Il Pizzo dell'Aspide
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Anteprima del libro
Il Pizzo dell'Aspide - Dianora Tinti
nazionale.
Amare o avere amato: basta. Non domandate nient’altro dopo questo. Non ci sono altre perle da trovare nelle pieghe misteriose della vita.
Victor Hugo
Prologo
Le musiche, se la memoria non mi inganna, erano quelle di Andy Bono e quella sera al Pizzo dell’Aspide
riecheggiava Aloha, canzone mai più sentita, mentre il vento di tramontana graffiava la nostra pelle. Rivivo i ricordi di una notte d’estate. Rivedo il mare, l’Orsa, le stelle, il turbinio di note che scompigliava i suoi capelli. Ora cerco i suoi occhi, invano, quel volto dolce e allegro e i suoi sorrisi belli. Quanti i miei ricordi, non dico più TI AMO e burrascoso è il mare.
Antonio durante i loro ultimi incontri le aveva consegnato diversi appunti e lettere che in tanti anni non aveva mai avuto il coraggio di spedire. Pensieri, emozioni, sfoghi, frasi scritte in momenti di solitudine e tristezza, insomma, una specie di diario spirituale.
Francesca leggeva con gli occhi lucidi e velati di lacrime:
… un turbinio di note le scompigliava i capelli…
Sorrise al pensiero di quella sera in cui aveva dato il suo primo bacio. Ne ricordava ancora il sapore, l’intensità, il mistero. No, non lo aveva dimenticato, non lo avrebbe mai potuto dimenticare.
… cerco i suoi occhi, invano, quel volto dolce e allegro e i suoi sorrisi belli…
Francesca non riusciva più a uscire dai labirinti della nostalgia. Prese un altro foglio e continuò a leggere.
Essere certi, liberarsi da ogni dubbio, sciogliere ogni vincolo: ma come? Forse facendole sapere, sapere che lei è stata l’unica, ma quanto tempo e per quanto ancora? Forse per sempre. È un sentimento mai più provato. Questo è dunque l’amore? Non è solo attrazione fisica o desiderio di lei, ma qualcosa di sublime e superiore, inspiegabilmente inamovibile che in me è nato una volta, tanti anni fa. Il ricordo però è dolore, infelicità. È giusto viverlo se non si è felici? E il tempo passato è amico o cosa? Devo vivere il presente e dimenticare ciò che è stato? No! Sarò forte e fiducioso… poi qualcuno ha detto che chi si è amato intensamente in questa vita si rincontrerà nell’altra e si riconoscerà, anche se lungo sarà il tempo da trascorrere e molte saranno le sofferenze. Intanto però sono qui, solo in questa fredda notte, con il mio fantasma addormentato d’amore.
Poi con calma apparente rovistò nella scatola rosa che aveva davanti ed estrasse un altro foglio: azzurro con piccoli fiorellini colorati.
Buia giornata
senza sole
specchio di solitudine e incertezza.
Un amaro ricordo
di un umido amore,
le voci silenti
dei giochi oscuri del tuo volto,
invadono la pace del mio spirito.
Debole creatura del sogno di Cupido
rimane soltanto
quell’ombra dubbiosa
e il fantasma
continua l’ascesa
per quella scala
che ti porta nel nulla.
