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Il caso Baronov
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Il caso Baronov
E-book272 pagine4 ore

Il caso Baronov

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Info su questo ebook

Una coppia è stata uccisa in un albergo di Chinatown, ma dei cadaveri non vi è traccia. Qual è il movente? 
Sembra un caso perfetto per un investigatore privato dall’oscuro passato e per la sua spigliata segretaria. 
Giovane ed esuberante, pasticciona e follemente innamorata del principale, lei non sa in che guaio si sia cacciata questa volta!
La malavita gestisce i bassifondi di New York City e pazzi criminali pianificano delitti su scala globale. 
Nemmeno la CIA sembra venirne a capo. 
I testimoni non parlano, i complici svaniscono e gli amici? 
Qualcosa di occulto si cela dietro una serie di omicidi. Il colpevole è vittima e la vittima è il colpevole. 
Chi è l’artefice del misfatto? Il mistero si infittisce…  
“Il mondo è falso, benvenuti nella realtà!” 
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita8 giu 2020
ISBN9788833665429
Il caso Baronov

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    Anteprima del libro

    Il caso Baronov - Alessandro Zoppini

    Baronov

    Io me lo leggo

    Collana editoriale,

    contatto: iomeloleggo@yahoo.com

    Direttrice: Monika M

    Alle donne,

    magiche, uniche, mirabolanti.

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

    Prologo

    New York City è il cuore pulsante del mondo. Il jazz avvolge gli edifici di mattoni di Harlem fino alle due del mattino. Un sole caldo e ristoratore pennella di oro le acque che bagnano le isole newyorchesi. Central Park, innevato, si tinge di arancione. Little Italy si risveglia al profumo di pizza, mentre nel resto di Manhattan la foschia si innalza oltre i giganti di vetro e d’acciaio, per lasciare libero spazio agli instancabili tassisti mattinieri. Le sirene della polizia in pattuglia e i clacson imperterriti accompagnano le sveglie altisonanti, che da una finestra all’altra rompono quel breve istante di silenzio creatosi con l’aurora, ma nulla poteva, quella fredda mattina di Natale, distogliere la sua attenzione.

    Rinchiuso nel suo studio al riparo dal trambusto cittadino, sotto l’accompagnamento di un vecchio album di Frank Sinatra e avvolto dal fumo di una sigaretta, che non voleva spegnersi, era impegnato in una difficile lettura di tre pagine incartapecorite e lacerate:

    "No, non ci sono riuscito quella notte (...) Ero troppo innamorato di lei per chiudere il libro, vederla svanire tra le pagine ingiallite e dover ricominciare tutto da capo. Sì, l’ho tenuto aperto ed è stata la migliore azione della mia vita, ma ora lei soffre ed è tutta colpa mia, se solo potessi seguirla (...)"

    "Vederla soffrire mi disgusta. Mi ignora perché mi accusa di farle del male. Io l’amo, ma che amore è questo? La sto uccidendo (...)"

    "Le ho detto addio con un bacio. Non posso permettermi di essere tentato di nuovo, brucerò queste dannate pagine (...) E lei vivrà per sempre, mentre Baronov continuerà a (…)"

    - A uccidere?-.

    Logan alzò lo sguardo dai fogli ingialliti sparsi sulla scrivania e osservò l’albero di Natale in un angolo della stanza. L’odore del profumatore adagiato in un angolo della scrivania rendeva l’aria meno soffocante. Spossato, tamburellò le mani tra la tazza di caffè vuota e il contenitore di latta delle matite spuntate, sbuffando. Tornò a fissare le pagine strappate, facendo un ultimo tiro al mozzicone della sigaretta. Spossato, lo gettò nel portacenere ricolmo di cicche.

    - Perché l’hai fatto… Cosa ti ha spinto a ucciderla?- borbottò, rileggendo una delle prove.

    Era attratto da quel caso, così misterioso, così assurdo, piovutogli inaspettatamente sulla scrivania la notte scorsa. Un uomo di mezza età si era presentato al suo studio verso le 21.30, sudato e impaurito. Un agghiacciante pallore al viso, come se avesse visto un fantasma, benché di fantasmi a Manhattan non si aveva traccia da quando avevano arrestato un negoziante che, a Chinatown, uccideva i clienti nella cantina della propria bottega, attribuendo gli omicidi a entità sovrannaturali.

