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Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3)
Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3)
Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3)
E-book299 pagine4 ore

Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3)

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Info su questo ebook

Dopo "Un Amore D'AltaModa" e "Un Amore di Farfalla" eccoci con il terzo volume della serie L'amore è un sogno intitolato "Un Amore di Pasticcino".

“La mia vita è scondita come i piatti che mangio”.

Sophie era grassa, non si piaceva e dopo essere stata rifiutata dal suo migliore amico decide di gettare la ciccia dentro un bidone della spazzatura e chiudere il suo cuore all’interno di un cassetto, sigillarlo e non farlo uscire più.

Il suo dolore d’amore la porta a cambiare vita

e a diventare più magra.

Però dopo tanti sacrifici i suoi genitori le regalano un corso di pasticceria e Sophie non solo cercherà di non combinare pasticci in cucina, ma dovrà anche trattenersi dall’affondare di nuovo nell’ingordigia.

Peccato che i suoi tentativi sembrano venire sventati a causa del pluristellato pasticciere nonché perfettino Nathan MacKenzie che per tutta la durata del corso subirà i peggiori assaggi della sua vita!

Ma tra i due scoccherà l’amore?
LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2018
ISBN9788827823019
Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3)

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    Anteprima del libro

    Un Amore di Pasticcino (serie L'amore è un sogno#3) - Roberta Damiano

    1.

    7.30 a.m.

    i svegliavo quasi sempre al solito orario, facevo una bella doccia rigenerante, sceglievo cosa mettermi e passavo la maggior parte del tempo in bagno a specchiarmi per notare quali difetti avrei trovato anche quel giorno. Alzai un braccio e notai un po' di pelle cadente sulla zona ascellare. Una smorfia mi deturpò il viso. Toccai quel pezzo di carne flaccido e rabbrividii. Forse dovevo andare in palestra e cominciare a fare dei pesi. Annuii e presi nota.

    8.00 a.m.

    Dopo essermi messa a lucido veniva il meglio della mattinata: la colazione. Bevvi due bicchieri di acqua naturale, presi un vasetto di yogurt bianco amaro e ci infilai dentro un po' di crusca d'avena. Cominciai a mangiare sentendo che il mio stomaco gradiva quel pasto mattutino. Samantha era invece tornata a Miami Beach e mi aveva telefonato per avvertirmi che sarebbe rimasta a casa di suo padre per un paio di giorni. Dalla sua voce sembrava molto triste, quel viaggio a Manhattan doveva averla scombussolata. Ahimè avrei dovuto trovare un modo per rimetterla in sesto. Se solo mi avesse detto il motivo del suo malessere.

    9.30 a.m.

    Come un orologio svizzero arrivai alla Boutique C.S., salutai Elly e mi infilai nel retro per sistemare la borsa e indossare la divisa, composta da una maglietta nera con scritto Charlotte Style in oro. Molto appariscente. Elly, una ragazza piccolina, magra e sempre allegra, era intenta a piegare alcuni capi. Mi avvicinai a lei e presi ad aiutarla a sistemare tutto negli scaffali; quando arrivava gente mi dedicavo alla vendita dei prodotti, mentre Elly batteva alla cassa. Formavamo una grande squadra.

    10.00 a.m.

    Come tutte le mattine, per mantenere sempre attivo il mio metabolismo, mangiavo un frutto. Quel giorno avevo scelto una banana ben matura e ovviamente non poteva mancare la bottiglietta d'acqua che portavo sempre con me. Bere aiutava l'ossigenazione del sangue, purificava l'organismo e ovviamente manteneva la pelle sana e ben idratata. Non potevo davvero farne a meno, l'acqua per me era essenziale, soprattutto da quando avevo cominciato con l'alimentazione corretta.

    1.00 p.m.

