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Gestapo. La storia segreta
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E-book442 pagine5 ore

Gestapo. La storia segreta

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Info su questo ebook

Protagonisti, delitti e vittime

La verità sulla polizia di Hitler da uno dei massimi storici inglesi contemporanei, uno sguardo ravvicinato sulla più spietata struttura repressiva del Terzo Reich: la Gestapo.
Come funzionava la polizia segreta nazista? In che modo reclutava i suoi uomini e chi impartiva le direttive? Quali metodi utilizzavano i suoi membri? Come riuscivano a ottenere notizie e come funzionava la loro rete di informatori? Grazie a un’innovativa ricerca su documenti desecretati da poco, Frank McDonough (già autore di diversi saggi sulla Germania di Hitler) ci rivela in queste pagine tanti dettagli inediti sul funzionamento della Gestapo, e su chi – spesso a costo della propria vita – ha tentato di opporsi alle sue violenze. Ma, al tempo stesso, ci mostra anche le falle in quello che era all’epoca il sistema organizzativo e di controllo migliore al mondo, considerato una punta di diamante nell’assurda macchina di morte dei nazisti. 

La punta di diamante della macchina di morte nazista

Tradotto in 8 Paesi

«Raccontando in che modo funzionava la Gestapo, McDonough offre un affascinante spaccato della Germania in un mondo spaventoso e in continuo mutamento.» 
The Times

«McDonough tratteggia in maniera convincente un sistema efficientissimo e spietato.» 
The Daily Telegraph

«Un vero approfondimento su metodi, motivazioni e formazione degli uomini che cercarono di controllare le menti di chi viveva sotto il Terzo Reich.»
The Independent
Frank McDonough
È nato a Liverpool, ha studiato storia al Balliol College, a Oxford, e ha ottenuto il dottorato di ricerca all’università di Lancaster. Studioso di fama internazionale, ha scritto molti libri sul Terzo Reich, tra cui The Holocaust (2008) e Hitler and the Rise of the Nazi Party (2012). È anche autore di diversi saggi storici, come The Origins of the Second World War: An International Perspective (2011). Ha partecipato, in qualità di esperto, a vari documentari sulla Germania nazista, realizzati da National Geographic, Discovery Channel, BBC 1, Channel 5. Il suo account Twitter @FXMC1957 è tra i più famosi al mondo tra quelli che si occupano di storia.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2016
ISBN9788854192126
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    Anteprima del libro

    Gestapo. La storia segreta - Frank McDonough

    394

    Titolo originale: The Gestapo

    Copyright © Frank McDonough 2015

    The right of Frank McDonough to be identified as the Author

    of the Work has been asserted by him in accordance

    with the Copyright, Designs and Patents Act 1988.

    All rights reserved

    First published in Great Britain in 2015 by Coronet

    An imprint of Hodder & Stoughton

    An Hachette UK company

    Traduzione dall’inglese di Daniele Ballarini

    Prima edizione ebook: marzo 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9212-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Realizzazione: Luca Morandi

    Foto: ©Shutterstock

    Frank McDonough

    Gestapo.

    La storia segreta

    Protagonisti, delitti e vittime. La verità sulla polizia di Hitler

    Per Emily, con amore

    Introduzione

    Paul Schneider era un pastore evangelico dalla mentalità aperta. Era nato il 29 agosto 1897 nel piccolo paese di Pferdsfeld, in Renania. L’8 ottobre 1933 tenne un sermone in cui criticò Ernst Röhm, il capo dei reparti d’assalto (

