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La ragazza della porta accanto
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E-book351 pagine4 ore

La ragazza della porta accanto

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Info su questo ebook

«Magnifico!»
Angela Marsons

Un grande thriller

Sei mesi dopo l’accoltellamento della sedicenne Deanna Barker, la comunità di Stockleigh è funestata da una serie di attacchi criminali che coinvolgono gli adolescenti della zona. È un tentativo di vendicare Deanna o qualcos’altro? La detective Eden Berrisford è impegnata in una corsa contro il tempo per trovare i responsabili, ma non riesce a venirne a capo. E la situazione si complica maledettamente quando a essere rapita è Jess Mountford, nipote di Eden… Coinvolta anche a livello personale, la detective è disposta a rischiare ogni cosa per cercare di salvare Jess e impedire che Stockleigh pianga un’altra vittima innocente. 

Una storia perfetta

«5 stelle per questo libro, sicuramente.»
Angela Marsons

«Una voce unica del genere thriller.»
Mail on Sunday

«Un thriller crudo, pieno di colpi di scena.»
Crime Book Junkie

«La scrittura di Mel Sherratt è eccezionale.»
Bibliophile Book Club
Mel Sherratt
È autrice e blogger di successo. Ha iniziato a scrivere da bambina e non ha più smesso. Nel dicembre 2011 ha autopubblicato La verità sul caso Ryder, che è subito schizzato in testa alle classifiche inglesi, ed è uscito in Italia con la Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2017
ISBN9788822705389
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    Anteprima del libro

    La ragazza della porta accanto - Mel Sherratt

    tavola

    Indice

    Lo scontro

    Venerdì 9 ottobre 2015

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Katie

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Katie

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Sabato 10 ottobre 2015

    Capitolo ventotto

    Capitolo ventinove

    Capitolo trenta

    Capitolo trentuno

    Capitolo trentadue

    Capitolo trentatré

    Capitolo trentaquattro

    Capitolo trentacinque

    Capitolo trentasei

    Capitolo trentasette

    Capitolo trentotto

    Capitolo trentanove

    Capitolo quaranta

    Capitolo quarantuno

    Capitolo quarantadue

    Capitolo quarantatré

    Capitolo quarantaquattro

    Capitolo quarantacinque

    Katie

    Capitolo quarantasei

    Capitolo quarantasette

    Capitolo quarantotto

    Capitolo quarantanove

    Capitolo cinquanta

    Katie

    Capitolo cinquantuno

    Capitolo cinquantadue

    Capitolo cinquantatré

    Capitolo cinquantaquattro

    Capitolo cinquantacinque

    Capitolo cinquantasei

    Capitolo cinquantasette

    Capitolo cinquantotto

    Capitolo cinquantanove

    Capitolo sessanta

    Capitolo sessantuno

    Domenica 11 ottobre 2015

    Capitolo sessantadue

    Capitolo sessantatré

    Capitolo sessantaquattro

    Capitolo sessantacinque

    Capitolo sessantasei

    Capitolo sessantasette

    Capitolo sessantotto

    Capitolo sessantanove

    Capitolo settanta

    Capitolo settantuno

    Capitolo settantadue

    Capitolo settantatré

    Capitolo settantaquattro

    Capitolo settantacinque

    Capitolo settantasei

    Capitolo settantasette

    Una lettera da parte di Mel

    Ringraziamenti

    narrativa_fmt.png

    1497

    Della stessa autrice:

    La verità sul caso Ryder


    Questa è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi, i luoghi,

    le organizzazioni, gli eventi e gli avvenimenti sono frutto

    dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,

    memorizzata su un qualsiasi supporto o trasmessa in qualsiasi forma e

    tramite qualsiasi mezzo senza un esplicito consenso da parte dell’editore

    Titolo originale:The Girls Next Door

    © 2016 Mel Sherratt

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Beatrice Messineo

    Prima edizione ebook: aprile 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0538-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Sandro Ristori

    Mel Sherratt

    La ragazza della porta accanto

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    Lo scontro

    Aprile 2015

    Katie Trent trascinava controvoglia i piedi lungo la strada che portava al parco. La sua migliore amica, Jess, era malata, e senza di lei si sentiva subito persa, anche se negli ultimi tempi stava sempre incollata al suo ragazzo, Cayden.

