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Shawndirea: Le Cronache di Aetheaon, Libro Primo, #1
Shawndirea: Le Cronache di Aetheaon, Libro Primo, #1
Shawndirea: Le Cronache di Aetheaon, Libro Primo, #1
E-book687 pagine9 ore

Shawndirea: Le Cronache di Aetheaon, Libro Primo, #1

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Info su questo ebook

Spesso le più piccole sorprese inaspettate custodiscono i dilemmi più impegnativi, i quali dimostrano di essere il calvario che l'entomologo Ben Whytten affronta. Mentre sta raccogliendo farfalle col suo retino per aggiungere alla sua vasta collezione, cattura per sbaglio ciò che crede sia la farfalla più spettacolare che abbia mai visto. Esaminando la sua preda, Ben rimane inorridito nello scoprire che ha catturato una fata e ha ridotto le sue delicate ali in inutili nastrini.

Devastato, Ben giura di riportare Shawndirea nel suo reame, Aetheaon; ma scopre che ciò metterà in serio pericolo le loro vite. Per arrivare ad Aetheaon devono passare attraverso un portale in una fenditura, nel profondo della caverna infestata, la 'Dimora del Diavolo'.

Una volta attraversata la fenditura, Ben entra in un mondo dove i misteri, la magia, il tradimento e le lotte per il potere lo aspettano. Un mondo pieno di creature magiche e tante razze diverse, dove il caos spesso sottomette l'ordine. Un mondo in cui Ben è costretto a fidarsi di altri avventurieri, se vuole mantenere fede alla sua promessa.

LinguaItaliano
Data di uscita6 set 2018
ISBN9781547547432
Shawndirea: Le Cronache di Aetheaon, Libro Primo, #1

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    Anteprima del libro

    Shawndirea - Leonard D. Hilley II

    Shawndirea

    ( Le Cronache di Aetheaon: Libro Primo )

    di

    Leonard D. Hilley II

    Capitolo uno

    Il precoce sole autunnale fiammeggiava sul campo di fieno appena tagliato di Cider Knoll, Kentucky. Ben Whytten poggiò il suo retino per farfalle contro il recinto di filo spinato arrugginito e si asciugò il sudore della fronte col dorso della mano. Del sudore inzuppò la sua maglietta e i suoi jeans blu. Sebbene l'autunno fosse ufficialmente iniziato, la temperatura esterna non lo segnalava. Generosamente intorno ai trenta gradi centigradi, l'estate si rifiutava di lasciare andare il clima e trasformò quello che avrebbe dovuto essere un piacevole sabato pomeriggio in una provocazione intimidatoria, sfidando chiunque con un po' di sanità mentale a rimanere fuori casa, sotto ad un caldo asfissiante.

    Dopo che ebbe svitato il tappo della borraccia, la inclinò verso il basso e si fece una bella bevuta di acqua fredda. Perle di acqua gocciolarono sulla sua corta barba marrone. Sospirò e avvitò strettamente il cappuccio. I suoi penetranti occhi marroni studiarono il cielo. Neanche una nuvola in vista. Nessuna brezza che aiutasse a combattere l'infernale calura appiccicosa.

    Ben tirò via con le dita i capelli marroni arruffati e sudati dai suoi occhi. Prese in mano il retino per farfalle e guardò, attraverso il campo paglierino, il piccolo boschetto di aceri frondosi che delineavano un corso tortuoso. L'ombra era invitante, e lui immaginò ci fossero dieci buoni gradi in meno che in campo aperto. Fece un respiro profondo e arrancò attraverso fusti di erba fragile che scricchiolavano sotto le sue scarpe da trekking.

    Raccogliere farfalle in autunno era meglio che farlo in primavera o in estate, a causa dell'incremento della diversità di specie. Le forme autunnali delle farfalle erano generalmente più chiare, più larghe e si nutrivano di Vernonia Gigantea, Asclepiade e Trifolium in sciami più grandi. Papilionidi brillantemente colorati si depositavano lungo i letti del fiume. Le paffute larve di falena erano anche più facile da trovare, poiché le falene cercavano dei posti in cui far girare i bozzoli o nasconderli sotto al suolo per trasformarli in pupe prima dell'intervento delle temperature più fredde.

    Se il tempo più freddo dovesse mai intervenire, pensò Ben, l'inferno verrebbe veramente congelato.

    Lunghe e sottili cavallette saltavano e prendevano il volo, mentre Ben attraversava il campo. Le loro ali ronzavano mentre gli insetti allarmati planavano e si ammucchiavano verso il basso, atterrando, per poi spingersi nuovamente nell'aria.

    Dopo aver raggiunto l'ombra sotto i rami d'acero, Ben si appoggiò contro uno spesso tronco d'albero e chiuse gli occhi. Il ruscelletto gocciolava dolcemente. Le cicale canticchiavano. In lontananza, un picchio batteva il becco sulla corteccia di un massiccio pino morto. Il tempo aveva spogliato intere sezioni della ruvida corteccia di pino, rivelando il liscio legno giallo sottostante. I suoni calmanti della natura lo rilassarono e lui fu grato di essere fuori, da solo.

    Il dottor Isaac Deiko aveva programmato di raccogliere insetti con Ben quel sabato in particolare, ma, all'ultimo minuto, aveva chiamato e aveva detto che non poteva venire. Deiko doveva dare una mano a sistemare dei tavoli per una mostra sulle armi in una città vicina.

    La notizia non aveva deluso Ben. Avrebbe preferito raccogliere farfalle e altri insetti da solo. L'esterno era un posto dove lui riuniva i suoi pensieri e meditava sulla sua vita. Le foreste, i promontori e i prati erano i posti migliori in cui lui si sentiva in pace. Lasciare i fanatici vivaci, dal ritmo veloce e desiderosi di tecnologia, per una vita tranquilla senza tutte le loro distrazioni valeva più di un milione di dollari per Ben. Avrebbe mollato all'istante tutti i gadget per la tranquillità che suo nonno e il suo bisnonno conobbero mentre lavoravano nelle loro fattorie.

    Ben aveva una visione seria della vita, mentre il Dottor Deiko trascorreva molto tempo a fare scherzi pratici sui suoi colleghi e studenti, la qual cosa spesso faceva irritare e infuriare Ben. Lui sapeva che se Deiko fosse andato in escursione nel campo, le possibilità di raccolta sarebbero state poche o nulle, semplicemente perché Deiko era goffo e chiassoso.

    Innanzitutto Ben non aveva mai porto a Deiko un invito di unirsi a lui. Infatti, Deiko si era autoinvitato quando aveva scoperto i piani di raccolta di Ben per il weekend. Sebbene Deiko fosse un biologo come Ben, Deiko era più preoccupato con lo scoprire una scoperta che lo avrebbe reso famoso, mentre Ben amava la scienza e non gliene fregava nulla che nessun'altro oltre ai suoi studenti sapesse della sua esistenza. Ovviamente, quando si avvicinavano gli esami finali, la maggior parte dei suoi studenti avrebbe preferito che lui non fosse esistito. Oltre che dare ai suoi studenti gite sul campo dell'inferno, i suoi test erano considerati più duri di una rigorosa escursione di dieci miglia attraverso un terreno montuoso ripido.

