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Tutte le storie di Puck il folletto
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E-book554 pagine8 ore

Tutte le storie di Puck il folletto

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Info su questo ebook

Puck il folletto • Il ritorno di Puck
Introduzione di Eraldo Affinati
Traduzioni di Alessandra Spirito e Stefania Di Natale
Edizioni integrali

Direttamente ispirato all’omonimo protagonista di Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, l’elfo Puck, “la Cosa più Vecchia dell’Inghilterra”, come si definisce lui stesso, si imbatte in due bambini, Dan e Una. Nella splendida cornice del Sussex, tanto amato dall’autore, il folletto narra ai suoi giovani e avidi ascoltatori favole fantastiche di magie e incantesimi e vicende reali tratte dai più diversi periodi della storia inglese. Indirizzate tanto al pubblico adulto quanto ai lettori più giovani, le due raccolte di racconti Puck il folletto e Il ritorno di Puck (pubblicate rispettivamente nel 1906 e nel 1910) sono uno dei migliori esiti narrativi di Kipling, frutto di una scrittura brillante e ricca.

«In un tempo ormai lontano, Dan e Una, un fratello e una sorella che vivevano nella campagna inglese, ebbero la ventura d’incontrare Puck, alias Robin Buontempone.»


Rudyard J. Kipling

Joseph Rudyard Kipling nacque a Bombay nel 1865. Fu ricondotto in Inghilterra per studiare: da questo periodo terribile della sua vita uscì minato nella salute, piegato nel corpo e nello spirito. Tornato in India nel 1882, divenne redattore della «Civil and Military Gazette» e cominciò a pubblicare liriche e racconti. Ben presto divenne lo scrittore più amato e popolare del suo tempo, oltre che il meglio pagato. Nel 1889 tornò in Inghilterra, e nel 1907 gli venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Morì nel 1936. Di Rudyard Kipling la Newton Compton ha pubblicato Poesie; I libri della Jungla; Kim; Capitani coraggiosi; Tutte le storie di Puck il folletto e il volume I grandi romanzi, racconti e poesie.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854138605
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    Anteprima del libro

    Tutte le storie di Puck il folletto - Rudyard J. Kipling

    313

    Titolo originale: Puck of Pook’s Hill (traduzione di Alessandra Spirito),

    Rewards and Fairies (traduzione di Stefania Di Natale)

    Prima edizione ebook: febbraio 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3860-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Rudyard Kipling

    Tutte le storie di Puck

    il folletto

    Introduzione di Francisco José Martín

    Newton Compton editori

    Kipling fra gli spiriti della collina

    Ci fu un tempo in cui il piccolo Rudyard Kipling, nato a Bombay nel 1865, figlio di un funzionario dell’Impero britannico e di una donna imparentata col pittore preraffaellita Sir Edward Burne-Jones, restò da solo insieme alla sorellina: accadde quando i genitori lo spedirono nella madre patria, sulle rive della Manica, in modo che s’immergesse ben bene nel vecchio mondo dei suoi veri padri e non credesse di poter essere uguale ai servitori indigeni che lo vezzeggiavano alla maniera di una divinità.

    Il futuro scrittore aveva sei anni e ne restò altri cinque presso una famiglia di Southsea che lo prese in affido. Il referto implacabile di quella terribile esperienza di abbandono è stampato a caratteri indelebili in un racconto del 1888: Baa Baa, Black Sheep (Bee Bee, pecora nera), ma certi suoi inquietanti riflessi continuano a scorgersi nei due libri che qui presentiamo, uno dei più misteriosi e affascinanti dittici narrativi della letteratura inglese di primo Novecento.

    Il primo testo, Puck of Pook’s Hill, o più semplicemente Puck, come spesso viene tradotto, fu pubblicato nel 1906. L’anno successivo Kipling, a soli 41 anni, ricevette il premio Nobel per la Letteratura. Le opere composte fino ad allora, poesie, romanzi e soprattutto racconti, lo avevano collocato di diritto nel ristretto novero dei grandi maestri.

    Ci consideravamo pronti a dare la vita per un ideale in cui credere? Di sicuro, leggendo The Light that Failed (La luce che si spense), avremmo trovato pane per i nostri denti. Volevamo sapere come si fa a morire da eroi? The Drums of the Fore and Aft (I tamburini del Fore and Aft) pareva fatto apposta per rispondere a questa domanda. Ci sarebbe piaciuto conoscere il lato meno feroce di un branco di lupi? Avevamo a disposizione i due Jungle Books (Libri della Jungla). Avremmo voluto apprendere l’arte della maturità? Ecco pronto per noi Captain Courageous (Capitani coraggiosi). Ci chiedevamo cosa fosse stato davvero il colonialismo? I versi compresi in The White Man’s Burden (Il fardello dell’uomo bianco) non potevano sfuggirci. Eravamo appassionati di avventure internazionali? Kim non ci avrebbe deluso. I bambini si addormentavano soltanto se gli raccontavamo favole di animali? Bastava leggere loro Just So Stories (Storie proprio così).

    Eppure qualcosa ancora sfuggiva alla definizione di questo precoce talento dallo stile cristallino. Molti suoi devoti sostenitori, insieme a critici più severi, gli avevano cucito addosso una specie di caricatura, che lo vedeva indossare l’elmo della Guardia Reale e impugnare la spada di Sua Maestà.

    Ma c’era una tenerezza di fondo che non quadrava. Lo aveva compreso Renato Serra, fra i primi. La nostalgia indefinita di mondi imprecisati, lontani dal nostro. L’elogio dell’ingenuità. La scintilla creativa di un’erudizione altrimenti sterile. L’amore nei confronti di ciò che scompare: il tramonto, il potere, la salute, la gloria, chi perde tutto e non vince niente. Insomma la materia che fa grande Puck. Emilio Cecchi lo spiegò al pubblico italiano già nel 1910 in un testo, dedicato al nostro, poi compreso in Scrittori inglesi e americani. Infine Silvio D’Arzo dettagliò ancora meglio i contorni del nuovo disegno critico nel memorabile saggio intitolato: Kipling senza trombe, concluso nel 1950.

    Titolo illuminante. Se davvero questo scrittore è stato solo uno splendido cerimoniere dell’Union Jack, che spettacolare sventola sugli oceani, si chiedeva l’autore di Casa d’altri, allora perché Antonio Gramsci consigliava i libri di Kipling a suo figlio?

