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Diario di un cervello in fuga: Nel XXI secolo
Diario di un cervello in fuga: Nel XXI secolo
Diario di un cervello in fuga: Nel XXI secolo
E-book484 pagine7 ore

Diario di un cervello in fuga: Nel XXI secolo

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Info su questo ebook

Un vero diario di viaggio scritto nel 2008 dalla protagonista: Tiziana.
Una volta li avremmo chiamati "migranti con la valigia di cartone", oggi invece i giovani che lasciano 
il nostro Bel Paese sono dei "cervelli in fuga".
Tiziana e Damiano, stanchi di un paese che non offre loro nulla, decidono di tentare la 
fortuna altrove, ma la troveranno? 
È davvero così facile ricominciare in terra straniera?
Un diario sincero ed autentico, da leggere tutto d'un fiato!
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita18 giu 2020
ISBN9788833665504
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    Anteprima del libro

    Diario di un cervello in fuga - Tiziana Lilò

    SECOLO

    Io me lo leggo

    Collana editoriale,

    contatto: iomeloleggo@yahoo.com

    Direttrice: Monika M

    Dopo anni di pensieri, parole, opere e omissioni, Tiziana e il boyfriend Damiano raggiungono l’obiettivo di partire per l’estero, alla ricerca di un luogo dove vivere in condizioni migliori rispetto a quelli che l’Italia offre.

    La partenza è carica di aspettative e convinzioni, ma una volta nel paese straniero la vita da immigrati li obbliga a ridimensionarsi poiché la realtà non è facile, soprattutto perché lì si parla inglese!

    Il diario di viaggio racconta le esperienze vissute nel 2008 (confessate in-/e consciamente) che mandano in confusione i due avventurieri, i quali faticano a capire se la scelta fatta sia quella giusta.

    L’unica cosa certa è che stanno tentando di realizzare un sogno, bello o brutto che sia, e ciò non è da tutti… perché nella vita ci vuole coraggio, oltre a un pizzico di fortuna.

    Da questa esperienza si impara molto sulla vita da espatriati, ma soprattutto si ha la conferma di alcuni luoghi comuni, come ad esempio: Finché non vedi non credi, ma soprattutto: Chi fa da sé fa per tre. Sempre e comunque.

    L’obiettivo primario è di dimostrare che l'essere umano ha tutte le facoltà per raggiungere (o almeno, tentare di raggiungere) i propri sogni. L’importante è crederci veramente.

    E se quella vocina interiore continua imperterrita a consigliare di fare delle scelte, a volte anche drastiche, che vanno contro ogni corrente di pensiero che ci circonda (il riferimento è rivolto ai parenti e conoscenti), bisogna ascoltare lei, e non loro!

    Restano invece esclusi dall’elenco gli amici, perché quelli dovrebbero essere sempre accondiscendenti riguardo a certe decisioni… altrimenti perché mai sono stati inventati?!

    L’obiettivo secondario è di mettere le carte in tavola, rendendo pubblico tutto, ma proprio tutto, quello che è successo in quei 220 giorni su suolo inglese, dimostrando che quel tempo non è andato perso! Insomma… anche stavolta IL DOVERE È STATO FATTO.

    Dedicato a tutti quelli

    che hanno creduto

    veramente nel nostro sogno.

    CAPITOLO 1

    VOGLIO UN MONDO ALL’ALTEZZA

    DEI SOGNI CHE HO.

    • Martedì 22/01/2008

    Dopo mesi di pensieri, progetti, disperazioni e paure, eccomi finalmente all’aeroporto di Orio al Serio, a Bergamo. Fortunatamente il volo è in orario perché non reggerei nemmeno dieci minuti di ritardo. Sono piuttosto ansiosa e ho passato la metà del viaggio in macchina che mi ha condotta fino a qui, piangendo. Non sapevo esattamente il motivo di quel comportamento, ma avevo un disperato bisogno di farlo. Forse perché ho salutato il mio gatto (Birba) con la consapevolezza che non lo rivedrò per un lungo periodo, o forse perché sto per realizzare finalmente il mio sogno... ma le riconosco: quelle erano lacrime di tristezza per la distanza che si stava facendo sempre più grande dalla mia casa, dai miei affetti, dalla mia vita che era stata fino a oggi.

    Mio padre, alla guida, mi ha domandato il perché di quel pianto.

    -Non so cos’altro fare.- Ed era vero. Ormai non potevo fare nient’altro che lasciare sfogare le lacrime come un fiume in piena.

    Erano due anni che io e il mio ragazzo, Damiano, ripetevamo di volercene andare. Lontano da quel paesino fra le montagne dove siamo cresciuti, dall’ottusità di alcune persone che ti dicono cose che non vorresti sentire e senza che tu gliele abbia chieste, dai pranzi familiari tutti uguali, durante i quali si facevano identiche battute da anni. Lontano da quelli che si definiscono amici ma che in realtà ti chiamano soprattutto quando hanno bisogno. Lontano dai loro problemi, che spesso ci coinvolgevano. Insomma, eravamo stufi della noiosità di quella vita e di quelle vite dove l’obiettivo è avere un qualsiasi lavoro pur di guadagnarsi il minimo sindacale, sposarsi, fare un mutuo, mettere al mondo dei figli, con la frequente conclusione di ottenere un divorzio. Era forse questo il modo per diventare adulti? La mia vena cinica aveva detto no! Noi avremmo rotto le convenzioni e saremmo stati diversi. La routine non si sarebbe impossessata della nostra storia. Anzi, quest’esperienza l’avrebbe rafforzata, perché è proprio nei momenti più bui che si scopre quanto ci si ama.

