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La seduzione dell'Aurora
La seduzione dell'Aurora
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E-book385 pagine5 ore

La seduzione dell'Aurora

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Info su questo ebook

Tirolo, quattordicesimo secolo dopo Cristo. Il capitano Florio Osso, al servizio del duca Navarre, possiede tutto ciò che desidera_ è bello, sano, dotato d’intelletto, rispettato e onorato dai soldati, ha una bella casa, denaro, prestigio, adora le donne e le donne non gli mancano, ma ha fatto un patto con il suo cuore, quello di non innamorarsi mai! Florio teme l’amore come la morte ed è un esperto nell’evitarle entrambe con abilità.

Nel corso di una battaglia viene ferito, riportato in fin di vita dal suo duca al castello, verrà affidato alle cure della giovane Aurora che lo salverà facendogli scoprire l’amore… e tutto quello che aveva evitato per anni, diventerò un dolce tormento.
In un tempo lontano, una storia d’amore sensuale e passionale che conquista, perché nulla è dato per scontato e non tutto è come deve essere.
LinguaItaliano
Data di uscita15 apr 2020
ISBN9788899001964
La seduzione dell'Aurora

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    Anteprima del libro

    La seduzione dell'Aurora - Susi Andreatta

    cover.jpg

    Susi Andreatta

    La seduzione dell’Aurora

    (La Saga di Adrian)

    West Press

    link per titoli di questo Autore

    1) Le figlie di Adrian (la Saga di Adrian)

    2) Sulle tracce di Amina (la Saga di Adrian)

    3) Il barone e la fiamma (la Saga di Adrian)

    Nero Alpino - La vendetta è un piatto che va consumato freddo

    Foto di copertina di Efes Kitap da Pixabay

    ISBN 978-88-99001-96-4

    © 2020 Copyright West Press (tutti i diritti riservati)

    West Press

    Via A. Volta 4- 37029 San Pietro in Cariano

    Tel/Fax 045 2224293

    www.westpress.it – e-mail: westpress@westpress.it

    contatti con l’autrice

    Telefono: 3663083630

    E-Mail: susiandreatta@gmail.com

    Dedicato a Willy che mi cura tutti i giorni con immenso amore

    Capitolo primo

    Castelbello, luglio 1366

    Era caldo, un caldo soffocante e inquietante, tuttavia l’uomo acquattato nell’erba alta sapeva bene che non era la calura a fargli mancare il respiro ma un sentimento vergognoso che non poteva ammettere ed approvare nemmeno con se stesso: era paura. L’uomo si era trovato in quella situazione tante volte che ormai non le ricordava nemmeno tutte. Ogni volta era la stessa identica cosa, la paura arrivava spietata e senza onore per un guerriero esperto e famoso come era lui.

    Il capitano Florio Osso al servizio del duca Ian Navarre da più di dieci anni deglutì la saliva che gli si era formata in bocca, si umettò le labbra sottili e strinse i denti ringhiando come una belva. Aveva studiato quell’attacco nei minimi particolari, sapeva per certo che i suoi pochi uomini erano pronti, bastava un suo solo cenno e avrebbe scatenato gli inferi sulla terra ma quel senso di soffocamento che ultimamente lo aggrediva prima di ogni battaglia ora era più forte e lui non lo sopportava più. Era quasi l’alba di una splendida giornata estiva, sotto di lui era schierata la soldataglia del pazzo Duke, colui che si dichiarava figlio del duca Navarre, stavano riposando dopo aver passato una notte intera ad attaccare le mura di Castelbello, non si aspettavano di sicuro un’offensiva da parte loro. Castelbello era sotto assedio da più di un mese, avevano resistito all’interno delle mura, ma il paese che era sorto all’esterno era ormai distrutto.

    Il duca Navarre aveva guidato la difesa in maniera esperta ed esemplare, avevano subito poche perdite umane ma molti erano i feriti e con il passare dei giorni le provviste si erano esaurite e quindi era subentrata la necessità di escogitare un piano d’attacco all’esterno. Florio sapeva molto bene che la sua missione era una missione suicida, ma doveva troppo al suo duca per non sacrificarsi nel disperato tentativo di salvare l’amato Castelbello. Così aveva preso una cinquantina di uomini, tutti volontari, aveva percorso di notte un cunicolo scavato apposta per le emergenze, erano usciti dalle mura e si erano nascosti nell’erba su di un piccolo promontorio da dove era ben visibile l’esercito di quei barbari senza onore.

