Basta un sì
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No, qui le favole stanno a zero, però ogni inizio ha anche una fine o almeno un "to be continued...".
E Martina e Margherita ne meritano uno divertente, emozionante e coinvolgente... Tra un matrimonio da organizzare e un figlio da allattare.
La vita non è una fiaba, ma il finale a volte può essere "e vissero tutti felici e contenti... O almeno ci provarono!"
Basta un sì per provarci.
P.s.
Tranquilli, non finisce qui.
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Anteprima del libro
Basta un sì - Alessandra Saggi
Alessandra
MERCOLEDÌ
Tati
Ancora quattro giorni.
Ottantacinque ore.
Poi tutto questo casino finirà.
Sì, lo so, non sono né la prima né l’ultima delle spose, quindi so che l’ansia da prestazione era inclusa nel prezzo quando ho urlato Sì
a pieni polmoni a Riccardo un anno fa quando mi ha chiesto di sposarlo, così come so anche che organizzare un matrimonio non è stressante e pericoloso come cercare di risolvere la questione mediorientale tra palestinesi ed israeliani, ma rimane fermo il fatto che non vedo l’ora che arrivi il momento in cui avrò salutato anche l’ultimo degli invitati e potrò dichiarare concluso l’evento.
Sì, perché il mio matrimonio può essere catalogato come uno dei grandi eventi
, ci manca solo l’intervento della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco per contenere la massa di invitati domenica, altro che il Royal Wedding
di Harry e Meghan.
Ho salutato quasi in lacrime la pia illusione di poter avere un matrimonio semplice e contenuto e molto intimo, nel momento stesso in cui mi sono scontrata con la dura realtà, più esattamente quando mi sono scontrata con un mostro a due teste, quello formato da mia madre e la madre di Riccardo fuse in unico corpo con due cervelli, per la prima volta in vita loro d’accordo su tutto.
OGNI. SINGOLO. DETTAGLIO.
Per carità, per determinate cose sono state essenziali, ho avuto bisogno di tutto l’aiuto organizzativo possibile in questi mesi e loro sono state dei salvagenti a cui spesso mi sono aggrappata.
Ma sono state anche il motivo principale per cui avevo bisogno d’aiuto in primis.
L’elenco degli invitati che io e Dado avevamo buttato giù nell’enfasi della felicità nell’immediato post-proposta, conteneva più o meno cinquanta nomi.
Solo due parole a riguardo: poveri illusi.
Dopo solo qualche settimana in compagnia di mia madre e Giovanna, al ritmo di Se invitiamo Tizio, non possiamo non invitare Caio, figurati poi Sempronio!
, da cinquanta, l’elenco degli invitati è salito esponenzialmente.
Centosedici.
Quando ho esclamato Già che ci siamo, arriviamo a centodiciotto, che mi sembra il numero più azzeccato e di cui avrò bisogno a breve!
, il mostro a due teste è scoppiato a ridere pensando scherzassi.
Mai stata così seria in vita mia come in quell’istante.
Ma né io né Dado ce la siamo sentita di ricordare che il nostro desiderio era un altro, perché sappiamo che il loro entusiasmo è dettato solo dalla felicità che abbiamo regalato loro decidendo di sposarci.
Le abbiamo tenute col fiato sospeso per sette anni, avevano quasi appeso la speranza che tornassimo insieme al chiodo, ecco perché ci tengono a rendere il nostro matrimonio il vissero per sempre felici e contenti
delle favole.
E lo è, perché non importa quanto mi hanno messo a dura prova i preparativi del mio matrimonio in questi mesi, mi sento davvero come nelle favole e sapere di sposare Dado non mi ha fatto mai perdere il sorriso.
Posso avere dubbi sul menù, sulla disposizioni dei tavoli, sul bouquet, sulla torta o sull’acconciatura, ma non sul fatto che voglio passare il resto della mia vita con lui.
Né sulla scelta dell’abito da sposa.
