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Fragile tensione
Fragile tensione
Fragile tensione
E-book323 pagine13 ore

Fragile tensione

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Info su questo ebook

Asher Keaston è un giovane pilota di aerei deluso dalla sua adolescenza e dalla perdita della persona più importante della sua vita.

Eleonor Meier è convinta di poter recuperare una realtà della quale non ricorda l’esistenza.

Un incontro non del tutto casuale tra i due, convince Asher che l’unico modo per liberarsi del suo passato e vivere un futuro privo di tormento, è quello di distruggere la bellissima e appassionata donna che ha infestato fino ad oggi i suoi ricordi e desideri. Eleonor odia gli occhi di Asher, il suo sguardo intenso e invadente, il suo modo di fare opprimente e presuntuoso, ma la passione ed il fato cambieranno di nuovo il loro destino, che quattro anni prima li aveva brutalmente separati.
Convinto del suo piano, Asher si ritroverà, invece, sempre più coinvolto da ciò che prova in realtà per Eleonor e che mai si è spento. Eleonor scoprirà che in fondo agli occhi di Asher si cela un segreto che potrebbe sconvolgere del tutto la sua esistenza.

E se distruggerla fosse in realtà la definitiva condanna di Asher?


Biografia 
Irene Colabianchi è nata a Roma nel 1999. Frequenta il Liceo Artistico “Via di Ripetta”. Adora leggere, scrivere e sognare ad occhi aperti, immaginare amori impossibili e bad boy dal cuore dolce. 
Ha scritto la serie fantasy romance Boogeyman Saga, il paranormal romance autoconclusivo 'Il Bacio di Ade', disponibili in tutti gli store online e in cartaceo.
Da pochissimo ha inaugurato una nuova serie Mafia Romance, la Love and Honour Series, pubblicando il romanzo 'Donna D'onore', disponibile online e in cartaceo su Amazon. 
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2018
ISBN9788827575413
Fragile tensione

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    Anteprima del libro

    Fragile tensione - Irene Colabianchi

    IRENE COLABIANCHI

    Fragile tensione

    UUID: d2ad3a56-171b-11e8-9c43-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Note dell'autrice

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Ventitré

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Capitolo Trentuno

    Capitolo Trentadue

    Capitolo Trentatré

    Capitolo Trentaquattro

    Capitolo Trentacinque

    Capitolo Trentasei

    Epilogo

    FRAGILE TENSIONE

    Romanzo

    Irene Colabianchi

    FRA GILE TENSIONE

    ©Irene Colabianchi

    Febbraio 2018

    Tutti i diritti sono riservati. È severamente vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale.

    Questa è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia.

    Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Note dell'autrice

    Caro lettore,

    questa storia è il frutto di un duro lavoro tra ricerca e ispirazione, tra sensazione e sentimenti. L’ispirazione è venuta apprezzando alcuni quadri di artisti contemporanei, di cui sono grande ammiratrice, ed immaginando che un mio personaggio potesse essere così fortunato da avere la mano del grande pittore. I sentimenti mi hanno portata dove vorrei ‘planare’ io in futuro: una bella pista d’atterraggio! Il volo, fino a qualche mese fa, mi terrorizzava; dopo un viaggio ‘forzato’ (mia madre mi ha letteralmente minacciata ed obbligata!), sono rimasta così positivamente sconvolta dal volo, che ho deciso di diventare pilota di aereo. (Sante mamme!) E così sono finita a cercare e studiare qualche piccolo segreto da pilota per rendere il mio personaggio tra le nuvole, credibile e reale. Infine i sentimenti mi hanno fatta sentire molto vicina a quella categoria di sfigati che a scuola viene bullizzata e sottovalutata (a chi non è capitato?). E così mi sono chiesta: come reagirebbe la persona oggetto di bullismo, privata degli affetti per cause sfortuite, costretta a sopravvivere alla dura legge della giungla moderna, per non soccombere?

