Racconti della Movida
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Questi racconti descrivono “… sensazioni, incubi, deliri, fantasie lucide e malate, che hanno accompagnato gli ultimi cinque anni della vita dell’autore, da quando la movida del quartiere torinese di San Salvario è entrata pesantemente nelle sue notti, togliendogli il sonno e, poco alla volta, ogni piacere della vita.”
Narrazioni sempre in bilico tra il reale e il grottesco, tra il vissuto e l’immaginato, che lasciano amarezza e inquietudine. È troppo tardi per trovare soluzioni?
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Anteprima del libro
Racconti della Movida - Marco Salvario
salvario@hotmail.com
Introduzione
Cara Lettrice, caro Lettore,
il libro che hai appena aperto non è nato come un’antologia di racconti, non pretende di essere una denunzia fedele e neppure va considerato l’estemporaneo sfogo di un uomo frustrato. Sfogliandolo troverai una raccolta di episodi veri o verosimili: sensazioni, incubi, deliri, fantasie lucide e malate, che hanno accompagnato gli ultimi cinque anni della mia vita, da quando la movida del quartiere torinese di San Salvario è entrata pesantemente nelle mie notti, togliendomi il sonno e, poco alla volta, ogni piacere della vita.
Sono pagine che non avrei mai voluto avere occasione di scrivere, un tentativo ultimo e disperato di lottare per i tanti residenti di San Salvario e delle tante San Salvario che ci sono in Italia e nel mondo.
Quando studiavo all’università, i miei compagni di corso mi confessarono che speravano che le sessioni di esami mi andassero male, perché ero molto divertente quando mi lamentavo; mi auguro quindi che, nelle mie esternazioni, i miei malcapitati lettori riescano a capirmi e ad amaramente sorridere di me e con me. Desidero con tutto il cuore che, dal male che ho accumulato nel sangue, nella testa e nello stomaco in questi anni, nasca qualcosa di buono.
La mia speranza, la mia illusione, è che chi di questa situazione è colpevole per opere o omissioni, si adoperi per restituire il sonno ai tanti che stanno soffrendo e si ammalano per causa del rumore delle notti, soprattutto i bambini e gli anziani.
I racconti documentano un periodo di un lustro, momenti diversi che si evolvono al cambiare delle situazioni logistiche con locali che aprono, chiudono, cambiano gestione, mentre si capovolge la situazione politica con nuovi assessori, nuovi regolamenti e nuovi questori, e i giornalisti si adattano chiudendo gli occhi o seguendo le mode e gli interessi che è più comodo seguire.
Non sono stato in grado di dividere la movida da com’era una volta a com’è ora; spero che questo non sia causa di confusioni o equivoci; non sto accusando e processando nessuno, non m’interessa il passato quanto il futuro.
Se da qualche parte di Italia esiste un locale che si chiama Asterisco, non è a lui che questi racconti fanno spesso riferimento. Decida il lettore:
Ho chiamato Asterisco un locale che non esiste.
Ho chiamato Asterisco un locale che esiste ed è ogni locale notturno del quartiere torinese di San Salvario, tra la stazione di Porta Nuova e il Parco del Valentino.
Ho chiamato Asterisco un locale che è al settantacinque per cento la somma dei locali che ho sotto casa, gli ho aggiunto un venti percento di altri locali della zona, una spruzzata di pura fantasia e di veri febbricitanti deliri.
Ho attinto sovente ai dialoghi con conoscenti, vicini di casa e abitanti della zona; sono stati una fonte ricchissima, che mi ha travolto con il suo fiume impetuoso di lacrime amare, alla quale non sono riuscito a dare in queste pagine la giusta intensità.
Ho cercato di contenere il numero e la lunghezza dei racconti per evitare di ripetermi troppo, la lingua batte sempre dove il dente duole, e non desidero che il numero di queste pagine, scritte e raccolte con grande fatica in momenti di esasperazione e sconforto, diventi per gli incauti lettori una sfida impossibile.
Un’ultima doverosa precisazione, sicuramente superflua; non ho mai provato a realizzare una bomba a orologeria e, se ci avessi provato, probabilmente sarei stato vittima della mia assoluta incapacità manuale. E non sputo dal mio balcone.
In conclusione, quanto leggerete nel seguito, non è mai una narrazione fedele; chi ha trascorso insonne migliaia di ore senza riuscire a sfuggire a una tortura crudele, avendo la sola colpa di vivere in un quartiere invece che un altro, ha accumulato nella propria carne e nelle proprie viscere una tale negatività da non potere essere obiettivo.