    Quando Jess l’aveva chiamata per dire che non sarebbe potuta uscire, Katie si era offerta di andare da lei, invece che all’appuntamento con Nathan. Nathan era il suo nuovo ragazzo – ma non per scelta. Era stato Cayden a insistere perché i due diventassero intimi: vedeva Nathan come una rampa di lancio, un biglietto d’ingresso alla cricca dei fratelli Barker.

    Ma a Katie non piaceva molto. Anche se parecchie delle sue amiche la invidiavano perché Nathan era attraente, con il suo fascino da bad boy, era comunque un tipo troppo instabile, e non era mai voluta uscire con lui da soli. Appuntamenti a quattro e basta.

    Ma Jess aveva insistito perché Katie uscisse lo stesso, era stata irremovibile, aveva detto che era importante mantenere in piedi la commedia. Facile parlare, pensò Katie. Non era lei quella che si ritrovava la lingua di Nathan giù fino in gola. Rabbrividì.

    Il clima di fine aprile era mite e il cielo ancora chiaro, anche se si oscurava a vista d’occhio: erano quasi le otto di sera. I tacchi di Katie ticchettavano sulla strada, e gli stivaletti alla caviglia appena comprati la facevano sentire più grande. Indossava un top di Jess e un giubbotto di pelle che le era costato una fortuna da Topshop, anche se a sua madre aveva raccontato che era stato un affare in un negozietto economico a Stockleigh. I suoi genitori non volevano vederla troppo truccata, perciò, appena uscita di casa, aveva aggiunto ancora un po’ di make-up. Sperava che le donasse un’aria più adulta e l’aiutasse a camuffare i nervi tesi.

    A Mitchell Estate, superò Reginald Square, svoltò l’angolo e attraversò Davy Road fino a entrare nel parco. L’erba cresceva su entrambi i lati del sentiero di ghiaia che portava al parco giochi per bambini, sulla destra c’era una collinetta. Più in là, la metropolitana: quando pioveva, era lì che si incontrava con i suoi amici.

    Il cuore le sprofondò nel petto non appena vide Nathan e altri due ragazzi in cima alla salita. Non si faceva troppi problemi quando venivano anche Jess e Cayden, ma aveva due anni meno di Nathan, e naturalmente anche gli amici che le presentava erano più grandi. Se ci fosse stata Jess con lei si sarebbe sentita al sicuro. Si fermò di colpo e per un attimo pensò di andarsene. Jess si sarebbe arrabbiata di brutto, ma improvvisamente non le importava più.

    «Katie!».

    Esitò un attimo prima di voltarsi. Era Nathan che la chiamava. Troppo tardi per battere in ritirata adesso, perciò gli andò di nuovo incontro.

    «Dove hai lasciato la tua amica?», le chiese Nathan mentre Katie li raggiungeva. Con il braccio le cinse le spalle, un gesto possessivo. «Quell’oca di Jess?»

    «Non è un’oca!». Katie cercò di mostrarsi offesa, ma nella sua voce non c’era tutta la fermezza che sperava di trasmettere.

    I due ragazzi che erano con Nathan si misero a sghignazzare. Katie li aveva visti già un paio di volte: erano i gemelli Tom e Craig Cartwright. Avevano tutti quanti gli occhi sgranati, l’atmosfera era tesa. Craig controllava il telefono, mentre Tom continuava a fissare il sentiero che portava alla metropolitana.

    «Dunque sei sola soletta?». Una domanda che ovviamente non aveva bisogno di risposta. «Sarà bello conoscerti un po’ meglio alla fine, ma prima dobbiamo sbrigare una faccenda».

    Katie cercò di reprimere una smorfia di disgusto quando Nathan avvicinò il viso al suo, gli puzzava l’alito. Di sicuro aveva preso qualcosa.