Emozioni e ricordi
era una poesia piuttosto triste che Antonio aveva composto durante gli anni dell’università ed era dedicata a lei. Quanti anni erano passati? Sembrava quasi un’altra vita… Francesca si asciugò gli occhi con un fazzolettino di carta, a breve sarebbero arrivati gli invitati e non voleva farsi trovare in quello stato. Era un giorno particolare, nel pomeriggio sua figlia si sarebbe sposata. Un matrimonio deciso all’improvviso, organizzato in meno di un mese. Alessia era incinta già da cinque mesi e lei sarebbe presto diventata nonna, nonna a quarantacinque anni. Si guardò allo specchio per vedere se era in ordine. Gli occhi ora erano asciutti e anche se la mente vagava inseguendo i propri pensieri, il corpo, l’involucro del suo spirito, era pronto per affrontare anche quell’avvenimento. Francesca aveva sempre un aspetto giovanile, il fisico asciutto e longilineo e il viso, pur dimostrando qualche segno del tempo, ancora fresco e luminoso. Si aggiustò i capelli con le mani e si spruzzò il deodorante sulle ascelle. Il profumo no, l’aveva sempre evitato, copriva l’odore naturale della pelle e spesso lo peggiorava. Indossò un vestito bianco e blu e si diresse verso l’armadio per cercare la scatola delle scarpe nuove.
– Mamma, sei pronta? – gridò Alessia dall’altra stanza.
– Ora arrivo! – rispose faticando ad allacciarsi il braccialetto d’oro con la chiusura difettosa da sempre.
– Dai, altrimenti faremo tardi, sono già arrivati tutti! – La ragazza era comprensibilmente agitata e nervosa.
– Intanto avviatevi in giardino, arriverò tra un attimo.
Sentì scendere Alessia e alcuni parenti giù per le scale, verso il piano terra, mentre lei stava ancora combattendo con l’oggetto d’oro. Quando finalmente riuscì ad agganciare il braccialetto tirò un sospiro di sollievo e corse al piano di sotto. Stava quasi per uscire quando il telefono squillò. Rispose col fiatone. – Pronto?
– Ciao, sono io. – Ci fu una breve pausa, poi ancora. – Volevo che tu dessi un bacio ad Alessia da parte mia. Con tutto il cuore le auguro una vita serena e felice… più felice di quanto non sia stata la nostra. – La voce di Antonio era ancora più rauca del solito. Francesca sentì la gola seccarsi mentre la lingua non riusciva più a muoversi. – Francesca, mi senti?
– Sì ti sento, solo che… non mi aspettavo questa telefonata – mentì.
– A dire la verità anch’io non sapevo se telefonare. Poi evidentemente ho deciso per il sì.
– Chi te l’ha detto?
– Lo sai che se voglio, so sempre tutto. Comunque Anna, me l’ha detto Anna.
Già Anna. Francesca l’aveva chiamata qualche giorno prima. Era da tempo che non la sentiva e circa due anni che non la vedeva. Chissà per quale motivo l’aveva avvertita del matrimonio, pensò fra sé.
– Credevo che tu glielo avessi detto perché mi informasse, in fin dei conti è pur sempre mia cugina, ma avrei preferito che me lo avessi detto tu.
Antonio aveva ragione. Francesca, magari non del tutto consciamente, aveva chiamato Anna proprio per quello. Sorrise pensando a quanto lui la conoscesse bene.
– Hai ragione, ma avevamo deciso di non chiamarci più. Ho cercato di mantenere la promessa.
La porta dell’abitazione si spalancò all’improvviso.
– Allora, Francesca? – Gigi, suo marito, stava cominciando ad arrabbiarsi. – Stiamo aspettando solo te, che ci fai al telefono, chi è?
– Un’amica che fa gli auguri ad Alessia. – Mise una mano sulla cornetta con un’aria di circostanza. – La saluto e chiudo. – L’uomo se ne andò borbottando.
– Ti devo lasciare, sono in ritardo. – Ma non era facile chiudere subito; sentiva che qualcosa la obbligava a rimanere ancora lì con lui. – Come stai? È da tanto che non ci sentiamo…
– Sì, troppo. Ti richiamerò. Ho voglia di parlarti e poi… mi manchi, mi manca la tua voce…
– Anche a me… – rispose chiudendo gli occhi e cercando di immaginarlo accanto a lei.
La cerimonia fu breve e allegra. Alessia era raggiante e anche il marito lasciava trasparire tutta la sua felicità. Gigi e Francesca invece piansero di continuo, ma per motivi totalmente diversi tra loro.