    Con grande coraggio mi sono calata, infine, nei panni maschili di un giovane speciale a cui la vita ha affidato un grande compito: sopravvivere e cambiare, migliorando la propria vita e quella delle persone che hanno il privilegio di conoscerlo, perché capisce che solo soverchiando e riallineando quel destino che vorrebbe schiacciarci ed annichilirci, riusciamo a riemergere dal nostro piccolo microcosmo egoistico, senza speranza, uscendo vincitori e costruttori concreti e soddisfatti del nostro futuro.

    Insomma, in questo romanzo c’è tanto di me, uno dei molteplici periodi di passioni ed aspirazioni, che spero ti faccia apprezzare la storia.

    Desiderando che Asher ed Eleonor ti conquistino, ti rubino il cuore, ti auguro una buona lettura!

    Irene

    There is a fragile tension,

    That's keeping us going.

    It may not last forever,

    But always flowing.

    Fra gile Tension - Depeche Mod e

    Capitolo Uno

    Non ho mai davvero preso la giusta decisione.

    Sono stato un debole.

    Sono stato un codardo.

    E ora sono uno stronzo.

    La vita ha sbagliato con me, non mi ha fornito il libretto delle istruzioni per incollare i frammenti di un’anima tempestosa come la mia. Non mi ha dato delle possibilità, mi ha sbattuto in faccia tutta la verità e mi ha abbandonato, come in fin dei conti la persona che, per anni, ho ritenuto la più importante della mia esistenza.

    Ho preso treni sbagliati di continuo, o forse è meglio dire aerei, viste le mie tre meritate fascette dorate, cucite sulla manica della giacca nera da pilota.

    Sono arrivato ad un punto della mia vuota vita in cui non mi pento più, non ritorno sui miei passi e non chiedo nemmeno scusa, perché le persone che mi hanno ferito non l’hanno fatto con me.

    Un tempo non immaginavo certo che a venticinque anni mi sarei lasciato annientare così dalla malinconia, ma alla fine ho permesso a me stesso di vivere una vita senza affetti. È soprattutto colpa della quantità di merda che ho dovuto sopportare fino a questo punto della mia esistenza.

    Ma ho deciso che ora è il momento di concentrarmi su altro. Di lasciare che la mia anima si scateni, che ciò che sono diventato mi trasformi del tutto.

    La distruzione…

    Nessuna emozione.

    Nessun sentimento.

    Capitolo Due

    Otto anni prima…

    Qualcuno mi spinge da dietro ed io inciampo, finendo pateticamente a terra, mentre i miei libri si sparpagliano scivolando sul pavimento del corridoio. Levati di mezzo, coglione.

    Chiudo gli occhi per un secondo e trattengo le lacrime che minacciano di indebolirmi.

    Un calcio nel sedere ed il mio corpo finisce del tutto a terra, scivolando sul linoleum freddo. Afferro il libro di chimica e cerco di sistemare il disastro provocato dalla prepotenza dei bulli della scuola, dalla mia debolezza… dalle mie insicurezze.

    Non reagisco mentre le loro risate scemano e si perdono tra le chiacchiere degli altri alunni appoggiati agli armadietti: nessuno fa niente, nessuno viene ad aiutarmi o a dire anche solo una parola di conforto. E nessuno si mette contro i bulletti.

    Hanno tutti paura, proprio come me.

    La mia, di paura, poi, è la più infame, mi tiene incollato al pavimento lasciandomi senza alcuna forza, alcuna reazione.

    Serro i pugni e distolgo lo sguardo da una coppia di studenti che mi guarda, divertita. Raduno i miei libri e sto per alzarmi, quando davanti ai miei occhi si fermano due gambe coperte dal velo leggero delle calze nere, mentre un paio di stivaletti marrone scuro colpisce la mia agenda.

    La ragazza fa un balzo ed emette un gemito di sorpresa molto femminile. Perdonami.

    Le sue ginocchia si piegano, finché i miei occhi incrociano quelli scuri di una ragazza dai lunghi e mossi capelli color caramello. C’è un lungo momento di silenzio tra noi, lei non parla, mi osserva e basta, ma non con odio o divertimento, come tutti gli altri: lei mi guarda, punto.

