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Cannibali Moderni: Un Thriller Psicologico Unico al Mondo Grazie all’Originale Tecnica Narrativa “Ghostoryteller”
Cannibali Moderni: Un Thriller Psicologico Unico al Mondo Grazie all’Originale Tecnica Narrativa “Ghostoryteller”
Cannibali Moderni: Un Thriller Psicologico Unico al Mondo Grazie all’Originale Tecnica Narrativa “Ghostoryteller”
E-book545 pagine6 ore

Cannibali Moderni: Un Thriller Psicologico Unico al Mondo Grazie all’Originale Tecnica Narrativa “Ghostoryteller”

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Info su questo ebook

UN ROMANZO SENZA NARRATORE

Miki è un giovane aspirante attore, ma l'unico impiego che è riuscito a trovare è quello di barista. Squattrinato, sfruttato e solo, ha ormai perso la speranza di vivere una vita decente quando incontra Don Cristò. Questi è un facoltoso pensionato che scorge del potenziale in quel giovanotto colto e brillante. Diventano amici, ma quando ci sono di mezzo tanti soldi è complicato mantenere un'amicizia disinteressata poiché l'avidità culla costantemente la tentazione di infrangere la legge, soprattutto quando si parla di testamento e se c'è di mezzo una bella ragazza...

RECENSIONI:

"Non avevo mai letto un libro del genere. Sembra di vedere un film, soprattutto durante il processo."

"Un sorprendente thriller psicologico, caratterizzato da una tecnica narrativa originale ed innovativa, in cui la storia non nasce dalla narrazione ma dai dialoghi dei personaggi."

"Questo romanzo è fantastico perchè ti spiazza, l'assenza del narratore è una tecnica a me nuova, ma l'ho apprezzata molto."

"Ho letto tanti thriller di molti autori diversi nella mia vita, sono un’appassionata. Lo premetto perché questo mi consente di dire con una certa cognizione di causa che questo romanzo è tanto bello quanto assolutamente fuori dall’ordinario."

"Dopo aver letto la prima parte con ritmi lentini, sono rimasto sveglio fino a poco prima delle 4 di notte pur di conoscere il finale."
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2017
ISBN9788826493350
Cannibali Moderni: Un Thriller Psicologico Unico al Mondo Grazie all’Originale Tecnica Narrativa “Ghostoryteller”

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    Anteprima del libro

    Cannibali Moderni - Antonio Scotto Di Carlo

    1. Carro Armato vs. Fucile

    «Allora, signor Di Lorenzo?»

    «Visto che mi hai accettato come tuo avvocato, chiamami pure Nando.»

    «Okay, Nando. Da quello che ti ho appena raccontato, quanto rischio?»

    «Beh, stando ai capi d’imputazione… una ventina d’anni.»

    «…»

    «Questo però nel peggiore dei casi. Tra fedina penale pulita, buona condotta e altre misure speciali, se venissi condannato potresti cavartela con solo dieci.»

    «Solo?!»

    «…»

    «Sai, Nando, cosa mi sorprende?»

    «Cosa?»

    «Mi hai fatto tante domande riguardo a quanto è successo, eccetto quella che mi aspettavo.»

    «Se sei stato tu?»

    «Già. Perché questo non me lo chiedi?»

    «Vedi, Miki. Come tuo legale, non posso chiamarti al banco dei testimoni se so che stai mentendo. Qualora il giudice dell’udienza preliminare ti rinviasse a giudizio, poi potresti dover testimoniare. Perciò, è nel tuo interesse che io ignori quella parte per ora.»

    «Oh.»

    «Ma non temere. Il mio lavoro è di assicurarmi che i tuoi diritti vengano rispettati e che la polizia non li abbia violati durante le indagini.»

    «Capisco. Però, se questo è il tuo approccio…»

    «Sì?»

    «Beh, sembra che fondamentalmente non te ne frega un cazzo se sono innocente.»

    «Non è così, Miki. Il fatto è … io sono un difensore d’ufficio.»

    «Questo lo so.»

    «E sai anche che significa?»

    «…?»

    «Significa che i miei mezzi sono limitati, purtroppo. Io faccio quello che posso, ma non ho dei collaboratori, non posso assumere un investigatore privato né condurre ricerche minuziose. Per operare in tal modo, dovrei avere uno studio legale ben attrezzato che non posso permettermi. Per questo mi ritrovo nell’elenco dei difensori d’ufficio in attesa che mi propongano qualche caso.»

    «…»

    «Mi dispiace, ma questo è il mondo in cui viviamo. Chi può pagarsi un proprio avvocato va in guerra dentro un carro armato. A quelli che come te non possono, non resta che imbracciare un fucile e ringraziare la Costituzione che garantisce a tutti il diritto alla difesa.»

    «Ma quanto verrebbe a costarmi un ‘carro armato’?»

    «Visto che usufruisci del patrocinio gratuito, direi che la questione è irrilevante.»

    «Irrilevante vallo a dire a qualcun altro. Io voglio solo una risposta alla mia cazzo di domanda.»

    «…»

    «Allora?»