    L’uomo diceva di essere l’inquilino di un palazzo situato fatalmente dirimpetto quel negozio maledetto. Non credeva ai fantasmi, ma quella sera invernale qualcosa in lui era cambiato.

    - Ho sentito un rumore, come di qualcosa che cade… Forse un mobile, o un corpo - aveva cercato di spiegare, dopo essersi presentato.

    Viveva solo e poteva vantarsi di conoscere tutti gli inquilini della sua palazzina, essendone il portinaio. Da qualche mese erano arrivati una coppia di affittuari, dall’accento russo, assai schivi e silenziosi. Non sapeva chi fossero, né da dove venissero.

    - Stavo suddividendo la posta nel mio stanzino come mio solito, mi concilia il sonno… Quando ho sentito dei rumori sinistri provenire dal loro appartamento. Così sono salito per capire se avessero bisogno di aiuto - si interruppe, tirando fuori dal soprabito le pagine strappate.

    - Cosa sono?-.

    - La prova di un delitto, forse appartenenti a un taccuino a giudicare dalla grandezza… Ecco, tenga. Io non voglio saperne nulla! Sono pulito, io! Per questo sono venuto da lei e non dalla polizia… Nessuno sa, nessuno deve sapere -.

    Logan le prese con delicatezza e le adagiò sulla scrivania, incuriosito da ciò che vi era scritto.

    - Che cosa non si deve sapere? Cos’era quel rumore che ha sentito?- domandò.

    L’uomo gli si avvicinò a un orecchio, non volendo farsi sentire dalla segretaria di Logan, al lavoro nella stanza adiacente. Il suo alito puzzava di vino, ma non sembrava ubriaco.

    - Ho le chiavi di ogni porta sempre con me, non si sa mai che qualcuno rimanga chiuso dentro… Ho bussato, ma nessuno rispondeva -

    - Così siete entrato - appurò Logan, accendendosi una sigaretta e allontanandosi dal suo puzzo, dondolando all’indietro.

    Il portinaio annuì.

    - Lei è sveglio, detective…-

    Logan sorrise.

    - È il mio lavoro, continui -.

    - Sono entrato e ciò che ho visto mi è bastato per capire che era avvenuto un delitto. Sangue per terra, il mobilio rovesciato, la finestra aperta e queste pagine strappate sopra il tavolo del salotto. Mio Dio, uno spettacolo orribile…-

    - E nessun cadavere?- ironizzò Logan.

    Il portinaio impallidì.

    - Questo è il punto! Sangue sì, ma i corpi no! Dove sono finiti i due russi? Svaniti…-

    - Mi sta dicendo che non avete visto nessun cadavere?-

    - Sono sempre stato una persona razionale, non credo nemmeno in Dio, ma è un caso che la finestra dia sulla cantina dei fantasmi?-.

    Logan alzò un sopracciglio.

    - Mi avete preso per Dylan Dog? -.

    Il portinaio storse il naso.

    - Mi perdoni, ma non lo conosco il signor Dog -.

    Logan sorrise.

    - Non badi al paragone, è un personaggio di un fumetto italiano… Dicevo, credete che la coppia sia stata uccisa da un fantasma e che quest’entità abbia fatto sparire i corpi? Veramente? Quanto avete bevuto per credere a quella vecchia storia?-

    - Non può essere una coincidenza che la stanza si affacci sulla bottega di quel maniaco assassino. Non ci avevo mai fatto caso, fino a questa sera! - affermò il portinaio.

    - Lei sa bene che non esistono i fantasmi… A che ora è accaduto il misfatto?-

    - Eppure non c’erano i cadaveri! Questo come lo spiega?-

    - Posso analizzare la stanza?-

    - No, ho ripulito e sistemato ogni cosa e annullato la loro prenotazione dal registro. Ho insabbiato tutto, non voglio avere problemi… Comunque, per l’orario credo che sia avvenuto tutto verso le 21.15, minuto più minuto meno…-

    Logan scosse la testa.