    E sembra capire.

    Mi alzo di scatto e arretro, sorpreso da quello sguardo così penetrante, che sembra avermi già analizzato, curiosa di scoprire le mie insicurezze. Lei resta china ancora per pochi secondi, poi si raddrizza e stende le ginocchia, mentre da terra raccoglie il mio diario scolastico. Sono piuttosto distratta afferma e quella voce mi colpisce in tal modo, che mi si conficca dentro, da qualche parte. Ha una voce limpida, cristallina e… musicale, noto un accento che non riesco bene ad interpretare, oserei dire che non è del tutto australiana. Deve essere più piccola di me, forse è al primo anno.

    Non dico niente, non ci riesco proprio.

    In confronto, la mia voce sembrerebbe troppo profonda e ruvida.

    Un leggero rossore le imporpora le guance lisce e abbassa lo sguardo. Conosco quel timore, conosco quel fantasma che mi avvolge e che spaventa le persone, è anche per questo che i bulli mi prendono in giro.

    Si schiarisce la voce, ma sorride lo stesso e alla fine i suoi occhi incrociano di nuovo i miei. Li sbarra leggermente e il sorriso sembra morire solo per un secondo, poi però insiste e finalmente prova a sostenere il mio sguardo. Tende il diario nella mia direzione e sospira. Ecco a te. Come ti dicevo, sono un po’ distratta, non guardo dove cammino e poi…

    Non ci riesce, non ce la fa a sostenere il mio sguardo.

    Accetto il diario e poi la osservo con intensità.

    Emette un sospiro strozzato e scuote la testa, portandosi una mano al cuore. Io…

    Ci rinuncia e mi supera, lanciandomi un ultimo sorriso, come a volersi scusare.

    Mi volto per seguirla con lo sguardo: i capelli si muovono in onde morbide dorate sulla sua schiena, la gonna si solleva leggermente quando accelera il passo e schiva alcuni alunni in corridoio, poi… sparisce del tutto, come un bellissimo sogno.

    Capitolo Tre

    Non le ho mai dato il permesso di farlo.

    Non mi ha mai chiesto l’autorizzazione per impossessarsi con violenza della mia anima.

    E non le ho mai chiesto di infestarmi i sogni, gli incubi… i pensieri.

    La sua immagine, la sua voce, i suoi occhi mi hanno distrutto e mi hanno lasciato solo, spolpandomi fino all’osso. L’ho sentita dentro le ossa per anni, sotto la pelle, nelle sere in cui ero sotto la doccia e possedevo un’altra donna, pensando a lei, a come sarebbe stato sentire le sue curve morbide sotto le mie mani.

    I miei occhi si posano sui suoi capelli mossi, che ondeggiano mentre sale lentamente le scale. Sembra affaticata e la capisco: il mio appartamento è all’ultimo piano e l’ascensore è guasto. Sospira con affanno e si appoggia al corrimano, chinando il capo e lasciando che il viso venga coperto dai capelli. Mi scappa un sorriso, mentre mi appoggio allo stipite della porta, incrociando le braccia, e osservandola riprendere fiato.

    L’ascensore è guasto.

    Lei alza di scatto la testa, la scuote e sbatte le palpebre sorpresa, anche in imbarazzo. Le labbra si muovono, attirando la mia attenzione. Ehm, già… Un altro sospiro, questa volta assomiglia più a un gemito.

    Avrei dovuto dirle prima che l’ascensore è guasto, magari l’avrei preparata alla mole di scale da fare. E soprattutto, avrebbe evitato di far schiantare il mio cuore a terra con quel bel visino arrossato. Prendo un profondo respiro, perché sento mancarlo anch’io, ma non è colpa delle scale. Non dovremmo stare nello stesso ambiente, io non dovrei avvicinarmi a lei, starle così vicino a tal punto da sentirmi i polmoni schiacciare nella cassa toracica, ma la vita ha voluto distruggermi e voglio che lei venga a fondo con me.