    Ed eccoci ai dieci racconti del primo libro di Puck. L’ambiente è quello, domestico, di una casa di campagna nel più classico dei paesaggi inglesi. Dan e Una, fratello e sorella, fanciulli dalla curiosità straripante, che avrebbero fatto la felicità di qualsiasi insegnante, se non avessero avuto l’abitudine di disertare le aule per giocare in giardino, stanno recitando alcune parti del Sogno di una notte di mezza estate, quando vedono spuntare sulla sponda del fiume proprio il famoso folletto shakespeariano: una figuretta bruna con gli occhi azzurri, la faccia lentigginosa e le orecchie a punta.

    Questo esserino rivela ai bambini stupefatti la storia delle sue terre, dove lui vive da sempre. I morti di un tempo, vecchie creature, abitano ancora come Spiriti nelle Colline. Ad esempio Weland, fabbro degli Dèi, costruttore di lame taglienti destinate a uccidere i nemici. Al termine del racconto, per evitare che Dan e Una lo riferiscano ai genitori e l’incantesimo possa tornare immutato il giorno successivo, Puck fa mangiare ai suoi piccoli amici foglie di quercia, frassino e spino. Che sono anche i nomi delle sue frequenti imprecazioni.

    Chi intendesse osservare i rapporti con la biografia kiplinghiana, dovrebbe sfogliare They (Essi), pubblicato nel 1904, ricordo lirico e sentimentale di scorribande automobilistiche sui medesimi luoghi di Puck, dove peraltro lo scrittore visse davvero insieme alla famiglia, nella tanto amata casa di Bateman’s Burwash: «Non dovevo fare altra fatica che spingere in avanti una leva, lasciando che la contea scorresse sotto le mie ruote».

    Ma forse non sarebbe il modo giusto per apprezzare la piena autonomia fantastica di questi racconti. Dovremmo invece abbandonarci alla loro dolcissima inverosimiglianza come facevano i nostri nonni, nel momento in cui, con ogni probabilità, prima ancora di leggere il testo, ne sunteggiavano qualche brano ai nipotini.

    Sir Richard, nobile normanno, ci parla del suo sbarco in Inghilterra (nel 1066, come solerte esclama Una). Grazie ad uno scaltro manipolo di intrepidi cavalieri, ebbe ragione dei Sassoni che in quelle regioni da tempi immemorabili dominavano. È un sovrano indimenticabile, questo Richard, che non esita a entrare di slancio a cavallo nel refettorio del convento di Bec, presso Rouen, per dimostrare all’abate di non aver timore di lui. Vicende ingarbugliate passano sotto agli occhi dei lettori con la leggerezza incantata di chissà quali leggende: patti scellerati, battaglie, complotti e lunghi viaggi di mare verso la Spagna. I cavalieri vengono fatti prigionieri da un contrabbandiere danese che li conduce sulle coste africane dove assistiamo allo scontro con una tribù ricca d’oro.

    De Aquila, scudiero di Sir Richard, sventa una rivolta di baroni. Resta nell’aria della scrittura il profumo di un vecchio repertorio di gesta che filtra nel frastuono della rievocazione come una quintessenza di pioggia sulla costa selvaggia dove il combattente si reca per avere dai marinai, appena sbarcati, notizie dalla Francia.

    È l’epopea delle radici spiegata ai bambini, lanciati a tutta forza verso il futuro. Eppure l’enfasi della missione civilizzatrice operata dagli inglesi nel resto del mondo sembra scomparsa. Basti pensare all’irruzione fantastica degli antichi romani, in un tipico rapporto fra l’Impero britannico, nella sua fase calante, e quello latino, pronto a cedere il posto alle nuove popolazioni europee.

    La bambina tira con la fionda, sottratta al fratello in castigo, e rischia di colpire Parnasio, centurione veterano che vive a Vectis, isola di Wight. Allevato da una donna numida, questo soldato non vide mai Roma. Ebbe un’istitutrice greca: Aglaia. Ai suoi tempi, Bath si chiamava Aquae Salis.

    Sembra di ascoltare Puck’s Song (La canzone di Puck), una poesia, inclusa nelle prime edizioni del libro, poi scorporata e compresa nelle raccolte poetiche dello scrittore, in cui lo spirito del folletto vibra felice sulle ali delle maiuscole come una farfalla ubriaca: «Old Wars, old Peace, old Arts that cease, / And so was England born!» («Guerre antiche, un’antica pace, vecchi mestieri che muoiono, / E così nacque l’Inghilterra!»).

    Kipling si muove con estrema disinvoltura nella storia antica, saltando con piglio inconfondibile da una civiltà all’altra. Ed eccolo descrivere, come se niente fosse, la vita quotidiana che si svolgeva nei pressi del Vallo di Adriano, lasciandoci immaginare i villaggi, il cibo, le marce, al tempo di Massimo e Teodosio.

    Nei raccordi tematici, sempre illustrati da una poesia-proclama, spicca, come una cucitura ben fatta, il vecchio Hobden, curasiepi del parco, insieme a suo figlio, che si occupa delle api ed è anche un po’ tocco. Il giardiniere ogni volta riconduce alla realtà i due piccoli protagonisti, insieme a noi tutti, sottolineando la matrice onirica del racconto, in modo che non ci dimentichiamo di star assistendo ad un sogno di mezza estate, per l’appunto, negli stagni sotto i salici, fra i tronchi delle querce abbattute, non distante dal faggeto che sorge ai lati della villetta padronale.

    Lì i bambini possono giocare ai pirati e gli scrittori inventarsi un’altra vita. Come quella di Harry Dawe, artista di corte al tempo di re Enrico VII, pronto a farsi consegnare i cannoncini per le navi del celebre esploratore d’America Giovanni Caboto. Si mischiano personaggi storici realmente esistiti con altre figure inventate, nel cortocircuito spaziale e temporale.

    Chi racconta non smette mai di ricordarci, se per caso fosse sfuggito alla nostra attenzione, che siamo sempre nel Sussex del diciannovesimo secolo, anche se ci spostiamo con bella libertà nel passato remoto, non dissimile da come potrebbe essere il futuro più lontano, quasi avessimo a che fare con un romanzo di fantascienza. Questo costante richiamo al fondale contemporaneo costituisce il perno strutturale del libro.