    SA

    , o camicie brune), perché questi riteneva che si potesse realizzare la rivoluzione nazista senza «un rinnovamento interiore e spirituale» della gente. Le parole di Paul vennero riferite alle autorità ecclesiastiche. Il vescovo della diocesi renana, membro del movimento cristiano filonazista, lo redarguì e gli intimò di non esprimere più dal pulpito simili opinioni contro le gerarchie politiche. Allora il pastore scrisse in una lettera ai suoi genitori: «Nonostante il mio dovere di obbedienza cristiana, non credo che la Chiesa luterana possa evitare di entrare in conflitto con lo Stato nazionalsocialista». Nel febbraio 1934, gli alti prelati della Chiesa protestante lo giudicarono «politicamente inaffidabile» e, per limitare la sua azione, lo trasferirono in due remoti villaggi (Dickenschied e Womrath), degradandolo a piccolo parroco di campagna. Lì Schneider aveva un gregge di neanche duemila anime. L’11 giugno 1934, provocò di nuovo il locale Partito nazista, protestando contro una camicia bruna che, durante la cerimonia funebre in onore di un membro della Hitler-Jugend, aveva detto che Horst Wessel, un martire nazista, aveva «seguaci in Paradiso». Riferirono la sua reazione alla Gestapo, dopodiché lo misero sotto «custodia cautelare» I fedeli della zona firmarono una petizione affinché lo si rimettesse in libertà, e ottennero il loro scopo. Durante l’inverno 1935-36, Schneider fu denunciato alla Gestapo almeno una dozzina di volte per i suoi commenti antinazisti. Nel 1937, gli fu vietato di abitare o predicare in tutta la Renania. Ciò nonostante, sfidando l’ordinanza di «esilio locale», lui insisteva a tornare nella sua parrocchia per predicare. Il 3 ottobre 1937 tenne un ulteriore sermone antinazista, che in quell’occasione fu ascoltato da un funzionario della Gestapo. Lo arrestarono e lo confinarono in una prigione di Coblenza. Il 27 novembre 1938 venne deportato nel famigerato campo di concentramento di Buchenwald e relegato in isolamento totale. Ma lui, dalle sbarre della sua cella, di sera recitava spesso ad alta voce i versetti biblici. Leonhard Steinwender, un sacerdote cattolico, pure lui internato, lo descriveva quale

    «personaggio eroico che tutto il campo ammirava e rispettava. Nessuna tortura era in grado di impedirgli di appellarsi continuamente alla coscienza delle guardie e del comandante delle ss». Paul subì gravi abusi da parte delle ss, le squadre di protezione, proprio perché osava esprimere le sue idee. Ricorda Alfred Leikam: «Gli infliggevano a periodi alterni orrende torture fisiche, umiliazioni e maltrattamenti, con pesanti bastonate». Perfino Karl-Otto Koch, il crudele comandante di Buchenwald, si rese conto di non poter spezzare lo spirito del pastore. Di conseguenza, decise di liberarlo purché firmasse una dichiarazione in cui s’impegnava a non tornare più a sermoneggiare nella sua parrocchia. Schneider rifiutò di apporre la firma. Il 18 giugno 1939 lo eliminarono con cinque iniezioni letali di strofantina nell’infermeria del lager. L’affranta vedova e i suoi sei figli non poterono vederlo nemmeno nella bara, perché il suo corpo era in condizioni orribili. Parteciparono al servizio funebre celebrato a Dickenschied duecento ministri del culto protestante, di varia confessione, e una torma di parrocchiani, tutti desiderosi di porgere l’ultimo saluto a quella personalità di straordinario coraggio. Schneider fu il primo pastore luterano a subire il martirio per aver sfidato il regime nazista da posizioni religiose¹.

    In questo libro analizzeremo le storie drammatiche, nonché inquietanti, degli individui che furono arrestati dalla Gestapo. Non ho intenzione di stilare un resoconto completo delle vicende operative della polizia segreta nazista, però desidero offrire una spiegazione del fenomeno basandomi sui numerosi studi esistenti e integrandola con un’originale interpretazione, che deduco dalle fonti consultate negli archivi tedeschi relativi al periodo 1933-45. Concentrerò inoltre la mia analisi su ciò che accadde all’interno della Germania (Altreich), senza estenderla ai territori occupati dal regime hitleriano durante la Seconda guerra mondiale. In fondo, lo scopo del presente volume consiste nell’esplorare l’impatto della Gestapo sui cittadini tedeschi che vissero in quell’epoca. Inizierò esaminando dettagliatamente la nascita. Poi approfondirò il retroterra e i metodi degli ufficiali di quest’organizzazione, su cui fornirò nuove, sorprendenti notizie. In seguito, mi soffermerò sulle vittime principali del terrore nazista, specie i dissidenti religiosi, i comunisti, gli emarginati e gli ebrei. In questi capitoli, metterò al centro della scena la tragica condizione umana delle vittime, facendo luce sulla misura in cui la Gestapo venne aiutata dalla gente comune, dalla Kripo (polizia giudiziaria) e dalle organizzazioni sociali e previdenziali. Nel capitolo finale, esporrò il destino dei funzionari della Gestapo come venne dettato dai processi del dopoguerra. Nel complesso, quest’opera offre un contributo molto importante per la comprensione del terrore nella società nazista.

