parlando; basta criticare il fatto che leggiamo in classe Alice nel paese delle meraviglie che quando andavo a scuola io si leggevano I promessi sposi. Alice nel paese delle meraviglie è uno dei più grandi libri di tutti i tempi, quindi che ne sai tu che hai visto solo il cartone animato della Disney? Che ne sai di come si fanno i compiti? Che ne sai di me?

    Questo si stava agitando nello stomaco di Dani in piedi a respirare con la bocca aperta per non sentire il nauseabondo tanfo di Camel.

    Sì dai, domani studio Era stata invece la sua replica sottomessa.

    Ti conviene. E non ti mettere a letto con il walkman, si dorme adesso.

    Buonanotte Aveva risposto Dani.

    La mamma se ne era andata senza aggiungere altro.

    Dani si era messo a letto senza riuscire a prendere sonno: continuava a ripensare alla bici sparita rigirandosi di continuo. Si stava affannando in quel modo, nella speranza che il sonno venisse a coglierlo, da quasi un quarto d’ora, ma niente da fare. Dopo un altro po’ si era accorto di una sottile striscia di luce che stava entrando dalla porta socchiusa della sua stanza. Di sicuro suo papà che stava andando in bagno. Dani sapeva che si sarebbe fermato a salutarlo e per un attimo aveva pensato di fare finta di dormire.

    Ehi, buon anno… come è andata la festa? Papà Alessandrini nel buio non si era accorto degli occhi chiusi di Dani.

    Tutto bene… ci siamo divertiti…

    Bene…

    Ah… Papà… Ad un certo punto Dani si era detto che levarsi immediatamente quel dente cariato avrebbe almeno limitato il dolore. Mi sa che mi hanno rubato la bici.

    Il papà non aveva detto nulla, limitandosi ad incassare con l'aria di chi è abituato da tutta la vita ai bocconi amari e alle cattive notizie. Uno che cerca l'imprevisto sempre e comunque anche nelle vite degli altri. Devi prendere un treno? Stai sicuro che lui sarà sempre pronto a metterti in guardia per tempo ventilando l'ipotesi di uno sciopero non meglio identificato e di cui solo lui è a conoscenza.

    Ma l'avevi chiusa? La stessa domanda a scarico di coscienza di Ste.

    Eh sì…

    Ecco, questa risposta era esattamente quanto bastava al papà di Dani per rassegnarsi ancora un po' nei confronti della vita e per continuare a sentirsi in pace con sé stesso. Che ci poteva fare lui? Non era mica colpa di suo figlio se il mondo era pieno di ladri. Non si era incazzato nemmeno un po’, tanta era la rassegnazione di fronte alla società che a quelli come lui non concedeva mai nulla.

    Papà Alessandrini era nato servo e tale era rimasto. Testa bassa e quieto vivere.

    Va beh dai… Aveva detto alla fine a Dani appoggiandogli una mano sulla spalla, come probabilmente aveva visto fare in tv. Adesso non ti preoccupare, cerca di dormire.

    Dani non appena la porta della sua stanza si era richiusa aveva subito acchiappato il walkman dal piumino per un ultimo Rocket to Russia prima di dormire.

    Chi ascolta i Ramones il primo dell'anno li ascolta tutto l'anno. Anno nuovo bici nuova. Rigore è quando arbitro fischia. Aldo dice ventisei per uno.

    Si era addormentato di un sonno inquieto e senza sogni prima ancora della fine di Sheena is a punk rocker. Il suo ultimo pensiero era stato per Flors: già da parecchio tempo nel mondo dei sogni dopo aver recitato le preghiere della sera.

    SETTE

    La scena si ripeteva identica ogni mattina d’inverno:

    Copriti bene che si gela. E oggi vai con l’autobus che ci manca solo che ti ammali… La mamma trattava Dani come se fosse stato ancora in prima elementare. Vestiti pronti sulla sedia, stessa felpa e stessi pantaloni per tutta la settimana e, naturalmente, spazzolata ai capelli che gli asciugava e pettinava sempre con qualche velleità da parrucchiera.

    Dani si era allacciato il piumino grigio di tre taglie più grandi, uno di quelli da paninari poveri che suo padre non metteva più e che gli aveva passato come il più figo dei regali.

    Ma il momento peggiore doveva ancora arrivare.