    Chiuse gli occhi, aveva ancora qualche momento prima di dare l’ordine, che cosa poteva fare in quei brevi istanti che precedevano la battaglia? Ogni volta aveva pensato a qualche cosa di diverso per darsi coraggio, alla gloria per una vittoria; a sua sorella Onelia, l’unica parente che gli era rimasta e alla quale voleva molto bene, alle ricchezze che possedeva, alle donne che non gli erano mai mancate, ai compagni, valorosi e fedeli che lo seguivano sempre, ed in fine a se stesso: aveva ventisette anni, un fisico perfetto per il combattimento, era in salute, dotato di intelletto e si compiaceva per tutte queste meraviglie che Dio gli aveva donato, ma nelle tre ultime battaglie il pensiero più forte che lo assillava poco prima di dare l’ordine di attaccare era questo:

    L’ultima, questa è l’ultima volta! E fu questo il pensiero che lo aggredì anche in quel momento, mentre il caldo soffocante lo faceva aderire alla terra e all’erba come una lumaca, annusò l’aria e sentì odore di temporale, si passò le dite tra i cortissimi capelli biondi, aprì gli occhi, aveva dato libero sfogo ai suoi ultimi pensieri ma non gli bastava così mormorò piano:

    -Se anche questa volta sopravvivo...è l’ultima, lo giuro!-

    -Cos’hai detto ragazzo?- la profonda voce del duca Navarre, che gli giunse alle spalle lo fece sobbalzare.

    -Duca!- mormorò piano, guardando in quegli incredibili occhi di smeraldo.

    -Dovevo raggiungerti Florio, non potevo restarmene dietro le mura mentre tu ed i tuoi uomini vi sacrificate per la nostra salvezza.-

    Florio deglutì per l’ennesima volta, se prima aveva tremato e sudato per la paura, ora si sentì rabbrividire per la responsabilità, oltre a combattere per se stesso ora doveva anche farlo per proteggere l’uomo che gli stava accanto acquattato nell’erba.

    -Duca, la vostra vita è in pericolo, non posso dare l’ordine di attacco se voi siete qui, per favore ritornate al castello.-

    Ian sorrise, un sorrise tristissimo, voltò il viso e guardò giù verso il paese devastato dalla furia del nemico.

    -Ho impiegato quasi un ventennio per far sorgere quel paese attorno a Castelbello. C’è voluto sacrificio, pazienza e tanto lavoro ma alla fine c’ero riuscito, rendendolo florido, felice e prospero. Guardalo ora!-

    Florio guardò e si sentì stringere il cuore.

    -Fuori dalle mura del castello non è rimasta in piedi nemmeno una casa, hanno bruciato tutto, si sono mangiati tutto. Se sopravviveremo a questa ultima battaglia, patiremo fame e freddo per i prossimi anni, saremo fragili ed esposti ad altri attacchi! Se perdiamo...- fece una pausa da brivido. -se perdiamo, le nostre donne, i nostri bambini, verranno maltrattati, violentati e resi schiavi...-

    -Esatto duca, voi dovete ritornare dentro, se io perdo, voi dovrete pensare a una trattativa!-

    -No capitano Florio! Il tempo delle trattative è finito, io sarò con te e con i tuoi uomini fino alla fine. Lo so che sono vecchio, ma ho combattuto tante guerre in gioventù che tu non ti puoi nemmeno immaginare. Ora da l’ordine, scendiamo giù e facciamo fuori quei bastardi...- il volto dell’uomo sembrava di pietra, le numerose cicatrici che aveva erano solchi profondi.