    La narrazione rompe i nessi logici, eppure rimane ancorata al vero che la storia le consegna, in un impasto stilistico di preziosa fattura in cui fatti e persone conservano evidenza plastica, seppur allucinata, sebbene provengano dal fondo oscuro delle memorie antiche. Come se un lucido delirio visionario avesse preso il posto della realtà. Solo un elemento resta se stesso: il paesaggio, descritto con amorevole sguardo analitico, minuzioso, non meno evocativo. Lo scrittore scopre fiori assetati sotto umidi ciuffi di felci e riesce a vedere sottili scaglie d’acqua nei ruscelli dove le trote covano segreti.

    Si capisce così, nello sguardo lenticolare, perfino la natura di Puck: lo sciamano, il sapiente, l’oracolo, il negromante, colui che conserva il filo che noi abbiamo spezzato, in equilibrio cristallino fra ciò che si può dire e ciò che dobbiamo tenere celato. Gli Spiriti della Collina altro non sono che magnetismi sprigionati dai luoghi della nostra infanzia, incandescenze spirituali, conforti della solitudine. Tutta la vera grande letteratura, senza distinzioni di genere, si alimenta di questo. Aveva ragione lo scrittore quando in Something of Myself (Qualcosa di me), l’autobiografia pubblicata dopo la sua morte avvenuta nel 1936, dichiarò a proposito dei racconti di Puck: «Dovevano essere letti dai fanciulli prima che ci si rendesse conto che erano stati composti per gli adulti». Ecco chi è Kipling! Uno capace di farti credere, tenendo insieme umorismo e serietà, nel Grande Esodo delle Fate dalla vecchia e crudele Inghilterra dove il Parlamento, a un certo punto, comincia proprio a dettar legge. Gli uomini si dividono fra coloro che vogliono restare fedeli ai castelli ermeticamente chiusi, con le aquile sulle garitte dei torrioni e chi, al contrario, parteggia per la riforma democratica imposta dai nuovi codici. Di fronte allo sconquasso causato dagli schieramenti avversi, le Fate decidono di battere in ritirata verso la sponda francese. Allora via dalle Paludi, sul battello diretto in Europa. E che sferragliare di scudi e argento sotto le vele spiegate! Le rane del Bosco Lontano e le api della Fattoria dei Tigli dovranno accettare l’incredibile migrazione come un evento naturale.

    Per i bambini c’è appena il tempo di ascoltare l’ultima storia di Kadmiel, medico ebreo che spinge re Giovanni a firmare la Magna Charta usando un sottile stratagemma. Dopodiché, mentre il rigido inverno avanza implacabile, Dan e Una tornano a casa senza aver dato neanche la buonanotte al meraviglioso folletto. Eppure cantano una singolare canzone d’addio alle Fate scomparse. È l’implicito annuncio della seconda opera, Rewards and Fairies (Ricompense e Fate), che uscirà nel 1910, come il seguito delle medesime avventure.

    Il ritorno di Puck, titolo che si è affermato per consuetudine editoriale, sarà un’altra sequenza, stavolta di undici storie, nel rilancio appassionato della stessa pulsione ideativa, compreso qualche personaggio già conosciuto che si ripresenta al lettore come se niente fosse. Sovrani camuffati da pellegrini. Neonati cresciuti sotto l’ala protettiva del piccolo demone, sempre in bilico fra mondo reale e dimensione ultraterrena. Uomini preistorici che non esitano a barattare un occhio in cambio della spada. Contrabbandieri, streghe, pellerossa. Ecco i buffoni di corte insieme a Talleyrand e Napoleone Bonaparte, in un singolare miscuglio storico. Medici e astrologi. Pirati e sacerdotesse.

    Specie in questo secondo libro, ancora più folto di accadimenti rispetto al primo, si accentua l’autonomia narrativa, come se Kipling fosse riuscito a creare la sua isola del cuore, anche perché la quinta scenografica fissa di richiamo strutturale, dove abitano i due bambini, fatta di cimiteri e parrocchie, locande e boschetti, dune e scogliere, rafforza, per contrappunto paradossale, la matrice favolistica delle vicende tematiche. Nella folla dei cento avventurieri filtra la solitudine di tutti i ragazzi del mondo, sprofondati nel fieno, come direbbe lo scrittore, a contemplare stupefatti la polvere di stelle nel solenne firmamento.

    Questa è la nota poetica. Ma nei due libri di Puck si percepisce perfino quella politica che, fra veglia e sonno, stemperò con qualche malinconia, negli anni successivi, il declino dell’Impero britannico.

    ERALDO AFFINATI

    Rudyard Kipling: la vita e le opere

    LA VITA

    Rudyard Kipling è nato a Bombay nel 1865 ed è morto a Londra nel 1936. Nel 1907 gli è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Il suo nome è legato all’idea dell’uomo eroico, la cui ideologia è la «religione dell’azione». Per Kipling, infatti, l’uomo deve sapersi fare strumento dello sviluppo della vita in tutte le sue forme, fisiche e ideali, e per ottenere questo deve essere pronto anche al sacrificio di se stesso.

    Da questa impostazione stoica derivano l’esaltazione del soldato britannico e la valutazione positiva dell’imperialismo colonialistico. Kipling sostiene che il «compito dell’uomo bianco» consiste nel prendere l’iniziativa di supremazia sul resto del genere umano avendo come fine la realizzazione del progresso universale. Una concezione forte, tutt’altro che pietistica, e criticata per le venature di un certo razzismo, che l’autore però non considera negativamente come tale. Certo è che questa concezione consente allo scrittore di esprimersi con uno stile forte, che gli è da tutti riconosciuto.

    Dopo aver trascorso la prima infanzia in India, figlio di un funzionario governativo, Kipling, nel 1871, fu mandato in Inghilterra per intraprendere gli studi. Nel 1878 entrò in un College destinato ai figli degli ufficiali e funzionari governativi: un ambiente rigido che lascerà un’impronta decisiva sul suo carattere. È proprio a questo periodo che successivamente saranno ispirati i racconti Beebe, pecora nera (Baa, Baa, Black Sheep, 1888), Wee Willie Winkie (1888) e Stalky e Soci (Stalky & Co., 1899). Torna in India nel 1882, come giornalista, ed elabora i temi che costituiranno il bagaglio principale della sua opera: il rapporto tra i dominatori bianchi e la popolazione indigena, la funzione civilizzatrice dell’uomo bianco e la memoria della millenaria civiltà indiana.