    Immaginavamo come sarebbe stato essere lontani chilometri e chilometri, solo io e lui. In un luogo nuovo e sconosciuto, all’estero. La nostra meta, infatti, sarebbe andata oltreconfine. Allontanandoci da quest’Italia che ci aveva esasperato con le sue truffe, gli sprechi, un governo che sfama un numero esagerato di politici, nessuno dei quali in grado di dirigere coerentemente il Paese e permettendo agli italiani di vivere serenamente.

    Io avevo il pallino per l’estero da anni quando, a causa della separazione dei miei genitori, i dodici mesi che avrei dovuto trascorrere come ragazza alla pari negli Stati Uniti, si erano ridotti drasticamente a tre. La voglia di fare un’altra esperienza oltremare era rimasta, radicandosi ogni giorno di più. Questa volta non ci sarebbero stati divorzi che mi avrebbero fatto preparare le valigie in fretta e rientrare per raccogliere i cocci. Avrei pensato soltanto a me stessa. Alcuni amici già allora avevano consigliato di proseguire per la mia strada. Credo, però, di avere un cuore e pertanto, saputo quello che stava accadendo, sfido chiunque a far finta di niente. Anche se alla fine non avevo ottenuto ciò che desideravo, non posso rimpiangere di non aver provato a farli ragionare per rimanere una famiglia unita, ma ormai ogni decisione era stata presa e la vita, come si suol dire, va avanti.

    Decidere dove andare non era stato difficile. Il mio obiettivo è ancora l’America, ma un detto dice: chi va piano, va sano e va lontano, pertanto le cose devono essere progettate step by step. Quindi, primo passo: imparare l’inglese. E quale migliore nazione per studiare questa lingua se non l’Inghilterra?

    Per un caso fortuito avevamo scoperto che la sorella del mio compagno aveva un amico, da poco trasferitosi in Gran Bretagna. Costui, a quanto diceva, si trovava in una città ricca di lavoro per tutti. Non ci abbiamo impiegato molto a convincerci che quella sarebbe stata la nostra meta: Newcastle Upon Tyne.

    La scelta era stata supportata da evidenti segni del destino (è così che chiamo quegli indizi che creano delle situazioni positive, dimostrando che il tutto evolve a favore. Quando ogni pezzo si incastra come in un puzzle, la via è corretta. Al contrario, quando le situazioni divengono negative è meglio gettare la spugna e correre ai ripari perché la catastrofe potrebbe essere imminente!).

    Gli elementi che ci avevano fatto capire quale direzione intraprendere erano stati: la presenza di un college rinomato e gratuito; la presenza di una conoscenza italiana e originaria del nostro paese, quindi un Aggancio, che ci avrebbe sicuramente aiutato. Inoltre c’era stato riferito che le tasse erano distribuite equamente come i guadagni, non esistendo l’enorme spaccatura come quella creatasi in Italia, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri. Per concludere, una compagnia low cost effettuava voli diretti Bergamo-Newcastle. Insomma: Dio salvi la Regina!

    Al banco del check-in mi tornano in mente le motivazioni che ci hanno portato a essere qui in questo momento. Il nostro sogno si sta per realizzare.

    Avendo a disposizione qualche minuto prima di oltrepassare i controlli della sicurezza, ci avviamo verso il bar e prendiamo posto a sedere nell’unico tavolino rimasto. Alla cassa un cartello avvisa della maggiorazione per il servizio al tavolo. In totale: due tè caldi e due birre in bottiglia costano a mio padre la modica cifra di 18.50 €. Neanche fossimo in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Fortuna che me ne vado da quest’Italia ladrona.

    Sto sorseggiando il tè (che mi sta andando di traverso dopo aver sentito il prezzo che è stato pagato) quando mi squilla il cellulare. É mia madre:

    -A che punto siete?-

    -Stiamo aspettando d’imbarcarci.-

    -Fate buon viaggio, in bocca al lupo e mandami un messaggio appena arrivate.-

    Improvvisamente ho gli occhi colmi di lacrime. Le rispondo velocemente:

    -Ok. Crepi. Ci sentiamo.- e riattacco.

    Spero non abbia capito che avevo un nodo alla gola, ma alzando lo sguardo scopro i miei accompagnatori a fissarmi.

    -Era la mamma.- comunico facendo finta che quelle che stanno rigando le guance non siano lacrime.

    -O santo cielo. Se questa è la tua reazione solo sentendo tua madre al telefono, chissà cosa farai con me che sono qui di fronte.-

    -Conviene che andiamo. Il vostro parchimetro è già scaduto da cinque minuti.- ribatto come se non avessi sentito la battuta di mio padre.