    «Vuoi un tiro?», le chiese, mentre le spingeva una canna contro le labbra.

    «No, grazie». Dopo aver visto suo nonno fumare quaranta sigarette al giorno e andare incontro a una morte terribile – cancro ai polmoni – Katie odiava il fumo con tutta se stessa. Con l’alcol non aveva problemi, e neanche con qualche pilloletta della felicità di tanto in tanto. Ma si vedeva che quei ragazzi si erano spinti un bel po’ più in là. Le pupille di Nathan erano due fori di proiettili neri.

    «Allora, dov’è Jess?», chiese di nuovo, guardando prima l’orologio e poi in fondo alla discesa.

    «Sta male».

    Nathan fece la faccia triste. «Non ti preoccupare, ti faremo compagnia noi. Vero, ragazzi?».

    Katie deglutì. Già restare sola con Nathan le pareva orribile, e ora pure gli altri due stramboidi? Comunque sia doveva essere a casa per le dieci, magari sarebbe restata un’ora per poi filare via con la scusa di andare a prendere una birra o qualcos’altro. Avrebbe ucciso Jess, non appena l’avesse vista. Maledetto Cayden!

    «Sta per arrivare», disse Craig, indicando un punto in lontananza. Seguirono tutti la direzione del dito.

    Katie vide che sul sentiero c’era qualcuno. Indossava dei jeans larghi, scarpe da tennis e una felpa nera con uno stemma giallo, il cappuccio era tirato giù, la faccia non si vedeva quasi per niente.

    «Chi è?», domandò Katie, sentendo che l’atmosfera si faceva ancora più pesante.

    «Travis Barker – e sta per avere quel che si merita». Nathan iniziò a correre verso di lui.

    Tom gettò a terra la sigaretta, spegnendola con la punta dello stivale prima di partire a sua volta dietro di Nathan, seguito all’istante da Craig.

    Katie li vide avvicinarsi di soppiatto. Qualche istante prima che svanisse all’interno della metropolitana, Nathan gli sferrò un pugno alla testa. Colto di sorpresa, il ragazzo cadde in ginocchio, poi pian piano si rimise in piedi e si voltò a guardare i suoi aggressori. Stavolta Nathan lo colpì in faccia. E lo stesso fece Craig. Tom sollevò il piede e gli diede un calcio non appena ricadde a terra per la seconda volta.

    Come un branco di cani randagi, riempirono di calci e pugni il ragazzo che cercava di chiudersi a riccio. Per un attimo, Katie restò di sasso, non sapendo come spegnere quell’esplosione di furia. Nathan tirò fuori un coltello.

    «No», mormorò.

    Incapace di muoversi per la paura, osservò Nathan mentre conficcava la lama nello stomaco della sua vittima. Era come se il tempo si fosse fermato, la lama usciva e affondava ripetutamente nella carne.

    «Fermatevi! Vi prego!», gridò Katie. Scese dalla collina e corse verso di loro. Con un coraggio che non sapeva neanche di avere, spinse via con tutta la sua forza prima Craig e poi Tom, nella speranza di strapparli dalla morsa della furia che li aveva accecati.

    Nathan le lanciò un’occhiataccia e mollò la presa sul coltello.

    Katie si fece strada e si inginocchiò a terra accanto al ragazzo. Perdeva sangue dalla bocca, faceva degli strani gorgoglii, non riusciva a respirare. Il cappuccio ricadde all’indietro, e Katie sobbalzò. Non era un lui. Era una lei.

    E Katie la conosceva.

    «Deanna? Oh no, Deanna». La strinse tra le braccia e alzò lo sguardo verso i ragazzi. «Non è Travis. È sua sorella!».

    «È una femmina?», Tom si mise le mani nei capelli. «Merda, cosa abbiamo combinato?»

    «Chiamate un’ambulanza!», urlò Katie.

    «È morta, non è vero?», Craig si voltò verso Nathan. «È tutta colpa tua! Non si era parlato di coltelli!».