    È questa impostazione che darà contenuto alle prime opere significative, Tre soldati (Soldiers Three) e Racconti delle colline (Plain Tales from the Hills) del 1888. Nel 1889 Kipling ritorna in patria. Comincia così il periodo più fecondo, quello delle opere maggiori. Ottiene la popolarità con le Ballate di caserma (Barrack-Room Ballads, 1892), una serie di composizioni poetiche. Scrive La luce che si spense (The Light that Failed, 1891), un libro non molto significativo, ma raggiunge i massimi risultati con i due Libri della Giungla e con Kim.

    Il libro della Giungla (The Jungle Book, 1894) e Il secondo libro della Giungla (The Second Jungle Book, 1895) narrano la singolare vicenda di un bimbo, Mowgli, smarrito nella foresta indiana, che viene amorosamente allevato da una lupa, fra i suoi lupacchiotti. Col passare degli anni Mowgli riesce a imporre la propria personalità di uomo in quella società di animali che lo aveva accolto; acquistando coscienza di sé, abbandona la famiglia adottiva e torna fra gli uomini. La storia di Mowgli rappresenta il primato della ragione e della legge sugli impulsi esistenziali. Sono i motivi che riappaiono anche in Kim, l’altro capolavoro.

    Di grande successo, anche se si tratta di opere minori, sono Capitani coraggiosi (Captains Courageous, 1897), le storie di ambiente medievale Puck delle colline (Puck of Pook’s Hill, 1906), le fantasiose Storie proprio così (Just So Stories for Little Children, 1902), dedicate all’infanzia. Non va naturalmente dimenticata la sua ricca produzione poetica. Dopo le già citate Ballate di caserma, compaiono le raccolte I sette mari (The Seven Seas, 1896) e Le cinque nazioni (The Five Nations, 1903).

    LE OPERE

    Schoolboy Lirycs, Civil and Military Gazzette Press, Lahore 1881.

    Echoes by Two Writers, in collaborazione con Alice Kipling, Civil and Military Gazzette Press, Lahore 1884.

    Departmental Ditties and Other Verses, Civil and Military Gazzette Press, Lahore 1886.

    In Black and White, Wheeler & Co., Allahabad 1888.

    Plain Tales from the Hills, Thacker, Spink & Co., Calcutta 1888.

    Soldiers Three, Pioneer Press, Allahabad 1888.

    The Story of the Gadsbys, Wheeler & Co., Allahabad 1888.

    The Phantom Rickshaw, Wheeler & Co., Allahabad 1888.

    Under the Deodars,Wheeler & Co., Allahabad 1888.

    Wee Willie Winkie, Wheeler & Co., Allahabad 1888.

    The Courting of Dinah Shadd and Other Stories, Harper & Brothers, New York 1890.

    The Light that Failed, Lippincott Company, London 1890.

    The City of Dreadful Night, Wheeler & Co., Allahabad 1891.

    His Private Honour, Macmillan & Co., London-New York 1891.

    Letters of Marque, Wheeler & Co., Allahabad 1891.

    Life’s Handicap, Macmillan & Co., London-New York 1891.

    Mine Own People, United States Book Company, New York 1891.

    Barrack-Room Ballads, Methuen & Co., London 1892.

    The Naulahka, Heinemann, London-New York 1892.

    Many Inventions, Appleton & Co., New York 1893.

    The Jungle Book, Macmillan & Co., New York-London 1894.

    The Second Jungle Book, Macmillan & Co., New York-London 1895.

    The Seven Seas, Appleton & Co., New York 1896.

    Soldier Tales, Macmillan & Co., London 1896.

    The Kipling Birthday Book, Macmillan & Co., New York 1896.

    Captains Courageous, Macmillan & Co., London 1897.

    A Fleet in Being, Macmillan & Co., New York 1898.

    An Almanac of Twelve Sports, Heinemann, London 1898.

    The Day’s Work, Doubleday & McClure, New York 1898.

    A Kipling Note Book, Mansfield & Wessels, New York 1899.

    From Sea to Sea, Doubleday & McClure, New York 1899.

    Stalky & Co., Macmillan &Co., London 1899.

    The Brushwood Boy, Doubleday & McClure, New York 1899.

    The White Man’s Burden, Doubleday & McClure, New York 1899.

    Kim, Doubleday, Page & Co., New York 1901.

    Just So Stories for Little Children, Macmillan & Co., London 1902.

    The Five Nations, Methuen & Co., London 1903.

    Traffics and Discoveries, Macmillan, London 1904.

    Puck of Pook’s Hill, Macmillan, London 1906.

    Collected Verse, Doubleday, Page & Co., New York 1907.

    Letters to the family, Macmillan Company of Canada, Toronto 1908.

    Abaft the Funnel, Doubleday, Page & Co., New York 1909.

    Actions and Reactions, Macmillan, London 1909.

    Rewards and Fairies, Macmillan & Co., London 1910.

    A History of England, in collaborazione con C.R.L. Fletcher, Clarendon Press, London 1911.

    Songs from Books, Doubleday, Page & Co., New York 1912.

    France at War, Macmillan & Co., London 1915.

    The New Army in Training, Macmillan, London 1915.

    Sea Warfare, Macmillan & Co., London 1916.

    A Diversity of Creatures, Macmillan & Co., London 1917.

    The War in the Mountains, Doubleday, Page & Co., New York 1917.

    The Eyes of Asia, Doubleday, Page & Co., New York 1918.

    The Graves of the Fallen, Imperial War Graves Commission, London 1919.

    The Years Between, Methuen & Co., London 1919.

    Letters of Travel (1892-1913), Macmillan & Co., London 1920.

    Land and Sea Tales, Macmillan & Co., London 1923.

    The Irish Guards in The Great War, Macmillan & Co., London 1923.

    Songs for Youth, Hodder & Stoughton, London 1924.

    Debits and Credits, Macmillan & Co., London 1926.

    Sea and Sussex, Macmillan & Co., London 1926.

    Songs of the Sea, Doubleday, Page & Co., New York 1927.

    A Book of Words, Macmillan & Co., London 1928.

    Poems, 1886-1929, Macmillan & Co., London 1929.

    Thy Servant a Dog, Macmillan & Co., London 1930.

    Humorous Tales, Macmillan & Co., London 1931.

    Animal Stories, Macmillan & Co., London 1932.

    Limits and Renewals, Macmillan & Co., London 1932.

    All the Mowgli Stories, Macmillan & Co., London 1933.

