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Eleusis
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E-book190 pagine2 ore

Eleusis

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Info su questo ebook

Ambientato nell'Antica Grecia questo libro narra di Aristarco un giovane greco che, in seguito a un incontro/scontro con un crudele semidio pieno di rancore, si troverà a dover affrontare un lungo viaggio pieno di insidie.
Azione, avventura, viaggi, ma anche amicizia e tanti colpi di scena vi faranno appassionare a questa storia sin dall'inizio.
BIOGRAFIA Rispoli Antonio, nato nel Cilento, si è diplomato come Perito Informatico e, dopo la scuola ha cominciato a coltivare la passione per la scrittura, scrivendo racconti brevi, poesie, aforismi ecc... Inoltre ha pubblicato diversi libri, tra cui: Dominic Brave; L'anonima M: Storia di una donna; Il regno di Aslom; Lo strano viaggio di Tomas e Dylan; Seconda stella; L'inizio del Nulla; Kathrine; Manuale per APR: Operazioni non critiche; Edir.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2020
ISBN9788871633398
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    Anteprima del libro

    Eleusis - Antonio Rispoli

    Eleusis

    Di Rispoli Antonio

    Titolo | Eleusis

    Autore | Antonio Rispoli

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Prefazione

    In questo libro del genere avventura, ho tenuto fede il più possibile alla classica Mitologia greca che, ovviamente, in alcuni frangenti, era modellata a seconda le esigenze della storia.

    In questo racconto, la storia comincia a Eleusis, da dove ho tratto il titolo. Eleusis, era una città dell'antica Grecia a circa tredici chilometri a Ovest di Atene, esistita tra il 1600 a.C. e 1100 a.C. Avevano il culto della dea Demetra e di sua figlia Persefone ed è anche per questo che Constantine (Il Cattivo), decide di attaccare Eleusis; infatti, il giovane semidio, sarebbe il figlio nato dopo una relazione illegittima tra Zeus e Persefone, moglie di Ade. Il dio degli Inferi, però, lo crebbe come se fosse suo e gli inculcò tutto il suo odio. Constantine, attaccando Eleusis si scontrerà con Aristarco, eroe della storia, a cui sconvolgerà la vita, costringendolo a intraprendere un lungo viaggio per il Mediterraneo.

    L'intento di questo libro è quello di attrarre e divertire il lettore, così che per qualche ora si possa rilassare e si lasci trascinare in quest'avventura.

    Buona lettura!

    Rispoli Antonio

    autore

    Capitolo 1

    Grecia. Era l'estate del 1124 a.C. quando il Mondo era dominato dai grandi e potenti Dei dell'Olimpo. In pianura, con prati verdi e rigogliosi, dove nel periodo estivo fiorivano diverse varietà di fiori, colorando l'intero paesaggio con i colori dell'arcobaleno. Circondata da alte montagne e attraversata da un piccolo fiume che con le sue fredde e limpide acque provenienti dalle alte vette di una delle montagne circostanti e che sfociava nel mare antistante; vi era una piccola città che si chiamava Eleusis.

    In questa città viva una piccola e umile famiglia formata: dal padre, dalla madre e da un bambino con poco più di sei anni. Il padre si chiamava Alexis. Aveva ventitré anni ed era un uomo tutto d'un pezzo con: capelli e occhi neri, un naso grande e ben delineato. Era molto alto e forte con braccia grosse che gli permettevano di alzare grandi tronchi. Sul sopracciglio destro, aveva un taglio che si era fatto da bambino perché era molto vivace. Indossava una tunica di color bianco, molto semplice: costituita da un unico rettangolo di stoffa, non cucito ma drappeggiato intorno al corpo e tenuto fermo da una corda intorno alla vita, così che non gli impedisse i movimenti durante il lavoro. La madre si chiamava Eulalia, una donna poco più che ventenne. Indossava una tunica lunga fino alle caviglie con spacco laterale e spesso con strascico. Il seno era sorretto da una larga fascia, che aveva anche la funzione di nascondere l'apertura del vestito. Era molto dolce e sensibile con: capelli biondi, occhi azzurri e lucenti come le acque di quel piccolo fiume che attraversava la città quando erano baciate dai raggi del sole. Un naso piccolo e appuntito e sulle sue grandi guance rosse vi erano tante piccole lentiggini che, agli occhi del marito, la rendevano ancor più graziosa. Era molto magra e aveva un fisico gracile; infatti, per le sue poche forze anni prima aveva rischiato di perdere il bambino, ma poi stringendo i denti e aiutata dalla grande forza del piccolo, riuscì a portare a termine la gravidanza e così nacque Aristarco.