    - Ha cancellato le prove? Ma allora cosa vuole da me? Perché mi ha consegnato queste pagine?- domandò, allucinato.

    - Perché ho paura… Quelle pagine sono maledette e avevo il terrore di bruciarle -

    - E le ha date a me, maledicendomi…- ironizzò Logan, sfogliandole.

    - La pagherò, non ne dubiti -

    - Per acchiappare il fantasma? Sta dando i numeri?-.

    Il portinaio scosse la testa, si alzò dalla sedia ed estrasse da una tasca il portafoglio. Sembrava alquanto scioccato.

    - Non il fantasma, ma la coppia, o almeno uno dei due… Lessi i loro nomi nel registro, prima di cancellarli, ma la paura me li ha fatti scordare. Di lei non ricordo proprio nulla, ma il cognome di lui iniziava per b, questo lo ricordo, sì per b e sulle pagine che le ho consegnato c’è una firma: Baronov -.

    Logan lesse la firma su una delle pagine indicategli dal portinaio.

    - Esatto, se legge tutto quello che c’è scritto, capirà che è parte della confessione dell’omicidio. La pagherò, detective, perché deve trovare questo Baronov e capire se abbia ucciso sua moglie. Solo così potrò essere certo che non esiste alcun fantasma. Quanto le devo?-

    - Ma è assurdo…- sospirò Logan.

    Come poteva accettare un lavoro simile? Tuttavia, i soldi gli servivano.

    - In tutto sono cinquanta dollari al giorno, potrà pagarmi a rate settimanali. Non so quanto ci metterò a rintracciarle questo signor Baronov. Capisce anche lei che è abbastanza insensato come caso da risolvere…-

    - Capisco, ma si dice che lei sia uno dei migliori investigatori privati di New York. Non voglio che si sappia in giro, aspetto sue notizie... Si faccia lei vivo e non mi chiami al telefono! Non voglio avere problemi, potrebbero rintracciare le chiamate -.

    Logan gli strinse la mano, ritenendolo un uomo abbastanza suscettibile e il portinaio svanì con la stessa velocità con cui era apparso, lasciandolo a riflettere sulle sue assurdità per tutta la notte. Non si era nemmeno accorto che la segretaria lo aveva salutato prima di tornare a casa, concentrato com’era sulle pagine strappate. Le aveva lette e rilette, cercando di comprendere cosa avesse voluto dire l’autore di quelle strane frasi. Le ore passavano senza che se ne accorgesse.

    - Un maniaco, non può essere che così… Baronov è un maniaco, ha tenuto un diario dove ha progettato l’omicidio, dunque ha ucciso la moglie e ne ha occultato il cadavere, fuggendo. Ma che dico, sono io il folle a dar retta a quell’ubriacone! Ha pure ripulito l’area del delitto… Chi mi dice che non li abbia uccisi lui? Chi mi dice che non sia tutta farina del suo sacco? Una presa per il culo… Bah, al Diavolo!-.

    Scosse la testa, acchiappò il pacchetto delle sigarette da una tasca dei pantaloni: era vuoto. Sbuffò, aveva fumato per tutta la notte rimuginando su un caso a dir poco allucinante. Si stiracchiò, voltandosi a osservare Manhattan dai finestroni del suo studio. La città si stava svegliando a poco a poco, man mano che il sole si alzava in cielo e risplendeva sulla neve ammucchiata ai lati delle strade.

    Tornò alle pagine strappate. Sorteggiò una cartella vuota dal cassetto adiacente alla scrivania e le inserì dentro. Stappò un indelebile nero e battezzò la copertina del dossier con velocità. Soddisfatto, richiuse il pennarello e lesse l’intestazione ad alta voce, dubbioso sulla riuscita di quel nuovo dilemma.

    - Il caso Baronov -.