    Florio si era chiesto molte volte come avesse fatto la duchessa Evelyn ad innamorarsi di lui, la faccia di Ian era il volto del demonio, eppure la duchessa lo amava come non aveva mai visto amare nessuna donna. Fissò lo sguardo in quello del duca e per un istante un altro volto si sovrappose a quello dell’uomo, era il viso della figlia, della duchessina Aurora. Avevano gli stessi occhi padre e figlia, lo stesso verde, le stesse folte ciglia nere, la stessa intensità da far tremare il cuore.

    -Forza capitano! I tuoi uomini sono pronti!- lo esortò Ian.

    Florio si riscosse e riuscì a scacciare quell’immagine di donna che negli ultimi tempi lo intrigava tormentandolo.

    -D’accordo duca ma...-

    -Niente compromessi capitano e ricordati che ho fiducia in te, nei tuoi ragazzi e nel tuo coraggio, sei un uomo valoroso Florio, so che non è il momento più adatto per le sdolcinatezze ma da quando Marco, il mio Dragoner è morto tu hai preso il suo posto nel mio esercito ma soprattutto nel mio cuore, quindi non deludermi d’accordo?-

    Come dirgli di no? Ora era davvero impossibile costringerlo a lasciare il campo di battaglia, non dopo aver udito una confessione così profonda, dopo aver saputo che lo considerava quasi un figlio!

    -So a cosa stai pensando, forse quell’uomo laggiù farcito di odio, che dice di essere mio figlio ha ragione, forse avrei dovuto ac-coglierlo a Castelbello e onorarlo... avrei evitato dolore a molti.- Ian si fermò, perché l’emozione troppo forte non lo lasciava proseguire, la voce gli si incrinò e gli occhi gli si bagnarono.

    Florio distolse lo sguardo, non lo poteva vedere così.

    -...ma Duke non è mio figlio, lo so per certo, sua madre era una concubina del Re di Francia ed io non sono mai giaciuto con lei dopo il mio ritorno dalle crociate...-

    -Duca non dovete giustificarvi, io vi credo e voi lo sapete bene!-

    Florio aveva visto da vicino il giovane Duke, quando aveva dettato le regole per evitare l’attacco contro Castelbello ed era stato certo che quell’uomo dallo sguardo sfuggente non poteva essere figlio di Ian.

    -Voglio rimanere e combattere, è mia la colpa di tutto questo orro-re, ti prego capitano, combatti al mio fianco e facciamola finita.-

    -Va bene!- sospirò in fine, strinse i denti, sguainò la spada e in quel preciso istante un raggio di sole la illuminò mandando un bagliore che di sicuro non era passato inosservato al nemico. Oramai era troppo tardi per ogni ripensamento, era giunta l’ora della battaglia. Florio Osso, il capitano delle guardie del duca Ian Navarre, si alzò in piedi e con un urlo spaventoso diede l’ordine.

    -All’attacco!-

    I pochi soldati di Florio balzarono in piedi. Quella notte si erano preparati, non avevano indossato armature pesanti né elmi ingom-branti, dovevano essere veloci, agili, l’attacco a sorpresa doveva essere fulmineo. Gridarono per incitarsi e caricarsi d’odio contro il nemico. Piombarono correndo sul campo dove i francesi stavano riposando. Presi alla sprovvista gli uomini di Duke impiegarono parecchi minuti prima di riuscire a organizzare la difesa ed in quei minuti che ai guerrieri di Florio parvero eterni, riuscirono ad ucci-derne parecchi. Le grida di morte, di dolore e rabbia si mischiarono in un unico ululato bestiale, le spade lanciavano bagliori di luce azzurra mentre si scontravano per poi penetrare nella carne, lace-rando arti e muscoli, il sangue zampillava copioso bagnando terra, fango e le armature di uomini feroci come lupi affamati. Non c’erano più le barriere delle mura a proteggere i guerrieri ma solo un corpo a corpo violento che conduceva alla morte.