    Ben guardò indietro verso il campo e sogghignò. Quando ancora era alla scuola media, aveva gironzolato per centinaia di acri attraverso foreste, caverne e campi. Lo aveva fatto così volontariamente, senza neanche una protesta, eppure gli studenti universitari di oggi si lamentavano per ogni minima cosa. La sfida non era portarli ad imparare; era portarli a fare qualsiasi cosa che non richiedesse il calmante bisogno della loro tecnologia.

    La sua frustrazione interiore gli portò calore al viso. Era a pochi secondi dal ricordare come desiderasse che i computer e i cellulari non fossero così controllati, quando il calmo torrente gorgogliante catturò la sua attenzione. Il dolce e delicato suono dell'acqua permise alla sua mente di rilasciare le tensioni della classe e di ritornare alla calma naturale che lo circondava. Emise un lungo sospiro e si concentrò di nuovo.

    Lunghe e strette lame di erba coprivano le sponde sabbiose del ruscello poco profondo. Piccole farfalle satire grigie svolazzavano pigramente da lama d'erba a lama d'erba. Ben scosse la sua testa. Dopo due ore di camminata nei campi e nelle foreste, aveva sperato di catturare alcuni nuovi esemplari da aggiungere alla sua collezione. Ma, con ogni specie incontrata, aveva già almeno una mezza dozzina di quelle scatole di vetro bloccate dall'interno a casa. In molti modi, credette che avrebbe fatto un grosso favore a se stesso a stare a casa.

    Ma, indipendentemente da cosa lui ritenesse sfortuna, la sua vita stava per cambiare.

    Per sempre.

    Rimosse lo zaino e lo pose a terra. Si abbassò lentamente e si sedette contro il tronco d'albero per riposare. Mise a terra la borraccia e posizionò il manico del retino di traverso sul suo grembo e guardò il delicato ruscello scorrere. Alcuni pesciolini guizzavano avanti e indietro nell'acqua mentre gli insetti pattinatori sfioravano, come degli skater gentili, la superficie dell'acqua.

    Ben era inzuppato di sudore e prosciugato dal calore. Una leggera brezza si agitava lungo la corrente, la qual cosa sembrava come un invito a rilassarsi un po' di più. I suoi occhi tentarono di chiudersi per fare un pisolino. Lui combattè lo stimolo di dormicchiare, sebbene il posto fosse così confortevole e pacifico. Ma se nulla di interessante si fosse presentato al più presto, se ne sarebbe tornato a casa. Temeva di camminare fino al suo SUV attraverso il pascolo asciutto.

    Ben prese il suo coltello da caccia dal fodero attaccato alla sua cintura e successivamente raccolse un ramo di quercia secco. Intagliò e scorticò la corteccia.

    Forse era l'immenso caldo a tenere nascoste le farfalle più brillanti, ma lui non ne aveva ancora viste dentro il boschetto o lungo le sponde sabbiose.

    Più tardi, in serata, avrebbe potuto avere più fortuna, ma si rifiutò di girovagare così a lungo. Fece scivolare il coltello nel suo fodero e si sfregò gli occhi stanchi.

    La luce del sole filtrò attraverso il baldacchino frondoso. Diversi uccelli volarono basso attraverso il ruscello e tra gli alberi. Alcuni secondi dopo due farfalle gialle planarono sulla sponda più lontana e atterrarono. Una farfalla più grande attirò la sua attenzione. Ad una prima occhiata credette fosse un papilio gigante, ma invece si rivelò essere un papilio tigrato sovradimensionato.

    Le dita di Ben si strinsero attorno al manico del retino. Si tirò su. Si mosse leggermente e si diresse verso il ruscello per dare un'occhiata migliore alle farfalle. Vicino alla riva, una sagoma sfocata di un verde bluastro metallico passò come un lampo vicino a lui.

    Dannazione! disse, guardando le ali sfreccianti cavalcare la brezza e planare.

    Con un'incredibile velocità dardeggiò su, giù, da sinistra a destra e lungo la sponda del ruscello. Forse il caldo soffocante o la prossima disidratazione stavano facendo brutti scherzi, ma era quasi sicuro che della polvere scintillante stesse inseguendo l'insetto.

    Ben si affrettò verso la farfalla, un premio come nessun altro nella sua collezione.

    Poche farfalle in quella parte del Kentucky avevano simili colori metallici. La prima a cui pensò immediatamente fu la Parrhasius m-album, ma questa era troppo larga e volava più velocemente. Un'altra farfalla con colori simili era l'Urbanus Proteus, ma la lucentezza che sfavillava dalla farfalla, seguendo il corso d'acqua, era troppo luminosa. Il suo volo era pure più irregolare. L'Urbanus Proteus soggiornava vicino ai giardini e lui dubitò di qualsiasi deviazione così addentro la foresta, in quanto il cibo delle larve era la foglia di varie piante di fagioli.

    Ben si accorse che aveva appena scoperto qualcosa di nuovo. L'eccitazione lo colpì dappertutto.

    Si affrettò lungo il corso d'acqua e scavalcò un albero caduto. Il suo improvviso inseguimento non rimase inosservato. La creatura iridescente saettò verso il basso e passò attraverso i piccoli rami di un arbusto.  Ma Ben si mosse più velocemente.

    Come il magnifico esemplare alato schizzò fuori dall'altra parte del cespuglio, Ben curvò d'improvviso la rete e catturò il suo premio. Il fondo della rete tirò e si allungò, quando la sua prigioniera combatté per liberarsi.

    Rapidamente, Ben serrò le sue dita vicino al fondo della rete ma, nel momento in cui l'aveva fatto, la lotta cessò.

    Aprì la rete e guardò al suo interno. I suoi occhi si spalancarono.

    Ma che diavolo? Chiese.

    All'estremità della rete giaceva una creatura bellissima, ma non ciò che lui si era aspettato di catturare. Le sue ali erano a brandelli, logorate. Sperò fosse svenuta, ma temeva che avrebbe potuto morire o forse era già morta. Scaglie rotte e frammenti di ala coprivano il suo corpo quasi totalmente nudo.

    La sua eccitazione dell'inseguimento si trasformò improvvisamente in rimorso e paura.

    Una fata?

    Ben si lasciò cadere sulle ginocchia e posò gentilmente a terra il retino.

    Dio, sospirò. Spero di non averti uccisa.

    Piazzò attentamente la sua mano sinistra vicino alla sua forma immobile. La spinse nel palmo della sua mano con la punta di un dito. Lei respirò, ma i suoi occhi rimasero chiusi. La sua faccia radiosa era più bella di qualsiasi donna lui avesse mai conosciuto.

