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Zena 1814: Come i liguri persero l'indipendenza
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Zena 1814: Come i liguri persero l'indipendenza
E-book104 pagine1 ora

Zena 1814: Come i liguri persero l'indipendenza

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Nell’era della globalizzazione, mentre sono in atto forze che tendono a uniformare non solo le convenzioni commerciali, ma anche il legato culturale dei popoli, diventa fondamentale riscoprire l’appartenenza a quelle "nazioni naturali" forgiatesi nei secoli. Il racconto del modo in cui i liguri persero la loro secolare indipendenza è dunque il primo atto per riappropriarsi della memoria storica e del punto di vista di quella stessa nazione, che in seguito non ebbe più modo di far sentire la sua voce.
Una lettura affascinante, ricca di emozioni, di immagini e documenti originali, in cui si riprende in mano il filo di un discorso lungo mille anni e consumatosi negli otto mesi fatidici del 1814. Ma che non si è ancora spezzato.
LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2015
ISBN9788869431043
Zena 1814: Come i liguri persero l'indipendenza

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    Anteprima del libro

    Zena 1814 - Andrea Acquarone

    Raccontare una storia

    Raccontare una storia significa esprimere un certo punto di vista; inevitabilmente, è così anche quando non vogliamo. E non è semplice retorica il dire che la storia la scrive chi vince: nessuno ha mai studiato le guerre puniche dall’ottica dei cartaginesi, perché il loro popolo perì con quelle guerre e non ebbero più storici capaci di annotare i fatti visti come si videro dalla loro prospettiva. Perciò per noi le guerre puniche sono quelle in cui i romani sconfissero Annibale e Asdrubale.

    I fatti, questi sì, sono al di là delle opinioni: le cose succedono, non c’è verso, e la storia zoppicante dell’uomo procede tra alti e bassi in una serie di fatti. I fatti sono imparziali. Ma il racconto che dei fatti si fa è sempre la manifestazione di un punto di vista, che per quanto neutro lo si voglia non potrà mai sostituirsi all’oggettività dell’accaduto. È una questione di empatia; al di là di ogni faziosità, è una questione di punti di vista. Anche il lupo di cappuccetto rosso aveva il suo punto di vista, deplorevole finché si vuole; ma noi non lo conosciamo.

    Quando un popolo, che è come dire una nazione, scompare dalle pagine della storia, assieme ad esso smette di manifestarsi il suo punto di vista storico: la particolare angolazione da cui la storia – questa successione di fatti oggettivi – è osservata, e se va bene studiata. Nell’accingerci a raccontare i fatti oggettivi che compongono la storia di cui vogliamo parlare, siamo perciò perfettamente consci che la narrazione che intendiamo farne corrisponde a un determinato punto di vista, e non a un altro: quello della nazione ligure-genovese, che nel 1814 perse la sua secolare indipendenza.

    Una certa tradizione storiografica, ormai superata dal maturare del divenire storico, amò vedere nell’annessione della Liguria al Regno di Sardegna la posa della prima pietra nella costruzione dell’italico edificio. Quel che è certo è che per i liguri ed i genovesi che vissero quegli avvenimenti – a ben vedere si tratta al massimo dei nonni dei nostri trisnonni – essi si presentarono come un’ingiustizia insanabile. La stessa madre di Mazzini scrisse: quanto alla mia opinione terrei benissimo che gli Inglesi avessero riserbato a loro stessi, quando che fosse, tale gemma che si sa ebbero sempre a cuore!, ossia che Genova avesse avuto la sorte di una Malta o una Gibilterra, piuttosto che finire riunita nel Piemonte.

    Ma centocinquanta anni di italianità non sono passati senza effetti, e massime per i liguri-genovesi, che forse più di ogni altro popolo dello stivale hanno contribuito alla formazione dello stato unitario. Al nuovo stato si associa un nuovo progetto nazionale: bisogna lasciar cadere le appartenenze antiche, bisogna fare gli italiani. È qui che inizia a sparire, sopraffatta dalla storia di cui è stata artefice, dopo che vittima, la nazione ligure, e assieme ad essa il suo punto di vista – o se vogliamo un elemento più tangibile, la sua lingua, un tempo veicolo di comunicazione internazionale, avviata all’infelice e disperante cammino della dialettizzazione.