    In quella terribile confusione Florio non riusciva a concentrarsi sulla battaglia, il suo unico pensiero era quello di proteggere il duca che invece da parte sua, si stava battendo come un vecchio leone, più con la tecnica e l’esperienza che con la forza bruta. Florio si ac-corse però che l’uomo ansimava visibilmente, era già esausto solo dopo pochi minuti. Se prima gli era rimasto vicino combattendo al suo fianco, ora Florio si posizionò in modo da proteggerlo dagli attacchi. Si scatenò contro chiunque voleva avvicinarlo trascurando la sua difesa personale. Andò avanti così per un tempo che sembrava non finire mai, i soldati di Castelbello stavano vincendo, nell’euforia di vedere il nemico quasi sconfitto nessuno si accorse che un gruppetto capitanato da Duke si stava organizzando per attaccare in forze il duca. Anche Florio si ritrovò distratto e rilassato, stremato dallo straordinario sforzo fisico a cui si era sottoposto. Ian si trovò circondato da quattro guerrieri, i suoi uomini stavano rincorrendo i pochi fuggiaschi rimasti che cercavano riparo nella foresta. Aveva quattro spade puntate alla gola e un quinto uomo armato di un arco lo teneva sotto tiro da lontano.

    -Credo di aver perso duca Navarre, ma non abbandonerò il campo di battaglia senza portar via un ricordo per mia madre.- urlò Duke, fissandolo con profonda aggressività.

    -Ovvero... la vostra testa!-

    -Provaci bastardo!- Ian non nutriva nessun rispetto per il giovane, e pronunciò quell’offesa con convinzione, lo guardò con intensità e mai come in quell’istante fu certo che Duke non era suo figlio. Ian impugnava la spada con forza, si mise in posizione di combattimento e aspettò che i quattro gli saltassero addosso. Pensò per una frazione di secondo alla sua adorata sposa prima di affondare la spada a vuoto cadendo per terra sbilanciato. Fu disarmato e costretto a mettersi in ginocchio davanti a Duke, chiuse gli occhi e pensò intensamente ad Evelyn, solo a lei riusciva a pensare mentre la morte gli alitava sul collo spietata. Ma doveva morire con onore, quindi raddrizzò le spalle, alzò la testa e aprì gli occhi in tempo per vedere Florio che come una saetta correva verso i suoi aguzzini. Ne falciò due tagliandogli la testa di netto, silenzioso come un fantasma, poi con un agile salto si posizionò proprio davanti a Ian proteggendolo con il suo corpo ed incitando sempre in silenzio con un cenno della mano libera gli altri due a farsi avanti. Ian lo guardò in volto, aveva i lineamenti sfigurati dalla tensione, aveva sempre ammirato il suo capitano per l’agilità con cui si muoveva in combattimento, era velo-ce, scattante, preciso e spietato ed in quel momento era al massimo della concentrazione, Ian non ebbe dubbi, i due manigoldi non avevano speranze. Florio si scatenò contro di loro con una violenza spaventosa, i suoi colpi erano talmente veloci e precisi che andarono a segno senza indugi, la sua spada penetrò nello stomaco di uno aprendogli le viscere, ma mentre stava per affondare la lama nella gola di Duke, avvertì come un sibilo e un alito di aria fredda passargli a pochi millimetri dall’orecchio. Deciso com’era a far esalare l’ultimo respiro all’artefice di tutto quel massacro, non si accorse del secondo dardo che arrivò su di lui trafiggendogli il costato reso vulnerabile dalla totale mancanza di protezione, quello che era stato il fattore principale della loro vittoria, ovvero l’agilità, la velocità e la leggerezza nell’attacco, ora era diventato la possibile causa di morte per Florio. L’uomo con l’arco era a pochi passi da loro, stava riprendendo la mira per colpirlo ancora, ma Ian afferrò il pugnale che teneva legato alla cintura e lo scagliò con tutta la sua potenza verso l’arciere prendendolo diritto alla base del collo. L’uomo rantolò per alcuni secondi ed infine stramazzò al suolo esanime. Ian raccolse la spada e con un ultimo sforzo la puntò al cuore di Duke.

    -Non ti ammazzo oggi... voglio che ritorni da tua madre e che le dici che cosa è accaduto!-

    -Uccidetemi padre, perché io non avrò pace fino a quando non avrò giustizia!- ansimò il giovane.

    Ian provò pena per lui, lo vide come una povera vittima della perfidia di una donna logorata dall’odio nei suoi confronti.

    -Tua madre ti mente Duke!- provò ancora a convincerlo.