    Ci avviciniamo all’uscita. É giunto il momento dei saluti.

    -Andate a farvi un giro al centro commerciale qui di fronte?- domando per smorzare la tristezza.

    -Credo di sì. Abbiamo percorso tutta questa strada, tanto vale sfruttare la cosa.- risponde mio padre. Senza ascoltare la risposta e senza pensarci ulteriormente, lo abbraccio. Non resisto più, le lacrime cominciano a scendere come una diga a cui si sono rotti gli argini. Lui mi stringe a sé.

    -State attenti e come vi ho già detto: siete la nostra speranza. Se ci fosse la possibilità di un trasferimento anche per noi, prepariamo le valigie e vi raggiungiamo. Qui ormai non si risolve più nulla, anzi! L’Italia andrà sempre peggio.- Credo di non riuscire a superare questo attimo. Piango come una bambina alla quale è stata strappata dalle mani la sua bambola preferita. Le uniche parole che riesco a dire sono:

    -Tu prenditi cura del mio Birba.-

    -Stai tranquilla, è in buone mani.- e mi stringe ancora più forte.

    Tento di staccarmi, anche se preferirei rimanere così per ore, e mi volto verso Antonella, la sua compagna. Anche lei è in lacrime. Come da copione in un telefilm americano, l’abbraccio. Contemporaneamente Dami sta salutando mio padre, il quale si raccomanda di aver cura della figliola. Non resisto e decido di abbracciarlo ancora, mentre un altro pianto scoppia più forte.

    -Se non te la senti di fare questo passo, non sei obbligata.- mi sussurra all’orecchio. Ha ragione, non c’è nessuno che mi sta puntando una pistola alla tempia, ma lo devo fare. Perché? Perché credo che la mia fortuna non sia dove ho vissuto fino a ora, credo che la vita ti dia sempre una seconda possibilità e che sia quella migliore, credo che una tale esperienza mi aprirà delle porte… ma devo ammettere che in questo preciso istante penso fermamente di essere una masochista. Il dolore che sto provando è inesprimibile. Ecco quello che sinceramente credo.

    Decido finalmente di lasciarli andare.

    -Vi mando un messaggio al nostro arrivo.- sono queste le uniche parole che mi escono. Preferisco voltarmi e avviarmi verso il gate. Proprio non ce la faccio a vederli allontanarsi.

    Gli occhi gonfi quasi m’impediscono di vedere la strada. Superati anche i controlli per i documenti, prendiamo posto nella sala d’attesa.

    -Vado a prendere qualcosa da mangiare perché sarà tardi quando giungeremo a destinazione.- dice Dami.

    -Ti aspetto.- e nel mentre mi asciugo le guance completamente bagnate.

    -Piccola, mi dispiace vederti in questa condizione.-

    -Non preoccuparti. Per me prendi un panino qualsiasi.- lo liquido.

    Mi stampa un bacio sulla fronte e si avvia verso il bar. Nell’attesa rimango immobile, con lo sguardo fisso verso un punto senza fine, insignificante, continuando con tranquillità a struggermi in quel dolore che sento vitale. Le persone intorno mi guardano di sott’occhio, incuriositi dal motivo di quelle lacrime.

    Flussi di pensieri attraversano la mente, tutti rivolti alla figura di mio padre. Mi manca. Mi reputo una stronza per tutte le situazioni in cui me la prendevo con lui, quando mi arrabbiavo per delle questioni che solo ora considero banali, come il fatto che frequentemente strilla per il mio disordine, che dopo due anni non ha ancora finito di montare un mobile, che pur di risparmiare utilizza lampadine da 40 Watt per il lampadario di colore rosso della cucina, creando un’ambiente similare a quello di una camera oscura per lo sviluppo delle fotografie. Questa sensazione è stranissima. In un attimo, ciò che mi faceva incazzare dandomi lo stimolo a preparare i bagagli per andarmene lontano, non mi appare più così drastico.

    Quasi quasi lo richiamo per dirgli che non parto più. Solo l’idea mi fa già sentire meglio. Cerco di mantenere la razionalità limitandomi a fargli una telefonata.

    -Mi sono dimenticata di dirti una cosa. Quando ieri sono andata dal nonno, mi ha salutato augurandomi di diventare subito ricca.- gli dico imitando la voce da uomo.

    -Avrebbe fatto meglio a evitare di dirti una frase del genere! Quando vado al casinò e mi augura buona fortuna, non vinco mai!- mi sento rispondere.

    -Però mi ha fatto ridere. Sai com’è fatto, è di poche parole ma quando apre bocca le spara grosse.-

    -Ti è passata la tristezza?- mi domanda.

    -Insomma.- Il nodo in gola si è ripresentato, strozzandomi.

    -Ti devo salutare.- Eccomi: sono di nuovo una fontana. Uff! Che giornataccia. Eppure quando ero partita per l’America con la consapevolezza di vivere lì un anno intero, non ho versato una lacrima. É proprio vero. Più si diventa vecchi, e più si diventa molli.

