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Il bacio del milionario: Harmony Collezione
Il bacio del milionario: Harmony Collezione
Il bacio del milionario: Harmony Collezione
E-book168 pagine2 ore

Il bacio del milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Il nome di Cesar Da Silva è finalmente sulla bocca di tutti: non solo i segreti della sua famiglia rischiano di essere svelati, ma il riservato milionario è stato sorpreso a baciare Lexie Anderson sul set del film che si sta girando nel suo imponente castello. Da sempre refrattario a ogni tipo di pubblicità, Da Silva ha infranto ogni sua precedente regola corteggiando la famosa attrice. Una fonte attendibile sostiene che la stia aiutando a superare l'ultima delusione amorosa, e se la chimica tra loro è quella che suggerisce il focoso bacio che si sono scambiati, la loro relazione promette di diventare davvero esplosiva!
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2016
ISBN9788858959312
Il bacio del milionario: Harmony Collezione
Autore

Abby Green

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il bacio del milionario - Abby Green

    successivo.

    Prologo

    Cesar Da Silva aveva pensato che la cosa non lo avrebbe per niente toccato, invece aveva il cuore pesante, mentre percorreva il vialetto verso la tomba aperta. Si chiese ancora una volta cosa lo avesse spinto lì e d'istinto strinse il pesante sacchettino di velluto che teneva in tasca. Se n'era quasi dimenticato.

    Abbozzò un sorriso cinico. Chi avrebbe mai detto che a trentasette anni avrebbe ceduto a impulsi e desideri? Proprio lui, il re della logica e del pragmatismo!

    Vide che i presenti cominciavano a disperdersi lungo il dolce pendio del cimitero di Atene.

    Alla fine, accanto alla tomba erano rimasti solo due uomini. Erano quasi alti uguali. Uno aveva i capelli neri, l'altro un po' più chiari. Avevano la stessa corporatura forte e muscolosa. Proprio come lui.

    Ma la somiglianza non doveva sorprendere, visto che era il loro fratellastro, anche se nessuno dei due sospettava della sua esistenza. Vide l'uno mettere la mano sulla spalla dell'altro, quasi a confortarlo. Erano Raffaele Falcone e Alexio Christakos. Tutti loro erano nati dalla stessa madre, ma da padri diversi.

    Cesar si era aspettato di reagire con rabbia davanti alla famiglia che gli era sempre stata negata, invece riuscì solo a provare un gran senso di vuoto. Gli passarono accanto, parlando a bassa voce, ma Cesar riuscì a captare le parole del più giovane. «Avresti potuto darti una sistemata, almeno per il funerale.»

    Falcone gli rispose qualcosa d'indistinto, con una smorfia sul viso e Christakos replicò con un sorriso.

    Il senso di vuoto arretrò, spinto dall'insorgere della rabbia. Uno strano tipo di rabbia, però. Quei due stavano scherzando a due passi dalla tomba della madre! Ma perché mai doveva sentirsi così protettivo nei confronti di una donna che prima del suo terzo compleanno gli aveva impartito la lezione più dura della sua vita?

    Galvanizzato da quella rivelazione, fece un passo in avanti e Falcone sollevò lo sguardo. Smise di parlare e il sorriso gli morì sul viso. L'uomo gli lanciò un'occhiata interrogativa, ma quando Cesar lo perforò con i suoi gelidi occhi verdi, la sua espressione si fece di colpo dura e fredda.

    Osservò l'uomo più giovane, che stava accanto al fratello e notò che tutti e tre avevano ereditato gli occhi verdi della loro bellissima madre.

    «Possiamo aiutarla?» gli chiese Falcone, gelido.

    Cesar guardò prima loro, poi la tomba aperta e piegò leggermente le labbra. «Possiamo? C'è qualcun altro di noi?»

    «Noi? Di cosa sta parlando?» reagì Christakos, facendo un passo avanti.

    Cesar guardò Raffaele.

    «Non ti ricordi, vero?»

    Invece se ne ricordava, pensò osservando il viso di suo fratello diventare pallidissimo sotto i suoi occhi.

    La voce di Cesar era atona, priva di ogni emozione, come se provenisse da un blocco di ghiaccio.

    «Lei ti ha portato a casa mia. Dovevi avere circa tre anni. Io ne avevo sette. Voleva portarmi via, ma io non ho voluto. Non dopo che mi aveva abbandonato.»

    «Chi sei?» gli chiese Raffaele con la voce roca.

    Cesar sorrise, ma era un sorriso freddo. «Sono il più grande dei tuoi fratellastri. Cesar Da Silva. Sono venuto qui, oggi, per portare i miei rispetti alla donna che mi ha dato la vita... Non che lo meritasse... Ero curioso di sapere se sarebbe saltato fuori qualcun altro, ma vedo che siamo solo noi.»