    La mamma aveva la fissa, nei lunghi mesi invernali, di spalmare abbondanti dosi di Labello sulle labbra del figlio la mattina prima di andare a scuola. Niente di male, se non fosse che Dani odiava il burro cacao, non ne poteva sopportare nemmeno l’odore: girava la testa dall'altra parte non appena vedeva qualcuno farne uso.

    Poi si passava alla sciarpa: la mamma la srotolava tutta e quando era aperta come una kefia la avvolgeva intorno al volto di Dani, lasciandogli fuori soltanto gli occhi. Il gran finale era il cappello con paraorecchie: il peggio del peggio, ovvero come tirarsi addosso partorelli e farsi dileggiare per ore dai ragazzi più grandi che a turno te lo rubano e se lo lanciano da una parte all'altra del autobus.

    Hai studiato abbastanza? Aveva domandato la mamma distrattamente mentre assestava la sciarpa come se stesse rifinendo una mummia.

    Sì. Aveva bofonchiato Dani con il solito tono conciliante.

    Hai preso tutto?

    Tutto.

    Dani aveva sceso velocemente le scale fredde. Appena uscito dal portone aveva sentito una sciabolata di aria fredda colpirgli le palpebre, l'unica parte del volto rimasta scoperta, mentre sulle labbra il sapore del burro cacao era già diventato insopportabile. Aveva svoltato l’angolo di corsa e, appena capito di essere fuori dalla visuale della finestra della cucina, si era levato di dosso la sciarpa, usandola per pulirsi la bocca come se fosse un tovagliolo di lana gialla. Via anche il cappello, meglio evitare problemi, dato che i due vicini di casa con la faccia poco raccomandabile che frequentavano a giorni alterni l'istituto professionale vicino al fiume quel giorno avevano deciso di non attaccare. Dani si era messo in un angolo del marciapiede, occhi bassi fingendo di ignorarli, nella malcelata speranza di ricevere lo stesso trattamento. Fatica sprecata: i due gli si erano fatti subito incontro e quello più alto con i brufoli gli aveva appoggiato una mano sulla spalla facendogli la solita battuta:

    Ciao, io sono una mosca e mi appoggio sulle merde…

    Ahah. Dani aveva finto una risatina distaccata.

    Dani saliva all'ultima fermata che caricava studenti, quando ormai il grosso era già a bordo. Stavano tutti ammassati con le facce schiacciate alle cartelle dell’Invicta degli altri. Dani aveva fatto un rapido cenno a Cele, che spuntava magro e alto con il suo caschetto biondo da Beatle albino, in mezzo ad una selva di primini in fondo all'autobus. Cele saliva una fermata prima della sua, insieme al grosso delle persone. Era uno della cerchia allargata di amici, quasi sempre presente alle partitelle del sabato e molto conteso per le sue doti di colpitore di testa da centravanti svedese. Era un tipo un po' naïf, chierichetto da quattro generazioni che si diceva avesse già maturato qualche velleità sacerdotale.

    Dani, appena sceso dall’autobus, lo aveva avvicinato con decisione, intenzionato a convincerlo ad averlo in squadra con sé il sabato successivo.

    Ehi… tutto bene? gli aveva detto con tanto di pacca sulla spalla. Cele non era venuto al party di capodanno, limitandosi a partecipare alla messa del trentuno e a quella dell’uno gennaio.

    Ciao… sì, te?

    Come al solito… che palle sono già finite ste vacanze… oh… parlando di cose serie: ci sei sabato al campetto, vero? Verso le tre?

    Ma il campo non è innevato? la domanda di Cele non era del tutto campata per aria. Uno strato di neve ghiacciata ricopriva il cemento del campetto per tre quarti.

    Va beh, giochiamo lo stesso, è più divertente. E poi magari in settimana lo spalano. Ci sarebbero voluti i picconi adesso per spaccare le lastre di ghiaccio.

    Boh, non lo so… Cele era poco convinto.

    Ma va dai… oh, ci conto, non deludermi. Oh Ste! Allora, il Celestino gioca con noi sabato. Siamo io, te, il Giamma… ci manca il portiere…

    Ste veniva a scuola a piedi, ma anche se avrebbe potuto dormire di più, tutte le mattine alle sette e trentacinque era già alla fermata del autobus ad aspettare Dani. Giamma invece, che abitava a cento passi dal portone dell'istituto, arrivava più o meno scientificamente trenta secondi prima della campanella.

    Ci manca il portiere… Aveva confermato Ste.

