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Piccoli momenti d'amore a Parigi
Piccoli momenti d'amore a Parigi
Piccoli momenti d'amore a Parigi
E-book318 pagine4 ore

Piccoli momenti d'amore a Parigi

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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller La casa in riva al lago

Cat Jordan fa la fotografa a New York ed è pronta a cominciare un nuovo entusiasmante capitolo della sua vita insieme al fidanzato, il principe azzurro dell’alta società che ha sempre sognato. 
Quando però viene a sapere di avere ereditato una casa in Francia da una sconosciuta, una certa Isabelle de Florian, tutte le sue certezze vengono meno. Parte subito per Parigi, dove scopre di essere l’intestataria di un appartamento in cui il tempo si è fermato: sotto strati di polvere si nascondono tesori risalenti alla Belle Époque. La cosa più strana è che i parenti della donna non avevano idea dell’esistenza dell’appartamento. Ma chi era Isabelle de Florian? E perché ha preferito lasciare la casa a un’estranea piuttosto che alla sua famiglia?
In cerca di risposte, Cat si immergerà nel passato, al punto da cominciare ad allontanarsi dalla vita newyorkese. E quando l’attrazione per il nipote di Isabelle diventerà innegabile, non sarà più in grado di decidere che cosa lasciar andare e cosa, invece, rivendicare come proprio…

Un appartamento nel IX arrondissement, sigillato per decenni, si rivela uno scrigno di antichi tesori

Si può chiudere il passato dietro una porta?

«Un libro meraviglioso, intrigante, che ti accompagna in un magico viaggio a Parigi.»

«Questo romanzo di Ella Carey è sensazionale, i lettori lo adoreranno. Mi ha ricordato Titanic, indimenticabile.»

«Una storia da leggere per prendersi una pausa dalla vita frenetica di tutti i giorni. Spero che diventi presto un film!»
Ella Carey
Vive in Australia, ma ha una passione sconfinata per la terra e la cultura francese. Piccoli momenti d’amore a Parigi è il libro che l’ha fatta conoscere al grande pubblico internazionale. La Newton Compton ha pubblicato anche La casa in riva al lago, molto amato dai lettori di lingua inglese e tradotto in numerose altre lingue.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2018
ISBN9788822724670
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    Anteprima del libro

    Piccoli momenti d'amore a Parigi - Ella Carey

    Capitolo 1

    Il pacchetto era avvolto in una carta marrone e chiuso con un nastro di seta intatto. Una specie di impresa, visto il viaggio che aveva fatto da Parigi a New York. Sopra vi era un piccolo fiocco dalle estremità tagliate e corte; come se la persona che aveva fatto il pacchetto avesse cercato di usare parsimonia, si disse Cat. I dati del mittente erano scritti con un inchiostro color seppia ormai sbiadito: Monsieur Gerard Lapointe, ix Arrondissement, Parigi. Quel nome Cat non lo aveva mai sentito.

    Agitò il pacchetto con delicatezza. Dentro c’era qualcosa di duro che sbatteva, ma proprio mentre stava per prendere le forbici da cucina, udì bussare alla porta d’ingresso. Christian era in perfetto orario. Cat posò il pacchetto sul tavolo, lo prese di nuovo, lo rimise a posto e andò ad aprire la porta.

    Christian indossava un completo nuovo e i capelli chiari erano pettinati all’indietro, alla Gatsby. «Ancora non ti sei cambiata?», chiese guardando l’orologio.

    «Devo?», rise lei.

    Christian entrò nel minuscolo appartamento di Cat, in quel di Brooklyn, quasi come fosse suo e quasi non vedesse l’ora di tornare nell’Upper West Side.

    «Che ne dici di quell’abitino nero che ti ho comprato la settimana scorsa?».