    Souvenirs of France, Macmillan & Co., London 1933.

    Collected Dog Stories, Macmillan & Co., London 1934.

    A Kipling Pageant, Doubleday, Doran & Co., New York 1935.

    All the Puck Stories, Macmillan & Co., London 1935.

    TRADUZIONI IN ITALIANO

    Racconti angloindiani del mistero e dell’orrore, trad. it. di O. Fatica, Theoria, Roma 1986.

    Kim, trad. it. di C. Egidi Mattei, Mondadori, Milano 1986.

    L’ammutinamento dei Mavericks, trad. it. di O. Fatica, Theoria, Roma 1986.

    Qualcosa di me: per i miei amici noti e ignoti, trad. it. di M. Vinciguerra, Einaudi,Torino 1986.

    Oltre il limite e altri racconti, trad. it. di B. Rivadossi, L’Obliquo, Brescia 1987.

    Poesie, trad. it. di P. Bottalla e S. Miliani, Mursia, Milano 1987.

    Nel mondo di A.B.C. - Con il postale della notte, a cura di A. Monti, Nord, Milano 1987.

    Racconti angloindiani, a cura di A. Monti, Mondadori, Milano 1987.

    Racconti della guerra e della maturità, a cura di A. Monti, Mondadori, Milano 1987.

    Alba guasta, a cura di O. Fatica, Editori Riuniti, Roma 1988.

    Il libro della giungla, trad. it. di U. Pittola, Mursia, Milano 1989.

    Puck delle colline, trad. it. di U. Pittola, Mursia, Milano 1991.

    L’Egitto dei maghi, trad. it. di O. Fatica, Theoria, Roma 1992.

    La guerra sulle montagne: impressioni del fronte italiano, Pagano, Napoli 1992.

    La corsa di primavera e altri racconti indiani, trad. it. di S. Colangelo, Ripostes, Salerno 1993.

    Racconti, trad. it. di G. Krätli, Garzanti, Milano 1993.

    Storie proprio così, trad. it. di A.M. Clerici Bragozzi, Mursia, Milano 1993.

    I libri della giungla, trad. it. di G. Dauli, Newton Compton, Roma 1994.

    Il risciò fantasma e altre storie fantastiche, a cura di G. Pilo e S. Fusco, Newton Compton, Roma 1994.

    Capitani coraggiosi, trad. it. di A.M. Speckel, Newton Compton, Roma 2006.

    L’uomo che volle farsi re e I costruttori di ponti, trad. it. di F. Macherelli, Newton Compton, Roma 1995.

    L’avventura di Mowgli, trad. it. G.L. Guernerei, Guaraldi, Rimini 1995.

    Poesie, trad. it. di T. Pisanti, Newton Compton, Roma 1995.

    Racconti semplici delle colline: racconti indiani, trad. it. di A. Gibellini e G. Francesio, Guaraldi, Rimini 1995.

    La foca bianca, trad. it. di U. Pittola, Mursia, Milano 1996.

    Il secondo libro della giungla, trad. it. di U. Pittola, Mursia, Milano 1996.

    Otre la porta d’oro. Un viaggio negli Stati Uniti da costa a costa, trad. it. di V. Bellazzi, Muzzio, Padova 1996.

    Confini e conflitti. I racconti fantastici, trad. it. di O. Fatica, Theoria, Roma 1997.

    Il risciò fantasma e altri racconti dell’arcano, trad. it. di O. Fatica, Adelphi, Milano 2000.

    Loro, a cura di G. Martina, Adelphi, Milano 2000.

    Ballate delle baracche e altre poesie, a cura di F. Buffoni, Mondadori, Milano 2001.

    Capitani coraggiosi: una storia dei grandi banchi, trad. it. di A.M. Speckel e O. Palusci, Mondadori, Milano 2001.

    Come al cammello spuntò la gobba, trad. it. E. Frescobaldi, Nord-Sud, Pordenone 2001.

    L’uomo che volle farsi re, trad. it. di A. Monti e L. Conetti, Mondadori, Milano 2001.

    Racconti dell’India, della vendetta, della memoria, a cura di A. Monti, Mondadori, Milano 2001.

    If e poesie scelte, a cura di A. Rossati, Rizzoli, Milano 2003.

    Lettere corsare dall’India, trad. it. di U. Cundari, Editori Riuniti, Roma 2003.

    Puck il folletto, a cura di O. Fatica, Adelphi, Milano 2003.

    Il ritorno di Puck, a cura di O. Fatica, Adelphi, Milano 2004.

    Oh adorati figli, trad. it. di P. Premoli, Archinto, Milano 2004.

    I libri della giungla e altri racconti di animali, a cura di O. Fatica, Einaudi, Torino 2006.

    La città della tremenda notte, a cura di O. Fatica, Adelphi, Milano 2007.

    Kim, intr. di G. Melega, trad. it. di S. Cortesia, Newton Compton, Roma 2007.

    I figli dello Zodiaco, a cura di O. Fatica, Adelphi, Milano 2008.

    Kim-I libri della giungla-Racconti dall’India, a cura di V. Papetti, trad. di T. Diambra et al., BUR Radici, Milano 2008.

    La nave che trovò se stessa, Mursia, Milano 2008.

    Poesie, a cura di O. De Zordo, Mursia, Milano 2008.

    Kim, trad. di A. Nutini, A. Mondadori, Milano 2009.

    Il libro della giungla, trad. di G. Van Straten, A. Mondadori, Milano 2009.

    The Man who would be King, trad. di N. Aresca, Gruppo editoriale L’Espresso, Roma 2009.

    Qualcosa di me, a cura di M. Russo, Barbes, Firenze 2009.

    Capitani coraggiosi, Basic, Torino 2010.

    Capitani coraggiosi, Nord-Sud, Milano 2010.

    La collina dell’illusione: India magica e India coloniale, a cura di M. Barletta, Robin, Roma 2010.

    Kim, trad. di B. Maffi, introd. e note di V. Papetti, BUR, Milano 2010.

    Oltre la porta d’oro, PGreco, Milano 2010.

    On the City Wall, trad. di M. Formaggio, La biblioteca di Repubblica-l’Espresso, Roma 2010.

    Storie proprio così, trad. di B. Lazzaro, Donzelli, Roma 2010.

    Viaggio in India, trad. e cura di U. Cundari, Castelvecchi, Roma 2010.