    Era un bambino molto vivace con: capelli neri come la pece, occhi azzurri e uno sguardo molto intelligente, un nasino piccolo e appuntito, guance rotonde e rosse come piccole mele; un fisico asciutto e un’altezza media per la sua giovane età. Alle ginocchia vi erano sempre delle piccole crosticine; infatti, data la sua grande curiosità, durante le lunghe giornate passate con i bambini della città. Aveva l'abitudine di arrampicarsi da per tutto e molto spesso cadendo se le sbucciava e si sporcava la tunica, molto semplice come quella del padre, ma il piccolo era un tipo testardo e anche se cadeva, si rialzava e dopo essersi dato una veloce ripulita, continuava per la sua strada senza mai fermarsi. A poco servivano le ramanzine della madre che preoccupata per le continue ferite riportate, si raccomandava, ma lui continuava imperterrito e quando Eulalia si vedeva disubbidita, andava dal marito per cercare di fargli dare una strigliata ma Alexis, ridendole in faccia, le diceva: «Cara, lascialo stare!»

    «Tuo figlio è tale e quale a te. Siete due testardi!» urlò lei, che non tollerava l’atteggiamento troppo permissivo del marito, provocando in Alexis una grassa risata e ancora sorridente, rispondeva: «È mio figlio!» che faceva andare su tutte le furie la moglie ma, che subito dopo, mentre lei si girava per andarsene, l'afferrava con le sue possenti braccia e la baciava facendola sciogliere come neve al sole, così da far subito la pace.

    Intanto, tra una marachella e l'altra, il tempo passava e il piccolo Aristarco, da vivace e gioioso bambino di sei anni, era diventato un ragazzo di diciassette anni, grande e forte, molto muscoloso e anche molto bello. La sua bellezza infatti, non passava inosservata alle giovani ragazze della città, che quando lo incrociavano sulla loro strada non esitavano a fermarsi per osservarlo e sospirare, sperando in qualche modo di riuscire ad attirare la sua attenzione e tutta questa popolarità non gli dispiaceva.

    Un giorno, mentre tutto procedeva come al solito, dalle grandi montagne un suono assordante, come il galoppo di tanti cavalli, fece tremare la terra e tutto questo baccano attirò l'attenzione di tutti gli abitanti della città, che voltandosi spaventati videro una grande nuvola di polvere nera che scendeva dalla montagna. Non capendo cosa stesse succedendo, Aristarco corse da suo padre e urlò: «Padre! Padre, cosa succeda?» ma l'uomo, non sapeva dargli una risposta, non aveva mai visto una cosa simile e quindi preso dalla paura, disse: «Presto, dai l'allarme! Tutte le donne e i bambini devono andare in casa e gli uomini si devono armare. Ho un brutto presentimento!» Il ragazzo, senza perdere tempo in inutili domande, anche se in quel momento non riusciva a capire cosa stesse succedendo, corse subito a dare l'allarme.

    In men che non si dica le donne e i bambini erano scappati in casa, credendo che lì sarebbero stati tutti al sicuro e gli uomini, brandendo qualsiasi oggetto possibile e inimmaginabile si preparavano a tutto. Non sapevano cosa stava succedendo, ma se erano nemici, avrebbero avuto pane per i loro denti.

    Intanto, la nuvola nera pian piano scese dalla montagna e col diradarsi della polvere, s'incominciò a intravedere un uomo possente, protetto da un'armatura di colore nero, piena di spuntoni e da un elmo che lasciava intravedere solo il suo lugubre sguardo. Era a cavallo di un mostruoso cane a tre teste con: zanne grandissime e occhi rossi; anch’egli protetto da un’armatura. Mentre in una mano brandiva una lucente spada con l'altra teneva stretto le redini per non cadere. Dietro di loro, vi era un gigantesco drago, alto circa trentaquattro metri, con cento teste di un colore azzurro. Aveva occhi di colore giallo e con una pupilla verticale che, faceva rabbrividire chiunque aveva la sfortuna di incrociare quegli sguardi; in ogni bocca aveva centinaia di denti seghettati molto affilati; si reggeva su quattro zampe con cui si muoveva molto velocemente e ali possenti che gli permettevano di volare nonostante il suo peso. Il mostro, era seguito a sua volta da un esercito di mostruosi cavalieri scheletro, mischiati ad altri, tutti protetti da lucenti armature che variavano a seconda del rango e del plotone di appartenenza, quasi tutti a cavallo che brandivano le loro spade.