    Cat trattenne il sorriso mentre Christian si fermava di fronte al suo ultimo tesoro: uno scialle vintage con dei pavoni ricamati che aveva preso al mercatino delle pulci per quattro soldi. Aveva passato delle ore a rimirare i minuscoli strappi del tessuto e i grovigli intrecciati della vecchia frangia. E adesso quello scialle era poggiato sul suo divano rosso.

    Christian sembrava in preda a un dibattito interno: dire o non dire qualcosa di cortese su quello scialle?

    «Ho dovuto salvarlo. Era in uno stato così pessimo… Immagino di dovermi cambiare». Non c’erano dubbi sul fatto che l’abito nero minimal che Christian le aveva regalato la settimana prima fosse più consono alla serata del tailleur pantalone, verde chiaro e anni Quaranta, che aveva scelto Cat. Christian adorava comprarle gli abiti: era una cosa tenera anche se, a volte, un po’ imbarazzante. Verso i vent’anni, Cat si era innamorata del vintage, ma la cosa fondamentale era non ferire i sentimenti di lui, ovviamente. Si diresse verso la stanza da letto.

    Mentre passava, Christian le prese la mano. «Stasera hanno scelto Michael e Alicia: andiamo al Lemon Tree. A quanto pare hanno un nuovo menù, ma…». Si sistemò la manica della giacca e guardò di nuovo l’ora.

    «Arriveremo in tempo». Dopo essersi fatta scivolare l’abito nuovo sopra la testa, Cat porse a Christian la catenina d’argento che lui le aveva regalato per il suo trentaquattresimo compleanno, si voltò dandogli la schiena e si sollevò i capelli color miele per fargliela allacciare.

    «Sei incantevole con questo abito».

    Cat si girò e gli lanciò un’occhiata. «Non pensare che possa diventare un’abitudine».

    «Giammai».

    Poi si spruzzò del profumo sui polsi. «Oggi nella cassetta della posta ho trovato un incantevole pacchettino. Arriva da Parigi. Non vedo l’ora di vedere di cosa si tratti».

    Christian le teneva aperta la porta. «Tutto ciò che ho visto, l’ultima volta che sono stato a Parigi, è stato l’interno della banca».

    Il pacchetto doveva aspettare.

    Probabilmente non era niente di importante.

    Il Lemon Tree era un locale elegante e, sebbene fosse pieno, non c’era confusione. Cat chiacchierava con Tash, Alicia e Morgan, tutte sposate con i più vecchi amici di Christian. L’idea di essere parte integrante di quello stretto gruppetto era più allettante di quanto avrebbe ammesso a chi si fosse preso la briga di chiederlo: era esattamente ciò che aveva sempre desiderato, ma mai avuto. Anche dopo due anni insieme a Christian, provava quella sensazione di leggera marginalità. Dopotutto, Tash e Scott erano sposati e avevano due bambini piccoli, Michael e Alicia ne avevano tre e possedevano una casa per il week-end, mentre Morgan e Adam stavano insieme da dieci anni e programmavano le loro nozze da quando Cat li aveva conosciuti. Christian era amico di Michael, Scott e Adam dai tempi delle elementari.

    La conversazione spaziava dal processo terrificante per fare domanda per le scuole private di Manhattan e il disperato bisogno che i bambini parlassero diverse lingue prima dei cinque anni allo stress considerevole di fare acquisti su Net-A-Porter e al fatto che, comunque, non c’era mai tempo per farlo. Era tutto delizioso e un po’ insolente e Cat sapeva di essere ammaliata da tutti loro.

    Christian incrociò il suo sguardo e lei ricambiò il suo sorriso. Quello era diventato un piccolo rituale fra di loro ogni volta che erano fuori: lui si accertava che lei fosse felice e lei lo rassicurava di esserlo.

    «Insomma», disse Alicia posando sul tavolo il suo bicchiere di vino come se stesse per fare un grande annuncio. «Per Annabelle non fa differenza che io sia un’ex studentessa. Dovrebbero esserci dei limiti per quanto possano essere egualitari. Dove arriveremo?»