    «Bah… così, su due piedi… visto il tipo di procedimento e le spese… nonché la qualità del servizio che, come dicevo, ha il suo prezzo… un penalista in grado di concentrare tutte le sue risorse sul tuo caso non lo trovi per meno di cinquantamila euro. Contento?»

    «E se lo pagassi il triplo?»

    «…»

    «Nando, sentimi bene. Io non posso finire in galera a marcire. Non posso. Non voglio! Ho ancora tutta la vita davanti a me!»

    «Ehm, Miki. Dimmi una cosa. I soldi… potresti… potresti veramente trovare i soldi per un acconto di quella portata o l’hai detto per dire?»

    «Faccio sul serio. Trovami un cazzo di Perry Mason che mi tiri fuori da questo casino e vi pago quanto volete.»

    «…»

    «Ti prego, aiutami! La mia vita non può prendere questa piega proprio adesso che ho trovato…»

    «Cos’hai trovato?»

    «…»

    2. Jack Nicholson e Marlon Brando

    Quattro mesi prima…

    «Pronto?»

    «Hello, Miki. Sono Ale.»

    «Ehi, amico. Come va?»

    «Ti disturbo?»

    «Sì, Ale. Mi disturbi. Stavo bestemmiando e mi hai interrotto mentre mi dedicavo a madama Fortuna e a sua madre.»

    «Ahahah, tipo un rito satanico con te che balli e canti mentre giri intorno a un fuoco?»

    «No, sto steso sul letto. Aiuta la concentrazione… Allora, Ale. Che mi racconti? Ci sono novità?»

    «C’hai presente il nulla cosmico? Man, io continuo a bazzicare imperterrito da quelle parti. And you, Miki?»

    «Macché, Ale. Macché! La Fortuna mi schifa ogni giorno di più. Sempre la solita vita di merda tra caffè, cornetti e bibite.»

    «Almeno tu hai a che fare con la gente. A me tocca stare chiuso in cucina con quello stronzo dello chef che mi comanda come un negriero.»

    «Non ti invidio, Ale. Meglio subire tante persone per pochi minuti ciascuna che una sola per tutto il giorno.»

    «And why, Miki? Perché siamo nati poveri. Questa società di merda dove se non c’hai i soldi, l’unica aspirazione che ti è concessa è quella di sopravvivere! Fuck. Non hai i soldi? Non ti lasciano fare niente. Basta. Finish. Done. Vorrei tanto sapere come hanno fatto a diventare attori quelli là.»

    «Come hanno fatto? Già a tre anni iniziano a portarli a fare corsi di qua, audizioni di là, poi li mettono nelle migliori scuole, con gente dell’ambiente… Grazie che prima o poi qualche produttore li scrittura.»

    «Right, Miki. E chi sono quelli dell’ambiente? Quelli che fanno i film dove un povero sfigato sogna di diventare qualcuno e che, dopo umiliazioni e delusioni, riesce miracolosamente a sfondare. Ma chi lo fa il miracolo? Lo fa lo sceneggiatore, su indicazione del ricco produttore, in modo che i coglioni come noi continuino a credere che sia possibile farcela senza i soldi alle spalle. Ma la verità è che se i soldi non ce li hai, sei out. Sei tagliato fuori.»

    «Non è che sei tagliato fuori, Ale. Non ti fanno proprio entrare. Non ti fanno neanche accostare.»

    «E il bello è che se provi a coinvolgere qualcuno con un’iniziativa che prendi per conto tuo, nessuno ti si fila perché sei un loser, un perdente a prescindere.»

    «E che ti aspetti, Ale? Tu ti ci imbarcheresti con uno che sta messo peggio di te? Non c’è verso. Non c’è verso. Qui ognuno cerca qualcuno a cui appoggiarsi o che lo tiri su con lui. Se non puoi aiutare in questo senso, sei solo zavorra.»

    «Sai oggi che ho fatto? Mentre lo chef puliva il pesce spada, me ne sono andato nello spogliatoio e mi sono studiato uno dei monologhi di Quinto Potere.»

    «Ah, Orson Welles.»

    «No, no. Quello è Quarto Potere. Quinto Potere è degli anni ’70, di Sidney Lumet. Con Peter Finch, Willam Holden…»

    «Oh. Non mi pare di averlo visto.»

    «Non l’hai visto di sicuro perché, Miki, è uno di quei film che quando li vedi non te li scordi più.»

    «Quinto Potere. Me lo segno. E l’hai imparato in inglese ’sto monologo?»

    «No. In italiano… LEI HA OSATO INTERFERIRE CON LE FORZE PRIMORDIALI DELLA NATURA, SIGNOR BEALE. E IO NON LO AMMETTO!»

    «Ahahah.»

    «Come l’ho fatta ’sta battuta? Sono credibile? Be honest

    «Non so l’originale, però mi hai… incusso una certa apprensione. Si dice incusso, no?»

    «Mi pare di sì. Fuck, Miki. Potremmo essere due attori! Non dico di caratura mondiale, ma nazionale sì. Visto quello che c’è in giro, ce la faremmo a occhi chiusi… L’altro pomeriggio mia sorella stava guardando una fiction italiana. Da vomito. Facevano cagare. Dalla faccia, si vedeva lontano un chilometro che recitavano. Per non dire della loro dizione in italiano perfetto. Così perfetto che i loro discorsi suonavano fasulli al cubo. Spontaneità zero. M’imbarazzavo io per loro, guarda. Io e te faremmo molto meglio.»