– È stata una fortuna che mi sia truccata poco – disse Francesca verso metà del rito cercando di sdrammatizzare. Gigi la guardò con lo sguardo perduto nel vuoto; pensava ad altro. Aveva gli occhi ancora umidi e lei vi intravide la sua dolce anima sognante.
– Peccato. – Si disse mentre lui la cercava per stringerle la mano. – Peccato – si ripeté sentendo di volergli bene. – Peccato che non sia mai riuscita ad amarlo. – Le loro mani si toccavano ma i loro cuori erano distanti. Francesca pensava ad Antonio, come sempre, come aveva fatto durante tutti gli anni trascorsi. La voce del sacerdote giungeva al suo orecchio ovattata e lontana. Guardava sua figlia per la quale avrebbe sacrificato la vita e pregava per la sua felicità, ma contemporaneamente una parte del suo cuore e della sua anima era irraggiungibile, in volo verso Antonio. Non riusciva a fermarla, era ormai indipendente dal suo corpo e dalla sua volontà. Durante la cerimonia rivide la sua vita, come in un film. La Toscana con la bella villa ottocentesca dove era nata, il Salento e la grande casa bianca degli amati nonni sulle rive del Mar Jonio. Lei poco più che bambina dare il suo primo bacio ad Antonio. Il fidanzamento con Marco. Il tempo che passava fino al matrimonio con Gigi. Tutto cambiava e, nell’andirivieni banale di questo mondo, prendeva altre forme ma non Antonio. Un corpo, un pensiero al quale non riusciva a sottrarsi. Ora il matrimonio di sua figlia e lui continuava a esserci sempre, fermo, insostituibile nel suo cuore: dopo più di trent’anni quasi tutti trascorsi lontani l’uno dall’altra.
– Hai preso il cesto dei confetti? – Gigi interruppe i suoi pensieri.
– Che cosa?
– I confetti.
– Ah sì… Sono in macchina.
Continuò con le sue elucubrazioni. Le venne in mente una frase che tanti anni prima lui le aveva scritto. L’aveva imparata a memoria e diceva: – Qualcuno ha detto e ha scritto, ma il mio amore è ancora di più perché solo lo spirito dell’uomo sa che cosa avviene dentro di lui. È un segreto impenetrabile.
– È vero. – Pensò che non si può pretendere di spiegare l’inspiegabile; e mentre la cerimonia andava avanti, la sua mente continuava a tornare indietro. Applausi e fontane di riso ricaddero sugli sposi e sui presenti. Francesca sorridente guardava sua figlia baciare il marito e confidava, sperava, nella mano potente del Signore.
– Dio, fa’ che siano felici, che si amino veramente, oggi e sempre. – E augurò loro un amore grande, come quello che aveva vissuto lei. – Più fortunato però, Signore.
Capitolo 1
Antonio & Francesca
– Francesca! – gridò Marco. – Sei troppo sbilanciata. Devi stare più a centrocampo!
La ragazza si spostò velocemente dalla linea laterale al centro, ma non riuscì a colpire la palla che arrivava dopo un gran rovescio del ragazzo.
– Lo vedi? Poi non ce la fai a rientrare…
Francesca giocava a tennis già da due anni, ne aveva appena tredici quando aveva iniziato e se la cavava piuttosto bene, ma ogni volta che aveva Marco come avversario si innervosiva e non rendeva per quanto valeva.
– Sei contento, ora? – disse allontanandosi furiosa dal campo. – Come puoi pretendere che giochi bene se borbotti dal primo all’ultimo minuto?
Aveva conosciuto Marco soltanto un paio di mesi prima e le era subito piaciuto: alto, atletico, occhi azzurri, capelli biondi e riccioli. Insieme formavano senza dubbio una bellissima coppia e anche piuttosto invidiata, appartenendo ambedue a note e facoltose famiglie senesi.