    Elly e io chiudemmo la Boutique e andammo a mangiare al solito bar all’interno del GrandHotel. Salutammo il bellissimo Joshua e ci sedemmo una di fronte all'altra con il menu già tra le mani. Ma non avevo bisogno di leggere le portate perché ormai le conoscevo a memoria e poi, da che mondo è mondo, prendevo sempre la solita insalata con rucola, bresaola e scaglie di parmigiano per assumere una quantità più che sufficiente di calcio. Joshua, per evitare i tavolini ingombranti e le sedie occupate che lasciavano poco spazio, fece uno slalom da vero professionista e venne sorridente verso di noi.

    «Bamboline, cosa vi porto?» la sua voce era morbida come un marshmallow.

    «Sempre il solito, per me» dissi consegnandogli il menu.

    «Io invece stavolta voglio assaggiare questo super paninone pieno di schifezze!» rise Elly. «Ci vuole dopo una mattinata così sfiancante. Ah, portaci anche una Coca-Cola e dell'acqua per Sophie» terminò.

    «Agli ordini, donzelle!» Il caro e alto, pienamente muscoloso e bellissimo Joshua registrò i nostri ordini e se ne andò facendo mostra del suo succulento fondoschiena, che appariva duro e consistente come il dolce di miele e mandorle che vendevano di solito alle fiere.

    «Bello il ragazzone, eh?» ammiccò Elly, facendomi l'occhiolino. Okay, lo stavo osservando un po' troppo, ma lui era un gran figo ed io avevo messo in carcere il mio cuore mica la vista. Guardare, ma non toccare, non è così che si diceva?

    «È un bel ragazzo, sì» risposi con nonchalance. Joshua ci portò i nostri ordini dopo alcuni minuti di attesa e tornò a girare per i tavoli, a sparecchiare e prendere le ordinazioni. Strofinai le mani e cominciai a mangiare di gusto quel bel piatto di insalata condita con un po' di aceto balsamico e pochissimo olio d'oliva. Ormai mi conoscevano bene e sapevano esattamente come farmi contenta. Elly dal canto suo si passò la lingua sulle labbra, prese tra le mani quel panino che sembrava più grande di lei e se lo avvicinò alla bocca, dando un morso deciso e facendo fuoriuscire dai lati la salsa rosa, che leccò subito dopo.

    «Buonissimo. Non so come fai a resistere!»

    «Abitudine e tanta forza di volontà» sorrisi continuando a masticare la mia fogliolina verde.

    2.00 p.m.

    Terminato di pranzare salutai Elly e mi diressi alla mia macchina. Una volta dentro aprii il vano porta-oggetti e presi la busta rossa. La aprii e lessi l'indirizzo dove si sarebbe svolto quel maledetto corso di pasticceria. Ma come gli era venuto in mente ai miei genitori di iscrivermi? Perché tentavano di tutto per farmi ricadere nelle mie cattive abitudini? Mi infuriai con loro, accesi il motore e ingranai la marcia partendo.

