I sistemi agricoli dell’Agro Nocerino. Ascesa e declino di un paesaggio culturale
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Anteprima del libro
I sistemi agricoli dell’Agro Nocerino. Ascesa e declino di un paesaggio culturale - Luigi D'Aquino
montagne.
Presentazione
Il libro che vi apprestate a leggere è un piccolo gioiello. Attorno al nucleo originario, costituito dall’analisi del territorio agroforestale di Nocera Inferiore effettuata per la redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale, Luigi d’Aquino e Francesco Paolo Innamorato hanno costruito un racconto complesso degli ecosistemi e dei paesaggi dell’Agro nocerino sarnese che affascina e sorprende come un romanzo. Dico sorprende perché il lavoro che i due autori svolgono autorevolmente da decenni è eminentemente scientifico, Luigi nel campo della ricerca e sperimentazione in agricoltura, Francesco Paolo in quello dell'analisi dei sistemi territoriali. Quello che ti aspetteresti allora è una rigorosa pubblicazione specialistica sugli aspetti agricoli e agronomici di un territorio assolutamente unico, quello dell’Agro, per il quale, nonostante il ruolo determinante avuto nella storia della Campania, ancora mancano studi d’insieme specifici.
Tutto questo indubbiamente nel libro c’è, ma è solo l’inizio del racconto. La descrizione delle terre, degli ecosistemi e dei paesaggi dell’Agro, mirabilmente compiuta dai due autori, diventa infatti lo scenario per la narrazione del divenire storico, nell’arco di due millenni, di una comunità locale, della sua economia e cultura, degli equilibri sociali. Se la storia raccontata nel libro è quella di un mutamento drammatico – lo sconvolgimento nell’arco di un paio di generazioni della porzione più pregiata di Campania felix, trasformata nella latitanza dei pubblici poteri in una conurbazione disordinata, segmento disperso di un sistema metropolitano fuori controllo – lo sforzo degli autori è quello di evidenziare il complesso di forze e processi che, nel contesto ecologico dato, questo mutamento hanno prodotto.
Se il libro si legge come un romanzo c’è pure un altro motivo, ed è il legame profondo che lega i due autori alla terra e al paesaggio oggetto della loro analisi e del loro racconto, che è tutt’altro che asettico, e vibra invece in ogni frase di un amore e di uno sdegno che essi non sono proprio in grado di celare. Oltre alle competenze specifiche, c’è un’energia che anima tutta la storia, che deriva dal fatto che Luigi d’Aquino e Francesco Paolo Innamorato vivono la loro professione, ne siano consapevoli oppure no, come una forma di impegno civile, quella che Manlio Rossi-Doria chiamava la politica del mestiere
.
Allora è bello abbandonarsi al racconto che Luigi e Francesco Paolo ci propongono, in un’esplorazione scientifica e culturale che comprende le rocce, il clima, il suolo, ma anche l’architettura rurale e la storia dell’insediamento, i progressi tecnici, i conflitti sociali, fino al racconto dell’ascesa e caduta della filiera agroindustriale gloriosa del pomodoro, un’eccellenza di scala mondiale che non abbiamo saputo proteggere, e che finisce col diventare l’emblema di una dinamica di declino territoriale che pare inarrestabile.
È una conoscenza complessa quella che gli autori ci propongono, che deriva dalla sintesi di saperi diversi, agronomici, storici, sociali, economici. Pure, è grazie a letture come questa, anche nei risvolti più amari, nel rimpianto per un futuro possibile che non è riuscito a imporsi, che una nuova consapevolezza può essere recuperata. Delle terre, ecosistemi e paesaggi che sono i protagonisti del libro molto rimane ancora da proteggere. Nonostante gli errori, non tutto è perduto, una porzione rilevante del patrimonio millenario ancora permane, ed è merito di questo libro quello di indicare ancora una strada.
Antonio di Gennaro
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano Gaetano Bove, Gianluca Santangelo, Francesco Belsito, Aldo Innamorato e Andrea d’Aquino per la preziosa collaborazione nella ricerca del materiale iconografico d’epoca e per la paziente revisione del testo.
Introduzione
Nell’anno 2013 l’Amministrazione di Nocera Inferiore avviò la redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale, strumento di governo del territorio finalizzato a tutelare e valorizzare un’area che rappresenta un caso peculiare nel panorama agronomico e urbanistico. Gli autori di questo libro contribuirono alla redazione del Piano predisponendo la cartografia dell’uso del suolo comunale e delle unità di paesaggio con le relative relazioni di accompagnamento, incarico che prevedeva anche valutazioni di merito sull’uso del suolo stesso e prescrizioni per una buona gestione del territorio. In tal modo, gli autori ricevettero lo spunto per ordinare in un quadro unico, organico e ben delineato tutte quelle osservazioni, quelle esperienze, quelle ricerche, quelle discussioni, quelle valutazioni condotte negli anni sul comprensorio, facendo finalmente affiorare tutti quegli elementi di conoscenza maturati in anni di studio del territorio locale. L’opera non appariva delle più semplici in quanto tutti questi elementi erano rimasti fino ad allora frammentari, indipendenti, disconnessi e il loro insieme appariva come un cumulo di tessere di un mosaico la cui immagine, nell’idea degli autori, assumeva un fascino controverso. Ricomporre quell’immagine, infatti, da un lato faceva presagire la consacrazione di un mondo tanto unico quanto antico, quello dei sistemi agricoli della Valle del Sarno, caso unico nel panorama agronomico globale, e del paesaggio culturale che da tali sistemi discende, dall’altro faceva affiorare l’angoscia di dovere prendere formalmente atto di quanto l’opera meravigliosa che la natura e l’uomo avevano saputo creare nei secoli fosse stata deturpata in pochi decenni di sabba
edificatorio, di disordine urbanistico, di illusione industriale.