    Una porta sbatté ed echeggiò vicino al cancello del pascolo, dove aveva parcheggiato il suo SUV.

    Ben guardò oltre la sua spalla ma non riuscì a vedere chi fosse arrivato.

    Ben! Urlò Deiko. Dove sei?

    Maledizione, brontolò Ben sotto il suo sospiro, guardando oltre la sua spalla. Che diavolo ci fai qui?

    Ritornò velocemente all'albero dove giaceva il suo zaino. Richiuse gentilmente la mano sinistra sul corpo floscio della fata mentre raggiungeva lo zaino.

    Ben!

    Ben prese un barattolo di plastica scura a bocca larga, lo mise tra le sue ginocchia e svitò il coperchio perforato. Gettando uno sguardo alle sue spalle vide la figura alta e sgraziata di Deiko procedere adagio verso il boschetto. Quando i loro occhi si incontrarono, Deiko sorrise ed agitò la mano. La sua lenta camminata si tramutò in uno sprint mentre raggiungeva Ben.

    Ben posò la fata nel barattolo, richiuse il coperchio e avvolse il barattolo dentro un panno bianco, prima di riporlo nel suo zaino. Subito dopo averlo riposto lì e aver chiuso la cerniera dello zaino, i passi tuonanti di Deiko si fermarono vicino a lui.

    Hai catturato qualcosa di interessante? chiese Deiko.

    No, replicò Ben guardando verso l’alto ma senza stabilire un contatto visivo con Deiko. Non molta attività qui fuori oggi. Incolpo il caldo.

    Deiko fece un sorriso a trentadue denti. "Hai catturato qualcosa. Qualcosa di speciale."

    Ben scosse la testa, raccolse il suo zaino e si mise in piedi. Guardati attorno. Isaac. Che cosa vedi?

    Deiko si guardò attorno, ma poi i suoi occhi si focalizzarono di nuovo sullo zaino di Ben. Concordo. Non ci sono molti voli in giro. Ma tu hai qualcosa.

    Cosa te lo fa pensare?

    I tuoi occhi. E’ la stessa cosa con i giocatori di poker che hanno un’ottima mano e non si sono ricordati di sopprimere la loro eccitazione, oppure con i bambini che trovano dei soldi per terra dopo che qualcuno li aveva fatti cadere. Diamine, ho visto delle persone alla mostra sulle armi che hanno comprato delle armi molto più economiche di quanto in realtà non siano e i proprietari non sapevano del loro valore.

    Gli occhi di Ben si socchiusero e lui scelse di cambiare argomento. Disse: Com’era la mostra sulle armi? Credevo ci saresti stato tutto il giorno.

    Deiko fece spallucce. Quello era il piano. Non è che ci fosse poi molto. Però ho concluso un paio di buoni affari. Come questa Ruger.

    Dal retro della sua cintura tirò fuori una pistola.

    Bella, risposte Ben. Cautamente, fece scivolare lo zaino sulle sue spalle e si diresse verso il campo di fieno.

    Beh? disse Deiko. Infilò l’arma dietro la sua cintura e si posizionò di fronte a Ben. Non me lo vuoi mostrare?

    Del sudore gocciolava dai capelli neri di Deiko e imperlava la sua fronte. Ben studiò la determinazione che si vedeva negli occhi scuri del suo collega e la sua solida mascella muscolare. Nel giro di pochi secondi la faccia fanciullesca di Deiko si era indurita, diventando quella di un feroce criminale omicida. Fisicamente non aveva nessun peso da mettere dietro quella sua minaccia facciale. Era alto e abbastanza ossuto, con braccia snelle. E sebbene Deiko fosse probabilmente di quindici anni più giovane, Ben non aveva alcun dubbio che, se costretto a combatterlo, sarebbe stato Deiko quello seduto a terra a guardare verso l’alto massaggiandosi la mascella. Però, c’era la questione dell’arma. Isaac era armato e tutto ciò che aveva Ben era un coltello. Nemmeno quelle probabilità erano a favore di Isaac.

    "Mostrarti cosa?" domandò Ben.

    Il tuo premio. Dev’essere qualcosa di bello, visto che tu ancora ti rifiuti di mostrarmelo.

    "Quante volte ti vedo dire che non ho trovato nulla?

    Io e te dovremmo giocare a poker, qualche volta, disse Deiko. Farei una fortuna.

    Ma visto che io non gioco a carte, sei probabilmente nel giusto con quella supposizione.

    Oh avanti, Ben, disse Deiko. L’ostilità apparì nella sua voce e l’oscurità strinse i suoi occhi. Perché hai paura di mostrarmi cos’hai trovato?

    Ben lo studiò per un attimo. Non aveva mai visto Isaac comportarsi come un marmocchio demente e viziato. Aveva i suoi momenti, ma generalmente il Dottor Deiko non teneva mai un tono sommesso e intimidatorio. Ma qui fuori, lontano dagli altri, Ben vide improvvisamente la violenza che si nascondeva nel profondo del botanico, e stava strisciando in superficie. Sapendo che Deiko bramava per la fama, per una scoperta che nessun uomo aveva mai visto o scandagliato, Ben sapeva che non avrebbe mai potuto mostrare la fata a Deiko. Nell'istante in cui l'avesse fatto, sarebbe successo qualcosa di orribile. A Ben e alla bellissima fata.

    Deiko non aveva solo mostrato la sua pistola come il suo grande premio dalla mostra d'armi. Aveva affermato la sua tenue minaccia rivelando di averla portata nel campo. Per la stagione di caccia mancavano ancora alcune settimane, e nessuno aveva bisogno di un'arma per raccogliere farfalle. Aveva mostrato la sua arma per una ragione: o come una tattica di bullismo o semplicemente per manifestare la sua dominanza.

    Credo che il caldo ti stia dando alla testa, Isaac, disse Ben scuotendo la testa e girando al largo dal suo collega.

    Metti giù lo zaino, disse Isaac.

    Cosa?

    Ben si irrigidì quando Isaac inserì il magazzino dentro la pistola e fece scattare la camera dell'arma indietro e avanti.

    Metti giù lo zaino. Voglio vedere cosa stai nascondendo al suo interno.

    Ben si voltò. Guardò negli occhi di Isaac, poi la pistola.

    Isaac scosse la testa. No, no. Posalo a terra.

    Ben si accigliò e calò lentamente il suo zaino sulla terra. Tenne le mani davanti a sé come segno di resa. Stai commettendo un grosso errore.

    Quindi hai trovato qualcosa.

    E se anche fosse? Mi ucciderai per questo? Domandò Ben.

    Isaac sogghignò. Dipende da quanto è interessante questa scoperta.

    Sul serio?