    L’imprevisto

    Entrò ritmata dal ticchettio degli stivaletti con tacchi a spillo, scomodissimi e inadatti per l’inverno, che si era auto-regalata a Natale per apparire più chic. La smorfia del principale le fece capire che aveva trascorso anche quella notte insonne. Come ogni mattina da quando era stata assunta, la segretaria non poteva che ammirare il suo sensuale aspetto fisico: alto, palestrato, di nobile stirpe inglese, la carnagione pallida e quegli occhi neri capaci di mozzarle il fiato.

    - Signorina Toretti, la tazza del caffè è vuota. Le ricordo che ho licenziato per molto meno -

    Altro che cioccolata calda! Unico difetto di Sir Logan Percival, investigatore privato, donnaiolo e di famiglia aristocratica: apparire un perfetto stronzo.

    - Lo porto subito, signor Percival -

    - Ha le carte che le ho chiesto di portarmi? -

    - Sì, signor Percival, ma è stato anche questa notte a riflettere sull’ennesimo caso? Dovrebbe dormire, mia nonna diceva spesso Chi riposa, si sposa- esclamò la segretaria, mimando la voce tonante della nonna italiana.

    Logan fissò accigliato la nuova assistente chiedendosi perché mai ne avesse assunta una così petulante.

    - Le ho chiesto un parere signorina Toretti?- sbottò.

    Non era in vena di battute, dopo una notte trascorsa a rimuginare su un caso per certi aspetti surreale. Un gran mal di testa stava peggiorando in un forte senso di nausea.

    - Mi… Mi perdoni signor Percival-

    - Sì, sì va bene… Tenga qui, vada a scannerizzare queste pagine!- disse, porgendole il dossier del caso Baronov e massaggiandosi le tempie.

    La segretaria lo prese con cautela, leggendone con curiosità l’intestazione.

    - Baronov? Si tratta del KGB immagino…- ironizzò.

    Logan scosse il capo, rimembrando quello che aveva detto al portinaio ore prima. Con un caso come quello, incentrato su un presunto fantasma e una segretaria dalla battuta facile, poteva essere scambiato senza problemi per Dylan Dog, benché l’assistente del celebre investigatore dell’incubo non fosse una bella donna.

    - Signorina Toretti, prima che vada… Mi dica, lei è sposata?- le domandò, conscio di creare maggior scompiglio nella mente della segretaria, che trasalì.

    Arrossire, ingoffirsi, cercando tuttavia di mantenere un’espressione decorosa. Logan Percival, dopo mesi di rimproveri e critiche, si era tutto d’un tratto svegliato?

    - Ehm… No, non lo sono -.

    L’accattivante origine italiana aveva fatto centro? Era ora che si accorgesse del seno irruente, ingrossato da un amichevole reggiseno spasmodicamente foderato, della scomodissima gonna di una taglia più piccola per evidenziare il fondo schiena, nonché dei quintali di trucco, degli odiosi stivaletti con tacchi a spillo e delle interminabili sedute per piastrare i capelli ribelli, di una sfumatura ramata assai chiara. Il tutto per conquistarlo.

    - Dunque sua nonna si sbagliava, signorina Toretti. Smetta di poltrire! Chiuda la porta, mi raccomando-

    Jennifer Toretti chiuse la porta dietro di sé come ordinato e sgambettò nel suo raccapricciante studiolo mantenendo a stento le lacrime. Perché un uomo così attraente doveva essere anche così malvagio? Scaraventò il dossier del caso Baronov accanto alle altre scartoffie e si afflosciò sulla sedia, annacquando di lacrime la superficie della propria scrivania quadrangolare.

    Signorina Toretti, il caffè!- urlò Logan all’interfono, destandola dal momento di acuta disperazione.

    "Sapessi dove te lo metterei, io, il tuo dannato caffè, ma che ti strozzasse! Merda di uomo dannatamente sexy. Jenny sei una stupida, come hai fatto a innamorarti di uno come Sir Logan Percival, il più ricco megastronzo di Manhattan!".