    Subito dopo il 1945, gli storici considerarono la Germania nazista una tipica dittatura totalitaria. In quel periodo uscì una gran mole di studi, più che altro scritti da storici esterni al Paese tedesco. Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo suggerì che tutti i regimi autoritari fanno affidamento su una polizia segreta per incutere paura ai cittadini, e ciò allo scopo di soffocare qualsiasi espressione di scontento. Secondo lei, il compito principale di tutte le forze segrete di sicurezza di un Paese totalitario non consiste nello scoprire i reati, bensì nell’arrestare le persone definite «nemici dello Stato». In tale contesto, molto rilevante era il ruolo dei cittadini nella denuncia degli oppositori². La stessa griglia analitica è rintracciabile nell’idea secondo cui Hitler era l’onnipotente «padrone del Terzo Reich», la qual cosa implica che la popolazione tedesca subisse una sorta di lavaggio del cervello da parte della propaganda nazista³. Si dava per scontato che la Gestapo fosse un’organizzazione enorme, con agenti sparsi ovunque. Numerosi romanzi, film e documentari televisivi hanno vieppiù corroborato tale vulgata⁴. In realtà, chiunque accettasse e sostenesse il regime poteva godere di una notevole libertà personale. Il governo nazista era estremamente popolare. Se vi persuadete di questo fatto essenziale, comincerete a capire la vera vita all’interno della Germania di allora.

    La Gheim Staatpolizie, polizia segreta di Stato, abbreviata in Gestapo, era lo strumento fondamentale per l’implementazione del sistema terroristico del regime, ma occorre comprendere che essa cominciò come normale forza di sicurezza. La si istituì nel 1933 per mettere in riga gli oppositori di Hitler. Il termine «Gestapo» evoca ancora oggi sensazioni di paura e orrore. Tuttavia, la prima storia esaustiva su quest’organizzazione apparve solo nel 1962 per opera dello storico francese Jacques Delarue⁵. Essa traeva spunto soltanto dalle prove presentate nei processi di Norimberga, svoltisi verso la fine degli anni Quaranta, e poneva al centro delle sue analisi i capi più importanti: Hermann Göring, Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich. L’autore francese esponeva le sue tesi mostrando le operazioni attuate dalla Gestapo in tutta l’Europa occupata dai nazisti, non soltanto in Germania⁶. Ormai era invalso il concetto per cui questa polizia segreta fosse l’onnipotente centrale del brutale terrore nazista, capace di sottoporre a stretta sorveglianza l’intero popolo tedesco⁷.

    L’immagine da incubo del Paese nazista prese a cambiare soltanto a partire dagli anni Settanta, allorché gli storici tedeschi si dedicarono a un esame più approfondito dell’epoca hitleriana, anche grazie alla desecretazione di alcuni archivi nazionali. Si spostava l’enfasi dalla concezione tradizionale della «storia dall’alto (intenzionalismo), che adottava un approccio hitlercentrico, alla concezione della storia dal basso", ovvero basata su un approccio strutturalista. La figura cruciale per questo cambiamento fu Martin Broszat, il quale in The Hitler State (1969) dipinse Adolf Hitler quale «dittatore debole» che doveva mediare tra le aspre lotte di potere ingaggiate

    da

    personaggi incompatibili, nell’ambito di un sistema burocratico in spietata concorrenza⁸. Lo studioso collaborò poi con un gruppo di altri storici di chiara fama per redigere una monumentale opera in sei volumi (Bayern in der NS-Zeit), vagliando in questo «progetto bavarese», come fu definito, la resistenza quotidiana al regime nazista⁹. Le conclusioni attestavano l’ipotesi di un dominio nazista meno totalitario in pratica di quello che voleva essere in teoria. In realtà, la gente aveva, rispetto a quanto si supponeva in precedenza, una maggiore possibilità di criticare il regime e di lamentarsi. Il dinamismo del governo hitleriano era assicurato dai burocrati più giovani ed estremisti, che potevano avvalersi di una notevole autonomia individuale. Il Führer doveva spesso appoggiare le politiche sempre più radicali adottate e attuate in primo luogo da altri. Così, ci si accorse che l’originale modello totalitario era una maniera imprecisa e poco convincente per spiegare la Germania nazista.