    -No! Voi mentite, voi, proprio voi che siete un bastardo come me! Con che coraggio avete potuto negare ad un figlio il vostro nome!- gridò il giovane disperato.

    -Tua madre mente!- ripeté abbassando la spada.

    -Quando accetterai questo nel tuo cuore allora, solo allora, troverai pace, vai ora e che la verità sia con te giovane Duke!-

    Duke si girò, mostrando le spalle, poi con lenti passi si allontanò.

    -Non dovevate lasciarlo andare duca!- mormorò, con un debole rantolo di voce, Florio.

    Ian si scuoté guardò preoccupato verso il suo capitano. Florio era steso per terra, la freccia era stata lanciata da breve distanza e quindi gli si era conficcata in profondità, non riusciva a respirare, men che meno a muoversi.

    -Florio, Florio...- Ian gli si inginocchiò a fianco con lo sguardo pietrificato, aveva subito capito la gravità della ferita.

    -Florio cerca di resistere!- in lontananza si sentivano già le grida di vittoria e di gioia dei soldati superstiti di Castelbello, dalle mura le vedette avevano dato l’ordine di aprire i cancelli e uscire per dare assistenza ai feriti.

    -Forza capitano, mi hai salvato la vita, diventerai un eroe a Castelbello!-

    -Perché non lo avete ucciso? Quello ritornerà più forte!- si fermò perché non sentiva più l’aria arrivargli ai polmoni.

    -Non pensare a questo, pensa solo a vivere!- il viso pallido di Ian era la prova inconfutabile di quanto fosse preoccupato per il suo capitano, guardò diritto nei suoi occhi per scorgervi la vita.

    Florio aveva degli occhi così particolari, di un colore indefinito, né azzurro, né verde, piuttosto viola.

    -Ma certo che vivrò...du...ca...- e perse i sensi, il sudore freddo gli imperlava il viso cinereo, in quel momento arrivarono due uomini con una barella, con molta cautela caricarono Florio, uno dei due era il cerusico Romualdo.

    -Salvatelo Romualdo!- gli comandò Ian.

    -Portatelo dentro, a prima vista sembra molto grave, la freccia è all’altezza dei polmoni, devo estrarla subito, se ha colpito l’osso e uscirà il midollo sarà infezione e dopo poco morirà!-

    -Fate tutto il possibile per salvarlo!- questa diagnosi pessimistica lo innervosì, infatti l’occhiataccia che diede all’uomo non promet-teva nulla di buono.

    -Va bene duca, va bene...- rispose subito sull’attenti e correndo si precipitarono al castello.

    Capitolo secondo

    Le donne avevano passato tutta la notte e buona parte della mattina nella chiesetta di Castelbello a pregare per la salvezza loro, ma soprattutto per i pochi soldati che erano usciti dalle mura per attaccare di sorpresa il nemico. La duchessa Evelyn non aveva smesso un solo attimo di bisbigliare le sue preghiere e sua figlia Aurora si stava chiedendo come diavolo facesse la madre ad andare ancora avanti. Lei era da un bel pezzo che aveva smesso di pregare, riusciva a pensare solo a due persone, una era il suo adorato padre, l’altra era il misterioso e sfuggente capitano Osso. Quando il padre l’aveva salutata all’alba per raggiungere il capitano nel disperato tentativo di salvare Castelbello, lei lo aveva ammirato, aveva provato un profondo senso di orgoglio verso di lui, il suo grande, potente, coraggioso papà e, prima di farsi sconfiggere dal terrore, aveva provato gioia, perché suo padre era l’uomo più forte del mondo, poi però, la realtà era arrivata impietosa e lei si era sentita annientare e privare perfino dalle forze fisiche.