    «Dovremo cominciare una campagna», disse Tash.

    «E la potresti coordinare tu, Alicia». Adam rise. «Saresti perfetta».

    Cat incrociò di nuovo lo sguardo di Christian, il quale inarcò una delle sue bionde sopracciglia.

    «Dimmi, Cat», intervenne Tash, «tu quale scuola hai frequentato?»

    «Sì, Cat, dicci: quale scuola hai frequentato? I piccoli Carter seguiranno le orme della loro mamma?».

    Cat sentì le guance avvamparsi a quella domanda, all’idea che i suoi sarebbero stati figli di Christian. «Oh, alla Mumbai High».

    Calò il silenzio, fino a quando Christian non ridacchiò, seguito da tutti gli altri. Cat si appoggiò allo schienale della sedia e bevve una sorsata di vino. La risata, la capacità di sdrammatizzare le cose, erano delle qualità che adorava in Christian. Lui era stata l’unica persona ad accorrere in suo aiuto la prima volta che lo aveva visto. Insieme ad altri colleghi della banca si era recato nello studio fotografico dove lei lavorava per farsi fare delle foto di gruppo e, quando la macchina di Cat si era rifiutata di collaborare, lui si era staccato dagli altri per aiutarla a recuperare la nuova attrezzatura e poi, alla fine, aveva insistito per riportare tutto nell’ufficio del capo. L’invito a bere un drink quella sera stessa era sembrata una conclusione scontata dopo mezz’ora passata a flirtare in mezzo ai treppiedi. Gli occhi verdi e i capelli biondi di Christian erano un mix allettante, e poi lui sembrava sicuro di sé, così tanto sicuro quanto gentile. Adesso era come se fossero due uccellini intenti a costruire il nido, già con il presupposto che avrebbero trascorso la vita insieme anche se, formalmente, non ne avevano mai parlato.

    Cat scacciò il pensiero, familiare e invadente, di suo padre e di ciò che indubbiamente avrebbe avuto da dire su Christian e sui suoi amici borghesucci di successo: non c’era motivo, ora, di preoccuparsi di Howard Jordan.

    «Stasera sembravi un po’ distratta», le disse Christian quando uscirono dal ristorante.

    Mentre aspettavano un taxi, Cat si accoccolò contro il braccio che lui le teneva intorno alla spalla. «Dici davvero?»

    «Sei stata bene, tesoro?»

    «Ma certo».

    Le luci della città risplendevano oltre il finestrino sporco di smog. Arrivati a Brooklyn, il taxi si fermò davanti al palazzo in cui abitava Cat.

    «Vuoi salire?»

    «Vorrei tanto, ma domani mattina mi devo alzare presto».

    Cat si chinò e lo baciò.

    «Sai una cosa? Dovresti cambiare scooter», disse Christian lanciando un’occhiata alla sua Vespa, parcheggiata al solito posto.

    «Non essere ridicolo», rise Cat. La Vespa era stata il suo primo acquisto quando aveva avuto il primo lavoro.

    «È troppo pericoloso. Se dipendesse da me, sparirebbe già domani».

    Non appena si fu richiusa la porta alle spalle, Cat prese immediatamente il pacchetto arrivato da Parigi. Era stata in Francia solo una volta, in occasione di un viaggio velocissimo dopo il college. Aveva trascorso poco tempo a Parigi, ma durante quel soggiorno aveva scattato più di mille foto. Subito dopo aver fatto ritorno a New York, aveva iniziato a lavorare come fotografa presso uno studio, lo stesso nel quale lavorava ancora. Era stata sul punto di andarsene un’infinità di volte, ma sapeva di essere fortunata ad avere un lavoro in un periodo di recessione. Inoltre, ogni volta che aveva cercato di andarsene, il suo capo l’aveva trattenuta con delle preghiere così convincenti che si era rassegnata a restare un altro po’.