    Aristarco, vedendo quella scena, cominciò a temere per la sua vita, ma per non mostrare il suo timore si allontanò da suo padre, strappò il martello dalle mani di un fabbro che era accorso, come tutti gli uomini del paese, per dare una mano e senza pensarci due volte corse verso quei mostri. A un tratto, si sentì bloccare per il braccio, si voltò e vide che era suo padre a trattenerlo. Cercando di liberarsi, urlò: «Padre, cosa fate? Lasciatemi!» e l'uomo, senza nemmeno rispondergli, alzò il suo poderoso braccio e con violenza gli sferrò uno schiaffo così forte da fargli sanguinare il labbro. Il ragazzo, stupito da tale reazione, chiese: «Padre, perché lo avete fatto?» e l'uomo, guardandolo dritto negli occhi, con uno sguardo che fece rabbrividire il figlio a tal punto da fargli venire la pelle d'oca, disse: «Che cosa credevi di fare?»

    Aristarco, ancora impaurito: «Padre, volevo...» ma non fece in tempo a finire la frase, che il padre, urlando, ripeté: «Cosa credevi di fare?» Il ragazzo, a quel punto capì che aveva sbagliato qualcosa e allora, chiese: «Padre, cos'ho sbagliato?» Alexis, lo lasciò e con l'altra mano, gli strappò il martello dalle mani, poi glielo mostrò e con molta calma, disse: «Cosa volevi fare con questo martello?»

    «Volevo attaccarli.»

    «E credi che da solo saresti riuscito a battere quell'esercito?»

    «No, padre!»

    «Allora, perché li hai attaccati?»

    «Perché avevo paura!» Dopo quella frase, Alexis, gli poggiò la mano sulla spalla e sotto voce, chiese: «Credi che io non abbia paura?» e Aristarco, prontamente rispose: «No!»

    «Figlio mio, come ti sbagli. Qui tutti abbiamo paura. La paura è una cosa normale e non si deve cercare di nasconderla quando c'è... Vedi figliolo, tutti quelli che sono qui sanno che non sopravvivranno, ma in cuor loro sperano di trovare un modo per contrastarli!» Aristarco, non lo lasciò nemmeno finir di parlare che disse: «Padre, allora ci dobbiamo arrendere al nemico, senza nemmeno combattere?»

    «No. Noi, combatteremo, ma di certo non saremo così stupidi da corrergli incontro senza un piano.»

    «Che cosa intendete fare?»

    «Appena arriveranno qua, noi li affronteremo frontalmente e il resto degli uomini ai lati. Siamo in minoranza, ma cercando di prenderli di sorpresa, forse così ce la faremo.»

    «Padre, lo credete veramente?»

    «Certo, figliolo. Adesso stai qui accanto a me e preparati alla battaglia!» Il ragazzo, però non aveva ben chiara una cosa, quindi domandò: «Padre, ma gli altri uomini della città, sanno del vostro piano?»

    «Certo, ragazzo! È stato escogitato dai nostri avi per difendere la città ed è tramandato di padre in figlio. Ognuno di noi già sa cosa fare e a sua volta lo inculca al figlio.»

    «Adesso capisco.»

    In seguito, i due tacquero e aspettarono l'arrivo dell'esercito capeggiato dallo sconosciuto a cavallo del cane a tre teste, ma quando si avvicinarono qualcosa non andò come Alexis aveva pensato; infatti l'uomo in armatura, non attacco. Anzi, fermò il suo esercito, scese dal cane, ripose la sua spada, tolse l'elmo e si avvicinò, chiedendo: «Chi è il capo?» A quel punto gli uomini della città, ai lati del grande esercito, non capendo cosa stesse succedendo, rimasero nascosti a guardare.

