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La storia del trieste salario: Dalla preistoria ai giorni nostri
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E-book348 pagine3 ore

La storia del trieste salario: Dalla preistoria ai giorni nostri

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Info su questo ebook

Oggi il Trieste-Salario è un quartiere in cui vivono 150.000 persone, e quasi 400.000 sono quelle che complessivamente qui si muovono e lavorano. Nel suo passato si susseguono tre millenni da raccontare, una affascinante storia cominciata 300.000 anni fa di cui rimangono segni visibili, reperti e monumenti. 101 luoghi fondamentali si snodano come tappe di una passeggiata nel Trieste-Salario. Un cammino che il lettore potrà ripercorrere personalmente, leggendo le pagine e guardando le immagini originali e inedite e le illustrazioni che arricchiscono il testo. Gli antichi ritrovamenti dei primi uomini forse cannibali, la storia della giovanissima Sant'Agnese e del suo martirio, la celebre Sedia del Diavolo e il suo papa eretico, la casa dove abitò Pirandello e la villa dove Luchino Visconti proteggeva gli antifascisti durante le persecuzioni, sono solo alcune delle storie raccontate in questo libro. 
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2021
ISBN9788836260478
La storia del trieste salario: Dalla preistoria ai giorni nostri

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    Anteprima del libro

    La storia del trieste salario - Sara Fabrizi

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    CommunityBook – La Storia di Roma

    Credits

    CommunityBook – La Storia del Trieste-Salario

    Edizione Ebook febbraio 2021

    Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele

    Progetto di: Typimedia editore

    Curatore: Sara Fabrizi

    Project manager: Simona Dolce

    Progetto grafico: Chiara Campioni

    Impaginazione: Giada Patrizi

    Foto: Giada Patrizi

    Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni

    Product manager: Melania Tarquini

    In copertina: foto di Giada Patrizi, Faust e Mefistofele nel complesso marmoreo dedicato a Goethe, Villa Borghese

    ISBN: 9788836260478

    CommunityBook online: www.typimediaeditore.it

    Direttore responsabile: Luigi Carletti

    Crediti fotografici: Il ratto delle Sabine, Dea Picture Library, Alinari; La Basilica Di Sant’Agnese Fuori Le Mura, Francesco Galati; Offerte a Vertumno e Pomona, Archivio Zeri; Villa Albani, Archivio Alinari; Il Parnaso di Villa Albani, Archivio Zeri; Villa Ada e veduta aerea di Villa Ada, Fabio Muzzi; foto storica di piazza Annibaliano, Archivio Paola Mazzei.

    L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale

    utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari

    dell’avente diritto.

    © COPYRIGHT

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    Ogni abuso sarà perseguito ai sensi delle leggi vigenti, con relativa richiesta di risarcimento danni.

    Per informazioni o richieste: info@typimedia.it

    La storia di Roma risuona come un’eco nelle strade, nei cortili dei palazzi, fra le opere d’arte e le bellezze architettoniche. Ma a Roma questo non succede solo nel centro città.

    Il quartiere Trieste-Salario è tra i più belli della capitale, una comunità che comprende 150.000 persone, e quasi 400.000 sono quelle che complessivamente qui si muovono e lavorano.

    Nel suo passato si susseguono tre millenni, una vecchia storia che si intreccia con quella di Roma e dell’Italia, e di cui rimangono segni visibili, reperti e monumenti.

    Dalla preistoria al Medioevo, dal Rinascimento ai giorni nostri, La Storia del Trieste-Salario racconta l’affascinante patrimonio culturale del quartiere attraverso le vicende, i miti e i personaggi che nelle epoche hanno attraversato queste vie.

    Gli antichi ritrovamenti dei primi uomini forse cannibali, la storia della giovanissima Sant’Agnese e del suo martirio, la celebre Sedia del Diavolo e il suo papa eretico, la casa dove abitò Pirandello e la villa dove Luchino Visconti proteggeva gli antifascisti durante le persecuzioni, sono solo alcune delle storie narrate nel libro.

    101 luoghi fondamentali si snodano come tappe di una passeggiata nel Trieste-Salario. Un cammino che il lettore potrà ripercorrere appassionandosi al racconto e riconoscendo gli scorci familiari.

    Un percorso attraverso tutte le epoche, dove a stupire è la straordinaria ricchezza storica del quartiere che rivive nero su bianco, e si fa indelebile in queste pagine.