    Nathan scosse la testa con forza. «Respira, guarda!».

    «Ma sta sanguinando!», Craig indicò Deanna.

    Katie era ancora accanto a Deanna, che si dibatteva nel tentativo di riprendere fiato. «Chiamate un’ambulanza», urlò di nuovo. «Se muore, finiremo tutti nei guai».

    Nathan iniziò a comprendere la gravità di ciò che era appena accaduto, e afferrò Katie per il colletto della giacca. Adesso erano faccia a faccia.

    «Se provi a dire qualcosa sei morta, capito? La farò pagare a te e a tutta la tua famiglia». Mollò la presa e se la diede a gambe.

    «Ha bisogno di un’ambulanza!», gridò Katie a squarciagola. Ma Tom e Craig seguirono l’esempio di Nathan e si misero a correre anche loro.

    Rimasta sola con Deanna tra le braccia, l’unica cosa che Katie riuscì a fare fu piangere.

    Ti prego non morire.

    Deanna respirava a fatica, la bocca continuava a sanguinare.

    «Non parlare», bisbigliò Katie, mentre tirava fuori il cellulare dalla borsa. «L’ambulanza arriverà presto. Ti guariranno e starai di nuovo bene».

    Ti prego non morire.

    «Un’ambulanza, per favore», singhiozzò Katie. «Hanno accoltellato la mia amica». Mentre diceva dov’erano all’operatore, gli occhi di Deanna si offuscarono e Katie fu scossa da un brivido. Sentì il corpo della ragazza che diventava inerme tra le sue braccia. «No, Deanna, ti prego! Deanna!». La strinse forte, bagnandole i capelli con le lacrime.

    Dopo pochi minuti – anche se a lei parvero ore – Katie sentì in lontananza le sirene dei soccorsi.

    «Mi dispiace tanto», ripeteva, guardando Deanna. «Devo andare anch’io. Non posso restare qui o finirò nei guai».

    Quando in cima alla collina apparvero due paramedici, Katie sventolò le braccia per farsi vedere. Corsero subito verso di lei.

    Katie adagiò gentilmente la testa di Deanna sull’erba. «Mi dispiace tanto», ripeté. Poi si alzò e iniziò a correre.

    Venerdì 9 ottobre 2015

    Capitolo uno

    Il sergente Eden Berrisford guardò la giovane donna che camminava accanto a lei e sospirò.

    «Hai ventisei anni e il matrimonio è il tuo», disse una volta raggiunto il marciapiede. «È un bel problema se non riesci a sopportare la tua futura suocera già adesso».

    «Non riuscirò mai a sopportarla. Per Seth, ha sempre ragione lei. Si impiccia in continuazione. Viene addirittura a casa nostra mentre siamo al lavoro e si mette a riordinare».

    «Magari venisse anche da me».

    Mentre Eden sorrideva, l’agente Amy Nichols le lanciava un’occhiataccia.

    Raggiunsero la macchina. Erano le tre e mezzo del pomeriggio, ma a causa della tempesta preannunciata era così buio che le auto si vedevano appena. Anche se non era ancora arrivato l’inverno, le giornate si facevano sempre più corte. Da lì a due settimane sarebbe scattata l’ora legale. «Gesù, che vento qua fuori», si lamentò Eden. «Peggiora di minuto in minuto. Per fortuna non sono di turno stasera».

    «Sta per arrivare il temporale, sergente». Amy alzò le sopracciglia. «Vorrei prenderlo a pugni con le mie mani, quell’idiota arrogante».

    Eden e Amy avevano appena raccolto la dichiarazione di una donna e del suo compagno, che venivano molestati dall’ex marito. Nei suoi anni di servizio, Eden si era scontrata diverse volte con quell’uomo e sapeva che la vittima alla fine non sporgeva mai denuncia. Aveva troppa paura, e persino ora che potevano presentare prove tangibili, senza il suo consenso sarebbe stato impossibile ottenere una condanna. Perciò Eden non poteva far altro che riporre tutto in un fascicolo, nella speranza, un giorno, di riuscire a convincere la donna ad andare fino in fondo.