    Appena arrivata nel luogo indicato dal GPS notai che il nome all'interno della busta si riferiva a uno dei lussuosissimi hotel che costeggiavano le spiagge di Miami Beach. Cercai un parcheggio e l'addetto nelle vicinanze mi disse che potevo lasciare l'auto a lui e che avrebbe pensato a tutto. All'inizio indugiai un po', ma quando notai la serietà di quell'uomo sui quaranta anni, con la divisa ben stirata e inamidata, per non parlare della voce seria, ma allo stesso tempo cordiale, non potei fare a meno di raccomandargli di stare attento, così gli affidai le chiavi della mia Renault Clio di seconda mano e che avevo tanto sudato per poterla acquistare. Osservai quella meraviglia di hotel ed entrai. L'ingresso era illuminato da varie finestre, tutto in ordine e pulito, l'aria che si respirava profumava di fiori di lavanda e i due uomini alla hall avevano un’aria apparentemente cordiale. Quando mi videro si aprirono in un sorriso e uno di loro mi chiese come potesse aiutarmi. Gli diedi la busta e lui mi indicò il percorso che doveva, se avevo ben capito, trovarsi nelle vicinanze delle cucine. Girai diversi corridoi -da farmi persino venire il mal di testa- e chiesi indicazioni agli inservienti che passavano di lì. Alla fine mi ritrovai all'interno di una stanza ampia e lunga, con la moquette bordeaux, le tende alte color avorio alle finestre che illuminavano l'interno, diversi tavoli da laboratorio refrigeranti in acciaio inox, ottimi per conservare i prodotti e le materie prime grazie all'avanguardia e alla capacità di poter impostare l'umidità di conservazione riuscivano a mantenere sempre freschi, senza rovinarli per il cambio di temperatura tra l’esterno e l’interno. Ce n'erano venti, tutti disposti a coppie e in fila uno dietro l'altro. Un'occhiata più attenta mi fece notare forni, abbattitori, carrelli a piani con i vassoi infilati uno sopra l'altro, due congelatori grandi da poterci stare dentro in tutto il mio metro e settanta, una scrivania vicino alla parete in fondo, collocata al centro con una sedia e la lavagna bianca al lato. Oltre a ciò sembrava non ci fosse nessuno. Stavo per andarmene quando percepii un colpo di tosse e mi spostai per fare entrare degli uomini in divisa che sostenevano pesanti pacchi. Sollevai un sopracciglio e decisi di tornare indietro a chiedere dove fosse il responsabile del corso. Sull'uscio quasi finii contro una donna alta, snella, bruna che indossava un tailleur blu e sotto la giacca portava una di quelle camicie bianche con gli svolazzi sul davanti che assomigliavano tanto alle onde che si venivano a creare con la panna montata. Si sistemò gli occhiali da vista sul naso con un dito dall'unghia curata e laccata blu e poi mi fissò truce.

    «Chiedo scusa.» Meglio fare la prima mossa per evitare qualsiasi spiacevole inconveniente.

    «Deve stare attenta. Stiamo allestendo la stanza che servirà per il corso di pasticceria, signorina, e non possiamo permetterci di rompere nulla» cominciò con voce zelante. «Posso chiederLe il motivo per cui si trova qui?»

    «Sì, stavo cercando il signor MacKenzie. Sa dove posso trovarlo?» domandai incerta.

    «Nathan? Cosa vuole da lui?» chiese immediatamente.

    «Si tratta del corso.»

    «In questo momento è molto impegnato, dica pure a me» sorrise e mi indicò con una mano di seguirla. Attraversammo la sala, dove gli uomini avevano iniziato ad aprire gli scatoloni ed entrammo in un'altra stanza, più piccola e accogliente, adibita a ufficio provvisorio. La donna, che poteva avere al massimo trenta anni, prese posto dietro la scrivania e mi invitò ad accomodarmi. «Come posso aiutarLa, signorina...?»

    «Crawford. Sophie Crawford.»

    La bruna prese una cartella e cominciò a sfogliarla scorrendovi velocemente un dito sopra.

    «Trovato! Si è iscritta al nostro corso, vedo. Allora, vuole per caso delle delucidazioni?» sorrise calorosa e finta come una banconota da tre dollari.

    «Non sono qui per avere informazioni, ma per ottenere un rimborso e l'annullamento della partecipazione» dissi senza preamboli.

    «Si rende conto dell'assurdità delle Sue parole? Nessuno chiederebbe la rinuncia!» sostenne incredula.

    «Perché mai?» chiesi incapace di capirla.

    «Sta scherzando? Nathan Mackenzie è il miglior chef pasticciere che si sia mai visto in giro, per non parlare delle stelle che gli hanno assegnato. Ha una catena di pasticcerie aperte in ogni angolo del mondo e i suoi sono i migliori dolci che si siano mai assaggiati!» Si infervorò così tanto che le guance le presero fuoco. Su di me non produsse alcun effetto. Scossi tranquillamente le spalle per farle capire che non mi importava. Solo chiacchiere per le mie orecchie.

    «Otterrò il rimborso, dunque?» continuai tranquillamente.

    «Non posso crederci! Be’, no. Non otterrà il rimborso, non avrà la possibilità di rinunciare al corso né può trasferirlo a terzi. Doveva pensarci prima di sottoscrivere il contratto, signorina Crawford» informò acida come il latte scaduto da un mese e con quell'aria di superiorità.