    «Che diavolo...?» esplose Alexio.

    Cesar lo bloccò con lo sguardo. In fondo si sentiva in colpa per aver lanciato quella bomba proprio in un giorno così particolare, ma il ricordo di tutti gli anni di buio e solitudine, sapendo che quei due non erano stati abbandonati, ebbe la meglio sui rimorsi di coscienza.

    Raffaele fece un gesto verso suo fratello. «Lui è Alexio Christakos... il più giovane di noi tre.»

    Cesar sapeva benissimo chi era... chi erano, perché i suoi nonni si erano premurati di tenerlo al corrente di ogni minimo dettaglio che li riguardava. «Tre fratelli da tre padri diversi... eppure lei non ha dato nessuno di voi due in pasto ai lupi» disse con un tono che trasudava amarezza.

    Fece un passo avanti e Alexio lo imitò con un gesto rabbioso. Cesar lo sovrastava solo di un paio di centimetri. Rimasero immobili, petto contro petto.

    «Non sono venuto qui per litigare con te, fratello» sibilò. «Non ho niente contro di voi.» Bugiardo...

    Vide Alexio fremere di rabbia. «Solo contro nostra madre, se quel che dici è vero.»

    Cesar abbozzò un sorriso mesto. «Oh, è vero... purtroppo.» Girò intorno ad Alexio e prima che potessero leggergli sul viso un'emozione a cui non sapeva dare un nome, si avvicinò alla tomba.

    Tolse dalla tasca il sacchettino di velluto, allungò il braccio e lo lasciò cadere nella fossa, dove atterrò con un sinistro tump. Il sacchettino conteneva un pesante medaglione antico, d'argento, che raffigurava San Pedro Regalado, il santo patrono dei toreri.

    Il ricordo era ancora vivido. Sua madre, bellissima come sempre, vestita di nero, con i lunghi capelli raccolti e gli occhi arrossati dal pianto, si era tolta il medaglione che portava al collo e lo aveva messo a lui. «Ti proteggerà, Cesar, perché io non posso farlo in questo momento. Non toglierlo mai. E ti prometto che tornerò a prenderti presto.»

    Ma non era tornata presto e quando lo aveva fatto, anni dopo, ormai era troppo tardi. Qualcosa si era spento ed era morto dentro di lui. La speranza.

    E quando la speranza era morta, Cesar si era tolto il medaglione. Aveva capito che nessuno l'avrebbe protetto, che doveva pensarci da solo. Era giusto che sua madre riavesse il medaglione. A lui non serviva più già da molto tempo.

    Cesar si voltò e tornò verso i fratelli, che lo fissavano attoniti. La straordinaria somiglianza l'avrebbe fatto sorridere, se solo avesse potuto. Un dolore sordo gli perforava il petto, nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore. Ma come gli avevano fatto notare spesso, lui non aveva un cuore.

    Capì di non avere nulla da dire a quei due estranei. Non sentiva più invidia per loro. Solo silenzio.

    Era fatta! Aveva detto addio a sua madre e se a quel punto gli era rimasto un pezzettino di anima, forse sarebbe ancora riuscito a salvarlo.

    Salì in macchina e diede ordine all'autista di partire.

    1

    Castello Da Silva, nei pressi di Salamanca.

    Cesar aveva caldo, era sudato e di pessimo umore. Tutto quello che desiderava era una doccia gelata e un drink. La lunga cavalcata a briglie sciolte sul suo stallone preferito, attraverso la vasta tenuta, non era riuscita a diradare la densa nube scura che lo avvolgeva da quando era tornato da Parigi, dove aveva assistito al matrimonio del suo fratellastro Alexio. Tutte quelle scene di sdolcinata felicità gli davano ancora l'orticaria. Era irritato con se stesso per aver ceduto all'impulso di andarci.

    Mentre si avvicinava alle stalle, il suo umore virò da nero a nerissimo. Per quattro settimane la tenuta sarebbe stata il set di un film. Le riprese sarebbero iniziate lunedì e Cesar avrebbe dovuto sopportare l'invasione di attori, autori, regista e troupe che, come se non bastasse, si erano accampati al castello.

    Era consapevole del rapporto conflittuale che aveva con il castello. Era nello stesso tempo una prigione e un santuario. Ma una cosa era certa, Cesar odiava che la sua privacy venisse invasa in quel modo.

    Gli enormi camion con le attrezzature tecniche erano parcheggiati lungo il viale. I giardini brulicavano di estranei che sfogliavano ingombranti taccuini e parlavano incessantemente nei walkie talkie. Era stato alzato un enorme padiglione, dove le numerose comparse, reclutate in zona, stavano provando i costumi ottocenteschi a loro assegnati.