    Quest’approccio dal basso condusse a studiare in modo particolareggiato i rapporti fra la Gestapo e la popolazione tedesca. La scarsità dei lavori focalizzati sulla polizia segreta dipendeva dalla quantità limitata delle fonti disponibili. La maggioranza dei registri della Gestapo era andata distrutta nelle ultime fasi della guerra, talvolta per i bombardamenti degli Alleati, talaltra per decisione deliberata degli ufficiali tedeschi. Solo in Renania restavano un gran numero di documenti. Lo storico tedesco Reinhard Mann consultò un campione casuale di 825 documenti estratti dai 73.000 registri della Gestapo pervenuti dall’archivio di Düsseldorf, ma morì prima di completare la sua opera. Sennonché, le sue scoperte provvisorie confermavano la confutazione della concezione ortodossa secondo cui la Gestapo era stata una specie di potentissima psicopolizia di stile orwelliano¹⁰. È stato quest’autore a fornire gli elementi essenziali per ciò che si definisce l’«interpretazione revisionista» della Gestapo.

    Mann ha dimostrato che la polizia segreta nazista non impiegò mai un personale sufficiente per spiare ogni cittadino. Si trattava di un’organizzazione dalle scarse risorse e oberata di lavoro, dato che c’erano meno di 15.000 funzionari attivi per vigilare su tutti i reati politici di 66 milioni di tedeschi. Tali agenti non erano i brutali nazisti ideologicamente impegnati come vorrebbe una diffusa mitologia, ma investigatori di carriera, che erano entrati nel servizio di polizia diversi anni prima che Hitler prendesse il potere. La maggioranza delle indagini della Gestapo muoveva dalle soffiate dei cittadini. Tuttavia, Mann non ne inferiva che l’organizzazione fosse uno strumento di terrore inefficace. Anzi, la sua conclusione era che essa adoperasse bene le sue limitate risorse per colpire i gruppi ritenuti estranei alla comunità nazionale (Volksgemeinschaft), in particolare quelli che si mobilitavano per sobillare l’insoddisfazione popolare. Comunque, lo studio di Mann poneva dei problemi rilevanti. Per esempio, esso si concentrava soprattutto sulle conflittualità tra i «comuni cittadini», evitando di esaminare a fondo i gruppi di maggiore opposizione, fra cui i comunisti, gli ebrei, i lavoratori stranieri e quelli che definiva vagamente come «emarginati sociali».

    Dobbiamo allo storico americano Robert Gellately il successivo contributo per capire come funzionasse la Gestapo all’interno della Germania nazista: il suo The Gestapo and German Society è uscito nel 1990¹¹. Anche questo studioso si servì di un campione casuale dei documenti della polizia segreta, esaminando però un’altra zona: Würzburg, una città della Bassa Franconia, in Baviera.

    Inoltre, le sue analisi vertevano su gruppi sociali completamente diversi da quelli presi in esame da Mann: gli ebrei e i lavoratori stranieri. Così, egli si accorse che nel 57 percento dei casi compulsati erano state determinanti le denunce. Pertanto, avvalorò la tesi di chi sosteneva che la Gestapo fosse un’organizzazione dotata di scarso personale, che reagiva alle sollecitazioni dei cittadini e lasciava in pace la gran parte della popolazione «comune». Da tutto ciò si evinceva quanto fosse forte il sostegno popolare al lavoro della polizia segreta¹². Non vi sono dubbi che Mann e Gellately sono riusciti a smitizzare l’idea assai diffusa della Gestapo come reparto onnipotente della polizia statale, in grado di imporre la propria volontà su una popolazione terrorizzata. In quest’ottica, essa non rappresentava alcuna minaccia per i cittadini rispettosi delle leggi naziste.

    Eric Johnson, un altro storico statunitense, ha presentato in un suo dettagliatissimo libro, The Nazi Terror (1999), un’altra correzione, benché più sfumata, alla nozione della Gestapo quale forma non tanto dissimile da una moderna forza di polizia oberata di lavoro. Lo studioso ha svolto le sue ricerche su un campione casuale di documenti giudiziari di Colonia e ha attinto a un numero limitato di registri della Gestapo provenienti dalla città renana di Krefeld, a cui ha aggiunto le interviste coi sopravvissuti e alcune importanti evidenze statistiche. Il suo studio suffraga che la Gestapo fosse una piccola organizzazione che usufruiva della collaborazione pubblica. In pratica, essa trattava coi guanti bianchi i bravi cittadini tedeschi. La maggioranza della popolazione non la temeva affatto. L’unica rilevante differenza rispetto al libro di Gellately è il ruolo molto più brutale e intraprendente che Johnson attribuisce ai suoi funzionari¹³.