    L’autore

    Sara Fabrizi (1992) vive a Roma. È laureata all’Università La Sapienza in Filologia Moderna. Ha lavorato come redattrice e coordinatrice editoriale per diverse case editrici. Ha collaborato all’organizzazione di molti festival letterari tra cui Parole in cammino. Festival della lingua italiana. Collabora con Typimedia dal 2017 e ha curato alcuni volumi di successo della collana La Storia di Roma: Appio-San Giovanni, Aurelio, Centocelle, Esquilino, Flaminio, Marconi-San Paolo, Montesacro, Monteverde, Nomentano, Ostia, Parioli, Prati, Tiburtino, Trieste-Salario, Tuscolano. È autrice del volume La Storia del Coronavirus a Roma, il racconto puntuale della pandemia nella Capitale e di come l’abbiamo affrontata. Con Matteo Pucciarelli ha scritto anche Comunisti d’Italia. 100 patrioti rossi che hanno costruito la democrazia.

    Prefazione

    Di molti luoghi si ama dire, e sottolineare, che qui passò la storia. Ci sono paesi e sperduti angoli d’Italia (e del mondo) debitori della loro notorietà a un fatto o a un personaggio che per secoli hanno meritato l’attenzione di ricercatori e studiosi. Ma quando si parla di Roma, non è sbagliato affermare che qui si fece la storia. Più che passare, da Roma la storia ha avuto inizio, o comunque qui ha conosciuto, per svariati secoli, uno dei suoi crocevia di maggior significato.

    Roma per molti è la Storia. E la Storia, oggi, sembra gravare su Roma con tutta la sua pesantissima eredità tenendola attaccata al passato, quasi che la nostalgia e i malinconici rimpianti per la grandezza che fu finiscano con il costituire una zavorra e un continuo impedimento a immaginare un futuro da grande capitale del Terzo millennio. Alla fine di questo 2017, anno in cui va in stampa questo volume, la Città Eterna vive tutte le ansie e le contraddizioni di una metropoli tanto bella e affascinante quanto inadeguata a confrontarsi con le grandi e dinamiche metropoli della competizione globale.

    La sfida che Roma oggi ha davanti a sé è estremamente complessa. Da un lato la conservazione di un patrimonio inestimabile e la sua valorizzazione. Dall’altro uno scatto culturale, sprovincializzante e ambizioso, che la rendano realmente competitiva nei circuiti socio-economici della comunicazione globale. Innovazione da un lato, riscoperta dei suoi tratti più genuini e caratteristici dall’altro. In sintesi estrema: buongoverno e una classe dirigente adeguata ai tempi che abbiamo di fronte.

    È per questo che noi pensiamo si debba (anche) ripartire dai quartieri.

    La vera forza di Roma sta nei suoi quartieri, vere e proprie città nella Città, comunità ricche di energie e di possibilità, sopravvissute alle inefficienze e alle amnesie di una classe politica concentrata per molti anni sulla facile visibilità e sulla promozione di se stessa attraverso operazioni di scarso impatto reale sulla comunità ma di sicuro effetto mediatico. I quartieri, dei quali potremmo dire: nati e cresciuti nonostante la Roma della politica e degli affari. Quella Roma che passa tra Campidoglio, Palazzi del governo e Centri di potere, con un’idea di Città che non contempla le comunità locali dove si svolge la vita vera ma predilige invece la variopinta comunità virtuale, spesso avida e rapace, che ruota attorno agli obiettivi di lobby e alle aree di privilegio.

    C’è una Roma dei quartieri che custodisce la storia e la memoria, che si conosce e si riconosce, che si chiama per nome e che ama i luoghi in cui vive perché essi hanno significati, contengono ricordi, esprimono valori. Una Roma che sa – per esempio – che solidarietà può essere una parola tanto bella quanto vuota perché spesso usata a sproposito. Solidarietà, nei quartieri di Roma, è ancora farsi una cortesia, rispondere a una domanda, partecipare alla gioia o al dolore di un vicino, farsi carico di un problema che non è personale ma di tanti. Tutto questo, e molto altro ancora, a Roma c’è tuttora perché c’è sempre stato, a dispetto dell’immagine che invece viene propagata da quelli che vogliono solo apparire e sfruttare.

    È vita vera, quella che si respira nelle strade dei quartieri. Non diversamente dalle molte città della provincia italiana, dove ogni strada, ogni palazzo e ogni angolo hanno una storia che per quella comunità ha un significato.

    Il Trieste-Salario è uno dei tanti quartieri della Capitale. Uno specialissimo quartiere, così come – ciascuno con le proprie caratteristiche – ogni quartiere romano è altrettanto specialissimo. Dopo il volume di CommunityBook che ha raccontato il Trieste-Salario attraverso cento (più uno) personaggi, abbiamo voluto tracciarne la storia fin dagli albori dell’umanità. Il libro curato da Sara Fabrizi, con il coordinamento editoriale di Simona Dolce e il contributo di immagini di Giada Patrizi, ripercorre le vicende di questa parte della Capitale divenuta ufficialmente quartiere solo in epoca relativamente recente, ma ricca di fatti e personaggi che conferiscono alla narrazione un interesse e un fascino davvero straordinari.