    Nel tragitto con la navetta che ci conduce all’aeromobile continuo a guardare verso il parcheggio dell’aeroporto. Magari riesco ancora a vederlo. Sarebbe un segno del destino che non devo partire. Osservo attentamente, ma ci sono centinaia di macchine e la mia vista non è proprio come quella di un falco. Anzi, assomiglia a quella di una talpa.

    Quando l’hostess vede lo stato pietoso nel quale mi ritrovo, educatamente domanda se necessito di fazzolettini. Con un filo di voce le rispondo un:

    -Thanks.- mostrandole il pacchettino che ho in mano. La sua gentilezza mi fa sentire ancora più triste. Mi siedo, non so nemmeno dove. Prima di spegnere il cellulare leggo i due SMS in arrivo. Il primo è di mia cugina Simona: Vi auguro buon viaggio e se non sai a chi lasciare il gatto me ne occupo io, così lo cucino con la polenta. Questo almeno mi fa sorridere. Il secondo è di mio papà: Ricordati che sei una ragazza forte e in gamba. Sono con te nella mente e nel cuore. Questo mi devasta definitivamente.

    L’aereo decolla, mentre maniacalmente continuo a guardare verso terra.

    -Ciao papi.- mi ritrovo a sussurrare. Dentro di me, in mezzo a quelle macchine che si fanno sempre più piccole, inconsciamente lo sto ancora cercando. A volte credo seriamente che la pazzia non abbia limiti.

    Per la prima ora il pianto è continuo.

    -Dami non ho più fazzoletti. Per favore puoi prendermene altri nel bagaglio a mano?- Gentilmente si alza per tirare fuori ciò che mi serve dalla cappelliera. Ho quasi finito di asciugarmi tutte le lacrime quando, probabilmente dal pianto o dalla stanchezza, inizio a essere infreddolita.

    -Dami mi prendi la giacca?- Pazientemente si rialza. Brr, fa proprio freddo su quest’aereo. -Dami dimenticavo, mi prenderesti anche dell'acqua?- Forse avrebbe voglia di mandarmi a quel paese ma è consapevole che c’è già l'angoscia a logorarmi, pertanto evita. Poi, per sua fortuna, mi assopisco.

    Mi risveglio frastornata. Come prima cosa tolgo le lenti a contatto (un consiglio dal cuore: mai piangere con le lenti. Quando iniziano a seccarsi si prova un dolore che impedisce di tenere aperte le palpebre, col risultato di avere due occhi gonfi come la rana Kermit dei Muppets).

    -Dami ho bisogno subito del porta-lenti.-

    Per trascorrere gli ultimi trenta minuti di volo decido di leggere quello che diventerà la mia bibbia: Impara e migliora rapidamente il tuo inglese, ma dubito di capirci qualcosa. Ho la testa che scoppia. Apro una pagina a caso, ed eccolo lì. Un pelo nero, lungo quattro centimetri. Non un pelo nero qualsiasi… è QUEL pelo nero. Lo riconoscerei tra milioni. É il suo, di lui, del mio Birba! Mi volto verso Dami che ha seguito l'intera scena. Ci guardiamo. Non resisto. Scoppio di nuovo a piangere. Per tutto il tempo precedente ho pensato a quanto mi sarebbe mancato il mio papi. Con il suo caratteraccio ma alla fine, come dicono in tanti, è un buono. Non mi ero concentrata sul mio pelosetto, l’amore della mia vita, il mio micione. Birba, Birbaaa, Birbaaaaaa!!! Chissà per quanto tempo non ti rivedrò! Con chi farò colazione la mattina? E chi mi scalderà i piedi nel letto durante la notte? Come farò senza le tue fusa e i guai che combini? La disperazione avanza.

    Sono le 20:15, ora inglese, quando finalmente atterriamo.

    Come si poteva immaginare, c'è la pioggia ad attenderci. Ci dirigiamo alla metro che, direttamente dall’aeroporto, ci conduce nei pressi del B&B dove alloggeremo per alcuni giorni (sperando siano limitati), finché non troveremo una casa. Avviso immediatamente chi devo tramite messaggi.

    Alle 21:00 (quindi le 22:00 in Italia) non mi è ancora arrivato l'SMS che deve avvisarmi dell’arrivo a casa di mio padre. Oddio, non sarà successo qualcosa? Non me lo potrei mai perdonare! L’ansia inizia a salirmi, ma dopo qualche secondo: Siamo arrivati in questo istante. Al centro commerciale abbiamo trovato verze, insalate, carote e cipolle a cinquanta centesimi al chilogrammo. Proprio alla nostra portata. Meno male che almeno lui riesce a scherzare. Bip, bip. Chissà cosa mi risponde mia madre. Le ho scritto che durante il viaggio non ho fatto altro che piangere.

    Dai Titty, tu sei una ragazza volitiva e vedrai che la buona sorte vi aiuterà. Te lo dice la vecchia. Notte. Se non si fosse ancora capito, nella mia famiglia siamo parecchio superstiziosi.