    «Non ho firmato proprio nulla!» scossi la testa incredula.

    «Non è la prima a farci questi scherzi. Il nostro contratto è stato appositamente stilato per evitare tali tipi di inconvenienti. Una volta che il contratto è firmato non si può tornare indietro, è una regola del signor Nathan» mi guardò con l'aria da mantide-ti-stacco-la-testa-a-morsi-se-insisti-a-richiedere-il-rimborso.

    «Vorrei parlare con il signor MacKenzie.» Ridussi gli occhi a due fessure, stringendo i pugni sulle ginocchia per evitare di scoppiare come una pentola a pressione.

    «È impegnato al momento» ripeté rossa di rabbia.

    «Vorrà dire che ripasserò.» Mi alzai dalla sedia e me ne andai senza neppure accennare un minimo saluto. Non se lo meritava affatto. Sembrava una vecchia bisbetica! Da quando le segretarie erano così sgarbate?

    Oltrepassata la seconda porta andai a sbattere contro qualcosa di duro. Mi feci male al naso e borbottai una parola oscena prima di alzare gli occhi e rimanere a bocca aperta con le dita sul naso dolorante.

    «Mi scusi» dissi in imbarazzo.

    «Si è fatta male?» chiese l'uomo con voce baritonale, sensuale e vibrante. Mi massaggiai il naso e lui portò le sue calde mani sulle mie spalle e chinò leggermente la testa per controllare il danno più da vicino.

    «Non è nulla» sorrisi e lasciai cadere la mano sul fianco. Gli occhi color menta mi scrutarono, una mano dalla spalla percorse il collo e poi un dito mi accarezzò la punta del naso. Un calore mi si diffuse per tutto il viso.

    «Bene» disse e si scostò, lasciandomi interdetta. «Perché è qui?» incrociò le braccia muscolose e abbronzate contro il petto tonico, coperto da una maglietta attillata grigio antracite. Ma che maleducato!

    «Non credo siano affari Suoi!» mi trattenni dal ringhiare.

    «Se si trova qui per il corso, sono affari miei, eccome» Divaricò le gambe piazzandosi al centro come un bodyguard. Pensava di suscitare timore a qualcuno con quell'atteggiamento ostile?

    «Se insiste.»

    «Insisto.»

    «Sono qui per chiedere il ritiro» dissi soddisfatta. Chiunque fosse, avrebbe riferito la notizia al diretto interessato così forse avrei chiuso quella storia velocemente. Le folte e curate sopracciglia dell'uomo si avvicinarono creando una piccola onda verticale proprio al centro della fronte.

    «Non può ritirarsi se ha firmato il contratto» ripeté le stesse parole della segretaria.

    «Mi è stato chiarito dall'impertinente segretaria» confessai, mordendomi la lingua. Due anni fa non avrei mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere. Da quando il mio cervello aveva perso il collegamento con la lingua? Lui sorrise con un ghigno gelido e avvicinò quel corpo alto e possente a poca distanza dal mio. Ma quanto era alto? Che tempo faceva lassù? Alzai il mento per poterlo guardare dritto negli occhi, se pensava di incutermi timore con la sua prestante presenza si sbagliava di grosso. Incrociai anch'io le braccia e aspettai non so cosa esattamente.

    «Impertinente, addirittura» mi scrutò stringendo gli occhi.

    «Dovrebbe farlo presente a quel Nathan MacKenzie e suggerirgli di assumere personale meno coinvolto sentimentalmente» lo sfidai.

    «Che stai insinuando?» sgranò gli occhi perplesso, passando al tu.

    «La donna è suscettibile al nome del suo capo. Perciò avrà sicuramente un qualche interesse, non so di che tipo e non mi importa. Voglio solo che mi vengano rimborsati i miei soldi!» puntai un dito a terra per dare più enfasi alla mia dichiarazione.