    «E invece siamo una coppia di sfigati, tu in una cucina e io dietro al bancone di un bar.»

    «Shit

    «Oggi è venuta una tipa, ma ti dico, una figa da paura! Ha preso un succo di frutta al banco. Non mi ha rivolto un misero sguardo. Ma neanche per sbaglio, tipo quando incroci inavvertitamente gli occhi di qualcuno. Era come fossi invisibile. E stava da sola. Fosse stata con qualcun altro, allora, sai, sta parlando! Ma, cazzo, era sola.»

    «Figurati se notava un barista. Quelle hanno la bellezza e la sfruttano per attirare gli uomini coi soldi. È una legge di mercato…»

    «Per un istante avevo pensato fosse un regalo della fortuna per il mio compleanno. Invece, ’sto cazzo.»

    «Il tuo compleanno è oggi?»

    «A-ah.»

    «Happy Birthday, Miki. Quanti anni compi?»

    «Ventiquattro. Ventiquattro anni nella merda.»

    «Oh, sei del ’93! Io sono del ’94, ma pure i miei ventitré sono nella merda.»

    «Di questo non ne dubitavo.»

    «E li hai sentiti i tuoi?»

    «Ale, te l’ho detto che non voglio averci più niente a che fare con loro.»

    «Lo so. Però pensavo che ti avessero cercato. Almeno tua madre.»

    «Non le ho dato il mio numero, quindi era un po’ difficile. Ma tanto pure se lo aveva, non mi avrebbero cagato. Sono certo che quando mi sono tolto dai coglioni hanno brindato.»

    «Addirittura?»

    «Mio padre stava sempre a rompermi ogni volta che mi beccava con un libro in mano. Vai a lavorare invece di perdere tempo. E mia madre gli dava manforte. Sempre. Possano bruciare all’inferno! Chissà come diavolo è capitato che sono riuscito a finire le superiori.»

    «E torniamo al discorso di partenza, Miki. Se non hai i soldi, non ti è concesso alzare la testa. Ai poveri non è permesso ambire a qualcosa di più. E non è che gli altri poveri facciano il tifo per te in rispetto di uno spirito solidale tra miserabili. No. Loro sono i primi a cercare di tarparti le ali perché prendono i tuoi tentativi di volare come un segno di disprezzo nei loro confronti.»

    «È esattamente per questo che me ne sono andato di casa, che sono venuto a vivere in un posto dove non conosco nessuno. Ma che cos’è cambiato? Ale, a volte mi domando cosa campo a fare. Che senso ha passare dodici ore nel bar più squallido di Tavegno a vendere cappuccini e gelati? Per cosa? Per mille merdosi euro al mese? Con quasi ottocento che se ne vanno tra affitto, bollette e condominio, in pratica lavoro solo per tenermi un tetto sopra la testa. E meno male che sto in un bar, se no non ce la farei manco a mangiare tutti i giorni. Sperando sempre di non ammalarmi… È vita, questa? Ma che cazzo di vita è?»

    «Sono con te, Miki. Tuttavia è pur vero che tanta gente se la passa peggio di noi.»

    «D’accordo, Ale. Però non credo che tutti sentano dentro che potrebbero sfondare. Cioè, ognuno ha un sogno, solo che quando vedi come funziona la società, ti rendi conto che perseguirlo sarebbe una sfida al limite della pazzia. Allora lo lasci nel cassetto e cerchi di adattarti al mercato in base a ciò che offre. Noi, no. Noi quella sfida l’abbiamo accettata perché abbiamo il talento e la determinazione per vincerla, ma ci ritroviamo con tutte le porte sbattute in faccia perché siamo poveri e non vantiamo conoscenze. Puzziamo di miseria. Siamo dei lebbrosi. Chi se ne fotte se siamo capaci! Quelli come noi là dentro non ce li vogliono e basta.»

    «Yeah. È come Inception. Qualcuno ci ha impiantato the fuckin’ idea che possiamo diventare attori e non riusciamo in nessuna maniera a togliercela dalla testa.»

    «Dobbiamo solo buttarci di sotto come ha fatto quella.»

    «Fuck, yeah.»

    «Ormai mi è venuta la nausea della vita, Ale. Non leggo più saranno otto mesi. Non provo più. Tanto che li imparo a fare dei testi? Ho contattato decine e decine di agenti, produttori e compagnie teatrali. Non rispondono mai alle email, e quando mi sono presentato alle loro sedi, nessuno ha voluto parlare con me. Lascia il tuo numero, ti chiamiamo noi mi dicevano le segretarie. Tutto tempo sprecato. Un’occasione io e te non ce l’avremo mai. Questa è la realtà. Tu tagli carote e io servo caffè. Non c’è nient’altro per quelli come noi.»

