Esdy - Seconda Edizione
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Info su questo ebook
Caparbia, coraggiosa e disperata, la giovane affronterà verità oscure inoltrandosi nell'ambiguo mondo delle spie, scontrandosi con l'eredità degli errori paterni, con la memoria di una madre perduta e con un passato completamente da rivelare. Esdy combatterà per ritrovare se stessa e imparerà a conoscere le incredibili potenzialità sepolte dentro di lei.
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Anteprima del libro
Esdy - Seconda Edizione - Alberto Camerra
Blake
Parte Uno
ESDY
I
I sogni angosciosi dell’animo allentavano la presa soffocante che accompagnava il suo risveglio grazie all’esercizio fisico dell’ora di corsa.
Esdy cercava di mantenere una discreta forma fisica con il footing, come sua abitudine.
Faceva largo uso di sali minerali. Il sudore della notte si sommava a quello del footing e le problematiche della linea non occupavano neppure un barlume delle sue riflessioni.
La ragazza dai capelli corvini, lunghi sino alle spalle e raccolti in una treccia funzionale, in realtà utilizzava l’esercizio fisico come pretesto. Proprio per eludere il ricordo dei sogni.
Indossava una comoda t-shirt bianca in cotone con un paio di scuri ed attillati panta da corsa che le lasciavano libere le cosce ben tornite e lisce. Ai piedi un paio di calzini bianchi e scarpe da ginnastica di un arancio fluo con striature trasversali di verde acceso.
Un verde neppure lontanamente paragonabile a quello dei suoi occhi. La cui tonalità assumeva variazioni in relazione al cambio della temperatura e del tempo.
Quel mattino di mezza estate, con il calore ancora distante dalle medie della giornata e una leggera brezza proveniente dal nord, gli occhi di Esdy evidenziavano un verde corposo e denso distinguibile sino a diversi passi da lei.
Talvolta portava dietro un IPod. In particolar modo nelle mattine in cui la sola corsa non le sarebbe stata sufficiente per scordarsi gli incubi notturni. Con una Alanis Morissette d’annata e ripetendo più volte le note di You Oughta Know
ad alto volume, la ragazza dalla treccia corvina stava per prendere la via del ritorno.
Percorreva il viale che costeggiava la parte meridionale del suo quartiere alle sette del mattino, prima di recarsi in ufficio a Rosslare, nel cuore dell’Irlanda sud-orientale.
Fu allora che avvenne.
Una limousine nera di media cilindrata e dai vetri scuri le tagliò la strada sul viale. In un lampo, dalle porte posteriori, ne fuoriuscì un uomo con un passamontagna di stoffa nera in testa.
La prese per le braccia spingendola tra le mani di un altro compagno. Esdy, distratta dalla musica non riuscì ad opporre resistenza prima di essere trascinata a forza dentro la macchina.
«Ma... cosa...? Lasciatemi che volete...?» cercò di azzardare spaventata nel tentativo inutile di divincolarsi dalla forte stretta, quando già i due robusti figuri la chiudevano in mezzo a loro.
Il guidatore osservava la scena per mezzo dello specchietto retrovisore. Dal passamontagna traspariva uno sguardo freddo e severo e una cicatrice a forma di uncino sotto lo zigomo destro.
«Spogliatela!» Disse con autorità. A quell’ordine secco e tagliente, Esdy si sentì raggelare lungo la schiena e impallidì.
Si riprese dallo shock iniziale quando avvertì le mani, decise e spietate, dei due uomini appiccicati a lei iniziare ad afferrarle i lembi della maglietta.
No... ommiodio... non a me... no!
Gridò. Per quanto cercasse di sottrarsi alle quattro mani che la tenevano prigioniera, la ragazza non riusciva ad evitare l’umiliazione.
Cercava di rannicchiarsi facendo perno sulle ginocchia, di proteggersi con le braccia raccolte stringendo i pugni.
Inutilmente.
La t-shirt le venne strappata di dosso con qualche rude strattone lasciandole il torso nudo. Coperta ormai dal solo reggiseno bianco e già afferrato saldamente con una mano dal suo aguzzino, con l’altra teneva stese le sue gambe. Mentre il complice le bloccava entrambi i polsi.
Senza rendersene conto, Esdy cominciò a piangere.
Ormai certa del suo inevitabile destino. Il reggiseno seguì la stessa sorte della maglietta, esponendo il seno nudo, palpitante e sudato, alla irriducibile mano protetta dal guanto in pelle dell’assalitore che già prendeva a stringerlo e tirarlo brutalmente mozzandole il fiato, come nella ricerca di qualche particolare conosciuto a lui soltanto.
A quel punto, con un gesto estremo, la giovane sforzò il capo verso le mani del complice che le serravano i polsi mordendo la pelle scoperta, con rabbia. L’uomo, suo malgrado, tolse la presa sulla ragazza. Esdy portò le mani al volto del primo persecutore, graffiandogli furiosa gli occhi.