    Eh beh, prendiamo il Corvo… Il suggerimento di Dani era suonato come il crack di uno specchio rotto.

    Oh Madonna… ancora con sto Corvo… dai che oggi non voglio essere interrogato… Ste si era ripetutamente grattato le palle. Dani, subito pentito come se avesse bestemmiato, si era addirittura messo entrambe le mani dentro le mutande.

    Ma perché? Cos'ha il Corvo? Aveva domandato innocentemente quel cuore puro di Cele.

    Porta sfiga… e di brutto anche… Aveva risposto Ste come per metterlo in guardia.

    Ma va…

    No no, fidati… Ste aveva tutta l’aria di chi sapeva bene di che cosa stava parlando. Oh, senti… cosa fai? Vieni con noi al bar? Facciamo una partita a Street Fighter e diamo uno sguardo ai titoli della Gazzetta.

    Ah… no, grazie, preferisco andare in classe. Aveva risposto Pinocchio a Lucignolo.

    Ma le porte sono ancora chiuse, sono le sette e mezzo. Stai fuori venti minuti?

    Sì… no… cioè… comunque devo ripassare storia e… va beh, facciamo un’altra volta. Cele non giocava a Street Fighter perché era troppo violento e non guardava nemmeno il Wrestling, tanto che non aveva mai visto il combattimento fra Hulk Hogan e Sgt. Slaughter durante la Guerra del Golfo. Una pietra miliare nella formazione di ogni bambino nato intorno al 1980.

    Oh dai, allora mi raccomando… ci vediamo sabato… Gli aveva raccomandato Dani.

    Ci conto eh… la sottolineatura di Ste suonava molto come una minaccia.

    Va bene… a sabato… Cele aveva attraversato di corsa la strada mentre Dani e Ste si erano avviati con calma al baretto della signora Teresa, altrimenti detto il bar della scuola, dove le coppiette si davano appuntamento al pomeriggio e dove i prof. andavano a bersi i caffè corretti e i bianchi con l'Aperol al cambio dell'ora.

    Mentre i due andavano bel belli camminando sul marciapiede mezzo ghiacciato, Dani aveva indicato con l'indice dall'altra parte della strada un groviglio di volti uno dentro l’altro e di mani che avvolgevano corpi non propri: uno era ben piazzato, in tuta e Air Jordan, l'altro aveva dei ciuffi biondi che le spuntavano da sotto la cuffia con i pon pon.

    Oh, non è la tua ragazza quella? Aveva detto Dani.

    La visione di Vanessa lingua in bocca con Charlie aveva fatto immediatamente venire un travaso di latte e Nesquik a Ste.

    Ma va a cagare va…

    Ma va dai… scherzo… certo che se fossi in te dormirei preoccupato, se quello ti mette una mano in faccia ti smonta…

    Non vedo perché dovrebbe, non ho fatto niente…

    E infatti ti va bene per quello… ah… comunque… cucchiaino…

    Eh?

    Cucchiaino… non ti ricordi quello che ti ha chiesto Vanessa alla festa?

    Ma quando?

    Sì… ma quando te l'ho chiesto… biffo! Il mezzo minuto di raccoglimento, sai cos'è un mezzo minuto di raccoglimento?

    Il cucchiaino… Aveva detto Ste pensandoci su.

    Eh… ci ho messo una settimana ad arrivarci ma almeno c'è l'ho fatta. Tu invece.

    Ma io cosa? Non sono mica scemo come te che sto a perdere i giorni a pensare a queste cazzate. A parte che nemmeno mi ricordavo più.

    Eh beh, ma che ne sai, magari lui, Charlie intendo, la risposta la sapeva e infatti adesso le mette la lingua in bocca.

    Ecco allora, prova anche tu, magari ti va bene… pirla…

    Ma io cerco solo di favorirti, poi a me nemmeno piace.

    Sei proprio culo…

    Ma sparati…

    Dai andiamo. È meglio se ti prendo a cartoni a Street Fighter, che se per caso ti metto le mani addosso per davvero ti faccio fare la fine di…

    La fine tua se ti prende Charlie, tipo Apollo Creed dopo un round con Ivan Drago. Muerto.

    Muerto è spagnolo idiota, non russo. Se mai muorto.

    Ma muorto non è napoletano? Aveva ribattuto Dani con fare dubbioso: aveva visto Natale in casa Cupiello durante le vacanze.

    OTTO

    Dani e Ste si

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