Tenoch, l'immortale: Tenoch, l'azteco 3
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Ordinato sacerdote Mexica, Tenoch, il viaggiatore di mondi già noto ai lettori di questa collana, acquisisce nuovi e terribili poteri, fino a perdere la propria umanità e a trasformarsi in un essere immortale. Ma i pericoli sono sempre in agguato: le capacità magiche ottenute basteranno a proteggerlo o sarà costretto a tornare un semplice essere umano? Nel frattempo un'altra creatura potentissima è scesa sulla Terra, a poca distanza dall'impero Mexica: il Centopiedi Nero, un parassita che vuole dominare i corpi e le menti dei guerrieri del Michoacan.
Andrea Berneschi è nato ad Arezzo nel 1977. Fa parte della redazione della webzine Filmhorror.com; è membro della Horror Writers Association. Ha pubblicato con NeXT, Dunwich Edizioni, I Sognatori, Letteraturahorror.it, Esescifi, Vincent Books editore, Letterelettriche, Watson Edizioni.
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Anteprima del libro
Tenoch, l'immortale - Andrea Berneschi
9788825410099
Introduzione
Siamo all'ultima avventura (ma nemmeno noi ne siamo veramente sicuri) di Tenoch, l'eroe della saga in cui Andrea Berneschi fa rivivere con maestria la civiltà Mexica e le creature affascinanti e spaventose della mitologia azteca.
Tenoch, l'intelligente, poliedrico, spregiudicato eroe che già conosciamo, è divenuto ormai un sacerdote, appartiene alla élite della società Mexica. Ma in lui è cresciuta una sorda collera contro gli dei che finge di venerare, esseri che, ormai ne è certo, non sono divinità ma spietati parassiti venuti da altre realtà per manipolare gli uomini, e i cui maneggi e inganni gli hanno tolto tutte le persone che amava. .Tenoch grida: Voglio distruggere tutto ciò che trovo; fendere le rocce come se fossero acqua, tagliare a metà il sole
, c'è qualcosa della sfida di Ulisse a Poseidone, o del grido del capitano Achab Non mi parlare di blasfemia, io colpirei il sole se mi offendesse. Perché se il sole potesse offendermi io potrei colpirlo
.
Ma anche nell'ira, Tenoch non è mai avventato. Ricorre a ogni espediente imparato nella propria vita da viaggiatore di mondi, con rischio enorme, per colpire gli dei e ripagarli della loro stessa moneta. Ma a questo punto è lui stesso una creatura distruttiva, e sono i suoi stessi amici a essere costretti, con l'inganno, a imprigionarlo fuori dal mondo.
Nella seconda parte un'altra creatura potentissima è scesa sulla Terra, a poca distanza dall'impero Mexica: il Centopiedi Nero, un parassita che vuole dominare i corpi e le menti dei guerrieri del Michoacan, e occorrerà richiamare Tenoch, anche se ormai semplice uomo privo di poteri, ma con tutta lasua intelligenza e inventiva intatta, per affrontarlo.
E qui, mentre gli imperi crollano e si preannuncia l'arrivo degli europei, finisce (forse, o forse o) la saga del viaggiatore di mondi mexica.
Alessandro Iascy e Giorgio Smojver
Tenoch, il teschio
1.
Accovacciati sul pavimento (ginocchia unite a toccare il petto, schiena dritta, braccia nascoste sotto il mantello nero), i sacerdoti tenevano udienza sulla sommità della Grande Piramide. Spiccavano per le vesti scure, i lunghi capelli impregnati di fango e sangue, lo sporco (lavarsi, per loro, era un tabù) e il pessimo odore che ne conseguiva. Lo stesso Tenoch, fino a quando non li aveva conosciuti da vicino, faticava a considerarli veri e propri esseri umani. Stare a contatto con loro, invece, gli aveva dimostrato che non erano immuni da passioni e debolezze comuni. Il rispetto ossessivo delle formalità rituali e i colori sgargianti applicati ai corpi incrostati di sudiciume nascondevano alleanze, gelosie, antipatie.
E quando si riunivano per ascoltare le testimonianze e giudicare in modo imparziale nessuno tra i cittadini, ricchi o poveri, pipiltin o macehualtin, poteva aspettarsi un trattamento di favore. Chi aveva osato infrangere le leggi doveva scontare la pena. A volte, morire.
Le guardie accompagnavano un uomo, l’ennesimo che sarebbe stato sottoposto al loro giudizio, quel giorno.
I sacerdoti ne considerarono la corporatura e la postura virile. Doveva essere in battaglia tra i guerrieri più esperti; ora teneva lo sguardo fisso al suolo. In segno di penitenza si era bucherellato guance e labbra con spine di cactus e ossa appuntite di animali, e ancora ne portava i segni.
– Cosa ha fatto? – chiese Ihuicatl con tono grave. Era uno dei membri più anziani del collegio sacerdotale: Tenoch ne apprezzava la saggezza e la semplicità, ma anche la fermezza. Da uno come lui reputava di avere molto da imparare.