    L'uomo, non sentendo nessuna risposta, ripeté: «Chi è il capo?» ma stavolta, Alexis, fece un passo in avanti e con tono serio: «Sono io!» Il misterioso uomo, posando la mano destra sul ventre, fece un inchino e disse: «Piacere, mi chiamo Constantine!» poi alzandosi e indicando il cane a tre teste: «Questo è Cerbero!» e proseguendo con le presentazioni, indicò anche il drago e l'esercito, dicendo: «Invece quello scontroso si chiama Ladone e quello è il mio esercito.»

    Alexis, non capiva il perché di quel comportamento e quindi, senza perdere altro tempo, chiese: «Signore, cosa la porta da queste parti?» e Constantine, facendo un sorriso malvagio: «Un mio capriccio.»

    «Ah, davvero? E in cosa consiste il suo capriccio?» l'uomo, infastidito dall'atteggiamento inquisitorio di Alexis, rispose: «Non sono abituato a parlare dei miei progetti a persone di cui non conosco il nome.»  Il padre di Aristarco, allora, sentendosi ripreso, ironicamente, fece un inchino e disse: «Mi chiamo Alexis, per servirla.» A Constantine, però questa presa in giro non piacque, sguainò la spada con una velocità impressionante e mettendo la punta sotto il mento di Alexis: «Non mi piace essere preso in giro da uno sciocco. Vuoi assaggiare il freddo metallo della mia lama?» A quel punto, non appena gli uomini che erano nascosti videro quel gesto, uscirono come furie e attaccarono, ma purtroppo per loro non avevano speranza; infatti con le loro armi c'era ben poco da fare con quei mostri che per lo più sembravano essere già morti e quindi impossibili da uccidere.

    Intanto che la città era messa a ferro e a fuoco, Alexis, si tolse la spada da sotto il mento e col martello che aveva tolto al figlio, sferrò una martellata in direzione della testa del suo avversario, cominciando così a duellare, mentre Constantine la evitò e data la sua grande forza si divertiva a sbeffeggiarlo. Alexis, provo nuovamente a rifilare martellate all'avversario, ma l'uomo, veloce com'era, la schivò e subito dopo lo trafisse, provocando l'ira di Aristarco che era poco più in là impegnato a duellare con un altro soldato. Il ragazzo, vedendo il padre ferito, corse verso Constantine ed evitando un suo fendente, riuscì a sferrargli un pugno così forte da fargli girare la testa di lato, lasciandolo sconcertato. Non si aspettava che un semplice ragazzino riuscisse a colpirlo; poi gli sfilò la spada dalla mano e cominciò ad attaccare come un forsennato sperando, che con quella spada fosse riuscito a uccidere qualcuno di quei mostri che invadeva il campo di battaglia. Aristarco, cominciò a duellare e a uno a uno, con quella spada che sembrava come tutte le altre, riuscì a uccidere un centinaio di mostri, ma arrivato davanti a Cerbero, non ci riuscì; era troppo debole e il mostro cercava in tutti i modi di afferrarlo con i denti. Ormai stremato e vedendo che la città era stata rasa al suolo facilmente da Ladone e dall'esercito, pensò bene di scappare, ma a quel punto, Constantine, ripresosi dal torto subito urlò verso Cerbero: «Cerbero, fermalo! Ha la spada che il dio Efesto, fece per me.» ma fu tutto inutile; infatti, il ragazzo, approfittando dello speciale potere di quella spada, riuscì a fuggire dal campo di battaglia sferrando fendenti a destra e a manca, ma non aveva tenuto conto che Cerbero, aveva un olfatto fuori dal normale e anche se sarebbe riuscito a distanziarlo sufficientemente da non farsi vedere più, sarebbe riuscito a inseguirlo ugualmente.

    Arrivati nel bosco, Aristarco, si arrampicò su un albero pensando che così la sua vita fosse salva, ma la testa centrale di Cerbero, con le sue poderose mascelle, azzannò il tronco e cominciò a stringere la sua morsa per poi tirare con tutta la forza, così da riuscire a sradicarlo. A quel punto il ragazzo, cadde a terra rompendosi il braccio, ma non avendo il tempo di pensare, si alzò di scatto, riuscendo così a sfuggire al morso di Cerbero, che intanto era andato di nuovo all'attacco.

    Il giovane, dolorante e anche impaurito, mentre scappava da una parte all'altra

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