    Arrivata all’ultimo gradino, sono ancora qui ad aspettarla e osservarla senza alcun ritegno. Si aggiusta la salopette nera sulla pancia e agita i capelli per ridargli un ordine, ma anche così non riesce sistemarli. Perde la pazienza e si avvicina, titubante. Avevo paura di essere in ritardo. A lavoro ho finito tardi e ho avuto dei problemi.

    Corrugo la fronte: ha solo ventidue anni e già lavora. Entra ribatto con tono deciso. Le donne trovano sensuale la mia voce, è dura e forte, senza inflessioni. Sono sicuro di me, autoritario e questo le fa impazzire, ma ad Eleonor non sembra piacere, anzi, rimane piuttosto distante e attenta.

    Nel suo sguardo leggo l’incertezza e il timore di incontrare le mie iridi burrascose. In fondo, di che colore sono? Occhi chiari, grigi, come le nuvole livide di un giorno di pioggia.

    Lei rimane impalata sul pianerottolo.

    Se non vuoi entrare, parleremo qui, sul pianerottolo.

    No. Scuote la testa socchiudendo gli occhi, poi distoglie l’attenzione. Io… entro.

    Quello sguardo così incerto, mentre tenta di evitarmi passandomi accanto, mi fa tremare le gambe, fa galoppare il mio cuore in modo talmente esagerato, che sono costretto ad appoggiarmi allo stipite per non cedere al fascino della sua insicurezza.

    La osservo di sottecchi, mentre serra le dita sulla borsa, entrando incerta nell’appartamento.

    Mentre posa gli stivaletti sul mio pulito e perfetto parquet chiaro, chiudo la porta, facendola sussultare. Scrolla le spalle, a disagio, mentre le passo accanto e la guardo ancora, e ancora, perché non posso credere che lei sia qui, nella mia tana fredda e grigia. Distoglie l’attenzione ed i suoi occhi si posano su ogni angolo del salone, lo esamina, si stringe nelle spalle; sembra quasi che in questo ambiente così gelido, si senta piccola, fuori luogo, sbagliata. Le sfumature chiare e scure, i toni tristi e spenti di questo salone sono in esatto accordo con la bufera che vive dentro di me e mi agita, mi percuote.

    Alla fine emette un flebile sospiro e abbozza un sorriso. Un sorriso leggero, che mi ha fottuto per anni e che mi fotte ancora oggi. Sembra voglia dire qualcosa, ma non riesce a parlare: l’infinito e finito spazio di questa stanza la disarma.

    Così, parlo io, mostrandole con un cenno del capo la parete su cui dovrà lavorare: Questo è il tuo spazio.

    Non c’è spazio per lei in questa stanza.

    Lei annuisce, ma è sorpresa, non penso immaginasse una parete così vasta. È piuttosto grande… non abbiamo parlato dell’iconografia, mio fratello mi ha dato il tuo indirizzo ed alcune indicazioni, ma…

    Lo so la interrompo di getto. Per questo ho chiesto un incontro quanto prima, per mostrarti cosa ho intenzione che tu dipinga.

    Non le piaccio, soprattutto non le piacciono i miei occhi, perché li evita di continuo; posso immaginare le sembrino ostili. Probabilmente vuole troppo bene al fratello, per questo ha accettato di fare questo dipinto per me. Due giorni fa, l’ho rivista alla festa di fidanzamento di suo fratello, quasi non la riconoscevo, è diventata una donna irresistibile, il suo fascino ispanico mi attira e sconvolge allo stesso tempo, mi fa desiderare di distruggerla e proteggerla allo stesso modo, di scoparmela con irruenza e farci l’amore con dolcezza.