    Il capitano invece non l’aveva nemmeno guardata mentre pre-parava i suoi uomini, eppure lei era rimasta lì ad assistere all’eroica impresa che si accingevano a svolgere quei pochi coraggiosi. Avreb-be voluto dirgli qualche cosa, sapeva che doveva dirgli qualcosa, Florio era il primo uomo che le aveva rapito i pensieri, negli ultimi mesi lo pensava in continuazione, ogni volta che lo vedeva nel cortile del castello correva da lui e con una scusa o con l’altra cercava sem-pre il modo per farsi notare, ma erano sempre pochi incontri fugaci, un saluto con il cenno della testa, una parola pronunciata malvolentieri, lui non le aveva mai dato confidenza e lei un po’ alla volta si era convinta di non avere speranze, ma quella notte tutto il suo cuore era in ansia e in pensiero per lui.

    Aurora guardò la madre, era pallida come una morta, mormorava parole incomprensibili e teneva in grembo la testa della figlia più piccola Adriana. Povera bambina, aveva cercato di rimanere sveglia per assistere la madre, ma alla fine era crollata addormentata, era solo una bambina di dieci anni per Dio, cosa ci si poteva aspettare da lei? Aurora invece era più grande, era una giovane donna di diciassette anni, con la forza e lo spirito della gioventù che le dava coraggio e speranza, infatti in quel momento provò una pietà irresistibile nei confronti della madre e della sorellina. Si alzò provando dolore alle gambe, da troppe ore era inginocchiata, si avvicinò alle due misere figure e appoggiò le mani sulle spalle di Evelyn.

    -Madre!-

    Evelyn si riscosse, sollevò il viso e guardò la figlia maggiore che le apparve sfuocata attraverso il velo di lacrime che però non era più in grado di versare.

    -Madre, coraggio, dobbiamo farci forza!- e si sedette a fianco della povera donna.

    -Aurora, figlia mia, sei così giovane e piena di fiducia, mi auguro veramente che tuo padre, il capitano Osso e i soldati ritornino sani e salvi ma la possibilità che ce la facciano è davvero remota.-

    -Che cosa accadrà se non dovessero vincere?-

    -Sarebbe la nostra fine e tu sei così giovane e bella, o mio Dio! -Evelyn abbracciò la figlia, aveva sognato una vita piena d’amore e di gioia per lei, come lo era stata la sua fino a quel momento. Aveva sposato Ian per amore, solo ed esclusivamente perché si era innamo-rata di lui in un solo giorno, tanto tempo prima, e lo era ancora, perdutamente innamorata del padre delle sue figlie.

    -La vita non può finire per te, figlia mia, tu devi vivere, devi assaporare le gioie dell’amore...- si fermò singhiozzando rumo-rosamente.

    Aurora la sostenne, sua madre non le aveva mai parlato così, l’aveva sempre trattata come una bambina, era la prima volta che le parlava d’amore.

    -Madre vi prego, dovete avere fede in papà!-

    -Se tu sapessi quanta ne ho Aurora, io ho sempre avuto fiducia in tuo padre, fin dal primo giorno che l’ho veduto!-

    -Raccontatemi madre, narratemi la vostra storia!- la sapeva già, le era stata raccontata tante volte, ma in quella atmosfera di tensione voleva risentirla, voleva rivivere quella meravigliosa storia d’amore.

    Evelyn miracolosamente sorrise ed Aurora fu soddisfatta di se stessa.

    -Non ci riesco figlia mia, non in questo momento, sono troppo in ansia.-

    -Va bene, ma non dimenticate di chi siete la moglie, lui ci salverà tutti!- Un raggio di sole entrò in quell’istante da una finestrella e illuminò la chiesa, Adriana si svegliò di soprassalto.

    -Papà!... Papà!- gridò ancora mezza addormentata. Il portone si spalancò ed entrò correndo Onelia, la donna si precipitò dalla du-chessa e ansimando farfugliò:

    -Sono qui! Sono qui!- Aurora si alzò in piedi e afferrò per le spalle Onelia cercando in qualche modo di calmarla.

    -Chi è qui? Chi, Onelia per l’amore di Dio.-

    -Mio fratello e vostro padre, sono al castello, hanno sconfitto l’esercito di Duke!-

    -Sono salvi? Siamo salvi?- chiese la giovane.