– Ha bevuto cioccolato e indossato abiti di cotone – rispose la guardia – ma non è un nobile. Si dice perfino che un giorno li abbia compiuti contemporaneamente, questi atti scellerati. È stato denunciato da un parente che l’ha visto.
Un deciso mormorio di disapprovazione montò come un’onda scura tra i membri del consiglio. Per quanto sembrassero questioni di poco conto, erano regole come quelle a tenere insieme i Mexica: principi basilari importanti come gradini inferiori di un tempio, senza il cui appoggio avrebbe vacillato l'intera società. Chi non le rispettava minacciava la stessa stabilità dell’Impero, l'autorità di Moctezuma.
– Cosa hai da dire in tua discolpa? Parla! – intimò Ihuicatl.
– Mio cugino ce l’ha con me da una vita, per colpa di una ragazza… – farfugliò il guerriero, spaventato. – Non vi ha detto tutta la verità. È vero, ho bevuto cioccolata, ma è stato lui a prepararmela; era buio, mi ha fatto credere che fosse acqua…
In casi come questo emettere una sentenza non era facile. Il pentimento dell’accusato alleviava la pena, ma nessun giudice avrebbe voluto mostrarsi troppo accondiscendente.
– Che ne pensi, confratello? – chiese a Tenoch il giovane Momoztli.
Non gli piaceva quel tipo. Nominato membro del clero da poco tempo, lasciava trasparire da ogni gesto e parola una grande superbia. Gli faceva tornare in mente le parole di suo padre, che era stato sempre critico verso la classe sacerdotale: Appena a un uomo metti in testa delle piume e capisce che può comandare sui suoi simili, ecco che perde metà della propria intelligenza
. Sperava di non cadere in quello stesso errore.
Quella domanda era una prova da superare. Se non voleva essere addirittura una trappola. Ci pensò su.
Interruppe le sue cogitazioni un altro sacerdote, il grasso Toxcatl. – Conoscevi le regole – disse, rivolgendosi all’imputato. – Se non le condividi, puoi andare via, in un’altra città. Non ti tratterremo. – Altri giudici ascoltavano con attenzione; alcuni approvarono.
– Nemmeno io lo ucciderei – rispose infine Tenoch; – voto per mandarlo in esilio. Appoggio il discorso di Toxcatl; mi pare molto saggio.
– No – lo contraddisse Momoztli, alzandosi in piedi. – Tollerare simili azioni farebbe adirare gli Dei. Non possiamo permetterci di scontentarli proprio adesso, mentre stiamo preparando la guerra contro i Mixtechi. Che sia ucciso, invece!.
I sacerdoti erano divisi; c’era disparità di giudizio. Infine fu chiamato a decidere Ihuicatl. Dopo una breve pausa di riflessione, l’anziano saggio pronunciò una sentenza capitale.
Udito il verdetto, il guerriero impallidì. Il suo volto, sotto il sangue secco delle recenti ferite, sembrava già quello di un morto.
Tenoch non osò intervenire. Durante tutta la vita si era dato delle regole proprie, applicandole a qualunque ruolo aveva ricoperto; queste valevano anche per il sacerdozio. Da qualche tempo, dopo la lotta che aveva combattuto nei corridoi del palazzo di Itzpapalotl, aveva rivalutato le istanze della collettività. Avrebbe voluto essere un membro del clero attento ai bisogni del popolo, non un tronfio e arrogante mantenuto che tratta tutti dall’alto in basso. Prima, però, doveva imparare. Era necessario che gli altri accettassero la sua presenza. Una frase fuori luogo, un commento arrogante di troppo, e i sommi stregoni Mexica potevano scacciarlo; nel peggiore dei casi, non era escluso lo mettessero a morte per eresia.
Allora, lo sapeva, si sarebbe difeso; aveva poteri e abilità non comuni. Ma lo stesso voleva evitare quell’eventualità spiacevole.
I sacerdoti seguirono con gli occhi socchiusi le guardie mentre scortavano l'imputato giù per i gradini di pietra, verso un destino segnato. Ci fu una pausa, in cui ebbero modo di parlare tra loro in modo informale e rilassato. Giunse presto il secondo uomo che quel giorno doveva sottostare al loro giudizio.
Era un tipo di mezz’età, col volto segnato da rughe precoci. Lo accusavano di aver praticato incantesimi proibiti.
– Cosa volevi ottenere dagli Dei? Parla! – lo interrogò Ihuicatl, duro. – Interpellarli non è per tutti.
– Gli anni passano – cominciò, sorridendo orrendamente – e sento le mie forze diminuire. Ho pensato che se offro sangue giovane alle divinità riavrò indietro il vigore perduto; o almeno potranno rallentare il mio invecchiamento… Appartengo a una famiglia ricca. Bastano i miei schiavi: di notte li lascio liberi di camminare e incontrarsi tra loro, e fanno sempre molti figli.