    • Mercoledì 23/01/2008

    Ci alziamo quasi all’alba poiché l’Aggancio ha fissato degli appuntamenti con alcune agenzie immobiliari, in diverse zone di Newcastle. Anche se, a mio parere, non sceglieremo nemmeno una delle case che queste ci proporranno, dato l’affitto esagerato che richiedono (550 £). E dire che glielo avevamo fatto presente che la cifra massima disposti a pagare mensilmente sarebbe stata 500 £, considerato che ci vuole 1.45 € per acquistare una sterlina, e siamo disoccupati.

    Alle 8:30 mi arriva un SMS dal mio caro amico del liceo alias Freddy: In bocca al lupo in questo primo giorno di nuova vita: vai e spacca amica. Le sue parole mi danno la carica.

    Alle 10:15 il primo incontro. Dopo aver consultato ripetute volte la cartina acquistata ieri in aeroporto, ci troviamo in un contesto residenziale della zona di Jesmond (una delle aree più ricche di Newcastle) dalla quale i mezzi pubblici distano una quindicina di minuti by walk.

    Il complesso condominiale pare nuovo. Arriviamo con un po' d’anticipo augurandoci che anche il nostro agente lo sia poiché tra un’ora abbiamo il secondo appuntamento, nella zona opposta a quella in cui ci troviamo ora. Arriva l’ora x e non si vede nessuno. 10:20 nulla, 10:25 ancora nulla, 10:30 il deserto. Telefono all’agenzia per assicurarmi che l’agente non si sia perso per Newcastle. Mi sento già la tachicardia per la conversazione che dovrò compiere. Con il mio inglese molto masticato, cerco di farmi comprendere:

    -Hello.- Fin qui tutto bene. Spiego il motivo della telefonata. La segretaria mi domanda nome e cognome, mi mette in attesa e dopo pochi secondi mi conferma che il collega ci sta raggiungendo. Questo ritardo di quasi venti minuti non li rende per niente professionali. Gli concedo ancora trenta secondi, dopodiché andiamo a cercarci un taxi. E così facciamo, perché neanche dopo altri due minuti si fa vivo. Ho già i nervi a fior di pelle per l’occasione persa. Mi consolo pensando che non l’avremmo affittato, vista la distanza dai mezzi oltre al prezzo.

    Alle 11:05 arriviamo davanti al n°85 in Dilston Road, nella zona di Fenham. Nell’attesa del secondo agente immobiliare, noto parecchia sporcizia in terra e a passeggio soprattutto stranieri, nel senso di musulmani.

    La Mini Cooper ricoperta di loghi dello studio immobiliare giunge puntualissima. Saliamo a vedere la casa che si trova al primo piano di una tipica abitazione inglese. Non mi soffermo sul fatto che dappertutto ci sia la moquette (d’altronde è risaputo essere una prerogativa nelle abitazioni anglosassoni), in cucina si trova la porta che conduce al bagno e la soffitta è inagibile poiché occupata da numerosi elettrodomestici inutilizzabili. Subito immagino la scena di una sera, sola in questa casa, udire dei rumori provenienti dalla soffitta. Se si dovesse nascondere qualcuno, dubito di trovarlo, e considerata la gente che ho visto qui fuori non so se sia peggio lottare con l’intruso o imprecare per un aiuto dall’esterno. Mi riscuoto sbattendo le palpebre ripetutamente e liquido l’agente immobiliare con un:

    -Ci penseremo.-, ma dirigendoci verso il prossimo appuntamento concludo con Dami che la mia risposta è un secco no per la casa con lo scenario tipico di un film thriller.

    Per risparmiare sui mezzi di trasporto, ci avviamo a piedi verso il centro. In questa maniera abbiamo l’opportunità di conoscere meglio la zona. Confermiamo così la nostra ipotesi iniziale ossia che questo è certamente il quartiere degli extracomunitari, non benestanti e provenienti dal Medio Oriente.

    Dopo mezz’ora di camminata (a passo veloce) sbuchiamo vicino allo stadio del Newcastle. Troviamo in Starbucks un punto di ristoro e alle 13:00 ci incontriamo davanti all’agenzia di Philip. Avevo organizzato personalmente quest’appuntamento ancora prima di partire, tramite e-mail. Philip mi aveva allegato alcune fotografie dell’appartamento che si trova a Gateshead, il comune limitrofo a Newcastle. Il prezzo di 450 £ mi era risultato subito allettante e le spese dell’agenzia sono tra quelle più contenute: solo 160 £. è libero da dicembre e ancora non sono riusciti ad affittarlo. Secondo me è un segno del fato che lo vuole destinare a noi. Da quanto ho visto nelle foto, l'arredamento è discreto, ma non pretendo certo di andare a vivere a Buckingham Palace! A mio parere, l’importante è contenere la spesa. Ho già dato da intendere a Dami che sono parecchio orientata verso questa scelta, al contrario di lui.

    Con Philip ci dirigiamo verso la sua macchina parcheggiata. É una nuovissima Audi A8 di colore nero, full optionals e interni in pelle. Deve essere remunerativo questo tipo di lavoro. Dami indica di sedermi davanti. Istintivamente mi dirigo a destra, seguita da Philip il quale mi fa intendere che devo permettergli di salire in macchina. Mi scuso per la figura da cretina che ho appena fatto. Qui siamo in Inghilterra e il volante è messo dalla parte opposta!