    CONTRIBUTI CRITICI IN LINGUA ITALIANA

    R. Serra, Rudyard Kipling, Edizioni della Voce, Firenze 1923.

    M. Praz (voce a cura di), Kipling, in Enciclopedia Treccani, Milano 1932.

    M. L. Astaldi, Kipling: ieri e oggi, in «Nuove letture inglesi», Sansoni, Firenze 1958.

    L. Sacchetti, Rudyard Kipling, Le Monnier, Firenze 1959.

    G. Freddi, Kipling, La Scuola, Brescia 1964.

    H. Furst, La gloria di Kipling, in «Il Borghese» del 6 gennaio 1966.

    O. Cecchi, L’India da Kipling a Forster, in «L’Unità» del 9 gennaio 1966.

    R. Runcini, Rudyard Kipling. L’avventura di massa e il trionfo della civiltà delle macchine, in Illusione e paura nel mondo borghese da Dickens a Orwell, Laterza, Bari 1968.

    M. Burri Rossi – C. Conoscitore, Fanciulli e adolescenti in Kipling, La Nuova Italia, Firenze 1969.

    C. Izzo, Rudyard Kipling. Storie proprio così, in «Civiltà britannica», Storia e Letteratura, Roma 1970.

    C. Di Biase, Letteratura e metodo critico di Cecchi giovanile: Kipling, in «Critica e letteratura», E.S.I., Napoli 1973.

    G. Sertoli, Rudyard Kipling, in V. Amoruso e F. Binni (a cura di), I contemporanei. Letteratura inglese, Lucarini, Roma 1977.

    G. Persico, Il fantastico, la natura e la legge nella narrativa di R. Kipling: da The Light that Failed a Kim, Edigraf, Catania 1979.

    R. Oliva, Kim: il puer e il senex, l’Occidente e l’Oriente, il gioco e la ricerca, in AA.VV., L’isola non trovata. Il libro d’avventure nel grande e piccolo Ottocento, Emme Edizioni, Milano 1982.

    R. Runcini, La natura come legge e l’organizzazione come destino: la poetica imperialista di Rudyard Kipling, in «Il Mulino» n. 2, 1986.

    A. Monti, La legge dell’abominio. L’India di Rudyard Kipling, Solfanelli, Chieti 1988.

    M. Stella (voce a cura di), in Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, Torino 1989.

    L. Conetti, Introduzione a Kipling, Laterza, Roma-Bari 1996. E. Cecchi, Saggi romantici: Rudyard Kipling. La poesia di Giovanni Pascoli, Avagliano, Cava dei Tirreni 2003.

    S. Caporaletti, Nel labirinto del testo: The Signalman di Charles Dickens e The Phantom Rickshaw di Rudyard Kipling, Liguori, Napoli 2004.

    STUDI

    R. BALDI, Traduzioni culturali, The white mans burden (Rudyard Kipling): cultura e civiltà anglofona attraverso la traduzione ragionata, ISU, Università cattolica, Milano 2008.

    FILMOGRAFIA

    Indimenticabile il film che nel 1937 Victor Fleming trasse dal romanzo Capitani coraggiosi, interpretato da Lionel Barrymore, Freddie Bartholomew, John Carradine, Melvin Douglas, Mickey Rooney e un grande Spencer Tracy che per questa interpretazione vinse l’Oscar.

    Nel 1939 fu ridotto per lo schermo da Robert Carson The Light that Failed (La luce che si spense), diretto da William Wellman e interpretato da Ronald Colman, Walter Huston e Ida Lupino.

    Tra le versioni cinematografiche dei Libri della Giungla le più famose sono quelle a cartoni animati realizzate da Walt Disney nel 1967 e nel 2003; al 1942 risale il primo film, che ha avuto due remake nel 1994 e nel 1998. Famosa anche la serie di cartoni animati giapponesi Jungle Book Shonen Mowgli.

    Errol Flynn e Dean Stockwell sono gli interpreti di Kim, film di Victor Saville uscito nel 1950, cui fecero seguito una versione televisiva inglese nel 1984 e un cartone animato della RAI nel 2009.

    Del 1951 è il film I tre soldati che il regista Tay Garnett trasse dall’omonimo racconto e che era interpretato da Stewart Granger, Robert Newton, David Niven e Walter Pidgeon.

    Grande successo riscosse anche l’omonima versione cinematografica di L’uomo che volle farsi re, diretta da John Huston nel 1975, con Sean Conne­ry, Michael Caine e Christopher Plummer nel ruolo di Kipling.

    Puck il folletto

    La spada di Weland

    La Canzone di Puck

    Vedi il sentiero affossato che corre

    attraverso il grano?

    Oh fu lì che portarono i fucili

    che sconfissero la flotta di Re Filippo!

    Vedi il nostro piccolo mulino che schiocca

    affaccendato accanto al ruscello?

    Ha macinato e pagato le sue tasse

    sin dai tempi del Domesday Book¹.

    Vedi i querceti silenziosi

    e il tetro fossato lì accanto?

    Oh, è da lì che irruppero i Sassoni

    il giorno che Harold morì!

    Vedi i piani ventosi

    che si stendono intorno ai Cancelli della Segale?

    Oh, fu lì che gli uomini del Nord fuggirono

    quando le navi di Alfred sopraggiunsero!

    Vedi i pascoli ampi e solitari

    dove i buoi rossi pascolano?

    Oh, lì sorgeva una città fiorente e conosciuta

    già prima che Londra vantasse i suoi natali!

    E non vedi, dopo la pioggia, le tracce

    del terrapieno, del fossato e delle mura?

    Oh, lì s’accampò una legione

    quando Cesare fece vela dalla Gallia!

    E vedi i segni che appaiono e scompaiono

    come ombre sui Downs²?

    Oh, quelli sono i confini tracciati dagli uomini dell’età della pietra

    per proteggere le loro magnifiche città!

    Il sentiero, e l’accampamento e la città perduta,

    la palude salata dove ora è il frumento;

    antiche guerre, antiche paci, antiche arti scomparse,

    e così è nata l’Inghilterra!

    Non è una terra,

    e non sono acqua o legno o aria come tanti

    che io e te visiteremo

    Ma Gramayre, l’Isola di Merlino.

    I bambini erano a teatro, e recitavano per le Tre Mucche quello che riuscivano a ricordare del Sogno di una notte di mezza estate. Il papà aveva creato per loro una riduzione della grande commedia shakespeariana, e l’avevano provata con lui e con la mamma fino a che non l’avevano saputa a memoria.