    Lei non mi ha riconosciuto. È stata in un college a Sydney negli ultimi quattro anni. Ovvio, certo non mi aspettavo avrebbe detto di ricordarsi di me, ma il nostro incontro mi ha turbato, scuotendomi nel profondo a tal punto, da prendere una decisione. Non le ho parlato molto, ci siamo solo presentati, siamo stati distanti tutto il tempo, ma i nostri occhi non smettevano di incrociarsi, di inseguirsi e tormentarsi. Alla fine sono andato via prima, perché non ce la facevo più, non sopportavo di averla accanto e sentirmi quasi ignorato.

    Eleonor.

    È davvero il suo nome? Non sembra. Detto da me, assume un suono diverso, non sembra così dolce come, invece, lei è.

    Si volta di scatto. Vogliamo decidere?

    So già cosa voglio rispondo deciso. È una tela che hai già prodotto.

    Quelle sopracciglia color marrone chiaro si inarcano e si morde il labbro inferiore. Davvero, cioè? È sorpresa.

    Infilo una mano nella giacca da pilota e tiro fuori un foglietto piegato, che le porgo allungando semplicemente un braccio. Lei lo prende inquieta, magari il pensiero che io abbia una foto di un suo quadro, la turba: mi sono informato, ho visto due sue esposizioni a una fiera per pittori emergenti e adoro i suoi dipinti. Vi è una potenza, una distruzione, che coincide con il mio stato d’animo perenne. C’è forza, rabbia, malinconia, i colori sono in perfetta sintonia con ciò che ho provato in questi ultimi quattro lunghi anni.

    Abbassa lo sguardo sul foglio spiegato e solleva un sopracciglio. Oh…

    Qualcosa non va?

    Scuote la testa. È… profondamente triste.

    Non riesco a comprendere cosa possa aver provato e pensato mentre dipingeva un quadro del genere. È vero, è un’immagine triste, carica di rabbia e frustrazione, di senso di distruzione e disfatta, ma sono sicuro della mia scelta, come già detto, non ritorno mai sui miei passi: sono un uomo sicuro, ho maturato le mie convinzioni con estrema difficoltà ed ora so di essere duro come la pietra, corazzato. Mi piace dico scrollando le spalle. Potresti iniziare già domani?

    La voglio qui, ora, subito, per i prossimi fottuti giorni, per poterla distruggere nel modo migliore e più sensuale e piacevole possibile, così che alla fine si ritrovi svuotata del tutto, senza neanche essersene accorta.

    Eleonor batte le palpebre e arrossisce di colpo, evidentemente il mio tono ha fatto trasparire la mia insistenza. Solo in mattinata. Nel pomeriggio sono impegnata.

    Cosa devi fare? domando di getto, mordendomi subito dopo la lingua.

    È … agitata.

    Ehm, volevo dire… Mi massaggio la base del naso con due dita. Stai calmo, cazzo . Domani mattina, va bene, quindi?

    Sì, a che ora?

    Oh dolce e bellissima Eleonor…

    Non rispondo, ma frugo nella cesta all’entrata, su una cassettiera, e tiro fuori un mazzo di chiavi. Gliele porgo. A te, decidi tu quando venire domani mattina.

    Non le prende. A cosa mi servono?

    Per entrare in casa.

    Oh…

    Sono pilota di aerei di linea su scala nazionale continuo sventolando le chiavi. Non sono molto a casa, torno solo la sera, e a volte neanche torno. Puoi usare le chiavi per entrare e svolgere il tuo lavoro. Decidi tu l’orario.

    Con le chiavi? domanda, indecisa se essere perplessa o sorpresa.

    Annuisco come se fosse evidente.

    Wow, aspetta. Pensa un attimo a cosa dirmi. Tu ti stai fidando di me a tal punto da darmi le chiavi di casa tua? E per giunta senza che tu sia a casa!

    Riposo le chiavi sulla cassettiera e annuisco in un’espressione di conferma. Cos’è che ti sconvolge tanto?

    Evidentemente, la sconvolge che io mi stia fidando ciecamente di lei. Potrei essere la persona più inaffidabile che esista al mondo.