    L’appartamento si trova dietro l’hotel Hilton. La mia fantasia prende il volo. Vivere dietro l’Hilton e lavorare all’Hilton. Necessiteranno senza ombra di dubbio di personale. Magari incontro anche gente famosa, come la Paris.

    La casa non è maluccia. La moquette è dappertutto e per andare al bagno quantomeno non bisogna attraversare la cucina. Questo è già un segno di civiltà. Vi è persino l’asse del water trasparente che mostra del filo spinato all’interno, molto kitsch. Vi è una sola camera matrimoniale, mentre l’altra stanza sarà arredata a nostra discrezione. Non ci sono armadi, ma solo due sgabuzzini pieni di roba vecchia (contenenti un ventilatore, un forno a microonde, una lampada e un paio di Dr. Martens del 1995) e nella cucina manca il tavolo. Philip mi tranquillizza: se dovessimo affittarla, il proprietario provvederà a comprarlo, oltre a delle sedie, un divano o un altro letto da posizionare nella seconda stanza. Come anticipato sono orientata verso questa scelta, costa poco, non è molto distante da Newcastle, né dalla metro... e neanche dall’hotel Hilton. Inoltre è dotata di un secondo locale, dove potremmo sistemare eventuali ospiti.

    Entro domani a mezzogiorno gli daremo una risposta.

    Torniamo verso il centro della città perché alle 15:30 abbiamo l’ultimo appuntamento della giornata. Attendiamo vicino all’ingresso quando un’utilitaria arriva e parcheggia. A bordo c’è un uomo di colore con una bambina sui sei/sette anni. Venendoci incontro capiamo che si tratta del proprietario. Ci presentiamo in inglese ma il nostro accento gli fa capire che non siamo originari della zona.

    -Da dove venite?-

    -Italia.-

    -Io amo il vostro Paese e gli italiani!- risponde in italiano Juan, questo il suo nome. -Come mai vi siete trasferiti a Newcastle?- ci domanda mentre saliamo le scale.

    -Per avere delle prospettive migliori di quelle che sta offrendo la nostra nazione.-

    L’appartamento si trova in una palazzina a tre piani che avrà al massimo una trentina d’anni. La cucina è arredata in stile moderno con penisola, il salotto ha poltrone di pelle bianca, il bagno è stato recentemente ristrutturato, la camera matrimoniale ha un armadio a specchio a tre ante e la camera più piccola, con un letto singolo, possiede armadio e scrivania. Affitto: 550 £. Ci fa intendere che evitando di coinvolgere l’agenzia, può scontarci una cinquantina di sterline.

    -Per le nostre attuali finanze è comunque troppo, anche con lo sconto. Siamo appena arrivati e non abbiamo un lavoro, perciò dobbiamo cercare un alloggio a poco prezzo.-

    -Capisco perfettamente le vostre condizioni. Contro il mio interesse, vi sconsiglio di prendere in affitto questa casa.- Che onestà. Ci invita, invece, a cercare una sistemazione da condividere con altre persone. -Andreste a spendere 40/50 £ a settimana, a coppia.- Non credo a quello che sto sentendo.

    -Davvero? Dove possiamo cercarla? Tu ci potresti aiutare?- lo tempesto.

    -Possiedo una casa che devo finire di sistemare, è nella città qui vicino, subito dopo aver attraversato il fiume. Potete stare lì finché non troverete qualcos'altro.- La gentilezza di questo sconosciuto non può che sorprendermi.

    -Avresti il tempo di mostrarcela?-

    -Ora?-

    -Sì, ora. Sempre che tu non abbia altri impegni.- approfitto. Si sfrega per un attimo il mento tra le dita snelle.

    -Ok, andiamo.- Guardo Dami un po’ esterrefatta, seguendo Juan in macchina.

    Nel viaggio ci racconta che lui vive a Newcastle da una ventina d’anni e lavora in un ristorante come cameriere:

    -All’inizio è stata dura, ma ora ho qualche proprietà che affitto.- Le sue parole mi convincono ulteriormente che siamo venuti nel posto giusto.

    Entriamo nell’appartamento sito al primo piano. Una moquette sordida in alcuni punti si è scollata. Nel soggiorno c’è una vasca da bagno ancora avvolta nel cellophane. Ci mostra la cucina, i cui fornelli non vedono un detersivo da troppo tempo, e la solita porta che conduce al bagno, dal quale proviene una puzza di fogna da far scappare anche un ratto. Oddio, io qui a vivere non ci vengo. Dovrei mangiare in cucina e prepararmi il cibo con quest’odore ripugnante sotto il naso? Anche Juan si rende conto del tanfo e tenta di rimediare tirando lo sciacquone (migliorando di poco la situazione) e giustificandosi che lo deve aggiustare. Quando, esattamente? Troviamo la scusante che è un po’ lontana dal centro e che non vorremmo approfittare della sua disponibilità.