    Isaac non replicò mentre muoveva dei passi verso lo zaino. Mantenne la pistola costantemente mirata verso Ben, e dalla facilità con cui trasportava l'arma Ben sapeva che Isaac aveva molta esperienza nell'utilizzarne una. Le mani di Isaac non tremavano né traballavano. Il suo sguardo glaciale mostrò un lato di lui che Ben non aveva mai visto, e si chiese quali ulteriori parole avrebbero fatto premere il grilletto a Isaac.

    E riguardo a cosa?

    Ben pensò fosse strano che Isaac fosse piegato su ciò che sapeva esserci nello zaino. Il suo tempismo non avrebbe potuto essere pianificato in modo migliore. Aveva corso nel boschetto nel giro di pochi minuti dalla cattura. Senza che gli venisse detto, Isaac presunse automaticamente che Ben aveva fatto una spettacolare scoperta. Ma come? E perché? Poi, Ben notò il binocolo appeso al collo di Isaac. Aveva guardato Ben catturare la fata?

    Isaac tirò la cerniera dello zaino, ma con una sola mano libera non riusciva ad aprirla. La sua frustrazione crescente con la cerniera agitò Ben. Isaac sembrava a pochi secondi da un'esplosione che avrebbe potuto essere mortale.

    Metti via la pistola, disse Ben in tono calmo, quasi di scusa. Ti mostrerò cosa c'è dentro lo zaino.

    Isaac lo guardò di sottecchi, poco convinto.

    Ben sorrise e distese le mani mentre gli offriva una leggera alzata di spalle. Guarda, la vecchia cerniera rimane incollata comunque. Devo quasi usare una combinazione di strappi per far leva e aprirla.

    Isaac sospirò e il rimorso eclissò il suo viso. Riposa l'arma dietro la sua cintura. Non so cosa mi sia successo, disse.

    Già, neanche io.

    Mi dispiace. Stavo solo giocando.

    Non da come l'ho vista io, disse Ben in un tono piatto.

    Ben si abbassò per raggiungere lo zaino ma, invece di afferrarlo, roteò e piantò rapidamente il suo stivale tra le gambe di Isaac. Gli occhi di Isaac si spalancarono. Si strinse, si piegò in avanti e cadde faccia in giù sul terreno. Ben prese la pistola e lo zaino.

    Guardando in basso verso il suo collega ansante, Ben sogghignò e disse: Non sono un fan delle armi. Preferisco usare le mie mani e i miei piedi. O i coltelli.

    Isaac gemette e si contorse dal dolore.

    Non dovresti giocare con le pistole, disse Ben girandosi per andarsene.

    Non era carica, disse Isaac sforzandosi di far uscire le parole. Diavolo, lo sai che io faccio degli scherzi tutto il tempo.

    Sei veramente fortunato a non essere morto. Avrei potuto sopprimerti col mio coltello in meno di pochi secondi.

    Sapevi che la pistola non era carica?

    "No, ma anche se lo fosse stata non avrebbe avuto importanza. Avrei potuto colpirti col coltello prima che tu potessi premere il grilletto."

    Isaac si avvicinò al suo fianco e disse: Hai sul serio meditato di farlo?

    Sì.

    Posso almeno avere indietro la mia arma?

    "Io non la voglio, ma cosa ti fa credere che tu te la meriti?"

    L'ho comprata.

    Ben fece spallucce. La lascerò sul tuo veicolo.  Ma c'è una cosa che devi ricordare.

    Cosa?

    "Non chiedere mai di venire a fare un'escursione o raccogliere insetti con me. Anzi, non parlarmi proprio. Fissatelo, anzi no, marcatelo bene in testa. Capito?"

    Certo, nessun problema, balbettò Isaac tra rantoli dolorosi.

    Ben si voltò e si incamminò.

    Allora con chi parlerò della tua donna alata? Chiese. Immagino che le fate esistano.

    Ben smise di camminare.

    Come pensavo, disse Isaac. Prese un paio di profondi e dolorosi respiri e continuò: L'hai catturata. I miei occhi non mi stavano prendendo in giro.

    Non so di cosa tu stia parlando, disse Ben.

    Il mondo saprà di lei, disse Isaac. Troverò le prove che mi servono e lo farò sapere a tutti.

    Ben si affrettò verso il suo SUV.

    L'ho vista! Insistette Isaac. Tu la hai. Non puoi continuare a nasconderla.

    Ben aprì il cancello del pascolo e urlò: Il caldo ti sta facendo delirare, Isaac. Ti consiglio di trovare un posto dove rinfrescarti e reidratarti.

    Smontò l'arma senza proiettili e gettò i pezzi nel rimorchio del veicolo di Isaac, poi salì sul suo SUV. Avviò il motore, accese l'aria condizionata e aprì rapidamente la cerniera dello zaino. Prese il barattolo con la fata e lo piazzò dove l'aria più fresca avrebbe potuto raggiungerla. I suoi sensi di colpa erano abbastanza pesanti. L'aveva già ferita col suo retino. L'ultima cosa che voleva era la sua morte a causa del caldo soffocante dentro il barattolo.

    Capitolo due

    Ben guidò il suo SUV sulla sinuosa e ripida strada verso casa, situata sul bordo di un promontorio. Il suo garage era stato costruito sul versante roccioso della montagna. Parcheggiò il SUV e portò in casa il barattolo contenente la fata.

    Lo trasportò nel suo studio, dove teneva la sua vasta collezione di insetti. Le mura ospitavano scaffali incassati di mogano colorato. Scatole con la superficie vetrata coprivano il tavolo in fòrmica nero. Teneva un microscopio e dei tavolati per la dissezione al centro del tavolo.  Una catasta di giornali de Il giornale della società Lepidoptera giaceva ben posizionata vicino alla lampada. Dopo aver acceso la lampadina da scrivania, aprì il barattolo e guardò al suo interno.

    La fata giaceva scomposta lungo il fondo del barattolo. Respirava lievemente, ma non si era ancora risvegliata. Le sue sbrindellate ali metalliche erano afflosciate attorno alla sua figura mezza nuda. Scaglie colorate coprivano i suoi seni, il suo didietro e la sua zona pubica.

    Ben la fece gentilmente scivolare fuori dal barattolo e la sistemò sopra uno spesso quadrato di cotone.

    Ammirando la sua bellezza e addolorato dal danno che lui le aveva inflitto, sussurrò: Mi dispiace così tanto.

    Ben prese un altro pezzo di cotone spesso e un paio di forbici. Ritagliò un cerchio e infilò il cotone in un barattolo di vetro di un gallone. Dopo che ebbe finito, pose la fata sullo strato di cotone e coprì la cima del barattolo con un drappo trasparente. Utilizzò un grosso elastico per tenere fermo il tessuto.

    Rivolse la sua attenzione ad una lavagna spillata, dove parecchie grandi falene cecropie erano state stese ad essiccare. Prese la lavagna ed ispezionò le falene.