    Sei la sorella di uno dei miei più cari amici, Eleonor affermo tranquillo, con un’altra scrollata di spalle. Non posso e non voglio dubitare.

    Annuisce lentamente, ma ancora non è propriamente convinta. Non ruberebbe mai niente, non saprebbe nemmeno dove cercare. E poi, il resto dell’appartamento è esattamente com’è il salone: asettico; le mette tristezza, lo sento, probabilmente non le piace, tanto da toglierle la voglia di farsi un giretto per le stanze.

    Probabilmente, ora non vorrebbe neanche stare qui.

    Comunque riprendo sospirando. Queste chiavi sono l’unico modo per poterti far fare il tuo lavoro qui; come ti ho spiegato, non sempre torno a casa.

    Mi sto fidando ciecamente di lei, penso di conoscerla abbastanza, poiché è… lei, la stessa Eleonor di quattro anni fa, solo che ora è una donna. Questa è una condizione.

    Sospira e prende le chiavi. Una condizione piuttosto strana.

    Una condizione giusta, invece, determinante, visto che, come ti ho detto, a volte neanche torno a dormire.

    Perché sei pilota ribatte così, dal nulla.

    Un flebile sorriso si disegna sul mio volto. Perché sono pilota.

    L’imbarazzo le imporpora le guance, si taglia a fette!

    Alza un angolo della bocca e rabbrividisce.

    Senti freddo?

    Mmh?

    Ti ho vista rabbrividire, hai freddo?

    Si stringe nella sua leggera giacchetta di jeans e scuote la testa. No. Comunque mi pare tutto chiaro. Uso le chiavi, entro da sola.

    Mi avvicino con disinvoltura e mi appoggio al muro, incrociando le braccia al petto. Quando vuoi, Eleonor, da sola.

    Inspira profondamente e tossisce, tesa. Okay, posso venire domani per le dieci

    Emetto un verso profondo, sto trattenendo una risata. Sì, spero non si accavalli con i tuoi impegni.

    Sto cercando di essere gentile, disinvolto, ma, me ne rendo conto, il mio tono resta sempre duro, autorevole. Fa parte di me, so come sono fatto ed è per me impossibile essere diverso, cambiare.

    Okay mormora con un sospiro, come se non riuscisse a respirare.

    Le consegno il mio cellulare, acceso e impostato sulla sezione ‘Nuovi contatti’.

    Lo guarda, poi il suo sguardo scivola sulla mia divisa, quasi la notasse solo ora. Scommetto che sta notando i miei muscoli, la mia figura scolpita. So di essere un bell’uomo e di attirare gli sguardi della gente, soprattutto donne. Questo mi consente su di lei un vantaggio senza prezzo.

    Scrivimi il tuo numero, così potrò chiamarti nel caso abbia bisogno di qualcosa.

    Lei rimane impalata, ferma.

    Penso che sia in soggezione e noto la sua difficoltà ad incrociare il mio sguardo.

    Non mordo mica insisto avvicinandole il telefono al petto.

    Certo. Prende il telefono con stizza e si decide a scrivere questo dannato numero. Le dita le tremano, sa che la sto osservando, impassibile, ed evidentemente le dà fastidio che io lo faccia, perché si volta leggermente, dandomi le spalle.

    Ecco a te dice girandosi e restituendomi il telefono.

    Guardo lo schermo con un sopracciglio alzato, poi rimetto il telefono nella tasca interna della giacca. Bene, iniziamo domani.

    Tuo fratello mi ha dato la tua email, ti avviserò quando verrò e…

    " Non devi avvisarmi, Eleonor . Sottolineo il suo nome. Basta che chiudi bene la porta, quando te ne vai".

    Oh, sì sì, certo. Non lascio di certo la porta di casa tua aperta.

    Non avevo dubbi. Mi ritrovo a compiacermi del mio modo di metterla in imbarazzo. Non perderle o non avrai modo di entrare.

    Annuisce, fissando un punto nel vuoto. Mi hai dato una responsabilità, ti stai fidando: non è nelle mie corde non rispettare i patti.