Marco Salvario
Torino, 2018
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
La bottiglia
Via Nizza è una lunghissima strada di Torino che, imboccandola al suo inizio da Corso Vittorio, ha alla sua destra la stazione di Porta Nuova in eterna ristrutturazione e alla sinistra eleganti portici, che da una ventina di anni sono abbandonati al degrado. Quella zona è il regno di venditori di prodotti contraffatti, prostitute decisamente poco desiderabili e, da qualche tempo, di clandestini in attesa di un caporale che offra loro lavoro; manovalanza sempre disponibile a bassissimo prezzo e, intanto, i poveracci si gonfiano delle birre e delle grappe più economiche, mangiano quello che riescono e dormono dove trovano. L'accattonaggio è sistematico e insistente, in certe occasioni assillante e minaccioso; se non paghi un obolo, ti infilano senza complimenti le mani nelle tasche.
Questo sabato mattina una lussuosa Mercedes è ostentatamente parcheggiata sotto le arcate; casualmente, un branco disordinato di cinque vigili in stropicciata uniforme sta proprio dirigendosi verso di lei. Li seguo, curioso di vedere se hanno il coraggio di multare l’auto di uno che di soldi deve averne parecchi. No, non l’hanno. Si spostano per passare, uno le accarezza il cofano lucente con ammirazione, e proseguono come se tutto fosse regolare. Un'auto sul marciapiede e addirittura sotto un portico? Perché no?
Forse la Mercedes è fuori dal parcheggio solo per i miei occhi, può essere che le notti senza dormire mi facciano vedere inesistenti miraggi; poso anch'io la mano sulla carrozzeria e sembra molto reale. Strano!
Sconsolato, seguo i vigili caracollanti davanti a due bar vicini, che danno ricettacolo a una clientela non proprio di galantuomini. Solitamente sono aperti sette giorni su sette e ventiquattro ore il giorno, però oggi uno dei bar ha le serrande abbassate; quello che resta di un foglio di carta lacero, appeso con nastro adesivo nero, annuncia venti giorni di sospensione della licenza. Davanti al bar aperto ondeggiano tre ragazzi peruviani, evidentemente già pesantemente alticci, nonostante l'ora mattutina. Uno, grande e grosso, rutta forte e getta la bottiglia di birra che ha tra le mani, un metro davanti ai vigili; la bottiglia va fragorosamente in frantumi e solo per fortuna le schegge non colpiscono nessuno. Gli altri peruviani ridono eccitati. I vigili si fermano e si consultano finché due eroi vanno impavidamente a parlare al lanciatore di bottiglie, che li ascolta, annuisce e ride beffardo.
La donna dai lineamenti orientali bruttissimi che gestisce il locale, si affaccia pochi secondi per guardare la scena e subito rientra; niente d’interessante o che la riguardi. I vigili riprendono la loro proficua ronda, volta a ridare dignità al quartiere.
E no, questa volta non ci sto!
Li raggiungo e punto il dito verso il bar e il lanciatore di bottiglie. «Insomma! Non fate nulla?»
Il vigile cui mi sono rivolto guarda un altro vigile, più giovane e forse più alto in grado, sicuramente più alto di statura. Per un attimo ho paura che mi malmenino, visto che sono solo, invece la tensione si scioglie in fretta e il vigile giovane alza le spalle con un sorriso serafico, come se sapesse di parlare a un bambinello noioso.
«Tanto è ubriaco!»
Essere ubriachi è, quindi, diventato un lasciapassare? Anche quando si è pericolosi? Una volta che si è bevuto il giusto, si può urlare, cantare, suonare il claxon a distesa nella notte, lanciare bottiglie contro i vigili e i non vigili?
Allora posso non pagare le tasse sostenendo che sono ubriaco, posso sputare sul sindaco, posso gettare sacchi d’immondizia sui clienti dell'Asterisco prima che siano ubriachi; dopo, ubriachi contro ubriachi, dovrebbero avere ragione loro che sicuramente riescono a sballarsi più di quanto lo stomaco permetta a me.
Pensate che cosa può fare impunemente un drogato impastigliato fino agli occhi! Tutto gli è lecito in questa città, tanto pagano i sobri.
P.S. Voglio tornare a rileggermi Il berretto a sonagli
, uno dei tanti capolavori di Pirandello. Lì è la pazzia che consente al protagonista di urlare tutte le verità che le persone per bene devono tacere, adesso è negli alcolici e nelle droghe la libertà di cantare, anche ai potenti, quello che non vogliono sentirsi rinfacciare.
Bernoccolo
A deturpare la mia non eclatante bellezza, mi si è gonfiato un bernoccolo sotto il sopracciglio sinistro. Una bolla tondeggiante, larga tre centimetri, alta meno di due e sporgente due millimetri, che mi preme fastidiosa sulla parte superiore dell'occhio costringendomi a tenerlo un po’ chiuso. Scherzando, ho commentato con i colleghi che la mia testa, a furia di sentire rimbombare rumori nella notte, ha cominciato a gonfiarsi e, come si è gonfiata, si sgonfierà; invece, così non è stato. Non subito, almeno.