    Dalla radio arrivò una chiamata.

    «D429 a sala operativa», rispose Eden, dopo aver ascoltato il messaggio. «Siamo in zona in questo momento, bussiamo alla porta e facciamo due chiacchiere. Ci pensiamo noi».

    «Ricevuto D429, grazie».

    Anche se ormai si occupava raramente delle lamentele quotidiane, Eden non avrebbe mai voltato le spalle agli abitanti di Stockleigh. Non era una di quelle che si sentono superiori a certe cose, neppure ora che era diventata sergente. Non come qualcun altro alla stazione di polizia…

    Osservò per un attimo Amy, soffermandosi sui suoi occhi gentili, nascosti sotto una frangetta e una massa di capelli biondi a caschetto che le incorniciavano il viso ovale. Lavoravano fianco a fianco da un mese ormai, e anche se era tutta minuta – così diversa da Eden, alta e slanciata – Amy aveva dimostrato un carattere determinato: non si faceva impressionare facilmente ed era più che capace di difendersi da sola. Perciò, per Eden, era bello scoprire anche il suo lato premuroso: per quanto riguardava il matrimonio, Amy sembrava combattuta tra i suoi desideri personali e la paura di deludere gli altri.

    «Perché non dici alla tua futura suocera che sei disposta a fare qualche compromesso, se lo fa anche lei?», disse Eden, tentando un altro approccio. «Tu ti agghindi un po’ e ti copri le braccia, lei mette una borsa nera e trucco coordinato. Una roba così».

    «Mi ucciderebbe se le dicessi una cosa simile», rispose Amy ridendo.

    Eden si era voltata a guardare la porta d’ingresso, quando un viso apparve nella finestra lì a fianco.

    Sentirono il rumore del catenaccio, e all’improvviso un vecchio minuto sbucò tra la porta e lo stipite.

    «Lei è il signor Percival?», Eden alzò il distintivo perché fosse ben visibile, ed ebbe la vaga sensazione di conoscere quell’uomo.

    «Come al solito arrivate in ritardo, maledizione», rispose lui bruscamente. E sbatté la porta in faccia alle due agenti.

    Eden alzò le sopracciglia e guardò Amy mentre il catenaccio scattava e la porta si apriva di nuovo. Entrarono, il vecchio faceva loro strada con l’aiuto di un bastone. Arrivati in salotto, Eden notò la foto di un matrimonio incorniciata e appesa al muro, e si ricordò dove aveva già incontrato quell’uomo. Avrebbe riconosciuto ovunque la donna ritratta nella foto. Eden aveva conosciuto il signor Percival parecchi anni prima, in un’altra casa, durante il suo periodo di prova nella polizia. Sua moglie era morta nel sonno e Eden era stata il primo agente ad arrivare sulla scena. Era la prima volta che vedeva un cadavere e, se la memoria non la ingannava, il signor Percival le aveva preparato una tazza di tè dopo che era scoppiata a piangere alla vista della donna stesa immobile sul letto.

    Ma lui non la riconobbe, troppo preso dalla sua invettiva, mentre gesticolava con un’espressione severa sul viso segnato dall’età.

    «È la terza volta che me lo fregano», disse, voltandosi lentamente di spalle. «Lo usano per divertirsi un po’ e quando la batteria si esaurisce lo lasciano dove capita. Mi sento perso ogni volta che sparisce. Non so cosa fare. Non ho nessun altro posto in cui tenerlo, e il comune non ha intenzione di costruirmi una rampa per portarlo qui dentro – non che abbia spazio, ma almeno mi alzerei ogni mattina con la sicurezza di ritrovarlo dove l’ho lasciato. Mi hanno fatto perdere la corsa delle due e mezzo, non ho potuto piazzare la scommessa. Piccoli bastardi».

    «Sa chi è stato, signor Percival?», domandò Eden.