    Alcuni diranno che tale è una fatalità della storia a cui non val la pena opporsi. È un opinione rispettabile, e per certi condivisibile. Essa non è, però, la nostra opinione. E che noi si voglia raccontare le vicende estreme dello stato ligure dal punto di vista dei liguri, oggi come oggi, non è solo una rivendicazione del fatto che una nazione ligure è esistita nei secoli – cosa su cui la storiografia internazionale non ha dubbi – ma è anche la dimostrazione che quel sentimento di appartenenza, nonostante tutto, è ancora vivo presso una certa parte della cittadinanza ligure. Con tutto che a lengua zeneise sia parzialmente compromessa, nonostante l’italianizzazione abbia lasciato le sue tracce profonde sotto forma di confusione identitaria, noi sappiamo con certezza che non siamo i soli a percepire l’attaccamento ad una nazionalità, che pur non trovando più il suo posto al tavolo degli stati sovrani, è ancora un elemento vivo e palpabile nella nostra società.

    Il popolo ligure, anche se menomato, esiste ancora. Ad esso, e alla rapida determinazione di volersi riaffermare – unica possibilità perché la Liguria non diventi solo un territorio alla periferia del mondo – è dedicato questo libro. Un popolo che non conosce la propia storia è incapace di immaginarsi il futuro. Non sarà inutile perciò, desiderando che anche i mesi cruciali del 1814 siano compresi pienamente, anteporre un brevissimo riassunto dell’avventura ligure-genovese nei lunghi secoli della sua storia indipendente.

    Una nazione mediterranea

    Si fa per solito risalire l’inizio della saga genovese ad una notte dell’aprile del 935. La capitale ligure, ridotta al rango di provincia residuale dell’Impero, languiva allora nell’irrilevanza dei giorni tutti uguali. La marineria si limitava al cabotaggio, il commercio era ai minimi termini, la terra poco sfruttata; la popolazione ligure, divisa ed inselvatichita, viveva ai margini degli avvenimenti del suo tempo, sempre minacciata dalle incursioni saracene. Finché i seguaci di Omayyade Califfo di Al-Andalus, partiti da Mahdia in Tunisia, non sottopongono la città e il suo circondario a un terribile saccheggio. Lì si innesca una scintilla che brucerà quasi mille anni.

    I genovesi superstiti si stringono assieme e, constata la nullità della protezione teoricamente garantita dall’Impero, di cui il territorio ligure faceva parte, ottengono una prima forma di autonomia: il riconoscimento delle proprie consuetudini ed il diritto ad autoregolarsi. Siamo nel 958, anno a cui si può far risalire la tradizione di autodeterminazione degli habitatores in civitate inanuensi.

    Da quel momento le tappe dell’ascesa sono fulminanti. I genovesi si pongono alla testa della cristianità nella riscossa sui mari contro il nemico moresco, vincendo diverse battaglie, acquisendo fiducia e recuperando alla sicurezza le coste latine, fino all’incursione decisiva nella stessa Mahdia nel 1088. È il preludio alla presa di Gerusalemme, opera dell’Embriaco, avvenuta nel 1099, anno in cui si costituisce formalmente la Compagna Communis, regolarizzando per esigenze di riconoscimento esterno una situazione già operante di fatto.

    La storia genovese tra i secoli XII e XV è quella maggiormente conosciuta, seppur per sommi capi, perché coincide con l’epoca delle cosiddette repubbliche marinare. Sarà solo il caso di ripetere che la Liguria, sotto la spinta unificatrice della capitale, sarà il primo stato italico a riformarsi nella sua estensione piena, erede della Regio romana. Ma ancor prima di unificare la Liguria i Xzeneijzi (come scrivevano all’epoca) avevano gettato le basi di un impero marittimo dalle dimensioni mediterranee. Erano gli anni in cui Lucheto, il primo scrittore in genovese, annotava:

    e tanti son li Zenoeixi

    per lo mondo sì desteixi

    che onde eli van e stan

    unn’atra Zena ghe fan.

    Scrive lo storico Geo Pistarino, parlando di genovesi e liguri, che "la loro nazione non è circoscritta nella Liguria, ma comprende tutta la complessità

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