    -I mezzi non sono un problema perché la zona è ben collegata con gli autobus e io sarei molto contento di darvi una mano.- insiste. Dopodiché desidera mostrarci la casa in cui abita, che ha comprato da non molto tempo. Questo tipo inizia un po’ a stranirmi invitandoci nella sua proprietà senza nemmeno sapere chi siamo. Non vorrei fosse tutta una tattica. Magari poi ci denuncia alla polizia dicendo che lo abbiamo derubato, o cose simili. In macchina, sento il mio livello di sudorazione accentuarsi. Cerco lo sguardo di Dami per capire cosa ne pensa dell’andare a casa di costui, ma è seduto davanti con Juan e sono intenti a dialogare. Mi volto verso la bambina seduta nel suo seggiolino, che si gusta soddisfatta del succo di lampone e mangia patatine. Se dovesse avere brutte intenzioni, dubito la porterebbe con sé. Cerco di tranquillizzarmi quando finalmente giungiamo a destinazione.

    La casa a due piani, sebbene costruita di recente, mantiene le caratteristiche delle vecchie abitazioni inglesi costruite interamente con piccoli mattoni rossi. Il soggiorno ha un arredamento etnico notevolmente sfarzoso composto da cornici dorate, specchiere dorate, soprammobili dorati e, ciliegina sulla torta, il tavolo con ripiano in vetro possiede gambe rappresentanti zampe di giaguaro. Dorate. Mi sa tanto di spacciatore di droga. Come fa ad avere tutto quest’oro in casa (seppure, in realtà, ottone)? Lo reputo pur sempre un arredamento ricco considerato che di mestiere fa il cameriere. Passiamo alla cucina super moderna e dalla quale si accede alla veranda, adibita a secondo soggiorno con tv al plasma da cinquanta pollici, decoder, dvd, stereo e PC. Ripenso al primo momento in cui l’ho visto scendere dalla Renault Twingo, in tuta color grigio modello pigiama. Non gli avrei dato cinque centesimi.

    -Accomodatevi. Che cosa volete da bere? Avete fame?- La sua ospitalità non fa che aumentare la mia preoccupazione ma preferisco berci sopra.

    -Qualsiasi cosa va bene: Coca-Cola, aranciata, un succo di frutta.- rispondo.

    -La Coca-Cola l’ho finita, ma vado a comprartela.-

    -Lascia stare, non disturbarti. Va benissimo anche l’acqua del rubinetto.- Ma ha già smesso di ascoltarmi perché troppo preso a infornare una pizza surgelata. Guardo Dami, seduto di fronte, sempre più basita.

    Cerco allora di instaurare un minimo di dialogo con la bambina dalla faccia simpatica, domandandole le solite frasi di rito: what’s your name/how old are you? Presa dalla conversazione, non mi sono resa conto che non c’è più traccia di Juan e nemmeno del mio lui. Entro in cucina ma non c’è nessuno, idem in salotto. Tendo l’orecchio per sentire. Forse si sono diretti al piano superiore, ma il silenzio cimiteriale mi smentisce. Chiamo Dami con voce un po’ stridula. Nessuna risposta.

    -Dami.- alzo il tono. Nulla. Oddio. L’ansia si ripresenta. Me li immagino al piano superiore: Juan ha un coltello alla gola di Dami, obbligandolo a stare in silenzio mentre attende che io salga le scale. Ma io le scale non le salgo! Esco dall’abitazione per verificare la presenza dell’auto parcheggiata ma non vi è anima viva. Rientro in casa e mi dirigo in veranda. Se ci dovesse fare del male, potrei sempre prendere la figlia come ostaggio. Evito di pensare al peggio, quando sento aprire la porta e le loro voci avvicinarsi.

    -Dove siete andati?- domando tentando di mascherare la fibrillazione.

    -Al supermercato qui vicino. Juan ti ha comprato la Coca-Cola.-

    Sogno o son desta? Io delle persone non ho capito proprio niente! Dopo cinque minuti il drin del forno ci avvisa che la pizza è cotta. É un po’ un disonore chiamarla pizza, ma la fame ce la fa gustare comunque, accompagnata da una fresca lattina della bevanda più bevuta al mondo. Juan nel mentre si è messo a cucinare.

    Alle 17:30 si viene a scusare:

    -Ragazzi devo andare a lavoro ma prima devo passare dalla baby-sitter perché mia moglie è in Senegal a trovare i parenti. S’è fatto tardi e non vi posso riaccompagnare, perciò dovrete prendere l’autobus.- termina mettendo mano al portafoglio e ci consegna 2 £. -Dovrebbero bastarvi per i biglietti. Sono spiacente per l’accaduto.- Deve averci preso per due pezzenti: prima ci rifocilla, poi ci vuole dare i soldi per il bus.

    -Non se ne parla nemmeno. Grazie per tutto, sei stato molto d’aiuto. Abbiamo altri appartamenti da visitare, se nessuno di questi dovesse soddisfare le nostre esigenze, ti contatteremo.- conclude Dami, rifiutando la moneta. Infine ci accompagna alla fermata dell’autobus, ci scambiamo i numeri di telefono e, prima di salutarci, promette di informarsi per dei posti vacanti presso il ristorante nel quale lavora.