    Esasperata, non si accorse di aver inserito la cialda di caffè arabico nella macchina da caffè, senza porre la tazza del principale sotto il beccuccio. La cascata che ne uscì non macchiò solo la stretta gonnella, ma anche i tre quarti della documentazione del caso Baronov, appoggiata sulla scrivania. Jenny sbiancò non sapendo se stare più in pena per la gonna, per la documentazione macchiata o per se stessa a causa della possibile sgridata del signor Percival. Doveva rimediare per non essere licenziata! L’idea di cercare un altro lavoro la nauseava: troppo alta, troppo bassa, troppo magra, troppo bella, troppi capelli o troppo pochi, troppo trucco, troppa femminilità, troppa educazione, troppa aggressività, troppa timidezza, le aveva provate tutte! Solo Logan, senza tante domande né interrogatori insulsi, l’aveva assunta.

    Ma cosa mai aveva visto Sir Percival che gli altri ignoravano? La bravura nel fare il caffè e catalogare l’archivio. Una segretaria perfetta.

    "Come buttare nel cassonetto della carta anni di studio all’università" pensò.

    Bussò alla porta del principale.

    - È aperto!-.

    "Eccolo lì, dondolarsi sulla sedia a occhi chiusi, ipotizzando le dinamiche del caso Baronov e riflettendo sul possibile nascondiglio dell’assassino…".

    - Il caffè signor Percival - sussurrò Jenny con una voce fievole temendo di dissipare i pensieri del principale.

    Logan aprì gli occhi e la squadrò, meravigliato. Jenny teneva fra le mani lo scatolone della carta da stampa, per nascondere la macchia indecorosa sulla gonna che, nonostante le precauzioni, era ugualmente visibile. Logan non osò chiedere di cosa si fosse macchiata, questa volta. La tazza di caffè fumante traballava sopra lo scatolone. Jenny gli si avvicinò pregando di non inciampare, non avendo buona visuale del pavimento, e glielo porse affinché prendesse la tazza.

    - E lo scatolone a cosa serve?- domandò Logan, appoggiando la tazza accanto alla lampada da scrivania.

    Jenny sorrise fingendo di non aver compreso la domanda.

    - Deve consegnarmelo o se lo porta a passeggio, signorina Toretti?-

    - Oh no, no signor Percival. È per fare esercizio, sa sono sempre chiusa in quello stanzino… Se permette io mi apparterei per qualche minuto - rispose, impacciata.

    Doveva assolutamente smacchiare la gonna.

    - Motivo?-

    - Eh, ho un calo di zuccheri…- sussurrò, fingendo nausea.

    - Ha scannerizzato le pagine del caso Baronov?-

    Jenny ridacchiò pensando a una risposta veloce da dargli, conscia che se gli avesse detto di averle macchiate, il principale l’avrebbe licenziata su due piedi.

    - Per lo scanner ecco… C’è un problema con la stampante, esco per portarla a sistemare, così potrà scannerizzare tutto ciò che vorrà senza altri ritardi - rispose.

    - Mhmm, va bene. Permesso accordato, ma faccia presto e non perda i sensi! Non la pago per svenire…- borbottò Logan, che avrebbe sfruttato quel momento di pace per sonnecchiare.

    Oh sì, Jenny avrebbe fatto prestissimo. Di volata alla toilette delle donne e la macchia sarebbe svanita senza lasciare la minima traccia. Pulita e odorando di sapone industriale, tornò nel suo studiolo. Fu colta da uno strano brusio. Proveniva dall’ufficio del principale. Zampettò con cautela fino alla porta. Appoggiò l’orecchio e sorrise: Logan stava russando.

    - Beh, non si accorgerà della mia assenza… Dopo tutto, deve recuperare le dormite arretrate -

    Sentendola entrare in ascensore, Logan riaprì gli occhi, si alzò dalla sedia e andò ad affacciarsi alla finestra, sorseggiando il caffè.

    - È uscita, un attimo di pace…- sospirò, sbadigliando.

    Aprì le veneziane e lo studio fu inondando da una luce opaca, giacché il sole era oscurato da nuvole grigie. Guardò la città con interesse, esaminando i milioni di cittadini in movimento sotto di sé, simili a formiche scattanti. Tamburellò le dita della mano sul vetro del finestrone.

    - Un fantasma, che idiozia… Dove ti nascondi, Baronov?-.