    «…»

    «Sai, Ale. L’altra notte ho fatto un sogno… Mi trovo qui, nel buco dove vivo in realtà. Siedo su questo stesso letto e fisso l’unica finestrella che c’è. Mi viene voglia di affacciarmi giù in strada come per vedere se arrivava qualcuno che stavo aspettando, così calzo le pantofole e vado. Provo a girare attorno al tavolino, ma ci sono delle sedie una sull’altra che ostruiscono il passaggio. E non importa da che parte provo, c’è sempre qualcosa che mi blocca. Mentre penso a cosa fare, sento i piedi bagnati. Guardo per terra e vedo che si sta allagando tutta la stanzetta. Avverto delle vibrazioni del pavimento, come se stesse sul punto di crollare. Vuoi sapere che ho fatto?»

    «What

    «Ho chiuso gli occhi e ho lasciato che accadesse. Non ho nemmeno tentato di scappare. Ho pensato Ma che me ne frega. Facciamola finita. Tanto, ormai. L’ho pensato all’interno del sogno, Ale. Capisci? Avevo l’acqua alle ginocchia e il terremoto sotto i piedi. Stavo morendo e non avevo paura. Paura, zero. Percepivo la morte come una cazzo di liberazione. Poi mi sono svegliato. Purtroppo.»

    3. Lavorando

    «Marco, un caffè. Grazie.»

    «Un caffelatte.»

    «Un caffelatte anche per me.»

    «Miki, ci pensi te?»

    «Okay, Marco.»

    «Io vado al banco dei cornetti.»

    «…perché devo portare i bambini a scuola…»

    «…proprio mentre camminava per quella strada, indovina chi…»

    «Miki, me lo fai un cappuccino?»

    «Subito, Giancarlo.»

    «…al saggio di mia figlia. Sarei venuto volentieri, ma proprio non…»

    «Fallo con molta schiuma.»

    «…rigore, secondo me. Perché se hai il braccio…»

    «Molta schiuma, okay. Il cacao sopra ce lo vuoi?»

    «Sì, Miki. Oggi, sì. Grazie.»

    «…non ci vado più. Sono certa che quel meccanico dà fregature alla…»

    «…precedenti con quell’arbitro. Infatti lo avevano fermato per…»

    «…ricordo bene. Quanti anni ha adesso? Non la vedo da…»

    «Caffè e due caffelatte.»

    «Grazie.»

    «Allora adesso… il cappuccino per Giancarlo.»

    «Con molta schiuma.»

    «E cacao.»

    «Grande, Miki! Sei il mio barista preferito.»

    «…la prima. La seconda invece ha nove anni. Poi c’è il fratellino di…»

    «…sicura che questo meccanico sia onesto? Non è che mi mandi…»

    «…da quattro anni. Capisci? Non si vedevano da tanto tempo e proprio…»

    «Ecco il cappuccino.»

    «Grazie, Miki.»

    «…altrimenti mi offendo. La prossima volta offri tu, va…»

    «Giovinotto?»

    «Sì?»

    «Sarebbe possibile avere un tè?»

    «Certo, signore. Latte o limone?»

    «Latte? Che Iddio che me ne scampi! Vada per l’agrume, cortesemente.»

    «Finisco questo caffè e glielo servo.»

    «Grazie, giovinotto. Mi accomodo al tavolino all’aperto. Il sole non perdonerebbe l’affronto se rimanessi qui al chiuso.»

    «…con la cugina. Ti rendi conto? Con tante ragazze che…»

    «…niente. Però secondo me c’è rimasta malissimo. Otto anni non è che…»

    «…sentito quel vecchio come parla? Giovinotto, agrume, affronto… Ahahah!»

    «Barista, scusi.»

    «Sì?»

    «Non ce lo avete lo zucchero di canna?»

    «Oh, non mi ero accorto che sono finite le bustine. Provvedo subito.»

    «…dopo di lui. Almeno che io sappia, anche se pare poco verosimile che sia…»

    «Due caffè, per piacere.»

    «Un attimo. Porto questo tè al tavolo e glieli faccio.»

    «…sette mesi al massimo. Però mi è capitato una volta sola da che sono maggiorenne e ho…»

    «Tè al latte per lei, signore.»

    «Al latte?»

    «Scherzavo. Lei è stato tanto affabile quanto perentorio nell’esprimere il suo desiderio. E mai lo disattenderei.»

    «Oh, un giovine barista colto, compito e spiritoso. Insolito, direi.»

    «Beh, il diavolo può presentarsi alle persone assumendo una forma affascinante e ingannevole.»

    «Nientedimeno?!»

    «Ahahah! Spero questo tè sia di suo gradimento, signore.»

    4. Il Giocatore

    «Miki?»

    «Che, Marco?»

    «Te sai che c’è di bello a quest’ora nel bar?»

    «Cosa?»

    «Non ci viene nessuno. Nemmeno per un bicchiere d’acqua. E te ti puoi sedere, far riposare le gambe e goderti un poco di sole.»

    «Pensavo avessi messo ad arrostire le salsicce…»

    «Eh?»

    «Ti sei arrotolato le maniche della camicia, il trippone trasborda da sotto all’ultimo bottone aperto e il rotolino del collo da sopra al primo. Manca solo che ti tiri i calzoni su al ginocchio per i cosciotti…»

    «Piuttosto, ché mi vai a prendere un maritozzo con la panna?»