– Scusa, hai ragione. – Marco la guardò con occhi imploranti e lei si addolcì.
– Ti perdono, ma la prossima volta che giochiamo silenzio assoluto. Va bene?
– Va bene – rispose il ragazzo abbracciandola.
Intenta a divorare una pagnottella di pane con olio e pomodoro, Francesca ripensava a quell’episodio con nostalgia, ma fu sufficiente il suono della campanella del carretto che trasportava e vendeva ghiaccio per farle lasciare sul tavolo, insieme alla colazione, tutti i suoi ricordi e farla correre verso il grande terrazzo bianco inondato dal sole. Quando arrivava il ghiaccio era sempre una gran festa; in quelle zone del Salento il frigorifero era ancora un lusso. I bambini del paese contornavano il carretto e, tra un salto e l’altro, aspettavano che i grossi cubi di ghiaccio venissero spezzati per poi essere venduti. Così, e solo allora, potevano raccogliere le briciole ghiacciate e placare temporaneamente l’arsura millenaria.
Francesca come ogni mattina assisteva alla scena, affacciata alla terrazza della grande e signorile casa dei nonni, bellissima e rassicurante. Per lei rappresentava qualcosa di più che una semplice abitazione, era un’oasi di pace e serenità, un luogo misterioso e quasi magico dove si sentiva protetta e amata e dove, se avesse dato ascolto alle ragioni del cuore, avrebbe voluto vivere per sempre. Era una costruzione molto grande e completamente bianca, come quasi tutte le case del sud; situata all’estremità del paese costeggiava due strade ed era strutturata su tre piani, considerata anche la grande soffitta abitabile. Possedeva un giardino molto esteso con aranci e limoni, delimitato da una lunga fila di alberi da frutto di varie qualità. Come tutto il resto anche le cantine erano enormi, ma ancora più grandi apparivano ai suoi occhi di ragazzina che vi si rifugiava durante quelle torride e interminabili giornate estive, cercando un po’ di refrigerio e uno spazio dove fantasticare sul futuro.
Anche le due immense terrazze erano tra i suoi luoghi preferiti. Da lì poteva dominare con lo sguardo il paese e la campagna, spiare nei giardini dei vicini e soprattutto durante i noiosi pomeriggi, quando tutti dormivano, andare in quella più grande ripetere un vero e proprio rito. Riempiva di acqua una grande tinozza di ferro e vi si sdraiava dentro vestita, con tanto di pantaloncini e maglietta. Poi rimaneva lì, per lunghissimi minuti, pensando a quanto affascinante e irraggiungibile fosse il sole che si abbatteva su di lei. Usciva allora, quasi spinta da una forza sovrannaturale e, sdraiata per terra sul tufo ruvido e polveroso, aspettava che quel sole succhiasse avidamente tutto ciò che era contenuto nei suoi indumenti e forse (ma questo lo scoprì soltanto molti anni dopo) anche qualcosa di più.
– Bella mia! – chiamò ad alta voce la nonna. – Lo sai che non voglio che tu stia alla terrazza vestita in quel modo: ti stanno guardando tutti.
La ragazzina, che indossava soltanto una maglietta bianca come vestito, obbedì rientrando subito in casa anche se non particolarmente colpita da quelle parole. Conosceva sua nonna e sapeva che sotto quella scorza intransigente si celava una persona dalle idee aperte e all’avanguardia. Era cosciente poi di essere la nipote prediletta. Forse perché figlia dell’unica figlia che non viveva più al sud, aveva un posto speciale nel cuore dell’anziana donna che non si dava pace per non poterla vedere crescere sotto i suoi occhi. Pur avendo indiscutibilmente sangue caliente nelle vene, Francesca era nata e cresciuta al nord, in una antica tenuta vicino a Siena. Sua madre infatti aveva sposato un proprietario terriero di origini