    Cesar sbuffò. Mancava solo un tendone da circo con le bandierine e i clown davanti all'ingresso, che gridavano: Venghino! Venghino!

    Il cortile della stalla più grande era stato sgomberato per lasciare il posto al campo base.

    Il campo base, come gli aveva orgogliosamente spiegato uno degli assistenti alla regia, era dove gli attori si vestivano e mangiavano. Come se a lui la cosa potesse importare!

    Comunque, aveva finto di essere interessato, a beneficio del suo amico Juan Cortez, sindaco di Villaporto, la cittadina a cui faceva capo anche la tenuta. Era stato solo per lui che Cesar aveva accettato di trasformare la sua casa in un set. Erano amici dall'età di dieci anni, quando si erano arresi l'uno all'altro dopo una lunga scazzottata, che aveva minacciato di lasciare entrambi senza denti.

    Come aveva puntualizzato il suo amico, quasi tutti gli abitanti del paese erano coinvolti nella produzione, a vario titolo. «Perfino mia madre sta lavorando ai costumi delle comparse e ha offerto ospitalità a un paio di membri della troupe» gli aveva rivelato. «Erano anni che non la vedevo tanto eccitata!»

    Cesar non poteva negare i vantaggi economici e l'entusiasmo che la produzione aveva portato alla comunità. La stampa lo conosceva per la spietatezza con cui conduceva i suoi affari milionari. Un giornalista lo aveva paragonato a uno squalo. Ma Cesar non era del tutto insensibile, almeno quando si trattava della sua comunità.

    Le poche persone della troupe che aveva incontrato si erano affrettate a cambiare direzione e Cesar si era organizzato in modo da essere il più possibile lontano per le prossime quattro settimane.

    Quando raggiunse il cortile della sua stalla privata, vide con sollievo che era vuoto. Quella e altre zone del castello erano state interdette alla troupe. Non era dell'umore adatto per parlare con nessuno, nemmeno con i domestici. Dopo aver tolto la sella al cavallo lo strigliò, poi lo condusse nel suo box.

    Mentre si girava per andarsene, colse un movimento con la coda dell'occhio e si voltò per guardare.

    Smise di respirare e di pensare.

    All'altro lato della stalla silenziosa c'era una donna. Per un istante Cesar si sentì frastornato e si chiese se per caso non fosse un'apparizione.

    Indossava un corsetto bianco che le stringeva la vita da vespa, spingendo verso l'alto le abbondanti rotondità del seno. I lunghi capelli biondi le accarezzavano il viso di una bellezza eterea, irreale e scendevano in morbide onde sulla schiena. La curva femminile dei fianchi era sottolineata da una gonna che arrivava fino a terra.

    Era di una bellezza stupefacente. La reincarnazione di Afrodite. Non poteva essere reale. Niente di così perfetto poteva essere reale.

    Quasi senza rendersene conto, Cesar si avvicinò. Lei non si mosse. Lo fissava. Sembrava folgorata quanto lui. Impregnando il momento di sensazioni che sembravano appartenere a un altro mondo.

    I suoi occhi erano grandi, di un azzurro intenso... penetranti. Era piccola di statura e sembrava risvegliare una parte segreta di lui, un primordiale impulso di protezione.

    Il viso piccolo, a forma di cuore, lasciava trasparire una forza che ne accentuava la straordinaria bellezza. Zigomi alti, piccolo naso dritto, labbra piene dal disegno perfetto, che sembravano create per il peccato, pelle d'alabastro.

    Su un lato del labbro superiore aveva un piccolo neo. Trasudava fascino e sensualità.

    Ogni grammo della sua virilità reagì a quella visione.

    Come per controllare di non aver perso del tutto la ragione, Cesar allungò una mano e vide con sorpresa che tremava leggermente. Avvicinò la mano alla sua guancia, senza sfiorarla, come se avesse paura di vederla svanire.

    Poi la toccò... e lei non svanì. Era reale. Calda. La sua pelle sembrava di seta.

    Un movimento gli fece abbassare lo sguardo. E vide il suo seno alzarsi e abbassarsi rapidamente al ritmo del respiro.

    «Dios...» sussurrò. «Sei vera.»

    Lei socchiuse le labbra mettendo in mostra piccoli denti bianchissimi e la punta rosata della lingua. «Io...» si fermò lì.

    Bastò quella sillaba, proferita con una voce sorprendentemente bassa e roca, perché il corpo di Cesar si tendesse in un attacco di desiderio senza precedenti.

    Come in trance, sollevò una mano e affondò le dita tra i folti capelli biondi. La tirò contro di sé e a quel punto nemmeno cento uomini robusti avrebbero potuto fermarlo. Abbassò la testa e sfiorò le voluttuose labbra rosse con le sue. Una scossa elettrica serpeggiò al centro del suo essere, facendolo precipitare

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