    Ben abbandonò la stanza per pochi minuti, per prendere dei grilli vivi con cui cibare le sue due tarantole nel terrario. Lasciò cadere diversi grilli nella gabbia di ogni ragno. Le grandi tarantole si avventarono rapidamente sui grilli e masticarono attraverso i loro morbidi stomaci mentre facevano rotolare i succulenti insetti tra le loro larghe zanne.

    Assassino!

    Ben si voltò e guardò il barattolo di gallone. La fata stava ferma con le braccia incrociate. Lo guardava. Un cipiglio rigido sgualcì il suo bellissimo viso. Premette le mani contro il vetro e i palmi delle sue dita brillarono di verde. Le sue ali spezzate e sbrindellate sembravano come nastri appesi sulla sua schiena.

    Mise giù la lavagna e si girò per guardarla.

    Assassino! Disse lei, fumante.

    Qual è il tuo nome? Chiese lui.

    Lei lo fissò. I suoi occhi smeraldo irradiavano furia.

    Senti, disse Ben. Mi dispiace di averti ferita. Non avrei mai immaginato che qualcosa come te esistesse.

    Lei incrociò le braccia e i suoi occhi si socchiusero ancora di più.

    Qual è il tuo nome? Potresti dirmelo, per favore?

    Shawndirea, rispose lei con un tono aspro.

    Un nome stupendo.

    Io sono la prossima? Chiese lei.

    A cosa?

    A morire.

    Perché dici questo?

    Shawndirea fece un cenno col capo verso le lavagne spillate. "Li hai uccisi. E mi stai tenendo come prigioniera in questa... bottiglia di vetro. Non vedo perché dovresti risparmiarmi."

    Non era mia intenzione farti del male.

    Ciò nonostante...il tuo intento è stato brutale.

    Lo so. Credevo fossi una farfalla. Non avrei mai immaginato tu fossi una...

    Fata?

    Sì. Non ti avrei mai fatto del male. Non ti avrei catturata. Sei più bella di qualsiasi creatura io abbia mai visto.

    Eppure, le uccidi tutte senza rimorso.

    Loro non sono come te.

    Lei tenne in vista, per mostrargliela, un pezzo della sua ala a brandelli. Con occhi spalancati, scrollò le spalle. Ah, no? Disse.

    Ben sospirò. Loro sono insetti. Tu sei molto più di quello.

    "Davvero? Quindi stai dicendo che queste farfalle e falene valgono meno di me?"

    Certamente.

    Il pezzo di ala sbrindellata scivolò dalle sue dita. Incrociò di nuovo le braccia e disse: Umani. Tutti voi pensate simili sciocchezze insensate. Pensate che tutte le altre creature siano al di sotto di voi. Siete più selvaggi di quanto crediate.

    Sbalordito, Ben disse: Quindi tu consideri gli insetti pari a te?

    Abbiamo tutti il nostro posto.

    Sono d'accordo, ma tu sei l'unica fata che io abbia mai visto.

    Shawndirea si accigliò. Beh, non vederne una non significa che io non esista, giusto?

    Non posso negare la tua esistenza, ma perché non ne vediamo altre della tua specie?

    Perché abbiamo deciso di non abitare nel vostro regno, e con buone ragioni, come puoi vedere. Tenne le sue braccia all'altezza delle spalle, mostrando i nastri strappati delle sue un tempo gloriose ali. Una lacrima gocciolò dal suo occhio e screziò la sua guancia.

    Gli occhi di Ben si inumidirono di lacrime. Sono veramente dispiaciuto. Non so come risolvere questa cosa.

    "Ovviamente, non c'è nulla che tu possa fare per ribaltare la mia situazione."

    Tu puoi?

    No.

    Quindi le fate non possono fare magie?

    Possiamo, solo non su noi stesse.

    Ci dovrà essere un modo per riparare le tue ali, disse lui.

    Non in questo regno.

    Potrei riportarti nel tuo.

    Subirei una punizione più grande per aver portato un umano che il danno che tu mi hai già inflitto.

    Di nuovo, disse Ben, allargando le mani.

    Niente più scuse.

    Ben si avvicinò al barattolo. Fissò i bellissimi occhi infuriati di lei. Mentre lei studiava i suoi, la freddezza negli occhi si affievolì. Guardò da un'altra parte, alquanto sorpresa e spaventata.

    Tutto bene?

    Lei asciugò le lacrime dai suoi brillanti occhi verdi.

    Voglio dire, oltre la perdita delle tue ali?

    Sopravvivrò, se è quello che ti stai chiedendo, replicò lei in una voce dolce e triste.

    Ben fece un leggero cenno con la testa. Tu...tu non morirai dissanguata, o qualcosa del genere?

    No.

    Ascolta, se me lo permetterai, sarei felice di riportarti alla tua patria. Ovviamente, dovresti mostrarmi come arrivarci.

    No, rispose lei. I rischi sono troppo grandi per me e te.

    Temo che, se tu rimani qui, i rischi saranno ancora più grandi per noi.

    Shawndirea si voltò e lo fissò, sentendo un lieve suono di preoccupazione nella sua voce.

    Perché? Domandò lei.

    Non sono l'unico che sa della tua esistenza.

    E quindi?

    Ben scosse la testa, prese il barattolo tra le mani e lo tenne a pochi pollici dalla sua faccia. No, non capisci. L'uomo che sa di te probabilmente mi ucciderebbe per prenderti.

    Oh, non sono così importante.

    Per lui lo sei.

    Che cosa te lo fa credere? Gli chiese.

    Perché prima ha tirato fuori una pistola contro di me.

    Ma tu mi possiedi.

    Ben scrollò le spalle. La sua arma era scarica ma, una volta che scopre dove vivo, ne porterà una carica.

    Dubito lui sarà così ostinato.

    Se tu avessi visto quel luccichio vorace nei suoi occhi, mi crederesti. Sarebbe proprio capace di uccidere, nel suo attuale stato mentale.

    E se dovesse prendermi, cosa mi farebbe? Tu hai fatto abbastanza dan... Scosse la testa e agitò le mani. Scusa. Ti sei già scusato. Comunque, che male pensi potrebbe farmi?

    Ben inghiottì a fatica, poi prese un respiro profondo. Peggiore di quello che io ho fatto con queste farfalle e con queste falene.

    Gli occhi di Shawndirea si allargarono leggermente. Il suo viso impallidì. Le sue spalle si abbassarono.

    Raggiungere il mio regno non è facile. Ci sono pericoli che tu non hai mai incontrato. Cose orribili che tu non hai mai immaginato. Creature come nessun'altra nel tuo regno.

    "Può darsi, ma te lo devo."

    Non mi devi niente... I suoi occhi rimasero fissi, interrogativi. Non mi hai mai detto il tuo nome.

    Lui sorrise. Ben.

    Con un lieve cipiglio, lei scosse la testa e disse: Quel nome non ti sta bene.

    Ne hai uno migliore? Chiese lui con un lieve sorriso.

    Shawndirea incrociò le braccia e si toccò il mento col dito indice. Sono sicura che me ne arriverà uno più tardi.