    Indossato il cappotto, Jenny scese al pian terreno per uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Aveva appena ricominciato a nevicare e i fiocchi di neve addolcivano i giganti di acciaio della Grande Mela. Diede un’occhiata all’orologio legato al polso. Se Logan si fosse svegliato, avrebbe impiegato ancora qualche minuto per trangugiare altra caffeina o riflettere su altre indagini, prima di accorgersi che fosse sparita. La tavola calda era dall’altra parte della strada.

    "Un dolcetto veloce-veloce e poi di corsa a rifornire Sir Percival del suo nettare indispensabile!".

    L’Aunt Betty era allegro come locale, Jenny spesso si divertiva a osservare la gente intenta a mangiare in vetrina, clienti che non si accorgevano di essere visibili ai passanti. Davanti a quante scene romantiche aveva sorriso. A quante litigate aveva assistito, quanti bambini le avevano strappato una risata lanciando patatine fritte ai genitori! Ogni volta che usciva dal grattacielo, dove Sir Logan Percival aveva affittato l’ufficio da investigatore privato, si fermava a guardare le vetrine dell’Aunt Betty: desiderava vedersi seduta a un tavolo in compagnia di qualcuno che l’amasse. Avrebbe venduto persino il suo gatto Reginald in cambio di una cioccolata calda sul lato opposto della strada, sola con Logan, all’Aunt Betty. Chiedeva poco: il calore di un altro essere umano, la compagnia dell’anima gemella, qualcuno con cui ridere e di cui essere fiera.

    Le pozzanghere di nevischio disseminate sull’asfalto rendevano l’attraversamento pedonale un campo minato, bombardato dagli schizzi d’acqua rovesciati dalle auto in circolazione. Jenny si guardò i piedi e constatata l’inefficacia degli stivaletti con tacchi a spillo nel camminare sul nevischio, se li tolse. Non ci fu automobilista che non diede fiato alle trombe, aumentando la sua agitazione. I clacson spernacchiarono contro la matta che, a balzi e scalza, attraversava la strada cercando di evitare le pozze più grandi, trattenendo gli stivaletti e l’ombrello in mano. Sorvolando l’ultima mina di nevischio, fu salva dall’altra parte della strada, fradicia, i calzini di lana inzuppati, i piedi gelati, ma i tacchi erano illesi.

    Entrò nell’Aunt Betty, scalza. Se non avesse indossato il suo bianco cappotto da diva, un falso ben fatto comprato a Chinatown, chiunque l’avrebbe scambiata per una vagabonda affamata. Pasticciona sin dalla nascita, si era allontanata da quel briciolo di decoro personale che una lavoratrice, dei quartieri alti di Manhattan, era obbligata a tenere.

    Due luoghi la traviavano dal trambusto della vita cittadina: il suo appartamento sulla Second Avenue e l’Aunt Betty, che a quell’ora del mattino era vuoto. La campanella appesa all’entrata dondolò e Jenny fu accolta dal solido e caloroso abbraccio della cameriera portoricana. Lola Curroza, ragazza madre, simpatica e di una forza interiore straordinaria. Diverse notti alla settimana lasciava suo figlio a Jenny, così da potersi dedicare al suo secondo lavoro. Ormai si davano del tu da parecchi mesi. Nonostante la cameriera fosse molto più giovane di lei, riusciva a trasmetterle la giusta quantità di forza d’animo che in certi momenti Jenny stessa tralasciava, crollando nel baratro della depressione provocato dall’indifferenza di Sir Logan Percival nei suoi confronti.

    Lola Curroza sorrideva, vedeva in Jenny quello che lei non era riuscita a diventare. Di sottofondo una canzone di Natale alla radio, che diffondeva lo spirito natalizio in ogni angolo del locale.

    Feliz Navidad Jenny! Sei sempre la benvenuta all’Aunt Betty, non ti ho ancora ringraziato per ieri… Miguel non ti ha rotto nulla spero?-.

    Jenny amava il suo musicale accento spagnolo, la lingua che avrebbe sempre sognato di imparare. Lola, mora e abbronzata con degli occhioni

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