    «Un altro?»

    «Ma che te frega, Miki. Tanto a quest’ora non ne vendiamo più. Gettarli via è uno sfregio a chi soffre la fame.»

    «Poi stasera vai a casa, ti piazzi davanti alla TV e fai man bassa nel frigorifero.»

    «A parte il sesso, riesci a immaginare un piacere più grande di te che mangi mentre guardi una partita?»

    «Mangi per tutti e novanta minuti?»

    «No, a volte ci sono pure i supplementari…»

    «Ma non hai paura che Stefy ti lasci?»

    «Nah, te non hai idea di quanto mi vuole bene.»

    «Secondo me dovresti darti una regolata. Se non per lei, per la tua salute.»

    «Miki, te ti preoccupi per me e lo apprezzo. Ma non sono messo così male, dai. E comunque ormai ho accettato che per la mia famiglia cibo-TV è un binomio genetico.»

    «Però i tuoi hanno una corporatura normale, no?»

    «Genetico non nel senso che pensi te. È una cosa ancor più radicata che nei cromosomi. L’ho capito grazie alla figlia di mio fratello.»

    «Cosa fa?»

    «Te dovresti vederla! A quattro anni, per mangiare aspetta che qualcuno si mette a giocare alla PlayStation. S’incanta davanti a un gioco di Paperino e mangia qualunque cosa le dai. Ma se la porti a tavola, ti fa mille storie. Per non parlare della nonna…»

    «Non l’ho mai vista tua nonna. È grossa?»

    «Non tanto. Ma la sua è una perversione addirittura morbosa. Lo sai cosa guarda lei mentre mangia?»

    «Cosa?»

    «La Messa.»

    «La Messa? »

    «Già. Mentre dal televisore pregano e leggono il Vangelo, lei sgranocchia frutta, biscotti e qualunque cosa commestibile riesce a trovare. Te vedessi come è concentrata!»

    «Ahahah. Ma se mangia, come fa a pregare?»

    «Lo farà mentalmente… Dai, Miki. Posa la scopa. Porta due coche e vieni a sederti pure te.»

    «Sì, poi arriva il padrone e ci trova a fare un break. Oggi non mi va proprio di sorbirmi cazziate. Perché è la volta buona che lo mando affanculo.»

    «Ma quello prima delle quattro non viene… Ché, ti devo pregare?»

    «Guarda in mezzo ai tavolini. È tutto sporco.»

    «Puliamo dopo. Dai, vieni.»

    «Aspè, fammi almeno svuotare la paletta nella pattumiera.»

    «Allora le preparo io le coche, se no dici che fai sempre tutto te.»

    «A me non lo mettere il ghiaccio. E lascialo perdere il maritozzo.»

    «Agli ordini, Miki.»

    «Ma che c’hai oggi? Ti vedo strano.»

    «È che sto morendo dalla voglia di raccontarti quello che ho fatto ieri sera.»

    «Allora, Marco. Ora che sembriamo due clienti anziché due baristi, che hai combinato ieri sera?»

    «Te lo sai quant’è gelosa Stefy, vero?»

    «Me ne hai parlato.»

    «Cioè, quella è fuori! Quando non siamo insieme e sa che non lavoro, pensa te, è capace di chiamarmi un’ora sì e l’altra pure.»

    «E non sei contento? Vuol dire che la ragazza è innamorata.»

    «Sì, all’inizio te pensi… wow! Però poi, una rottura di palle. Cioè, ma chi mi si prende a me?»

    «Tu le dai motivi per essere sospettosa?»

    «No.»

    «E dai, Marco. Tu flirti pure con una che ti chiede che ora è. Ti ho visto io.»

    «Okay, però flirtare è un conto, tradire ne è un altro. Comunque. Ieri sera la chiamo e gli dico che vengo a giocare a videogame da te. Lei fa storie perché si doveva andare al cinema. Però alla fine cede. Invece me ne vado alla boutique dove lavora mia sorella.»

    «Cristina?»

    «No, Angela.»

    «Dimmi una cosa, scusa la parentesi. Cristina sta sempre con quel palestrato?»

    «Ahah. Niente niente hai adocchiato la mia sorellina?»

    «È una bella ragazza.»

    «Miki, lascia perdere. Te non la conosci Cristina. E comunque sì, sta ancora con Massi. Tornando a me, vado alla boutique e mi carico ’sta tipa in macchina. Poi guido fino a dove abita la mamma di Stefy e parcheggio poco lontano dal palazzo.»

    «Come mai sei andato là?»

    «Perché dato che non si andava più al cinema, Stefy passava a trovarla. E infatti, la sua macchina è posteggiata davanti al portone.»

    «Una volta là…?»

    «Una volta là, aspetto finché non la vedo venir fuori dal portone.»

    «E la ragazza che è con te?»