    «Vivo qui da una vita», continuò. «E non ne ho mai avuto idea. E no, non li ho visti. Ero appena tornato dalla spesa e l’avevo lasciato qui fuori. Ero solo andato a pisciare perché non ne potevo più. Il dottore mi ha dato delle nuove pastiglie diuretiche e le bastarde funzionano di brutto. Quando sono tornato dal bagno non c’era più».

    Eden guardava fuori dalla finestra. Il complesso di Hopwood Estate sorgeva di fronte a un prato che scendeva fino al ruscello che correva in parallelo alla strada. File e file di case e complessi abitativi di sei piani, agglomerati in blocchi quadrangolari. Era un labirinto per chi non conosceva bene la zona, ci vivevano gran parte delle famiglie che causavano problemi a Eden e alla sua squadra. E in mezzo a tutto ciò c’era l’Horse & Hound pub, dove si riversavano i residenti del complesso a qualsiasi ora del mattino, pomeriggio o notte. Per i poliziotti era una tappa obbligatoria, quando veniva emesso un mandato di arresto. Chi, tra quelle piccole nullità, si era dato al furto adesso? Per loro era tutto un gioco.

    Amy mise a verbale tutti i dettagli. Non potevano fare altro. «Metterò subito qualcuno a lavoro non appena torniamo in stazione, e faremo un giro nei paraggi per vedere se avvistiamo un…». Si interruppe quando di fronte alla finestra sfrecciò uno scooter per disabili, guidato da un adolescente che urlava come se stesse cavalcando uno stallone nel Selvaggio West. «Torno subito, signor Percival».

    Eden corse fuori casa, seguita da Amy. Il ladruncolo non le vide subito, dato che erano in borghese con un’auto civetta, ma non appena si accorse che lo stavano inseguendo, accelerò a tutta birra.

    «Non mi prenderete mai, culone!», gridò il ragazzo, mostrando loro il dito medio mentre sgasava a più non posso.

    «Se non lo riporti indietro immediatamente», urlò Eden, «quel dito te lo infilo nel…».

    Amy superò di corsa Eden e si avvicinò allo scooter. Lo aveva quasi raggiunto, allungò il braccio ma il ragazzino sterzò bruscamente. Lo scooter finì sull’erba e lui perse il controllo.

    Si ribaltò. Mentre il mezzo schizzava via, Amy immobilizzò le gambe del ragazzo e Eden gli infilò le manette.

    «Liam Matson, sei in arresto per il furto di uno scooter per disabili». Eden aveva il respiro affannato. «Hai il diritto di rimanere in silenzio, ma potrà nuocere alla tua difesa se ometti di dire qualcosa su cui poi farai affidamento in tribunale. Tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te. Hai capito?»

    «Mi fate male!», strillò. «Vi denuncio!».

    «Io voglio farti male, piccolo stronzo egoista». Eden costrinse il ragazzo a rimettersi in piedi, mentre Amy spingeva lo scooter finito sull’erba. Ripresero la strada e Eden fece salire il prigioniero nel sedile posteriore della sua auto, poi chiamò via radio una volante. Era stata lei a portare a termine l’arresto, ma di certo non si sarebbe sorbita tutte le scartoffie, se poteva evitarlo.

    «Che ci faccio con questo, sergente?», disse Amy, indicando con il capo lo scooter.

    «Ti ci vedo proprio bene in sella», sorrise Eden. «Puoi avere il piacere di riportarlo di persona al signor Percival».

    Amy sgranò gli occhi. «Perché proprio io? Non possono farlo gli agenti in servizio quando arrivano?»

    «Consideralo il tuo rito d’iniziazione».

    «Per cosa?». Amy aggrottò la fronte.

    «YouTube. L’ultima volta che è toccato a me, ero già su tutti i social prima ancora di tornare in stazione, e non ci tengo a ripetere l’esperienza».

    «Credevo ti piacessero questi scooter», la prese in giro Amy. «Sai, te ne vai in giro con una Lambretta».

    «Ti dirò, se non è tutto cromato e non ha un clacson da spaccare i timpani, non lo guardo nemmeno», sorrise. «Ora monta in sella e vai. Prometto che non pubblicherò foto imbarazzanti».