    Il modo in cui era stato realizzato il fiocco del pacco le riportò alla mente quell’eleganza che l’aveva incantata quando era stata a Parigi. Rimise le forbici nel cassetto e cominciò a sciogliere l’elaborato nodo del nastro chiaro con la punta delle dita: sembrava un peccato rovinare quella seta così bella.

    Il loft si era fatto più freddo, nel corso della serata, ma le sue dita – nonostante fossero fredde – quella sera erano cariche di una strana energia. Finì di sciogliere il fiocco e passò la punta delle dita sotto il nastro marrone che chiudeva il pacco. La carta racchiudeva una scatoletta di cartone.

    Una folata di vento fece tremare le finestre. Cat rabbrividì. Una tazza di cioccolata calda era quello che ci voleva. Entrò in cucina e versò il latte in un pentolino. Mescolare il latte caldo le diede sollievo. Spezzò due quadretti spessi di cioccolata fondente e li guardò sciogliersi nel latte e poi versò la bevanda bollente in una tazza di porcellana bianca e blu che era appartenuta a sua madre. La sua dolce, innocente mamma.

    Cat era determinata a vivere la vita felice che sua madre doveva aver sognato. Una cosa era certa: sua madre sarebbe stata molto più felice con un uomo gentile come Christian che con il suo saccente e dominante padre. A quanto sembrava, sua madre lo aveva amato alla follia quando era giovane, solo per poi passare il resto della sua vita a pentirsi del suo terribile errore.

    Le relazioni complicate erano una cosa che Cat era intenzionata a evitare.

    Bevve un sorso di quella cioccolata divina, posò la tazza e sollevò il coperchio della scatola. All’interno vi erano due cose: una lettera dattiloscritta e una vecchia chiave in ottone.

    Si spostò in sala da pranzo e si sedette sul divano. Lesse la lettera, poi la lesse di nuovo. Era stata composta con una macchina da scrivere. Una cosa che non aveva minimamente senso.

    In cima alla pagina c’era il suo nome per esteso: Catherine Laura Jordan. Sotto, a lettere maiuscole, il nome intorno al quale sembrava ruotare la lettera, il nome di una donna che il padre di Cat detestava talmente tanto da farsi livido ogni volta che veniva pronunciato: quello di Virginia Brooke, l’intollerabile nonna materna di Cat.

    La lettera era breve ma formale. Monsieur Lapointe, un avvocato di Parigi, scriveva che Virginia Brooke sarebbe stata la sola erede dei beni di Isabelle de Florian, recentemente deceduta. In seguito al decesso di Virginia Brooke, avvenuto nel 1978, e alla successiva morte della figlia di Virginia, cioè di Bonnie – la madre di Cat – nel 2003, i beni passavano ora interamente a Cat.

    Cat sapeva che sua nonna Virginia aveva viaggiato da sola per l’Europa, per sei anni, appena prima della seconda guerra mondiale, per fare ritorno in America solo quando la sua famiglia aveva insistito sul fatto che l’Europa non fosse più sicura. Virginia era rimasta single per molto tempo. Aveva trovato un impiego modesto nel settore dell’abbigliamento a New York, a dispetto delle proteste della sua famiglia borghese e, a quanto pareva, aveva goduto della compagnia di diversi amanti. Si era sposata tardi, e con un uomo ben più in là con gli anni: il nonno di Cat, un professore di Harvard che Virginia, a detta di tutti, adorava. Bonnie era nata solo quando lei aveva già superato la quarantina.

    Da bambina, Bonnie era stata incredibilmente trascurata, lasciata libera di andarsene in giro da sola nella vecchia tenuta di famiglia e nei giardini malcurati, mentre il nonno di Cat e Virginia continuavano a vivere le proprie vite facendo esattamente quello che preferivano.

    Il risultato fu che Bonnie aveva sviluppato non solo una fervida immaginazione, ma anche un forte desiderio di romanticismo che aveva affascinato Howard Jordan, un ex studente di suo padre.