    «Poi ti dico. Appena vedo Stefy, metto in moto e gli passo vicino. Devo essere sicuro che nota la mia macchina. E la nota, me ne accorgo dallo specchietto. Rallento, per dargli il tempo di montare in macchina e seguirmi. Così succede. Dopo qualche secondo, il telefono prende a squillare. È lei. Non gli rispondo. Lei continua a chiamare, ma io lo lascio suonare. Insomma, te la porto in giro per Tavegno una ventina di minuti, poi prendo la svolta per la spiaggia. E lei, dietro di me. Quando arrivo nella piazzetta prima del lido, parcheggio. Si ferma pure lei. Io aspetto. Lei scende dalla macchina… Oh, cazzo.»

    «Che è successo?»

    «Sta arrivando il tuo amico giocatore.»

    «Merda. Ci mancava solo lui.»

    «E non te la puoi manco svignare perché ti ha visto… Guardalo. Guardalo come se la ride.»

    «Eh, ma ora come ora sto messo male. Stavolta si frega.»

    «Miki. Come va?»

    «Ciao, Leo.»

    «Tutto bene? È un po’ che non ci si vede.»

    «Ciao, Leo.»

    «Ciao… Ehm, scusa che non mi ricordo mai il nome.»

    «Marco, Leo. Mi chiamo Marco.»

    «Marco, giusto. Vi dispiace se siedo con voi?»

    «Prego.»

    «Ehm, io vado a fare una telefonata…»

    «Allora, Miki. Che mi racconti di bello?»

    «Di bello, niente. Però di problemi ne ho un sacco pieno. Questo mese poi ho dovuto pagare la riparazione della macchina.»

    «Perché, vai in giro con la macchina?»

    «Che domande, Leo. Come dovrei girare?»

    «L’altra volta mi hai detto che non paghi il bollo e l’assicurazione da due anni perché non hai i soldi, che pensavo che…»

    «È così, Leo. Infatti devo sperare che non mi fermino, se no quella carretta me la sequestrano proprio e buonanotte.»

    «Cazzo, Miki. Io speravo che mi potevi aiutare…»

    «Mi sa di no. Credimi, ne avessi la possibilità, non te lo lascerei neanche chiedere. Ma adesso…»

    «Nemmeno cinquanta euro?»

    «Leo, ce n’ho settanta nel portafoglio. Aspè, ti faccio vedere.»

    «No, Miki. Non è necessario. Ti credo che hai poco.»

    «Ecco. Guarda tu stesso. Se ti do i cinquanta euro, non ce la faccio a tirare avanti altri otto giorni. E non posso manco chiedere un anticipo perché, dal prossimo stipendio, il signor Umberto si tiene già quanto mi ha anticipato il mese scorso.»

    «Ma oggi è il due. Non ti paga a fine mese?»

    «Mi paga il dieci.»

    «Capisco… E i venti? Che me li puoi prestare i venti euro?»

    «Leo…»

    «Dimmi solo una cosa. Tutte le volte che mi hai prestato dei soldi, che ho mai mancato di restituirteli?»

    «No. Ma non è quello il problema.»

    «E qual è il problema, Miki?»

    «Ma non ci senti? Lo stipendio me lo danno tra una settimana. I soldi mi servono adesso, non quando me li restituirai.»

    «Vabbè, ma con cinquanta euro ce la puoi fare a tirare avanti una settimana. Non te lo chiedevo se non ne avevo bisogno urgentemente.»

    «Urgentemente ’sto cazzo, Leo. Tu te li vai a giocare al videopoker. Se li devo buttare così, me li vado a giocare io.»

    «Ma la fortuna sta per girare. Oggi le sensazioni sono buone. È l’anniversario di una vincita strepitosa. 3600 euro! Proprio il due di marzo dell’anno scorso alle 19:04. Non posso mancare questo appuntamento. Perciò vengo a romperti. Dai, Miki. Per favore.»

    «…»

    «Miki, vuoi che ti prego?»

    «…»

    «Ti prego, Miki. Non ho nessun altro che posso chiederlo.»

    «…»

    «Me ne presti venti che te ne renderò cinquanta. Che dici?»

    «E va bene, porco cane. Va bene. Tieniti ’sti cazzo di venti euro.»

    «Grazie, Miki. Sei un vero amico.»

    «Ridammeli appena puoi però, ché sto con l’acqua alla gola.»

    «Se mi dice bene, te li ridò entro stasera. Dopodomani al massimo.»

    «Okay.»

    «Grazie ancora.»

    «Sì, sì…»

    «Ci vediamo presto.»

    «Ci conto, Leo.»

    «Miki, e che cazzo. Giuro che te proprio non ti capisco.»

    «Marco, non ti ci mettere pure tu.»

    «Praticamente te ceni coi cornetti che avanzano e che dovremmo buttare, e poi dai dei soldi a quel cazzone?»

    «Presto.»

    «Presto… cosa?»

    «I soldi. Glieli presto. Non glieli do

    «Cambia poco, secondo me.»

    «Ma che posso fare? Quando sono arrivato a Tavegno era l’unica persona che conoscevo. Non fosse stato per lui che mi trovava un appartamento anticipandomi i due mesi di affitto a caparra, sarei finito a dormire alla stazione. O fuori dalla stazione.»