    Cominciavano da quando Nick Bottom il tessitore esce dai cespugli con la testa d’asino sulle spalle e trova Titania, la regina delle fate, addormentata. Poi passavano subito alla parte dove Bottom chiede a tre fatine di grattargli la testa e portargli del miele, e finivano con lui che s’addormenta fra le braccia di Titania. Dan interpretava Puck e Nick Bottom, e anche tutte e tre le fate. Per la parte di Puck indossava un cappello a punta di stoffa, e una testa d’asino ricavata da un petardo natalizio – ma bisognava stare attenti a non strapparla – per Bottom. Una era Titania, con una ghirlanda di aquilegie e una bacchetta di digitale.

    Il teatro stava in un prato chiamato Long Slip. Un piccolo canale, che portava l’acqua ad un mulino due o tre campi più in là, formava un’ansa ad un angolo, e al centro di quell’ansa si trovava un grosso e antico Cerchio delle Fate d’erba scura, che fungeva da palcoscenico. Le sponde del canale, ricoperte da fitti salici, noccioli e viburni, erano un buon posto dove aspettare il proprio turno per entrare in scena; e un adulto che lo aveva visto aveva detto che lo stesso Skakespeare non avrebbe potuto immaginare un’ambientazione più adatta per la sua commedia. Naturalmente, non era permesso loro recitare durante la Notte di San Giovanni, ma andarono lì per la vigilia, dopo il tè, all’ora che le ombre s’allungavano, e si portarono la cena: uova sode, biscotti secchi e sale in un cartoccio. Le Tre Mucche erano state munte, e brucavano intente con un rumore d’erba strappata che si diffondeva per il prato, mentre il rumore del mulino all’opera suonava come uno scalpiccio di piedi nudi sul terreno. Un cuculo stava appollaiato sullo stipite di un cancello e intonava il suo cucù intermittente, e un martin pescatore affaccendato volava avanti e indietro dal canale al torrente che scorreva all’altro capo del prato. Tutto il resto era immerso in una specie di pesante e sonnolenta quiete odorosa della dolcezza dei fiori e d’erba secca.

    La commedia fu un successo. Dan ricordava tutte le sue parti – Puck, Bottom e le tre fate – e Una non aveva scordato neanche una battuta di Titania, neanche quel pezzo difficile dove diceva alle fate di come dovessero rifocillare Bottom con albicocche, fichi verdi e more selvatiche. Erano tanto soddisfatti che la recitarono tutta dall’inizio alla fine per tre volte di fila prima di sedersi al centro del Cerchio, che era libero dai rovi, per mangiare uova e biscotti. Fu allora che sentirono un fischio fra gli ontani della riva, e sobbalzarono. I cespugli si aprirono.

    Nel posto esatto dove Dan aveva interpretato Puck c’era una personcina non alta di statura, scura di carnagione, dalle spalle larghe e le orecchie appuntite, con il naso all’insù, occhi azzurri allungati, e un sorriso beffardo che s’apriva sul viso lentigginoso. Si fece ombra sugli occhi con la mano, come se stesse guardando Quince, Snout, Bottom, e gli altri che provavano Pyramus e Thisbe, e con voce altrettanto profonda di quella delle Tre Mucche quando chiedevano di essere munte, cominciò:

    Che rozzi villici sbruffoneggiano qui,

    così vicino alla culla della regina delle fate?

    Tacque, si accostò una mano a coppa all’orecchio, e, con uno scintillio malizioso negli occhi, continuò:

    Cosa? Una commedia? Sarò uno spettatore;

    anche un attore, forse, se ne vedrò il motivo³.

    I bambini si guardarono a bocca aperta. Quella creaturina – a Dan non arrivava che alle spalle – entrò tranquillamente dentro il Cerchio.

    «Sono piuttosto fuori esercizio», disse, «ma è questo il modo in cui dovrebbe essere recitata la mia parte».

    I bambini continuavano a fissarlo, dal cappello blu scuro, simile a un grande fiore di aquilegia, ai piedi nudi e villosi. Alla fine lui si mise a ridere.

    «Vi prego, non guardatemi così. Non è colpa mia. Che altro potevate aspettarvi?», disse.

    «Noi non ci aspettavamo nessuno», rispose lentamente Dan.

    «Questo è il nostro campo».

    «Davvero?», commentò il visitatore, mettendosi a sedere. «Allora, in nome della terra degli umani, perché avete recitato Sogno di una notte di mezza estate per tre volte, alla vigilia di San Giovanni, nel bel mezzo di un Cerchio, e sotto, esattamente sotto una delle mie colline più antiche nella Vecchia Inghilterra? La collina di Pook, la collina di Puck, la collina di Puck! È lampante».

    Indicò i pendii senz’alberi e ricoperti di felci della collina di Pook che si estende dalla riva più lontana del canale fino ad un bosco cupo. Oltre quel bosco il terreno s’innalza per cinquecento piedi, fino ad arrivare sulla sommità spoglia della collina di Beacon, da dove si vedono la pianura di Pevensey, la Manica e metà dei brulli Downs meridionali.

    «Per la quercia, il frassino e il rovo!», gridò, sempre ridendo. «Se questo fosse accaduto qualche centinaia di anni fa, avreste visto tutti gli abitanti della colline sciamare allo scoperto come api a giugno!».

    «Non credevamo di fare qualcosa di sbagliato», disse Dan.

    «Sbagliato!». L’ometto rideva a crepapelle. «Non è assolutamente sbagliato. Avete fatto una cosa che per scoprirla i re e i cavalieri e gli eruditi dei tempi andati avrebbero dato le loro corone, e gli speroni, e i libri. Se Merlino in persona vi avesse aiutato, non avreste potuto fare meglio! Avete rotto il sortilegio delle colline, avete rotto il sortilegio! Non succedeva da mille anni».

    «Noi... noi non intendevamo», si scusò Una.

    «Certo che no! è proprio per questo che ci siete riusciti». Purtroppo le colline sono disabitate ormai e i loro abitanti sono andati via. Io sono l’unico rimasto. Sono Puck, la Cosa più Vecchia dell’Inghilterra, per servirvi... se vorrete avere qualcosa a che fare con me. In caso contrario, non avrete che da dirlo, e me ne andrò».

    Guardò i bambini, e i bambini ricambiarono il suo sguardo per un buon mezzo minuto. Dai suoi occhi era scomparso quello scintillio. Erano molto buoni, e le labbra accennavano un sorriso gentile.