    «Doveva pensarci prima» disse ritornando formale. «Se ci fosse stato mio padre avrebbe sicuramente detto di sì ad una giovane e bella ragazza.» Lo aveva detto davvero? «Purtroppo per te, sono un tipo inflessibile e non accetto ritiri da parte dei miei corsisti» terminò mentre il mio cervello se ne andava in panne. Avevo sentito bene? I miei corsisti, aveva detto? Deglutii appena capii chi mi ritrovavo davanti e indietreggiai di qualche passo con il viso in fiamme.

    «Io non sapevo...»

    «Ovvio, altrimenti non si sarebbe permessa di parlarmi in questo modo» disse serio, avvicinandosi. Quel tipo passava dal tu al Lei come se stesse giocando a una partita di ping-pong.

    «Visto che ci siamo...» provai a parlare, ma mi venne impedito.

    «Non ha capito quello che ho detto? Ci vediamo tra una settimana per iniziare il corso» accorciò del tutto la distanza e chinò la testa sfiorandomi il lobo dell'orecchio con il suo fiato tiepido e regolare. «Solo io posso decidere chi mandare a casa, e può stare sicura che quando accadrà ci saranno parecchie lacrime» sussurrò tagliente come un coltello ben affilato. Dopodiché, avanzò dentro la stanza lasciandomi lì in completo disorientamento. Quel tipo sembrava il pane duro difficile da masticare per una vecchia senza denti.

    2.

    ornai a casa con il morale a terra. I miei genitori non avrebbero potuto scegliere corso peggiore di quello. Come avevano fatto a trovarlo, mi chiedevo. Non sapevano usare internet, neppure l’avevano! I cellulari per loro erano una tecnologia troppo avanzata e moderna e si erano rifiutati di imparare. Sbuffai, infilai le chiavi nella serratura e aprii. Sam sembrava non esserci. Non avendo niente da fare tutto il giorno, presi dal frigorifero del finocchio e cominciai a pulirlo sotto il getto d'acqua, tolsi le parti troppo mature e cominciai a sgranocchiare per tenere a freno la fame. Cercai il telecomando della televisione e iniziai a fare del buon vecchio zapping, seduta sul divano. Mi spazientii rendendomi conto che non c'era niente di bello o divertente, neppure di istruttivo. Girai tantissimi canali dove trasmettevano soap che non finivano mai e storie d'amore che facevano rizzare i peli delle braccia per quanto erano fasulle, poi scovai un programma di cucina e lì mi fermai a bocca aperta. Quel presuntuoso si trovava in primo piano in una gara per pasticcieri e lui faceva parte dei giudici. Veniva inquadrato spesso da diverse angolazioni e mi seccava ammetterlo, ma non sembrava avere nessun tipo di difetto. Maledizione, un pasticciere non poteva avere muscoli così definiti! Eppure li avevo scorti dal vivo e se li avessi tastati con le mani avrei potuto sentire l'acciaio sotto. Rimasi in quel canale, visto e considerato che in programmazione non c'era nulla di interessante, e lo inquadrarono mentre stava assaggiando una creme brûlé poco convinto. Prese il cucchiaio e ne tastò prima la consistenza, poi l'affondò e controllò il colore socchiudendo gli occhi e muovendo di tanto in tanto la testa da un lato e dall'altro. Si mise il cucchiaio in bocca e assaporò lentamente facendo una smorfia di disgusto. Lanciò la posata nel lavello, prese la formina con il dolce dentro e lo gettò nel cestino dell'immondizia.

    «Se quello che ho assaggiato è un dolce, allora siamo messi davvero male. È insipido, la consistenza non è quella giusta e la cottura è sbagliata. Sei arrivata tra i primi dieci, ma non meriti di stare qui se fai una schifezza del genere!» le ringhiò contro.

    La donna, in silenzio, sopportò la strigliata e trattenne le lacrime rendendo i suoi occhi lucidi. Chinò leggermente il capo e con le spalle curve tornò al suo posto. Povera ragazza, cosa era stata costretta a subire davanti a milioni di persone e lui non faceva una piega. Per gli altri concorrenti andò quasi bene. Quasi.