    «Capisco la gratitudine, però… Cos’è questa? La decima volta che ti viene a chiedere soldi?»

    «A onor del vero, me li ha sempre ridati. E poi è stato sempre grazie a lui che ho trovato lavoro qui al bar.»

    «Che testa di cazzo quel Leo. Come si fa a finire sul lastrico con un patrimonio come il suo? Un anno ci ha messo per mangiarselo tutto col gioco. I soldi te ce li hai, dico io. Che cazzo giochi a fare? »

    «Il Caso è proprio un figlio di troia, Marco. A quest’ora sarei in televisione se avessi avuto io il suo patrimonio. Invece a me sono toccati parenti uno più morto di fame dell’altro.»

    «In ogni caso, continuo a pensare che hai sbagliato. Il debito di gratitudine, te da ora che gliel’hai ripagato. Facessi una vita da nababbo, allora sì. Ma te stai come stai. Perciò non…»

    «Com’è finita poi con Stefy?»

    «Eh?»

    «Con Stefy. Tu e la ragazza avete parcheggiato giù in spiaggia. Stefy è scesa dall’auto, e…?»

    «Okay, Miki. Se è così che la vuoi chiudere… Stefy scende dalla macchina. La vedo avvicinarsi dallo specchietto. C’ha una faccia che fa paura. Non so se è più addolorata o furiosa. Quasi non la riconosco. Quando sta per arrivare alla mia portiera, salto fuori. Chi è quella? Mi avevi detto che andavi da Miki. Bastardo! E io giù a ridere, tanto che non ce la faccio a riprendere fiato per spiegarmi. Più rido, più lei s’incazza. Prova a colpirmi con le mani, ma riesco a bloccarla. Allora mi rifila un calcione nello stinco. C’aveva le scarpe dure. Pensa te il dolore! Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ha visto che la sventola che sedeva in macchina era un manichino della boutique di Angela…»

    5. Lo Specchio

    Sii maledetto, denaro. Subdolo stregone che tramuti il sogno di gloria in brama di profitto. Come scorie radioattive che invisibili e letali permeano la terra, ti insinui nelle menti e ne inquini i pensieri. Denaro, il più inverecondo degli idoli. Tronfio nell’aureo tabernacolo, col tuo luccichio infido vellichi la ferocia del lupo e la viltà dello sciacallo. Affondi le zanne dorate nelle tenere carni della bontà, e ancora grondanti di sangue sardonico le sfoggi. Denaro, che con chiavi fraudolente apri ogni porta, raduni dèi e demoni nell’osceno baccanale della mistificazione. Ti accumuli nei conti bancari di uno stolto che nemmeno un ubriaco degnerebbe di considerazione e lo innalzi a leader mondiale. Avidità, braccata dalla muta di tasse, si confonde con Carità per un accento. Pezzi umani strappati da corpi sani di disgraziati per salvare quelli malati di facoltosi, i quali celeranno le abominevoli cicatrici con commozione e frac. Denaro, gagliardo e truce alfiere della discordia. Padre gravido di peccati. Calpesti chi di te necessita, accechi chi ti agogna e inaridisci chi ti possiede. Cinico mezzano, t’insinui nelle istituzioni per tracciare, cancellare e ritracciare la frontiera del crimine dove più ti conviene. Profanatore di valori e di giustizia, redimi i malfattori abbienti comprando per loro lo sdegno e la vergogna di vittime che, scellerate, accettano l’indennizzo. Inarrestabile uragano di squallore, spazzi via gli argini della legalità, sradichi i capisaldi della moralità, disperdi i pii auspici e soffochi i cuori nel tuo vento nefando. Infallibile e sordido seduttore. Adescatore di intenti. Spacciatore di concupiscenza. Inventi motivazioni, confezioni presupposti e le iniquità proliferano. Vessillo del progresso e sciagura della società. Germe di guerre e delitti, programmatore di infezioni e carestie, ispiratore di empietà e menzogne, massacratore di disperati e sognatori. Bieco e astuto profittatore di debolezze, cavalchi le assuefazioni dei derelitti e, refrattario perfino alla eco del rimorso, stronchi vite di ogni età. Denaro, uno sguardo o un tocco: l’invidia divampa e l’umanità diviene bestialità. Tu, inquisitore del terrore, predici stenti e minacci povertà. Con i tuoi saggi moniti, ricatti il cuore e umili i sentimenti, lasciando che l’idiozia assurga al successo ed esiliando l’ingegno nell’emarginazione.

    Ma in fondo, cosa sei, denaro? Uno specchio. Uno specchio che spara sul mondo i riflessi scuri del Male che vagisce e trama nell’animo dell’Uomo. Eppure, in quella stessa culla, c’è anche luce. Basterebbe una scintilla di volontà per incendiarlo di Bene questo mondo. Il Bene, quel sole al cui calore le logiche economiche evaporano nella loro inconsistenza. Fossimo privi del senso dell’udito, neppure concepiremmo la sonorità di un fulmine: sarebbe solo lampo. Allo stesso modo, Rimetterci, Guadagnarci, Speculare sono idee che neanche si formano nella mente del benefattore vero: pura normalità in una società civile; ma in una realtà dove civiltà è sinonimo di utopia, quell’orecchio l’Uomo ce l’ha. E, ingordo, lo usa senza remore né risparmio per captare persino gli ultrasuoni della sua venalità.