    Una allungò una mano. «Non andare», gli disse. «Ci piaci».

    «Prendi un biscotto», disse Dan, e gli offrì il cartoccio molle con le uova.

    «Per la quercia, il frassino e lo spino», esclamò Puck togliendosi il berretto blu, «anche voi mi piacete. Metti un bel po’ di sale sul biscotto, Dan, e mangerò con voi. Questo vi mostrerà che tipo sono. Alcuni di noi», proseguì a bocca piena, «non sopportavano il sale, o un ferro di cavallo su una porta, o le bacche di frassino, o l’acqua che scorre, o il freddo del ferro, o il suono delle campane. Ma io sono Puck!».

    Si spazzolò via le briciole dal giustacuore e strinse loro la mano.

    «Abbiamo sempre sostenuto, Dan e io», balbettò Una, «che se fosse successo avremmo saputo esattamente cosa fare; ma... ma ora per qualche ragione sembra tutto diverso».

    «Vuol dire se avessimo incontrato un folletto», disse Dan. «Io non ho mai creduto che esistessero, non dopo aver compiuto sei anni, almeno».

    «Io sì», disse Una. «Perlomeno, c’ho creduto un po’ da quando abbiamo imparato, Folletti e premi, addio. Conosci Folletti e premi, addio?⁴».

    «Intendi questa?», disse Puck. Gettò indietro il suo testone e cominciò dal secondo verso:

    Possono dire oggi le buone massaie

    poiché una sudicia lattaia

    vale ormai quanto loro.

    E benché il focolare spazzino non meno

    («Unisciti a me, Una!»)

    di quanto non facessero le serve

    chi per la pulizia, di questi tempi

    troverà un soldino nella scarpa?

    Le voci riecheggiarono sul prato pianeggiante.

    «Certo che la so», rispose.

    «E poi c’è il verso sui Cerchi magici», disse Dan. «Quando ero piccolo mi rattristava sempre profondamente».

    «Guardate quei Cerchi e quei rondelli, intendi?», tuonò Puck con potente voce d’organo.

    Di quelli che ancora restano,

    furono calpestati ai tempi della regina Maria

    su molti piani erbosi,

    ma dal tempo di Elisabetta

    e, in seguito, quando arrivò Giacomo,

    non si vedono più su alcuna brughiera

    come accadeva al tempo che fu.

    «È da un po’ di tempo che non sentivo questi versi, ma è inutile menare il can per l’aia: è vero, il Popolo delle Colline è scomparso. Io l’ho visto giungere alla Vecchia Inghilterra e l’ho visto andare via. Giganti, troll, demoni d’acqua, elfi, folletti, diavoletti; spiriti del bosco, degli alberi, della terra e dell’acqua; abitanti della brughiera, guardiani di tesori, creature benefiche, piccolo popolo, streghe, leprecani, creature della notte, fatine, gnomi, e tutti gli altri: spariti, spariti tutti! Io sono arrivato qui con la quercia, il frassino e lo spino, e quando loro spariranno, lo farò anch’io».

    Dan guardò il prato tutt’intorno: la quercia di Una accanto al cancelletto; il filare di frassini che ombreggiava lo Stagno delle Lontre, dove si riversa il canale quando il mulino non usa la sua acqua, e il vecchio biancospino nodoso dove le Tre Mucche si grattavano il collo.

    «Benissimo», disse; e soggiunse: «Anche quest’autunno pianterò molte ghiande».

    «Perciò devi essere vecchissimo», osservò Una.

    «Non vecchio, ben stagionato, come dicono da queste parti. Fatemi pensare, i miei amici mi facevano trovare durante la notte un piattino di panna quando Stonehenge era nuovo. Sì, prima che gli uomini della pietra creassero il lago sotto il Cerchio di Chanctonbury».

    Una giunse le mani, emise un grido e annuì.

    «Ha qualcosa in mente», spiegò Dan. «Fa sempre così quando escogita qualcosa».

    «Stavo pensando: supponi che mettessimo da parte un po’ del nostro porridge e lo lasciassimo per te in soffitta? Se lo lasciassimo nella camera dei giochi se ne accorgerebbero».

    «Intende lo studio», aggiunse Dan in fretta, e Una arrossì, perché quell’estate avevano fatto un solenne giuramento di non chiamare più lo studio camera dei giochi.

    «Sia benedetto il tuo cuore d’oro!», disse Puck. «Qualche giorno diventerai una fanciulla giudiziosa. Non voglio che lasciate una scodella per me, ma se avrò bisogno di cibo, state sicuri che ve lo chiederò».

    Si allungò sull’erba secca, e i bambini gli si distesero accanto, con le gambette nude che scalciavano allegramente in aria. Sentivano che non c’era da aver paura di lui più di quanta ne avessero del loro amico giardiniere, il vecchio Hobden. Non li seccava con domande da adulto, né rideva della testa d’asino, ma se ne stava lì sdraiato e sorrideva fra sé e sé in modo molto saggio.

    «Avete un coltello in tasca?», chiese alla fine Puck.

    Dan gli diede il suo grosso coltello a una lama che portava quando usciva, e Puck cominciò a scavare una zolla di torba al centro del Cerchio.

    «A che serve quello, per fare una magia?», disse Una quando lui estrasse una zolla quadrata color cioccolata che si tagliava come un pezzo di formaggio.

    «Una delle mie piccole magie», rispose lui, e ne tagliò un’altra. «Vedete, non posso farvi entrare nelle Colline perché i loro abitanti non ci sono più, ma se accetterete la mia investitura, forse potrò mostrarvi alcune cose straordinarie. Di certo ve lo meritate».

    «Cos’è un’investitura?», chiese Dan prudentemente.

    «È una vecchia usanza per quando si vendevano e acquistavano terre. Il possidente scalzava una zolla e la porgeva all’acquirente, e non si aveva legittimamente diritto alla terra – cioè non ti apparteneva davvero – se non te ne veniva davvero donato un pezzo, così», porse loro le zolle.

    «Ma il prato è nostro», protestò Dan, arretrando. «Farai una magia per farlo sparire?».

    Puck rise. «So che è il vostro prato, ma nasconde molto di più di quanto voi o vostro padre abbiate mai sospettato. Fate la prova!». Volse lo sguardo a Una.

    «Io lo farò», disse lei.

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