Tita ha fatto il miracolo, ha trovato l’abito da sposa perfetto per me: semplice, non voluminoso, poco pizzo e poco strascico.
La mia super mega migliore amica è un genio e un’organizzatrice di matrimoni pazzesca.
E una mamma perfetta.
Eh sì, sono zia di Luca da quasi cinque mesi.
Non avrei mai creduto di potermi innamorare di tre chili e centosessanta grammi di gioia alla stato puro.
Se dico che Luca è bello da prendere a morsi, sembro troppo di parte?
Vabbè, pace.
Lo è.
Anche se appena nato non lo era affatto, era rugoso da morire, praticamente calvo e con la testa a forma di pinolo, ma poco importa.
Era bellissimo a prescindere.
E grazie a lui ho finalmente superato il mio terrore nel dover prendere in braccio un neonato, o grazie a Tita per essere più specifici, che una volta rimaste da sole nella sua camera d’ospedale, dopo che il circo di amici e parenti ha levato le tende, mi ha fatto sedere sul letto accanto a lei, mi ha messo Luca fra le braccia e mi ha detto ridendo Terapia d’urto, così ti faccio passare la paura di prenderlo in braccio… Mi servi operativa come baby-sitter da subito!
.
Non avrei mai pensato che poco più di tre chili pesassero così tanto.
Per i primi tre secondi ho rischiato di collassare, ho iniziato anche a iperventilare.
Poi Margherita mi ha ricordato che ero seduta sul letto, accanto a lei per giunta, e sarebbe stato impossibile farlo cadere, che dovevo solo rilassarmi e godermi quella sensazione di pace e serenità che tenere un bimbo così piccolo in braccio sa far provare.
Almeno finché non piange, urla e si agita.
Ma in quel momento Luca era la definizione calzante di angioletto.
Dado è entrato nella stanza proprio quando avevo iniziato a sentirmi fiduciosa nelle mie potenzialità e mi ero alzata in piedi, cullandolo leggermente per farlo continuare a dormire.
Quel pomeriggio Riccardo aveva dovuto attendere una riunione importantissima per un grosso lavoro in ballo e non aveva potuto liberarsi fino a quel momento, venendo in ospedale direttamente dal lavoro.
Vederlo commuoversi avvicinandosi a noi, col sorriso sulle labbra, quello che gli fa venire la fossetta sulla guancia sinistra, mi ha fatto venire voglia di due cose.
Di piangere di felicità e di avere un figlio con lui.
Se sei sincera, ti ha fatto anche venire voglia di saltargli addosso e con un neonato in braccio non era una voglia molto consona, no?
D’altronde i bambini si concepiscono così se non mi sbaglio, vero coscienza?
Ma il problema sono io che ancora penso di riuscire a frenarti…
Tengo molto in considerazione i vari tentativi di frenarmi della mia coscienza, ma ultimamente sono abbastanza inutili.
Salvo quando mi hanno spinto a celebrare un matrimonio religioso, lì la mia coscienza ha giocato sporco, puntando sui sensi di colpa e ha vinto a mani basse.
Sinceramente sia io che Riccardo ci saremmo accontentati
di una cerimonia civile in Comune, non perché non siamo religiosi, ma perché ci sembrava ipocrita sposarci in chiesa quando in parrocchia hanno perso le nostre tracce a pochi mesi dalla cresima.
Per un prete rigorosamente osservante, io sono ad un passo dall’essere l’incarnazione dell’Anticristo.
Non frequento regolarmente la parrocchia, non sono arrivata al matrimonio vergine, anche se qualche punto potrei effettivamente riconquistarlo sposando colui con cui ho perso la verginità, ma vabbè… Uso anticoncezionali, penso che l’aborto debba essere una pura e semplice possibilità di scelta e che una coppia divorziata felice valga molto di più di una coppia sposata infelice.
Ma la mia famiglia e quella di Riccardo sono molto religiose e alla frase di mia madre Pensa come sarebbe contenta nonna Adele di vederti accompagnata all’altare!
ho sospirato, ho sorriso e ho detto