    Ben ridacchiò. Quando succede, dimmelo. Sono curioso di sapere cosa sceglierai.

    Oh, lo farò. Ma tu non mi devi nulla.

    Ti riporterò a casa.

    Non fare una promessa che non puoi mantenere.

    Il sorriso di Ben aprì la sua barba. Ti riporterò a casa.

    Nervosismo e preoccupazione si riflettevano nei suoi profondi occhi verdi. Vedremo.

    Immagino di doverti trovare un posto per la notte. Probabilmente questa stanza ti mette a disagio.

    No, va bene.

    Qui?

    Shawndirea annuì.

    Questi insetti morti ti avevano ovviamente disturbata, prima. Perché vorresti stare qui con loro?

    Lei fece spallucce. Per ragioni spirituali.

    Ben mise giù il barattolo e, con uno sguardo confuso, chiese: Sei sicura?

    Lei annuì.

    Non posso lasciarti in questo barattolo, disse lui.

    Va bene. Starò bene.

    Non voglio che tu ti senta come se ti avessi imprigionata.

    Lei scosse la testa. "Con le mie ali danneggiate, a dire il vero sono più sicura dentro il vetro che fuori."

    Da?

    Topi, ragni o qualsiasi altra cosa possa frequentare la tua casa, disse lei con un sorriso ironico.

    "Ho capito, non pulisco molto. Ma la casa non è infestata da roditori. Forse ragni, ma non topi o ratti."

    Lei rise. Senza ali per volare, sono davvero più al sicuro dentro questo involucro di vetro.

    Ben sorrise. Come prima cosa, domani mattina ti farò uscire da lì.

    Capitolo tre

    Deiko camminava sul pavimento del salotto del suo appartamento. Dal primo momento in cui aveva visto Ben catturare quella fata, Deiko era posseduto da uno strano ed improvviso desiderio di averla tutta per sé. Non aveva mai avuto un sentimento che lo rosicchiasse all'interno con un'opprimente insistenza. Non aveva capito né riusciva a spiegarsi perché doveva averla a tutti i costi. Non riusciva a scacciar via la forza oscura che lo stava controllando.

    Fece scorrere le dita attraverso i suoi capelli neri ed emise un basso grugnito di frustrazione. Raccolse il suo cellulare dal tavolino e scorse attraverso i suoi contatti. Toccò lo schermo e compose il numero del capo del dipartimento di biologia.

    Dottor Thorsom, sono Isaac.

    Thorsom sbadigliò chiaramente e disse: E' meglio che sia importante. E' spaventosamente tardi per chiamarmi.

    Mi scusi. Potrebbe dirmi come posso mettermi in contatto con Ben?

    Ben Whytten?

    Sì.

    A quest'ora? Perché?

    Deiko strinse gli occhi e si morse il labbro superiore. Rilasciando un sospiro sospeso, disse: E' un fatto personale.

    E' urgente? Chiese Thorsom con agitazione.

    Sì, credo di sì.

    Hai provato a chiamarlo?

    Deiko rispose: "Non ha un cellulare. Tutti al campus lo sanno."

    Telefono fisso, disse Thorsom fermamente.

    E' disconnesso. O perlomeno, questa è la risposta che ho ricevuto quando avevo provato a chiamare.

    Allora non so cos'altro dirti. Non ho idea di dove abiti.

    Lei è andato in escursione e a pesca con lui.

    E quindi?

    E non l'ha mai portata a casa sua?

    "Mai. E poi, sono fatti tuoi?"

    Mi sembra solo strano, tutto qui, disse Deiko.

    Ben è un uomo privato. Preferisce stare sul suo, invece di fare come le sue priorità di insegnante richiedono; non ho un indizio di cosa lui faccia durante il suo tempo libero. Prendi un po' spunto da lui e smettila di impicciarti nelle vite di altre persone.

    Delle vene spuntarono sulla fronte di Deiko. Si sollevò improvvisamente un furore insolito. Proprio quando stava per urlare nel cellulare, capì che Thorsom aveva chiuso la chiamata.

    Maledizione! Gridò Deiko.

    Come desiderava di stare parlando con un telefono fisso, così da poter sbattere la cornetta! La sua precipitosa rabbia gli fece quasi gettare il suo costoso smart phone contro il muro, ma si riprese un secondo prima di lanciarlo.

    Fumando di rabbia, andò verso il suo computer e digitò il nome di Ben, descrizione di posizione e la graduatoria al college, sperando che il motore di ricerca lo portasse ad un indirizzo dove avrebbe potuto trovare Ben.

    Affiorarono pochissime informazioni.

    Deiko sospettò che Ben vivesse sotto falso nome, perché si sapeva che Internet tracciava le persone. File su delle informazioni personali dettagliate erano fin troppo facili da trovare, ma le tracce di Ben sembrava fossero state cancellate.

    Perché non hai una pista da seguire? Sussurrò Deiko.

    Provò a fare un paio di ricerche aggiornate, ma non spuntò nulla di nuovo.

    Nella sua mente dipinse la piccola fata iridescente che Ben prese dal retino per farfalle. Voleva la fata. Aveva bisogno della fata. Una volta avuta, tutto quello che lui aveva sognato di ottenere sarebbe caduto ai suoi piedi - notorietà, soldi e successo -. Verrebbe riconosciuto come l'uomo che svelò un mito immaginario come una genuina verità. Ma quello non era il solo impulso a spingerlo ad ottenerla. Qualcosa di più intenso si faceva largo nella sua mente e la rendeva l'obiettivo dei suoi più profondi desideri.

    Ma prima, doveva trovare il luogo in cui Ben viveva. Non si sarebbe riposato finché non l'avesse trovato e avesse preso la fata per sé. Lanciando il cellulare sul divano, afferrò la Ruger che aveva comprato alla mostra d'armi.

    Ben conosceva più cose sulle armi di quanto volesse far sapere a Deiko.

    Altrimenti, ragionò Isaac, Ben non avrebbe smontato la pistola così velocemente. Anzi, avrebbe probabilmente gettato l'arma nel rimorchio del pick-up e se ne sarebbe andato.

    Dopo essere arrivato a casa, Deiko pulì l'arma e la rimise a posto. Il procedimento sistematico passò senza tanti pensieri, quasi come se avesse lavorato in trance. Quando i pezzi furono al loro posto, osservò il metallo luccicante e sorrise. Rilasciò la molletta e pose il caricatore sul tavolino da caffè. Aprì una scatola di proiettili e ne contò dieci. Li tenne nella sua mano finché la loro freddezza non svanì, poi calcolò il loro peso. Con un movimento metodico inserì nove colpi. Tenne l'ultimo tra il pollice e l'indice, e lo guardò.

    Dipinse di nuovo la fata volante e l'esotismo di avere una creatura simile per sé. Più pensava a lei, meno interessanti divenivano la fama e il denaro. Certo, ovviamente voleva tutto quanto, ma possedere lei sembrava la cosa più importante.