    Scossi la testa incredula e cercai un valido motivo per evitare di frequentare quel maledetto corso. Ci doveva pur essere un modo, no? Mi sentii parecchio frustrata. Odiavo quando venivo obbligata a fare qualcosa che non volevo. Anche se inventare e vendere dolci era sempre stata la mia più grande passione. All'inizio lavoravo da Matteo, una pasticceria meravigliosa che sapeva fare di tutto. Ogni tanto il proprietario mi lasciava entrare nel suo laboratorio e lo aiutavo a preparare qualche dolcetto, a volte invece ero una vera catastrofe e non facevo che combinare guai. E ogni volta che ne avevo l'occasione, tornavo sempre a casa con un dolce nuovo da condividere con i miei genitori. Successivamente, dopo essere stata tremendamente rifiutata da Michael, decisi di cambiare vita e lasciare il passato alle spalle. Bene, la pasticceria era ormai un capitolo chiuso. Il mio futuro consisteva nel lavorare alla Boutique con Elly, uscire ogni tanto con gli amici e fare lunghe passeggiate, di solito accompagnata dal mio fidato cane Bobby. E a proposito di camminate, spensi la tv, ormai avevo visto anche troppo e uscii nuovamente. Andai a casa dei miei genitori in macchina, parcheggiai, li salutai solo con un cenno della mano, visto e considerato quello che avevano escogitato alle mie spalle, e presi al guinzaglio Bobby. Posai le chiavi della macchina sul piano della cucina e mi diressi a piedi verso la spiaggia, in una parte in cui sapevo che i cani non davano fastidio. Una volta vicina mi levai le scarpe di ginnastica e lasciai libero il cane. Tanto mi seguiva. Cominciai a muovere consapevolmente un piede dietro l'altro sentendo il calore sotto la pianta dei piedi che proveniva dalla piccola e appiccicosa sabbiolina dorata che mi ricordava tanto il fondo di biscotto macinato per fare la cheescake. Il cane si mise a correre contento e con la lingua di fuori, penzoloni. Andava avanti fino a toccare l'acqua con le zampe anteriori e poi ritornava accanto a me per prendersi una carezza. Quando arrivai in un punto appartato, dove non c'era nessuno, mi fermai vicino all'acqua e mi sedetti sulla sabbia, portai indietro la testa per farmi accarezzare dai raggi del sole. Chiusi gli occhi e assaporai quel momento inspirando l'odore dell'aria salmastra. Distesi le gambe, incrociai le caviglie una sull'altra e abbassai la schiena fino a quasi toccare la sabbia, appoggiandomi sui gomiti. I capelli erano sciolti e il lieve venticello che si era alzato li muoveva in tutte le direzioni, facendoli apparire come piccole molle fiammeggianti. Sospirai in estasi finché le mie orecchie percepirono quel familiare scricchiolare della sabbia sotto i piedi. Sbuffai e mi raddrizzai con le ginocchia piegate sotto il mento e le braccia ad avvolgerle.

    «Soph» sussurrò una voce troppo familiare che mi fece saltare un battito del cuore e non perché fossi felice di rivederlo. Mi voltai e osservai quel ragazzo magro e dinoccolato avvicinarsi, mano nella mano con la sua ragazza bionda e alta, da copertina di moda. «Ehi, è da un po' che non ti si vede in giro, che fine hai fatto?» chiese sorridendo e si fermò quando pensò di essere abbastanza vicino. Dovetti alzare il mento per poterli guardare in faccia, mi stavano davanti come pali e in più mi oscuravano la luce del sole.

    «Ho avuto molti impegni, sai lavoro!» lo irrisi. Il caro Michael aveva deciso di continuare con gli studi, ma fin lì tutto bene. Se avessi potuto forse avrei proseguito pure io, ma a lui il lavoro non era mai piaciuto. Da che me ne ricordavo non lo avevo mai visto alzare neppure una cassetta dell'acqua in vita sua, e i suoi genitori non avevano tentato minimamente di cambiarlo. Lo osservai dalla testa ai piedi. Il mio ex migliore amico era smilzo, alto e i muscoli sembravano averlo abbandonato fin da piccolo. Indossava una maglietta rossa più larga di lui e un paio di bermuda scuri che

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