    -Vostro padre sta bene, mio fratello è ferito, sono nel cortile...-

    Aurora non lasciò che la donna finisse la frase, si alzò il bordo del vestito color avorio per non inciampare e correndo veloce si precipitò fuori. Il cortile di Castelbello era invaso dagli abitanti, tutti erano usciti per accogliere il duca Navarre, il loro eroe, Aurora impiegò qualche secondo prima di individuare tra la folla il padre, quando lo vide da lontano lo chiamò.

    -Papà, papà!- Ian era un padre che non aveva mai preteso dalle proprie figlie di essere chiamato in modo formale, fin da piccole lo avevano chiamato papà ed ora lo facevano anche in pubblico. La folla gridava e si era stretta attorno al duca, Aurora cominciò a farsi strada a gomitate e finalmente raggiunse il padre.

    -Papà!- gridò e gli gettò le braccia al collo baciandolo sulla guan-cia. Alla vista della figlia Ian si sentì invadere da un calore così dolce che gli causò di colpo una stanchezza che lo privò delle forze.

    -Aurora, abbiamo vinto!- la giovane si scostò da lui, gli prese il volto fra le mani e guardandolo con intensità chiese:

    -Il capitano... Florio dov’è... come sta?-

    -Florio mi ha salvato la vita ma il prezzo che ha pagato è stato molto alto, è ferito, ora si trova a casa di Romualdo, lo sta operando. Vai da lui Aurora, sono sicuro che il cerusico ha bisogno di aiuto!-

    In quel preciso istante arrivò Evelyn seguita da Adriana, Ian scostò la figlia più grande e alla vista della moglie si sentì le gambe cedere, Evelyn arrivò appena in tempo per evitare al marito di cadere sulle ginocchia, lo afferrò per le spalle e lo sostenne abbracciandolo forte.

    Aurora vide la sorellina che piangeva stringendo fra le mani un lembo della gonna di sua madre, povera piccola, quanto doveva aver sofferto. Adriana era fragile, di salute cagionevole, le si avvicinò, le afferrò una mano e l’attirò verso di sé abbracciandola.

    -Vieni Adriana, dobbiamo andare da Romualdo, ci sono dei feriti e noi dobbiamo aiutare, lasciamo mamma e papà!-

    -Come fai ad essere così forte Aurora?- le mormorò la bambina mentre si incamminavano verso la casa del cerusico.

    -Lo sono, punto e basta!-

    -Non ti ho mai vista piangere una volta!- era la verità, Aurora sorrise.

    -Non piango, perché piangere non serve a nulla!-

    -Non è questo il discorso...- e tirò su con il nasino, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano libera.

    -E quale sarebbe il discorso?- Adriana era sì, molto delicata fisicamente ma era una bambina intelligente e sensibile.

    -Il fatto è che è vero che piangere non serve a nulla, ma quando ti viene quella morsa qui...- e si batté il pugno sul cuore - ...quando ti viene dolore alla pancia per la tristezza, quando ti pizzicano gli occhi e la gola si stringe fino a non farti più deglutire, come fai a non piangere?-

    -A me queste cose non capitano!- e intanto affrettava il passo per raggiungere Florio, sentendosi sempre più come le aveva appena descritto la sorella.

    La casa del cerusico era invasa da soldati che pazientemente stavano aspettando il loro turno per essere medicati, c’erano molti feriti e Aurora pensò che quella sarebbe stata una lunga giornata di dolore. Entrò passando fra i corpi adagiati per terra, i gemiti erano insopportabili, Adriana le era a fianco e Aurora pensò che forse era stato uno sbaglio portarla là, in mezzo a tutte quelle persone che soffrivano. Per fortuna apparve come un miracolo Ester la loro cuoca, teneva fra le mani due secchi di metallo con dentro dell’acqua bollente.

    -Cosa ci fa qui questa piccolina?- disse rivolta ad Aurora rife-rendosi alla sorellina.

    -Che tu sia benedetta Ester, ti prego prendi Adriana con te, io devo aiutare qui, mio padre mi ha chiesto di farlo!- e le porse la mano della sorella, prendendo lei in cambio i due secchi.

    Ester la prese ma non si accontentò solo di quello, afferrò per la vita la bambina e se la strinse in braccio. Adriana era esausta e terribilmente spaventata alla vista di tutte quelle persone sofferenti, infatti appoggiò la testa sulla spalla della robusta cuoca e nascose il viso bagnato.