    Alcuni momenti dopo, la fitta di dolore all'inguine lo fece trasalire. La rabba bolliva dentro di lui, quando pensava al colpo basso che aveva preso Ben quando lo aveva calciato. Il forte calcio lo aveva fatto cadere e, ore dopo, il dolore continuava a diffondersi dal suo scroto gravemente contuso. Temeva di aver subito una rottura e aveva bisogno di vedere un medico, ma non riusciva a affrontare il compito di avere uno sconosciuto a ispezionargli la ferita. Era troppo imbrazzante, ma se il dolore avesse persistito...

    I suoi occhi si bloccarono sulla pallottola. Incredibile come qualcosa di così piccolo potesse porre fine alla vita di un uomo. Morte istantanea se il colpo andava perfettamente a segno. Agonizzante nel caso contrario.

    Per via del dolore che Isaac soffriva, egli voleva che il suo collega patisse un'agonia peggiore. Piazzò l'ultimo proiettile nella molletta, che sbatté nella Ruger. Avesse scoperto in che luogo abitava Ben, avrebbe concluso tutto quella notte e avrebbe preso la fata. Ora, però, doveva aspettare finché Ben non fosse andato al campus, quindi seguirlo durante il suo ritorno a casa. Fino a quel momento, la furia di Deiko si intensificava.

    Capitolo quattro

    Ben spense la sua sveglia cinque minuti prima che fosse programmata per svegliarlo. Gli riuscì difficile dormire durante la notte. Continuava a pensare a Shawndirea. La sua sbalorditiva bellezza gli faceva battere forte il cuore. Combatté con l'impulso di tornare alla stanza dove lei si trovava, perché non voleva che lei si sentisse intimidita dalla sua presenza. Pensò a diverse cose da dirle, da chiederle. Sebbene fosse minuscola, lo intimoriva. Si sforzò di trovare le parole giuste da dirle, come se si stesse preparando a chiedere ad una meravigliosa donna un'uscita per un primo appuntamento. Non riusciva proprio ad immaginare perché lei lo facesse sentire inadeguato, ma il suo battito aumentava e il sudore rivestiva le sue mani ogni volta che pensava a lei. Il nervosismo faceva tremare il suo stomaco.

    La sua bellezza lo attraeva e la perfezione del suo viso era incisa nella sua mente. Persino con le ali danneggiate, si manteneva con una regalità d'élite. Desiderava poter in qualche modo ridursi alla sua misura, ma anche se avesse potuto non credeva che lei lo avrebbe mai perdonato per il danno fatto alle sue ali.

    Ben si addolorò delle sue ferite. Cercò di immaginare quanto meravigliose fossero state le sue ali prima di giungere sul suo cammino.

    Si vestì di corsa. Si insinuò attraverso il corridoio stretto. In apprensione e con un po' di eccitazione, si avvicinò allo studio dove lei si trovava. Non aveva mai avuto un simile miscuglio di emozioni pulsare attraverso di lui. Girando lentamente il pomello della porta, la aprì delicatamente. La stanza ronzò con suoni stridenti e delicati.

    Uno svolazzare e raschiare piumato colpì il bordo della porta. La spalancò del tutto. Sbalordito, non riusciva a credere a cosa stesse vedendo. I suoi occhi si allargarono e le sue mani caddero ai suoi fianchi.

    Ogni farfalla e falena che aveva raccolto e incorniciato nelle scatole con la superficie vetrata volava attorno alla stanza. Anche le migliaia presenti nelle casse acccantonate volavano.

    Erano miracolosamente vive e svolazzavano delicatamente nell'aria.

    Shawndirea sedeva sul batuffolo di cotone in fondo al barattolo, con un ampio sorriso sulla sua faccia. Il suo sorriso era il più bel sorriso che lui avesse mai visto. Gli occhi di lei si illuminavano e il suo viso brillava. L'arricciatura delle sue labbra era perfetta. Il cuore di lui accelerò. Il suo fascino sgorgava in modo più elegante, rispetto all'andare alla deriva nella stanza delle farfalle e delle falene. Solo il suo sorriso bastava per fargli accarezzare il prossimo respiro, il prossimo battito cardiaco. Un mondo senza la vita del suo sorriso sarebbe offuscato, oscuro e pieno di tristezza.

    Per la prima volta nella sua vita, sapeva di poter dare il suo cuore e la devozione alla vita a qualcun altro. Sebbene lei fosse una fata, sentì la propria anima cercare di raggiungere la sua. Non aveva dubbi che il suo inaspettato desiderio fosse affinato con l'amore e il destino.

    Erano stati trasportati insieme per una ragione, e lui credeva che fosse qualcosa di più che riportarla semplicemente alla sua patria.

    Delle farfalle si ammucchiarono sul bordo della bottiglia di vetro e la picchiettarono con le loro antenne, come se stessero rendendo omaggio alla loro regina. Ogni volta che una lo faceva, lei soffiava un bacio nella sua direzione e ridacchiava. La farfalla andava poi verso l'alto e si librava pigramente.

    Ben si schiarì la gola.

    Shawndirea si voltò con un sobbalzo.

    Che cosa hai fatto? Chiese.

    Quando lei guardò la sua faccia stupita, scrollò leggermente le spalle e storse il naso.

    Gli occhi di Ben passarono dalla farfalla alla falena e di nuovo alla farfalla mentre chiedeva: "Come lo hai fatto?"

    Lei sorrise. In che modo?

    Magia? Chiese lui.

    Ovvio.

    Un giorno prima lui sarebbe stato fuori di sé, possibilmente sarebbe impazzito, se fosse successo qualcosa alla sua collezione. Ma il calore del suo sorriso che attirava a lei le farfalle gli fece capire che quelle erano più che dei semplici trofei da uccidere e esporre. Loro avevano delle identità che Shawndirea riconobbe e sperò di identificarle anche lui, un giorno. Lei aveva un modo per comunicare con quei gloriosi insetti. Per qualche strana ragione, loro la conoscevano.

    Sentire la sua risata ogni volta che una farfalla la salutava impedì a Ben di vedere la scena come una perdita e, incredibilmente, era ansioso di vedere quali altri sorprese potesse rivelare la piccola fata.

    Le specie che lui aveva collezionato per oltre un decennio fluttuavano per la stanza. I suoi dati datati e dettagliati della collezione erano ora inutili. Alcuni biologi impazzivano quando il fuoco o le inondazioni distruggevano le loro collezioni di una vita. Una risata si insinuò in lui. Non sentiva proprio alcuna perdita. Solo una parola spiegava ciò che era accaduto durante la notte.

    Magia.