    Nessuna pretesa di essere esaustivi, nessuna presunzione di infallibilità. Semmai l’ambizione di realizzare una ricerca e un racconto quanto più divulgativi e lineari per avvicinare anche quelle persone che magari non hanno mai avuto l’occasione di approfondire la storia e la memoria del quartiere. Un lavoro all’insegna della semplicità ma lontano da semplificazioni banali e da luoghi comuni, perché condotto con metodo professionale e con la cura e la verifica puntuale delle fonti. Realizzarlo ci è piaciuto molto. Ci auguriamo che vi piaccia leggerlo.

    Luigi Carletti

    RIPRODUZIONE UOMO PREISTORICO. Una riproduzione fedele dell’uomo preistorico, realizzata dal team scientifico del MUSE di Trento.

    CAPITOLO 1

    Cannibali ed elefanti lungo l’Aniene

    1.1 La savana del Trieste-Salario

    Alle origini della storia del Trieste-Salario c’è una natura rigogliosa. Guardando queste strade trafficate, sentendo il cemento sotto i piedi, non si direbbe. Ma nei dintorni della Sedia del Diavolo (oggi piazza Elio Callistio) la vita si muoveva già 250.000 anni fa.

    Se si torna indietro nel tempo il panorama è molto diverso da quello odierno. Scomparsi gli edifici, il suono dei clacson ormai lontano, tutto intorno si estende una foresta con piante alte quasi 40 metri, alberi maestosi dalle ampie foglie verdi, che oggi si potrebbero ammirare soltanto in alcune aree dell’Asia, ai piedi del Caucaso. Il panorama è tutto un susseguirsi di dolci rilievi e vaste pianure alluvionali, punteggiate da stagni e sorgenti. Il corso del Paleo-Tevere muta continuamente. Il fiume scorre, aggira i rilievi, cerca la via del mare. È costretto a scavarsi un nuovo letto ogni volta che si trova ostacolato dai depositi vulcanici delle eruzioni dei Colli Albani, attivi da quasi 400.000 anni. Ci si trova nel pieno pleistocene e qui, dove sorge oggi piazza Elio Callistio e in tutta l’area della bassa valle dell’Aniene, si aggirano creature estinte e animali da savana africana.

    Da lontano giunge il barrito di un elefante mentre un ippopotamo fa il bagno nella fanghiglia che si deposita lungo le rive, spesso sommerse dalle violente piene del fiume. Nelle radure pascolano cervi, daini, buoi e cavalli selvatici e nell’aria si spande l’odore pungente della natura selvaggia.

    Una fauna ricca, attirata dall’abbondanza di acqua e vegetazione, vive e si accoppia, corre per le piane inseguita da grossi predatori come leoni e lupi. È un vero e proprio paradiso terrestre, un piccolo miracolo climatico sorto nel corso di un milione di anni, tra inondazioni, eruzioni e spostamenti della linea di costa. Se si guarda ancora più indietro, tra i 5 e i 2 milioni di anni fa, la campagna romana è un fondale marino, basso e silenzioso, interrotto soltanto da piccole isole emerse, come quello che oggi chiamano Monte Soratte.

    PIAZZA ADDIS ABEBA. Proprio qui nel 1882 il giovane Romolo Meli ritrova le prime ossa animali nella cava di Sedia del Diavolo.

    Gli Appennini già esistono, ma sono lambiti dolcemente dalle acque che si preparano a ritirarsi per lasciare scoperta la terra. Di quell’epoca lontana restano, sparse per il territorio, piccole tracce come sabbie e argille di provenienza marina e piccoli fossili di molluschi primordiali. In questa Africa laziale dalla vegetazione lussureggiante, talvolta gli elefanti si inoltrano nelle zone paludose in cerca di refrigerio e sali minerali. E trovano la morte. Sono dei mastodonti di quasi quattro metri, ben più grandi dei mammut lanosi che vivono bene nelle zone glaciali. Le loro zanne scendono dritte, quasi a sfiorare il suolo su cui camminano, e posseggono un cranio piccolino rispetto alla vasta mole del corpo. Proprio il loro peso li condanna, facendoli rimanere intrappolati negli acquitrini come dentro sabbie mobili. Se non è il limo a sommergerli completamente, destinandoli a una fine lenta, ecco arrivare un’altra creatura dei dintorni, attirata da questa fonte di nutrimento, armata di rozzi utensili: l’essere umano.