    Una volta soli, ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere.

    -Ti rendi conto di quello che c’è capitato? In vita mia è la prima volta che incontro una persona così. Tu cosa ne pensi? Dici che c’è qualcosa sotto?-

    -In che senso?- s’incuriosisce Dami.

    -Non lo so, è che non sono abituata a tutta questa cordialità e questo interesse, gratuiti.-

    -Anch’io all’inizio ero incredulo. Poi ho pensato che se fosse stato un poco di buono, non avrebbe avuto con sé la bambina.-

    -L’ho pensato anche io. Però non ti sembra strana tutta quella disponibilità per affittarci la seconda casa?-

    -Sinceramente, non sono molto convinto. A parte l’odore vomitevole, non vorrei che ci facesse depositare le valigie per poi mandare dentro qualcuno con le chiavi a rubarci il tutto.-

    -Credevo di essere la sola a viaggiare di fantasia, ma a quanto pare anche tu sei messo bene. A proposito, vuoi sapere cosa ho immaginato quando siete usciti?- Racconto a Dami le mie fantasie che lo fanno scoppiare a ridere di gusto.

    Avviandoci verso il B&B il mio boyfriend è curioso di sapere cosa mangeremo per cena.

    -Che ne dici se comprassimo qualcosa al supermercato? Sarebbe meglio evitare di andare al ristorante. Dobbiamo stare attenti alle uscite finché non avremo un lavoro.- Optiamo quindi per due yogurt alla fragola e una banana, acquistati al Tesco*.

    Poco prima di addormentarmi ricevo un SMS da mio papà desideroso di sapere quanto la giornata si sia rivelata produttiva, ma soprattutto se mi è passata la malinconia. Colgo l’occasione per raccontargli della conoscenza fatta. Per quanto riguarda la malinconia invece: no, non è passata. Ma ho preso una decisione che mi ha portata su una strada che devo proseguire.

    Dami invece non sta nella pelle e telefona alla sorella per raccontarle di Juan. La sua teoria è quella che possa essere il maggiordomo della casa in cui ci ha portato e offerto da mangiare.

    Alle 21:30 crolliamo dal sonno. Domani ci attende una decisione da prendere.

    *Il Tesco è una grossa catena di supermercati nella quale fanno la spesa anche i VIP (almeno è quello che mi è parso di capire da una foto su una rivista che ritraeva Victoria Beckham con le borse della spesa col marchio Tesco).

    • Giovedì 24/01/2008

    Ho puntato la sveglia alle 8:30 per ricordarmi di telefonare a Juan e domandargli novità in merito al lavoro, ma vengo svegliata qualche minuto prima dall’arrivo di un SMS da Antonella: Ti scrivo per dirti che anche se tuo padre non commenta la scelta che ti ha portata lontano da casa, per come lo conosco, ne sta soffrendo. Nel tragitto di ritorno dall’aeroporto, non ha detto una parola. Non so cosa risponderle. Anch’io non me la sto passando bene. Se sapesse il volo che ho fatto...

    Juan mi invita a richiamarlo verso mezzogiorno perché sta portando la figlia a scuola. Effettivamente avrei potuto aspettare un orario più civile per telefonargli, ma qui non abbiamo tempo da perdere e ogni minuto che passa potrebbe rivelarsi una possibilità persa.

    In previsione di quest’altra lunga e impegnativa giornata, a colazione Dami opta per una english breakfast composta da uovo fritto, funghi, pomodori, fagioli stufati, salsiccia e pane tostato, sul quale ci spalma del burro con un po’ di sale. Io mi nutro di cereali, marmellata e tè caldo. Chiunque riconoscerebbe che non sono inglese solamente dalle mie scelte alimentari.

    Decido di affrontare la questione dimora da scegliere:

    -Allora, cosa ne pensi?- Dami quasi non mi ascolta: è troppo impegnato a raccogliere i rimasugli dell’uovo fritto con un pezzo di pane.

    -Riguardo a cosa?-

    -Alla casa intendo. Abbiamo tempo fino alle 12:00 per dargli una risposta, ma poiché non abbiamo alternative potremmo deciderci subito telefonando a Philip e portandogli la caparra, sperando che in un paio di giorni riesca a preparare la documentazione opportuna. Sarebbe bello se riuscissimo a entrare già questo fine settimana.-

    -A me non piace molto, lo sai.-

    -Dami, non ricominciare. Non siamo venuti qua per vivere in una reggia. Quando eravamo a Jesolo a fare la stagione, abbiamo vissuto in una casa (anzi, una stanza) di venti metri quadrati che fungeva da cucina, camera da letto, soggiorno e bagno. Io, te e il Birba. Andava benissimo vivere lì, perché era gratis. A maggior ragione che ora l’affitto lo devo pagare e al momento non ho un impiego, se permetti mi oriento verso ciò che conviene. D’altronde sono ormai tre mesi che tramite internet cerchiamo un appartamento. L’abbiamo forse trovato? No. Quindi, non credere che ora, perché siamo qui, sia differente.

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