Dopo una lunga fase di riflessione e di discussione sull’interesse che questo lavoro avrebbe potuto incontrare tra i lettori, nocerini e non, alla fine il desiderio di contribuire a far conoscere meglio le particolarità di un territorio che custodisce in sé i segni di una storia e di una cultura antichissime, ha prevalso sulla paura di sollevare il velo su un’opera martoriata dalla mano dell’uomo. Ora, a lavoro concluso, gli autori confidano di non avere preteso troppo da essi stessi e dall’interesse di chi vorrà leggere quanto segue. Soprattutto, essi sperano che appaia chiaro che, sebbene il presente lavoro attinga largamente alle elaborazioni sviluppate per il territorio di un Comune che oggi va sotto il nome di Nocera Inferiore, prodotto dell’ormai anacronistico frazionamento di epoca ottocentesca di un’entità amministrativa assai più ampia, l’orizzonte geografico al quale questo lavoro guarda è quello di un comprensorio ben più esteso, che di Nocera Inferiore condivide la storia agronomica e urbanistica.
Le caratteristiche che fanno di questo comprensorio un caso a parte nel panorama dei sistemi agricoli sono innanzitutto di tipo ambientale. Acqua, terra, clima, in sintesi quelle che gli agronomi chiamano condizioni pedoclimatiche
, influiscono, infatti, notevolmente sulla possibilità e sul modo in cui l’uomo prende possesso del territorio e lo trasforma a suo uso e consumo. Un osservatore attento che si aggirasse tra i campi e le cittadine della Valle del Sarno, della Valle di Pompei, delle pendici dei Monti Lattari, dei Monti di Sarno e del Somma-Vesuvio, ma anche nei campi dell’area circostante Napoli, dei Campi Flegrei, della penisola sorrentina e delle isole campane potrebbe vedere come in tutti questi luoghi il terreno agrario, su cui si fondano le radici agricole di un territorio che è da sempre emblema stesso della fertilità, è costituito prevalentemente da particelle grossolane, poco inclini ad aggregarsi e a trattenere l’acqua. Questa caratteristica potrebbe apparire inizialmente soltanto come una ovvia conseguenza delle tante eruzioni che un territorio notoriamente vulcanico ha subìto nella sua lunga e tormentata storia, eruzioni che hanno disperso sul suolo enormi quantità di particelle provenienti direttamente dalle viscere di una terra che ha il fuoco dentro di sé e che gli agenti atmosferici e l’acqua non hanno ancora avuto modo di trasformare a fondo. Questa caratteristica rappresenta, invece, una peculiarità assai più rilevante di un mero incidente di percorso nella storia geologica dei luoghi, avendo impattato assai pesantemente sulla storia e sul destino del comprensorio. È grazie a questo tipo di terreno se le varie aree di questo comprensorio presentano sistemi agricoli e agropaesaggistici che hanno una radice comune e chiaramente distinta da quelle delle aree poste al di fuori dei suoi limiti geografici – ad esempio, la Piana del Sele, la Terra di Lavoro, le zone appenniniche interne –, le quali presentano, infatti, terreni assai più pesanti e coesivi e ben più capaci di trattenere acqua. L’elevata scioltezza dei terreni consente, infatti, di dissodare e lavorare i terreni con minore dispendio di energia, anche solo con attrezzi portati a mano, quali la zappa e tutte le sue varianti, quindi anche senza il supporto di forza animale o di attrezzature meccaniche alimentate con combustibili fossili. Soprattutto, la scioltezza dei terreni consente di lavorare i terreni stessi senza che sia necessario attendere che essi raggiungano le condizioni che gli agronomi chiamano di tempera
. La condizione di tempera è quella in cui un terreno possiede un grado di umidità tale da presentare la migliore disposizione per essere lavorato, ad esempio lasciandosi attraversare e rovesciare dall’aratro in modo da formare zolle. Terreni troppo bagnati possono essere, infatti, insufficientemente coesivi e farsi attraversare dall’aratro senza farsi zollare laddove terreni troppo asciutti possono opporre una resistenza eccessiva alla penetrazione dell’aratro e, qualora risulti possibile lavorarli, tendono a frantumarsi sotto l’azione delle parti meccaniche in movimento per poi ricompattarsi rapidamente. Terreni ricchi di particelle sottili, quali il limo e l’argilla, richiedono necessariamente condizioni di tempera per potere essere lavorati, condizioni