    Queste immagini che parlano di epoche tanto remote da sembrare favolose sono, in verità, reali. Occorre, però, fare un salto in avanti fino al 1882 per trovarne la prove. Romolo Meli è un trentenne, laureato in ingegneria civile e architettura, uno dei primi studenti a compiere l’intero percorso di studi superiori di ingegneria alla Sapienza di Roma. Di qui a poco sarà professore e dall’alto della cattedra potrà donare ai suoi studenti un po’ di quel sapere. Lo stesso sapere che riverserà in ben 150 pubblicazioni nelle discipline più disparate, dalla geologia alla paleontologia fino alla storia. Al momento, però, Meli è solo un giovanissimo studioso, impegnato in una delle sue ricerche sul campo. Un giorno del 1882, la passione per la geologia lo porta alla cava di tufo della Sedia del Diavolo – la zona dell’odierna piazza Addis Abeba, un po’ più a nord rispetto alla famosa sediaccia. Chinato tra sabbia, ghiaia e limo, intento a raccogliere alcuni campioni di terriccio per analizzarli, Meli fa una scoperta eccezionale, trovando resti di elefante e di cervidi all'interno della cava. I suoi studi aprono a nuove ricerche a metà Novecento, condotte dal paleontologo Alberto Carlo Blanc. Le sorprese non sono finite poiché nel terreno si trovano anche fossili di rinoceronti, daini, ippopotami, cavalli, cervi reali, elefanti. Tra gli altri resti ve ne sono alcuni di uro, una particolare specie di bue il cui ultimo esemplare è morto in Polonia nel 1627, come ricorda un monumento a Jacktoròw, piccolo comune rurale a sud di Varsavia. C’è stato anche chi ha tentato, attraverso ibridazioni, di riportare alla vita questo antenato di tori e bovini moderni, che i gerarchi nazisti, e forse lo stesso Hitler, hanno considerato alla stregua di un toro ariano. Sono i fratelli Heck, Lutz e Heinz, che incrociando tori provenienti da varie zone (Spagna, Higland scozzesi, Frisia, Corsica) hanno dato vita alla razza nota come Uro di Heck: i loro esperimenti sono raccontati nel saggio Sul nuovo allevamento di Uro, scritto da Heinz nel 1934.

    Ma nei pressi della cava dell’attuale piazza Addis Abeba, dove Meli sta compiendo le sue ricerche, c’è dell’altro.

    Le sorprese non sono finite poiché nel terreno il giovane trova anche strumenti in pietra tra cui raschiatoi e utensili dentellati e, infine, frammenti ossei. Si tratta di un secondo metatarsale destro – un osso del piede – e di un pezzo di femore, appartenuti a un uomo che somiglia molto a quello di Neanderthal, scoperto nell’agosto del 1856 a Neader, Germania, come ogni libro di storia racconta. Uomini ed elefanti, dunque, convivevano nell’Agro romano del Pleistocene.

    Che gli elefanti si aggirassero per l’Italia non è una notizia nuova. Ossa se ne erano trovate già in un’epoca ancora più remota. E l’illustre scopritore, come scrive Svetonio nelle Vite dei dodici Cesari, è nientemeno che l’imperatore Augusto, ideatore di uno dei primi musei di storia naturale. Si racconta infatti che nella sua villa di Capri Augusto raccogliesse le enormi reliquie di immani belve, che sono dette Ossa dei Giganti e Armi degli Eroi. I romani avevano già conosciuto questi animali esotici a proprie spese. Il terrore si era diffuso tra i legionari alla battaglia di Eraclea (280 a.C.), durante le guerre Macedoniche, quando contro di loro furono lanciati enormi elefanti da guerra, mai visti prima. Nonostante questo ricordo ben vivo, di fronte a resti di dimensioni tanto grandiose, i Romani li attribuirono a creature ancora più spaventose, seppur fantastiche, Ciclopi e Giganti. Il fatto che ossa di elefanti siano ritrovati in concomitanza con le antiche armi dei primi uomini non deve trarre in inganno riguardo le loro abilità venatorie. Il Neanderthal era abbastanza intelligente da non pensare di competere con bestie alte quattro metri e dotate di enormi zanne. Più probabile che si limitasse a sfruttare carcasse di animali già morti, recuperando carne e pellame, o che desse il colpo di grazia a quelli che rimanevano bloccati negli acquitrini. Un modo sicuramente più semplice e sicuro di procurarsi il cibo.

    1.2 In una caverna al Monte delle Gioie

    Quello di Meli non è l’unico ritrovamento di quegli anni: di frequente caso e curiosità portano alla luce le vestigia di una storia di Roma ben più antica di quella raccontata dal mito. Già nel 1867, in una grotta di travertino nei pressi del Ponte Salario, viene scoperto un giacimento in cui semplici utensili in pietra scheggiata si mescolano a fossili animali. In questo caso il fortunato archeologo è Frère Indes, un sacerdote che oltre a praticare la vita ascetica propria del suo ordine ama anche dedicarsi a studi più profani. Un prete che non ha paura di sporcarsi le mani con la scienza. Qui, dove passeggia Indes, un tempo trovavano

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