    Capitolo due

    Cayden Blackwell tirò su il cappuccio della giacca, il vento lo aggrediva con vera furia. Non pioveva più a dirotto, ma qualche gocciolina cadeva ancora. Si sarebbe inzuppato da capo a piedi se non si fosse sbrigato ad arrivare da Jess. Controllò l’orologio: le 17:30. Meglio darsi una mossa.

    Aveva intenzione di prendere Jess e trascinarla a casa sua di peso. Infatti era andato da quelle parti solo perché doveva incontrare un amico, Travis Barker, e non poteva farlo venire a casa: sua madre si sarebbe insospettita a vederselo sull’uscio. Tanto per cominciare avrebbe chiesto che diavolo ci faceva lì, e poi avrebbe voluto sapere che cosa voleva da Cayden. Infine gli avrebbe proibito di vederlo ancora – o peggio, avrebbe detto a Travis di togliersi dai piedi.

    Tutti sapevano che Travis Barker combinava un casino dopo l’altro, ma Cayden sperava che fosse la sua occasione per tirare su qualche soldo vero – non le solite venti sterline qui e là che riusciva a farsi ogni tanto. Voleva entrare nel giro grosso, e sapeva che Travis aveva i contatti giusti.

    Risolta quella faccenda, ora voleva soltanto stare un po’ con Jess, soprattutto perché aveva casa libera e, per una volta, avrebbero potuto spassarsela in tutta tranquillità. L’altra sera c’era stato il colloquio genitori-insegnanti e dato che suo fratello, al primo anno di scuola superiore, aveva ottenuto una buona pagella, i suoi avevano deciso di portarlo fuori a mangiare una pizza. Avevano invitato anche Cayden, ma lui aveva rifiutato dicendo che doveva studiare per gli esami. Be’, non sarebbe stata una vera e propria bugia: avrebbe studiato anatomia, ecco.

    Non vedeva l’ora di mettere le mani su Jess. Quella sera, non ci sarebbe stato il piccolo Lloyd, che entrava sempre in camera e li interrompeva sul più bello. Né sua madre che si presentava con una tazza di tè e faceva tutta la gentile, ma in realtà voleva solo assicurarsi che nulla di deplorevole accadesse sotto il suo tetto. E neanche suo padre, con i suoi sorrisetti maliziosi e i commenti da esperto in materia. Cazzo, certe volte era proprio imbarazzante.

    Cayden e Jess si frequentavano da qualche mese ormai. Da prima che la migliore amica di lei, Katie Trent, fosse messa sotto sorveglianza e tre dei suoi compari mandati in un centro di correzione minorile in custodia cautelare, in attesa del processo per l’omicidio di Deanna Barker. Jess gli piaceva già da prima, ma lei era la ragazza più popolare della scuola e lui… be’, no. Ma non era una che la dava in giro. Alcuni dicevano che se la tirava troppo, ma Cayden non si era lasciato scoraggiare. Si erano dati da fare sul serio già un paio di volte ormai, e ora che i suoi genitori erano fuori, avevano una bella occasione. Sentì segnali di risveglio nelle mutande. Magari ci avrebbe pensato Jess – si disse ridacchiando – proprio come aveva fatto l’ultima volta che erano rimasti da soli a casa.

    Cayden viveva ai Cavendales, un complesso recintato di più di una cinquantina di villette indipendenti. Si trovava davanti ai campi della periferia di Stockleigh. Peppermint Avenue era un piccolo vicolo cieco che ospitava soltanto sette case. I genitori di Cayden gestivano una piccola azienda informatica e si erano trasferiti nel 2003, appena ultimate le costruzioni. L’anno prima avevano ricavato nello spazio sopra il doppio garage un loft tutto per lui e Lloyd. Però neanche così riusciva ad avere un po’ di pace con Jess, dato che suo fratello aveva la brutta abitudine di piombare nella stanza nei momenti meno opportuni. Ma quella sera avevano due ore tutte per loro, prima che i suoi tornassero

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