    Tiro giù la maniglia e dischiudo la porta, quindi mi volto. Suppongo, allora, di essere in buone mani.

    Solleva le sopracciglia e fa per andarsene, ma le blocco il passaggio, negandole la via d’uscita. Prendo un bigliettino dalla tasca dei miei pantaloni e glielo do. Scordavi il mio numero, se dovessi aver bisogno di qualcosa, chi chiami?

    Giusto. Sorride tesa. Per il muro… dovrò renderlo verniciabile e adatto al lavoro che andrò a fare. Dovrò chiamare un mio amico muratore, che mi aiuti a renderlo il più possibile liscio e pulito. Ti crea problemi?

    Cosa? Un muratore… chi? Un amico? Batto le palpebre, voglio che sia lei, solo lei… Inarco un sopracciglio, rifletto sulle sue parole, mentre le dita tamburellano nervose sulla porta. Mi fido di lei abbastanza da darle la responsabilità delle chiavi, ma un altro uomo… Non so, c’è qualcosa che non mi convince, che mi fa… dubitare. Strizzo le palpebre e apro completamente la porta. Se riesci a gestirlo, va bene. Non posso tirarmi indietro proprio ora. Se lei si fida, devo farlo anche io.

    È un mio amico e un professionista, mi fido di lui risponde senza alcuna esitazione, stavolta. Chiedo il suo aiuto solo per garantirti un lavoro perfetto.

    I miei occhi, istintivamente, si abbassano sul suo corpo. Cazzo, non avrei dovuto farlo. È fottutamente bella, è… Dio, mi fa impazzire, mi colpisce al cuore e poi lì, dritto nelle parti basse, dove i pantaloni sembrano stringersi ogni secondo di più. Serro la mascella, Eleonor ha origini ispaniche, gli occhi scuri, due chicchi di caffè grandi, simili a quelli dolci di un cerbiatto. Le sue labbra… stringo i pugni e cerco di distogliere l’attenzione dalla sua bocca carnosa, che non ho mai avuto la possibilità di assaggiare. I miei occhi indugiano sul seno, sui fianchi morbidi e su quelle gambe per niente magre, che legherei ai miei fianchi, se avessi l’indecenza di sbatterla contro il muro. Infine poso di nuovo l’attenzione sul suo viso: è la donna che mi ha ucciso, massacrato anima e cuore ed è qui, con quei bellissimi ed enormi occhi, attenti e curiosi, ora incerti.

    Allora inizi domani.

    Sei convinto?

    Il mio petto vibra quando emetto una profonda risata. Pensavo avessi già la mia approvazione.

    Perfetto, qualsiasi cosa di cui avrò bisogno, ti chiamerò.

    Non mi chiamerà, non ha bisogno di niente.

    Esce dalla porta, armeggiando con il contenuto della sua borsa e fa attenzione a non incrociare il mio sguardo con cui, però, si scontra lo stesso. La sto osservando, ancora, perché non riesco a smettere. Dopo tanto tempo, è così strano averla intorno… Sono indeciso se continuare a guardarla o se tornarmene in casa e farmi una bella doccia fredda.

    A presto saluta.

    Serro la mascella e chiudo la porta.

    Mi ci appoggio con i pugni e sospiro.

    Sei mia, Eleonor Meyer.

    Capitolo Quattro

    Otto anni prima…

    " Ora basta, Neil. Hai rotto il cazzo!"

    I miei occhi si sbarrano, il nuovo arrivato mi si para davanti e afferra il colletto della maglietta di Neil, il ragazzo che mi dà costantemente fastidio. Gli studenti intorno a noi si fermano a guardare lo spettacolo che stiamo dando nel cortile della scuola, è l’intervallo e non voglio attirare l’attenzione di alcuno. Potrei svignarmela, andare via ed evitare la malalingua di Neil, la sua cattiveria e il suo odio, scappare dagli occhi di tutti e rifugiarmi in bagno, mettermi due dita in gola e vomitare.

    E

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