    -Ti porto in cucina, mi aiuterai a preparare qualche cosa di buono per questi poveri soldati feriti, vero piccolina?- Adriana fece cenno di sì con la testa.

    -Bene, brava, e voi duchessina Aurora?-

    -Te l’ho già detto Ester, devo aiutare qui!- e si guardò in giro cer-cando con lo sguardo preoccupato il cerusico Romualdo e ancora di più Florio ma non vide né l’uno né l’altro, notò invece un giovane adagiato su una sedia con una brutta ferita al braccio.

    Senza aggiungere altro si inginocchiò di fronte a lui e prendendo l’acqua con un panno pulito cominciò a detergere la ferita. Non fu l’unica ferita che medicò quella mattina, andò avanti così per molto tempo, pulì, disinfettò e ricucì ogni genere di taglio, sembrava che i feriti non volessero finire mai. Fin da bambina aveva dimostrato l’attitudine ad occuparsi di rimedi per malattie e ferite, era molto attratta da tutto quello che era utile per curare o comunque per far star meglio una persona, era amica del cerusico Romualdo e frequentava la sua casa ogni giorno, quindi le risultò molto facile mettersi subito al lavoro. Romualdo possedeva ogni genere di pomata, di erbe curative, di strane pozioni e miscugli che il più delle volte utilizzava ma che non le aveva mai spiegato a che cosa in realtà servissero. Aurora era curiosa di sapere e smaniosa d’imparare ma lui non era decisamente portato per l’insegnamento, tanto meno nei confronti della figlia del suo duca. L’uomo era burbero e taciturno, privo delle più elementari forme di educazione ma a Ian andava bene e, se andava bene a lui andava bene a tutti anche alla sua curiosa figlia. Aurora era alle prese con un profondo e lungo taglio che sfregiava la guancia di un giovane, doveva dedicargli molta attenzione, pulire bene e fare dei punti piccoli piccoli per lasciare una cicatrice più fine possibile, era intenta in questo delicato lavoro quando udì la voce del cerusico gridare forte, inveendo contro una donna che farfugliava spaventata.

    -Esci da casa mia, sei solo capace di lamentarti, fuori!-

    -Volevo sapere come stava!-

    -A te non importa niente di nessuno, ti avevo chiesto così poco! Romualdo era veramente amareggiato e la guardava con disgusto.

    Aurora riconobbe la voce di Silvia la giovane vedova dello stalliere Franco, morto di polmonite l’inverno prima e seppe subito a chi era rivolta la sua curiosità, Florio ovviamente. Finì con la giusta calma il lavoro che stava svolgendo ascoltando quello che i due stavano gridando.

    -Non posso fare quello che mi chiedi, non ne sono capace!- urlò la donna inviperita.

    -Ma certo, a te gli uomini piacciono virili, sani e in perfetta forma fisica!-

    -Sei un vigliacco!-

    -E tu sei una...- si fermò prima di offenderla troppo pesantemente.

    -Hai visto come sta ed ora esci senza più rompermi le scatole, ho da fare qui e tu sei un intralcio!- disse invece voltandole le spalle.

    -Sei il solito cafone, ignorante, maleducato!- rispose Silvia prima di dirigersi verso la porta d’uscita, passando tra i feriti senza nem-meno degnarli di uno sguardo e fu così che non vide nemmeno Aurora. Lei invece la guardò bene e si sentì invadere da un senti-mento mai provato prima nei confronti di un’altra donna, la gelosia. Silvia era davvero molto bella, con il suo fisico pienamente svi-luppato, i lunghi capelli biondi ondulati e gli occhi azzurrissimi la facevano apparire come la donna più bella di Castelbello e da quando era vedova non faceva mistero del suo interesse per il capitano Flo-rio. Il cuore cominciò a batterle più velocemente e si accorse che le mani le tremavano, per fortuna aveva terminato il suo lavoro ed era un bene, dato che tutti i suoi pensieri e la sua attenzione erano rivolti solo verso una persona.

    -Aurora, è da tanto che sei qui?-

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