    Howard divenne un funzionario pubblico dalle asfissianti convinzioni politiche e morali. Apparentemente, la sua passione principale, nella vita, era trasformare Bonnie e Cat in un qualcosa di prosaico e adatto alle sue necessità, le quali ruotavano intorno all’ordine, all’efficienza e al credo irremovibile che le sue opinioni fossero sempre corrette.

    Fu solo verso la fine dell’adolescenza che Cat imparò a rispettare lo stoicismo di sua madre e la sua determinazione nel tirar fuori qualcosa dalla situazione in cui si era messa con le sue mani. Quando Cat aveva vent’anni, Bonnie confessò di essere stata una giovane romantica e di essersi lasciata vincere dall’idea dell’amore anziché dal considerare davvero Howard come persona. La decisione di Bonnie di restare con Howard fu – e Cat lo sapeva – per il bene della figlia e in questo c’era sicuramente un qualcosa degno di ammirazione.

    Bonnie le aveva raccontato delle storie che circolavano su Virginia che aveva frequentato i cabaret e i locali parigini durante la Jazz Age. Era stata una presenza fissa a eventi mondani, inaugurazioni, mostre e teatri. E allora da dove saltava fuori questa Isabelle de Florian? In mezzo a tutti i racconti di Bonnie, non si era mai accennato a una qualche Isabelle. Cat ne era certa.

    Si era in parte aspettata – ma aveva anche sperato con tutto il cuore – che quel suo viaggio a Parigi potesse avere un po’ il sapore di quel meraviglioso periodo ormai andato. Il suo tour dell’Europa, invece, l’aveva vista attraversare diversi paesi su bus affollati insieme a quaranta studenti ubriachi. Alla fine del viaggio, Cat aveva stabilito che il romanticismo stava bene nel passato.

    Era tornata a New York e aveva cominciato a lavorare presso lo studio fotografico e ora, con Christian, era più felice di quanto fosse mai stata nella sua vita.

    Parigi era sei ore avanti rispetto a New York. Poche ore e lo studio di questo misterioso Monsieur Lapointe avrebbe aperto.

    Sarebbe stata professionale. Avrebbe chiamato questo Monsieur Lapointe, anche dovendo restare in piedi tutta la notte per trovarlo subito, e avrebbe risolto la faccenda. Alla svelta.

    Capitolo 2

    Cat prese il telefono e chiamò lo studio di Monsieur Lapointe appena passate le nove del mattino, ora di Parigi.

    La segretaria fu risoluta. «Monsieur Lapointe non sarà disponibile prima di un’altra ora. Gli farò avere il suo messaggio, Mademoiselle».

    Cat sprofondò di nuovo a letto. Quel giorno era l’anniversario di nozze dei genitori di Christian e lei gli aveva promesso che quella sera avrebbe festeggiato insieme alla sua famiglia, ma adesso era sfinita.

    Alle quattro del mattino, ora di New York, Monsieur Lapointe non aveva ancora richiamato. Cat teneva la mano sul telefono. Non voleva sembrare disperata, ma lo chiamò di nuovo e stavolta la donna dall’altra parte del telefono glielo passò immediatamente.

    «Mademoiselle Jordan?», domandò lui enfatizzando notevolmente l’ultima sillaba del suo nome.

    «Oh, bonjour Monsieur».

    «Temo che dovrò essere brusco, ma non c’è altro modo per dirglielo. Mademoiselle Jordan, lei deve venire qui a Parigi».

    Cat sospirò. «Non sarebbe possibile discuterne per telefono?»

    «La cosa migliore sarebbe parlarne di persona, Mademoiselle».

    Scese il silenzio.

    «Proprio non posso venire a Parigi. Il mio lavoro…». Il suo lavoro? Fotografare newyorkesi benestanti, gente d’affari – e spesso anche i loro altrettanto benestanti bimbi e animaletti domestici – difficilmente poteva essere definito come un’attività cruciale, eppure andare a Parigi era fuori discussione.