Per un attimo si era liberata dai due aggressori. Mossa da un’angoscia mai provata prima, affidandosi al solo istinto, sollevò le gambe raccogliendole e sferrando un feroce calcio in volto al tormentatore più lontano.
Quindi ne fece seguire un secondo con il piede opposto, un terzo ed un quarto. Riuscendo a tramortirlo, spingendolo contro la portiera che si riaprì di colpo sotto il peso, facendolo rovinare all’esterno della macchina in corsa.
Il guidatore commise allora il suo primo errore. Rallentando e fermando la vettura, nel tentativo di fornire aiuto ai suoi sottoposti soggiocati dalla ragazzina. Con la via della libertà così vicina, Esdy fece per alzarsi superando la porta aperta. Ma ancora afferrata dalla mano annaspante dell’uomo rimastole accanto. Una morsa però debole, minata dal dolore dei profondi graffi agli occhi, non sufficiente a reprimere il desiderio di fuga della prigioniera.
Mordendo con collera la pelle scoperta dal guanto che le stringeva la spalla destra, la giovane schizzò sulla strada semideserta, avvolta dal tepore del mattino, e prese a correre con la parte superiore del corpo completamente nuda ed arrossata sul seno per le sevizie subite.
Davanti a lei comparve un’altra auto scura, una Jaguar, che si fermò di colpo.
Terrorizzata, convinta di essere presa tra due fuochi, si fermò incerta. Mentre distanziato di pochi metri il guidatore della limousine la stava raggiungendo. «Sali!» le disse la donna al volante che spalancò la porta.
«Sali, Esdy... presto per favore!». Chi fosse la persona che la conosceva persino per nome non lo immaginava. Ma sapeva che in pochi istanti i rapitori l’avrebbero ripresa.
Si fiondò dentro la Jaguar che, con una sterzata rumorosa, accellerò lasciando di stucco l’inseguitore e facendogli mangiare la polvere.
Guadagnando terreno in un attimo.
Guadagnando la salvezza.
Il sonno di Esdy era stato profondo e privo di sogni.
Constatò il fatto non appena riuscì a riaprire gli occhi. Assonnata, persa ancora negli effluvi privi di odore della mente intorpidita al risveglio, si diede uno sguardo intorno.
Gli occhi verdi, di una tonalità stavolta più pallida e vicina ad un frutto sbiancato dal calore del sole, guizzavano inquieti e socchiusi lungo le pareti intorno a lei.
La stanza era ampia e adornata da alcuni quadri pregiati di pittura a olio. Le tende chiuse, rivestite di ricami fioriti, trattenevano a fatica la luce proveniente dall’esterno.
Oltre i piedi del letto, ampio e confortante, prendeva posto un armadio a muro con un grande specchio. Tuttavia, per quanto piacevole, quella non era la sua camera da letto.
Esdy si mise lentamente a sedere sollevando il tronco e mantenendo la parte inferiore del corpo sotto l’abbraccio caldo delle coperte. Si rese immediatamente conto che la temperatura della stanza non era molto alta, oppure il freddo proveniva dall’ambiente esterno.
In ambedue i casi i motivi di preoccupazione non mancavano.
Un seno le doleva ancora sotto la veste da camera che qualcuno le aveva infilato, e sollevandola leggermente dall’apertura sul collo potè notare come la sua pelle fosse arrossata in prossimità del capezzolo.
Mentalmente, tenendosi la nuca con la mano destra, provò a far riaffiorare i ricordi successivi al suo mancato rapimento e mancato stupro.
Rammentò la donna nella Jaguar nera e l’aiuto ricevuto, la convinzione a doverla portare con sè per evitarle un nuovo tentativo da parte degli aggressori mascherati di passamontagna. Con i ricordi non potè evitare di riprovare parte dei sentimenti di angoscia e terrore, ma cercò di scacciarli abbracciandosi le spalle e strofinandole ansiosamente.
Troppe domande senza risposte...
constatò sconsolata. Impaurita, incapace di trovare una soluzione, aveva accettato l’offerta fattale dalla sua salvatrice. In fondo le doveva molto. Forse persino la vita.
Eppure, riordinando le idee, iniziava a dubitare persino di quel provvidenziale soccorso. Perchè Mevy, come aveva riferito di chiamarsi, non la aveva semplicemente accompagnata alla polizia?
Era tutto così privo di senso.
Mevy era strana persino nei tratti somatici. A partire dai capelli interamente bianchi che le ricoprivano la testa scendendo in una cascata ribelle verso la schiena. Il fisico della donna, probabilmente oltre i trent’anni, per quanto Esdy avesse potuto appurare, era persino più in forma del suo; atletico e forte, nonostante mantenesse la aggraziata femminilità di un vero felino.
Si alzò dal letto grata di trovare a lato un paio di comode pantofole che calzò alla perfezione. Il freddo circostante consigliava di indossare anche la vestaglia posata su una poltrona vicina. Della sua giusta taglia.