    Quello era l'unico modo per definire ciò che era avvenuto. Tutto ciò che era rimasto nelle scatole degli insetti erano i chiodi che, precedentemente, rassomigliavano a sottili pugnali di ferro inossidabile attraverso i loro cuori. Ma le falene e le farfalle volavano tutt'intorno alla stanza. Erano state essiccate ed erano fragili. Le guardava planare e, improvvisamente, le vide in modo diverso. Quando riconoscevano e salutavano la fatina la loro connessione, la loro unione era differente da qualsiasi cosa lui avesse saputo. Ogni insetto era unico e aveva delle personalità che lui, in precedenza, non era riuscito a riconoscere. Sebbene non potesse comunicare con loro come faceva lei, bramò l'abilità. Invece di distruggere, voleva preservare.

    L'astuto sogghigno che arricciò le sue labbra portò un grande sorriso alla sua faccia. Pochi secondi dopo, lui si trovò a ridere.

    Non sei arrabbiato? Chiese lei.

    Ben scosse la testa. No.

    Sono stupita, rispose lei.

    Perché?

    "La maggior parte degli umani si infurierebbe alla perdita dei loro premi."

    Ben fece spallucce. Può darsi. Ma io non sono come la maggior parte degli umani.

    Shawndirea gli offrì un piccolo sorriso. I suoi occhi brillanti sbirciarono in quelli di lui, e lei disse: Sto iniziando a percepirlo, il che aiuterà a determinare un nome più appropriato per te.

    Oh? Non ne hai ancora in mente uno?

    Piantò fermamente le mani sui suoi fianchi e disse: Come puoi vedere, sono stata un po' impegnata, ma non ci vorrà molto.

    Ben sorrise. "Quindi ecco perché volevi restare qui, la scorsa notte."

    Lei annuì.

    Credevo che la tua ragione fosse più spirituale.

    Riesci a pensare a qualcosa di più spirituale di creature che vengono riportate in vita dalla morte?

    Suppongo di no. Vedo che non hai liberato le tarantole.

    I ragni non rispettano la nostra specie. Liberarle significherebbe mettere me e le farfalle in grave pericolo. Non posso permetterlo.

    Capisco.

    Quindi, disse lei, Che cosa farai, ora che la tua collezione ha preso il volo?

    Lascia che te lo mostri.

    Ben camminò cautamente attraverso la stanza, fino alla finestra. Diverse farfalle battevano contro il vetro cercando di uscire. Una moltitudine di grandi falene si era attaccata alle tende, tanto che il tessuto era a malapena visibile. Lui sbloccò la finestra e alzò delicatamente il vetro. Con un pugno veloce e massiccio buttò giù la retina.

    Veramente? Disse lei, Così? Li stai lasciando andare?

    Dopo che la brezza esterna ebbe fluito nella stanza, le libere farfalle si ammucchiarono a dozzine attraverso la finestra aperta. Le pigre falene si avvinghiarono alle tende.

    Cosa ti aspettavi che facessi?

    Che tu recuperassi la tua collezione.

    Non potrei. Scosse la testa. Non posso.

    Persino dopo tutto il tempo che hai investito?

    No. Temo di non riuscire ad ucciderli di nuovo.

    Se fossi stata capace di teletrasportarmi nel mio mondo? Andata in un istante? Mai più vista nuovamente? Avresti provato a catturarli?

    Il suo cuore soffrì di più al pensiero della sua sparizione che vedere la collezione tornare selvaggia. Per un momento, non riuscì a parlare. Finalmente, si schiarì la gola e disse: Trovo difficile da credere che lo avrei mai detto, ma credo che tu mi abbia rovinato. Non potrei uccidere nessuno di essi. Qui o da qualunque altra parte. Dovrò bruciare tutti i miei retini da caccia.

    Bene, disse lei con un cenno di assenso. Questo è più che nobile. Ora so di potermi fidare di te.

    Per?

    Shawndirea sorrise. Per riportami alla mia patria.

    Te l'ho detto che lo avrei fatto.

    Lo so, ma credo che tu farai qualsiasi cosa potrai, pur di proteggerci.

    Il fatto che io tenga la tua esistenza nascosta dal resto del mondo dovrebbe essere abbastanza per farti capire che ti proteggerei. E' anche una ragione del perché devo riportarti a casa prima che il mio collega ci trovi. La sua avidità per la ricchezza e la fama ci dà poco tempo.

    La preoccupazione solcò la sua fronte. Credi davvero che ti ucciderebbe, pur di ottenermi?

    Non lo metterei in dubbio. Di certo non voglio rischiare.

    Dubito che capirò mai gli umani.

    Ben annuì. "Io sono un umano, e neppure io capisco la mia specie."

    Raggiunse il fondo del barattolo. Shawndirea salì sul suo palmo. La tirò fuori e e la fece salire sul tavolo. Molte delle rimanenti farfalle si librarono verso il basso e baciarono educatamente le sue guance con le loro lingue. Lei accarezzò i lati dei loro visi e sussurrò qualcosa Ben ritenne fossero delle benedizioni.

    Shawndirea alzò le braccia oltre la sua testa e stiracchiò le sue dita. Chiuse gli occhi e parlò in un linguaggio che Ben non riconobbe. Una luce verde brillò attorno ai piedi di lei e si irradiò attraverso il suo corpo. Alcuni secondi dopo, la luce scintillò dai suoi polpastrelli. Le falene sulle tende si svegliarono e agitarono pigramente le loro ali. Sganciarono le loro zampe dalle tende e volarono impacciatamente fuori dalla finestra.

    Quando il colore verdastro che la circondava sparì, lei si afflosciò come un fiore appassito e cadde lentamente sulle ginocchia, esausta. Mantenne gli occhi chiusi, si sdraiò e si arricciò in una posizione fetale.

    Stai bene? Chiese Ben.

    Tutto a posto. Solo un po' stanca.

    Che hai fatto?

    Li ho mandati a tornare nella natura selvaggia con le mie benedizioni. Hanno ancora tempo per riprodursi, prima che le foglie spariscano.

    Le calde temperature da record sono durate molto più del normale, quest'anno. L'inverno arriverà in ritardo.

    Shawndirea aprì leggermente gli occhi. Quando notò Ben fissarla, diede un debole sorriso e sospirò.

    Sei pallida. Sei sicura di stare bene? Chiese lui.

    Molto debole, sussurrò lei prima di chiudere i suoi occhi.

    Ben portò una sedia da scrivania imbottita al bordo del tavolo e si sedette. Cosa posso portarti da mangiare o da bere? Non ho alcuna idea cosa le fate mangino.

    Miele mischiato all'acqua. Qualsiasi frutto fresco andrà bene.

    Riposa, disse lui alzandosi. Ti porterò della frutta e qualcosa da bere.

    Grazie, disse lei con un sorriso debole.

    Dopo aver riconquistato le forze, devi dirmi come posso portarti a casa.

    Lo farò.

    Sarò subito di ritorno.

    ***

    Shawndirea volle alzarsi sui suoi piedi ma le vertigini le impedirono di farlo. Anche solo inclinare la testa fece ancor più male al suo stomaco.

    Quell'umano l’aveva sorpresa più di

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