    «Mademoiselle, per favore».

    «Ma Monsieur, il prezzo…». Tuttavia… magari si sarebbe potuta permettere un volo low cost per la Francia. Aveva messo da parte dei risparmi.

    «Non posso venire da lei».

    «No». Aveva ragione.

    Cat faceva avanti e indietro nella sala da pranzo. «Quindi mi sta dicendo che non può parlarmi di questa cosa per telefono o per iscritto?»

    «La può mettere così. Le circostanze di questo testamento non sono… ordinarie. Per risolvere questa cosa dovrà venire qui a Parigi. Ah, Mademoiselle: preferirei incontrarla prima di proseguire con la lettura del testamento. Ci sono delle formalità, moltissime formalità. E sono davvero importanti, poi lo vedrà».

    Cat si sedette lì dove era. «Io… immagino che lei mi desideri lì il prima possibile?». Adesso sembrava quasi volerci andare. Si schiarì la gola. «Insomma, dovrò parlarne con il mio capo. Non posso mollare tutto così». Ma cosa stava dicendo? Aveva mesi di ferie maturati, non andava mai da nessuna parte.

    «Io sarò qui quando lei arriverà». Monsieur Lapointe le diede delle indicazioni precise per raggiungere il suo studio. «E non dimentichi la chiave, Mademoiselle Jordan».

    «Certamente». Cat prese fiato. «Senta, potrebbe dirmi almeno cosa c’entra questa Isabelle de Florian con mia nonna?»

    «La prego di prendere appuntamento con la mia assistente personale. Au revoir, Mademoiselle».

    Quattro ore dopo, avendo cercato invano di prendere sonno, Cat scrisse un’email al suo capo per chiedergli dei giorni di ferie. Dopo aver ricevuto una risposta riluttante, tuttavia positiva, dal cellulare di lui mentre lui era fuori per la sua corsa mattutina, Cat prenotò un volo per Parigi per l’indomani. Con l’aiuto dell’assistente di Monsieur Lapointe, trovò un piccolo hotel accanto al Palais Garnier, proprio dietro l’angolo dello studio legale.

    Fu solo quando riattaccò il telefono per l’ultima volta, mentre dalle tende filtrava la prima luce, che ebbe il pieno impatto con la situazione. Sua nonna era stata un’incognita. Cat non era assolutamente come lei. Per quale motivo al mondo si era lasciata convincere a prendere un volo per la Francia l’indomani?

    La cenetta di famiglia per l’anniversario dei genitori di Christian si rivelò essere una festa per cinquanta persone. Anche se Cat avesse voluto discutere con Christian di quella ridicola faccenda riguardante sua nonna, dal momento in cui uscì dall’ascensore per entrare nell’appartamento pieno di gente capì che per tutta la serata non avrebbe avuto modo di stare da sola con lui.

    E comunque nessuno sapeva quello che Christian o la sua famiglia avrebbero iniziato a pensare della strampalata storia della famiglia di Cat. Agli invitati chic di quel ricevimento, di Virginia Brooke non importava assolutamente nulla.

    Dopo che Christian la presentò a un numero di elegantoni che potevano bastare per riempire una sala da ballo, oltre alla sua infinità di cugini di Boston, per Cat fu quasi impossibile ricordare per quale motivo fosse importante quel suo piccolo viaggio a Parigi con una chiave arrugginita.

    Erano state pochissime le occasioni nelle quali Cat si era ritrovata con la grande famiglia di Christian e averli tutti lì in una volta sola la fece sentire come un’outsider a una festa di «Vogue».

    Per fortuna molti dei parenti di Christian trovarono il suo abito da cocktail anni Quaranta interessante o alquanto delizioso, mia cara e ciò che l’avrebbe potuta far sentire fuori posto si era trasformato in una caratteristica che sembrava renderla apprezzata dal mare di zie di Christian coperte di perle e Chanel.