Non credo di avere urtato uno spigolo perché me ne sarei accorto, salvo che, nella notte, durante i miei sonni sempre agitati dalle grida e dalle risate che arrivano dalla strada, io abbia battuto la fronte o mi sia tirato un pugno da solo, senza svegliarmi. Non noto segni ed escludo che qualche insetto mi abbia punto. Potrei accusare i miei amici dell'Asterisco di avermi bastonato, come hanno minacciato di fare il mese scorso.
Dopo tre giorni in cui in male non aumenta ma il bubbone non si sgonfia, vado nello studio del mio medico che, dopo due ore di anticamera, mi osserva senza entusiasmo.
«Non è una puntura d’insetto. Hai battuto?»
«No.»
«Non c’è livido», conferma sfiorandomi con un dito l'arcata sopraccigliare. «Ti fa male?»
«Insomma. Bene non ne fa!»
Prende un foglio del ricettario e comincia a scrivere qualcosa; solo l’intestazione. Non trova l’ispirazione e si ferma.
«Soffri di mal di testa?»
Rido di gusto. «Io ho la movida sotto casa che impazza tutte le notti. Sono due anni che ho mal di testa!»
Scuote il capo con un sospiro. «Prendi qualcosa?»
«Per il bernoccolo?»
«Per il mal di testa!»
Gli rispondo con l’elenco di tutti i più comuni farmaci da banco; in genere cerco di arrivare fino a pranzo senza pillole e gocce di nessun tipo e a mezzogiorno prendo una cibalgina. All'aspirina sono allergico.
«Perché non metti i tappi per le orecchie?»
«Li metto!»
«Cambiare casa?»
«Quella che ho adesso non la comprerebbe nessuno, nemmeno a regalarla.»
Non sembra impressionato.
«Ti serve una giustificazione per il lavoro?»
«No, sono un fesso, che va a lavorare anche quando sta male.»
Scuote nuovamente la testa e riprende a scrivere.
Impacchi caldi e una pomata. Progressi non ne vedo, però non peggioro, a parte che la palpebra progressivamente si arrossa. Devo avere anche una leggera febbre. I farmacisti mi consigliano di mettere qualche goccia di un collirio antibiotico ed io ubbidisco, dimezzando la dose indicata.
Le notti dormo peggio del solito, con il fastidio del mio corno che si aggiunge a quello della baraonda interminabile e sguaiata; la movida è dura da sopportare quando si sta bene e diventa una tortura ancora più ingiusta quando la salute non c’é. Non mi lamento solo per me, penso ai tanti anziani che agli acciacchi dell’età devono aggiungere quelli di essere privati anche del sonno.
Ecco la civiltà del nuovo millennio! O l’inciviltà.
I giovani della movida, nella loro sordità fisica e mentale, non lo capiscono il male che fanno. I gestori dei locali contano i soldi e gli incassi cancellano ogni scrupolo morale. I politici… lasciano stare cosa fanno i politici!
Il mio stomaco inacidisce.
Finalmente è sabato.
La mattina vado a fare spesa al mercato per riempire il frigorifero ormai vuoto.
A mezzogiorno mangio poco, poi mi sdraio e cerco di dormire.
Dormire? Una musica ad alto volume esplode in strada. Prego che smetta, invece continua e aumenta di volume. Una musica tutta di bassi - taratum taratum taratum - cui si mischia il suono di una sirena da fabbrica e la voce di una poveretta che, in una lingua che non riconosco, fa strilli fuori ritmo. Devo chiudere la finestra e i vetri, ma prima guardo cosa succede nella via. Sono quelli dell’Asterisco che hanno deciso di dare una pulita (si respira ovunque un odore di candeggina potentissimo), e mentre ci sono, hanno sparato le casse al massimo volume.
Li osservo rassegnato mentre buttano nei cassonetti centinaia di bottiglie e lattine, fregandosene della raccolta differenziata, e sacchi enormi di chissà quale altra immondizia. La movida è l'arte di vivere nella spazzatura.
Sul marciapiede dirimpetto al mio palazzo passa lenta e annoiata la ronda di due alpini, un ragazzo e una ragazza in divisa, che vigilano sulla sicurezza del tempio ebraico. Dopo qualche minuto transita un’auto della polizia che rallenta e, per un attimo, penso che sia stata chiamata dagli alpini; no, non si ferma. Se queste persone possono fare quello che vogliono di notte, sarebbe strano rimproverarli di giorno, vero?
Dopo due ore i due amiconi abbassano la serranda e si urlano un saluto come se si trovassero su pianeti diversi. La mia testa scoppia.
Esiste una Carta con sopra scritti i Diritti del Residente?
Forse sì, ed è una