Mevy (o comunque la donna che la aveva soccorsa) stava dimostrando di conoscerla molto più di quanto immaginasse possibile. Si recò nel vicino bagno, dalla porta accanto all’armadio a muro, e notò il dondolio provocato dall’acqua; si era scordata di dove si trovasse e soltanto quel movimento naturale glielo aveva fatto rammentare; avevano salpato dalla sua nativa Rosslare per raggiungere la capitale Dublino.
In città potevano confondersi facilmente ed arrivare ai possedimenti terrieri di Mevy, dove sarebbe stata al sicuro per il tempo che desiderava.
Inizialmente la questione le appariva una logica conseguenza vista la generosità della sua nuova amica albina, e pur di lasciarsi alle spalle la brutta esperienza sarebbe stata disposta ad accettare qualsiasi cosa.
Ma adesso Esdy voleva capire.
Uscita dal bagno aprì il guardaroba in legno di ciliegio e, come sospettava, vi trovò alcuni capi della sua stessa misura (che non era sicuramente anche quella di Mevy). Scelse un paio di comodi jeans, una camicia pesante, un maglione a girocollo di un giallo discreto, e un giubbotto senza maniche da pescatore. Quindi un paio di calzettoni e dei comodi scarponi.
Per sicurezza infilò in una delle ampie tasche un paio di guanti neri felpati e un berretto in stoffa dello stesso colore. Attraversò uno stretto e corto corridoio, che si concludeva alla base di una piccola scalinata sempre in legno, dalla quale proveniva un fascio di viva e rassicurante luce.
Sul ponte del grosso yacht ritrovò Mevy. Era intenta ad osservare il mare in un punto imprecisato, piegata ed appoggiata al parapetto della sua imbarcazione.
«Buongiorno, Esdy.... dormito bene, cara?» le disse con un largo sorriso rassicurante.
«Si, Mevy... ti ringrazio. Ho riposato molto bene, stanotte...» le rispose di rimando la ragazza dagli occhi verdi, aggiungendo poco dopo «dobbiamo parlare».
L’albina non distolse lo sguardo che era tornato a rimirare il mare e sospirando come per liberarsi di un peso opprimente le sussurrò «lo so».
II
Da molto tempo Esdy non sentiva pronunciare quel nome, e al solo udirlo il vento che sferzava il pontile dell’imbarcazione su cui si trovava le parve ancora più sferzante e freddo.
Ma tanto le bastò per essere completamente assorbita dalle parole pronunciate da Mevy nonostante l’iniziale diffidenza.
«Conoscevo Karl O’Brien... tuo padre.» Le disse circospetta ma con il sapore inequivocabile della verità nelle parole.
Da anni, da quando le rimboccava le coperte da bambina, Esdy non aveva più avuto notizie del padre. Era cresciuta in casa di una lontana zia, privata dagli affetti dei genitori, dalla necessità di conoscere le proprie radici. La madre sparita sin dal parto; un frammento indistinto nel cammino della sua esistenza.
Spesso nel corso della adolescenza aveva cercato notizie riguardanti i suoi cari. Ma dalla zia Hilda, nonostante l’avesse cresciuta al pari di una vera figlia, mostrava reticenza. E la vita non era stata magnanima con lei, costringendola a lottare sin dalla tenera età per guadagnarsi un posto nel mondo, costringendola a rinviare ricerche più approfondite.
Giunta al ventunesimo anno di età, ormai economicamente indipendente, si era ripromessa di riprendere le indagini sul proprio passato.
Ed i tentativi degli ultimi mesi erano stati ora inaspettatamente rilanciati dall’arrivo di quella donna misteriosa. L’albina aveva riportato alla realtà l’uomo che da sempre frequentava i suoi sogni disturbati; il padre.
«Cosa sai... e come... di... lui?» bisbigliò con un filo di voce ansiosa ma quasi timorosa di quanto poteva sentire.
Mevy si tirò al ventre il corto giubbotto imbottito che portava. Maglione e pantaloni erano capi firmati da uno stilista italiano. Indumenti che sarebbero, costati da soli, qualche mese di lavoro della sua ospite.
«Lo conobbi molti anni fa. Ero anche più giovane di te, Esdy» si interruppe un momento aggrottando le sopracciglia, forse nel tentativo di trovare le frasi migliori «Lui, come il mio stesso padre, facevano parte di un progetto governativo segreto. Agivano dentro una base nascosta nell’Irlanda del Nord, nei pressi della Contea di Donegal.»
Si soffermò con un sorriso incerto.
«Ti sembrerà una storia da film, ma è la pura verità. Sai, alcune volte la realtà supera la fantasia. I nostri genitori lavoravano nel controspionaggio sin da prima della tua nascita, quando io stessa ero appena un’adolescente.»
La ragazza dagli occhi verdi non le staccava lo sguardo di dosso, scrutando a fondo ogni suo cambio d’espressione, come se la donna fosse soltanto un vetro trasparente da cui cogliere