    Se avesse avuto modo di ripensare all’enorme contrasto fra tutta quella eleganza e la sua infanzia a Durham, Connecticut – i suoi genitori non avevano quasi mai compagnia –, Cat si sarebbe dovuta dare un pizzicotto per credere di essere lì sul serio. Ma non ci fu modo di pensare. Tutto girava intorno all’essere parte del mondo di Christian. Si trattava di essere al posto giusto con la gente giusta al momento giusto. Cat si godette con gioia il lato seducente della situazione.

    Qualche ora dopo, si era convinta del fatto che anche se avesse avuto modo di discutere dell’eredità con Christian, lui non se ne sarebbe dato pena. Lui non amava i viaggi e non avrebbe capito come mai lei non avesse insistito per farsi mandare dall’avvocato un’email con tutti i dettagli. Christian diceva spesso che a New York c’era tutto ciò che si potesse desiderare e che, per vivere il resto, si poteva usare un portatile. I suoi nonni avevano una bella casa per le vacanze negli Hamptons: per quale motivo prendersi la briga di andare da qualsiasi altra parte? Quindi avrebbe semplicemente detto loro che sarebbe andata a Parigi. Lo avrebbero accettato senza fare domande.

    «È un po’ presto per la stagione degli spettacoli, mia cara», fece notare la zia di Christian.

    «In realtà vado per lavoro». Cat si fermò dal mordersi il labbro.

    «Vuoi che ti prenoti un volo comodo?», le chiese Christian.

    «La scorsa settimana ho mangiato un caviale assolutamente divino. Stanno migliorando, finalmente». Lo zio di Christian da parte di padre aveva i baffi e una perenne espressione simpatica. «Caviale e champagne per Cat. Sembra un bel progettino», disse Christian.

    «No, no. È già tutto organizzato», disse sorridendo Cat.

    In tutta onestà, non le interessavano la prima classe e questo lusso. Quando aveva iniziato a frequentare Christian, non era a conoscenza della ricchezza della sua famiglia. Erano le piccole cose che lui faceva a importarle, come il fatto che da quando erano usciti per la prima volta a bere un drink, lui l’aveva chiamata molto spesso solo per chiederle come stesse e per sapere come stesse andando la sua giornata.

    «Di certo non in economy?»

    «No».

    «No?»

    «Ho già prenotato in business class, quindi è tutto a posto». Era solo una piccola bugia bianca, ma dire a Christian che aveva preso un’offerta last minute di una linea aerea low cost che partiva a un orario improbabile lo avrebbe fatto certamente preoccupare.

    «Paga l’azienda», proseguì Cat. «Hanno insistito». L’azienda? Quale azienda? Ma Christian aveva difficoltà a vedere oltre il proprio mondo.

    «Chiamami appena arrivi, tesoro».

    Cat entrò nell’ascensore. Quando Christian non fu più a portata di vista, si tolse le scarpe vintage anni Quaranta con il tacco a spillo e lasciò che i piedi doloranti assorbissero il fresco del lavorato pavimento di marmo.

    Qualche ora dopo, Cat sedeva nella fila centrale di un volo economico per Parigi, così lontana dai pavimenti di marmo che quasi le riusciva impossibile pensarlo. Aveva passato la maggior parte del volo con un bambino di tre anni in braccio, cercando di evitare vomito e latte al cioccolato mentre si proteggeva le orecchie dai ripetuti assalti di liti tra fratelli che avevano fatto sì che parecchie persone sedute nelle file davanti a loro si girassero a scuotere la testa.

    Tardi, molto tardi quella notte – o nella primissima mattina, a seconda di come si vuole considerare il tempo quando si è sopra le nuvole – il suo piccolo compagno era finalmente caduto in un sonno profondo. Le ore rimanenti le aveva

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