    6. Amleto

    «Un cornetto con la marmellata, Miki. Grazie.»

    «Uno anche per me, ma al cioccolato.»

    «Che ripieno hanno questi?»

    «Cioccolato bianco.»

    «Allora no. Prendo un pasticcino alla pasta di mandorla.»

    «Okay.»

    «…completamente bloccato. Mi faceva accedere alle email, alle…»

    «…è inudile condinuare a cambiare la serradura se…»

    «Due cornetti e il pasticcino. Ecco a voi. Pagate pure al signor Umberto alla cassa.»

    «Grazie, Miki.»

    «…solo nei siti dei social network. Allora ho chiamato…»

    «…quaddro giorni che ho il naso indasado e non…»

    «Buongiorno. Mi dà quattro brioche da portare?»

    «Vuote o farcite?»

    «Tre vuote e una con la crema.»

    «…parametri nel centro connessioni di rete e condivisione del…»

    «…all’amminisdradore. Gliel’ho deddo, e lui ha bure messo…»

    «…fidanzato. Solamente uno durante tutto il periodo dell’università. Poi…»

    «Miki?»

    «Che, Marco?»

    «Ci vai te a portare questo tè al tavolo?»

    «Arrivo.»

    «…la vendo quella casa. Berdio me ne dorno in mondagna, così…»

    «…connetteva più coi social, mentre…»

    «Marco, a chi lo porto ’sto tè?»

    «C’è un vecchio pelato seduto da solo ai tavoli fuori.»

    «…una legge che consenta alle donne incinte di…»

    «…venuto subito. Ho passato un giorno e mezzo senza Instagram e…»

    «…che sarebbe il baradiso. Ma d’immagini? Mai biù dei vicini che di rombono il…»

    «Ehilà, giovinotto!»

    «Buongiorno, signore. Ecco il suo tè al limone.»

    «Grazie. Senti, posso chiederti come ti chiami?»

    «Michele.»

    «Piacere. Io mi chiamo Cristoforo Veronesi.»

    «Piacere mio.»

    «Sai, Michele. Mi ha molto colpito quanto hai proferito ieri riguardo al diavolo che sceglie con cura in qual guisa presentarsi. Tanto che vorrei porti una domanda, se mi consenti.»

    «Dica.»

    «A tuo avviso, qual è il problema? Essere o non essere?»

    «…»

    «A giudicare dalla tua espressione attonita, caro Michele, questa non te l’aspettavi.»

    «Direi di no. Capita di rado, per non dire mai, che qualcuno individui una citazione in quello che dico.»

    «Evidentemente frequenti persone che, con tutto il rispetto, non vantano un rapporto invidiabile con la letteratura.»

    «La sua osservazione, signor Cristoforo, è inappuntabile.»

    «Posso offrirti qualcosa?»

    «Beh, visto che non ho ancora fatto colazione, un bel cappuccio e una ciambella li accetterei volentieri.»

    «Allora ti aspetto, intanto che il tè raggiunga una temperatura non troppo ostile alla lingua.»

    «Oh, io intendevo che faccio colazione al volo mentre lavoro. Mi dispiace, non posso sedere con lei. Come vede c’è gente al banco e il mio collega ha bisogno di aiuto. Senza contare che il proprietario, quell’energumeno alla cassa, mi prenderebbe a calci nel deretano se osassi sedermi a mangiare.»

    «Capisco. E quando sarebbe possibile scambiare due chiacchiere sulle nostre letture?»

    «Non vorrei tirarmela, ma io lavoro tutti i giorni dalle sette di mattina alle quattro del pomeriggio. Faccio uno stacco di due ore e riprendo fino alle nove.»

    «Il tuo stacco calzerebbe a pennello per un convegno letterario tra di noi. Che ne dici?»

    «Miki!»

    «Arrivo! … Guardi, a me farebbe davvero piacere parlare di libri. Però io ho bisogno di riposare in quello stacco.»

    «Chiaro. Dunque, Michele, cosa suggeriresti?»

    «Beh, padre Cristoforo, le due del pomeriggio è un tempo pressoché morto al bar. E il proprietario non torna prima delle quattro. Quando si trova a passare verso quell’ora, potrebbe venire a prendersi un caffè.»

    «Non mancherò. Sarà interessante disquisire dei Promessi Sposi.»

    «Vabbè, signor Cristoforo. Quella era facile.»

    «A proposito. Gli amici mi chiamano don Cristò.»

    7. Schiavi e Donne

    «Pronto?»

    «Hello, Miki.»

    «Ciao, Ale.»

    «Disturbo?»

    «Sì, come al solito. Sto steso sul letto, intento a sferrare un anatema contro ogni macchia di umidità che scorgo nel soffitto.»

    «Anch’io sto riposando. Oggi al ristorante è stata tremenda. Sarà venuta mezza città.»

    «E poi parlano di crisi… La crisi la vivono solo gli schiavi come noi.»

    «You’re so fuckin’

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