    Il mio interesse per il ruolo svolto dalla Gestapo si deve alla biografia che ho scritto su Sophie Scholl, una studentessa ventunenne dell’uni- versità di Monaco che il 18 febbraio 1943 venne arrestata per aver distribuito volantini antinazisti. La interrogarono e quattro giorni dopo la giustiziarono in seguito a un frettoloso processo dimostrativo presieduto da Roland Freisler, colui che era ribattezzato il «giudice hitleriano delle impiccagioni»¹⁴.

    L’interrogatorio era stato condotto da Robert Mohr, un funzionario calmo e professionale, che si comportò da normale detective, non da nazista crudele e invasato. Così, il libro dimostrava quanto fosse importante esaminare specificamente gli interrogatori della Gestapo, e poi sollevava altre due rilevanti questioni che valeva la pena di approfondire: in primo luogo, tutte le indagini della polizia segreta erano eseguite con la stessa efficienza palesatasi nel caso della Scholl? In secondo luogo, i funzionari della Gestapo si comportavano sempre con l’empatia mostrata da Mohr?

    Decisi perciò di scandagliare un ampio spettro di registri di questa organizzazione per analizzare meglio i casi di tante persone perseguitate nella società tedesca fra il 1933 e il 1945. Bisognava allargare ancor di più la gamma delle carte da setacciare. Il maggior numero di documenti sopravvissuti si trova nell’archivio di Düsseldorf, che ne contiene 73.000. Il presente volume si basa perlopiù su di essi, pur trascendendo la semplice analisi di quella città, su cui si era concentrato Mann, per inglobare uno spaccato più ampio dei casi in Westfalia settentrionale, che nel periodo nazista contava 4 milioni di abitanti. Ho avuto libero accesso a tutti i documenti pervenuti da allora.

    Al tempo del regime hitleriano, la regione era densa di industrie, aveva una popolazione a maggioranza cattolica, una minoranza protestante e alcune comunità ebraiche nelle città principali. Ho integrato i fascicoli dell’archivio di Düsseldorf con documenti ufficiali, registri giudiziari, racconti dei testimoni oculari, autobiografie e interviste. Nel complesso, queste fonti mi hanno consentito di delineare l’operatività della Gestapo e di passare in rassegna il modo in cui erano trattate le sue vittime.

    In tale prospettiva, questo libro verte su una nutrita serie di gruppi presi di mira dalla polizia segreta, dai comunisti ai dissidenti religiosi, dagli emarginati sociali agli ebrei, tenendo conto anche delle motivazioni di quelli che denunciarono le vittime. Il problema prevalente nei documenti della Gestapo non è ciò che essi registrano, ma quello che omettono. È risaputo che i funzionari si servivano delle cosiddette «tecniche di interrogatorio potenziato», che comportavano spesso percosse e sevizie, ma queste punizioni non venivano messe per iscritto. Ho riesumato alcune prove dai successivi processi alla Gestapo e dai racconti dei testimoni oculari per rivelare la portata di quelle pratiche brutali.

    Comunque, ciò che mi preme qui sottolineare non è la quantità dei casi trattati dalla polizia segreta, bensì la loro qualità. Nell’archivio di Düsseldorf sono contenuti migliaia di documenti di estrema brevità. Quest’opera si basa invece sulle indagini più dettagliate, che talora sono composte da centinaia di pagine e implicavano interrogatori di innumerevoli testimoni¹⁵.

    Di conseguenza, il lettore sarà trasportato nella vita quotidiana di una fetta di tanti individui comuni o straordinari, provenienti da svariati ambienti sociali, che vissero nell’epoca nazista. Nelle prossime pagine, ci avventureremo nei quartieri popolari degli operai, nelle fabbriche, nelle birrerie agli angoli di strada, nei ristoranti, nelle abitazioni e perfino nelle camere da letto dei comuni cittadini. Qui troverete la storia occulta del Terzo Reich molto più che in altri libri.

    Fra le tante storie affascinanti che prenderò in considerazione, si trovano i Testimoni di Geova che rifiutarono tenacemente di rinunciare alla loro fede; i sacerdoti e i pastori che non accettarono di tacere; i comunisti che non scesero a compromessi; gli operai che tracciavano graffiti; i giovani che formarono bande di dissidenti; i colleghi di lavoro e gli amanti che si denunciarono a vicenda; i vicini di casa che fecero la spia ai danni di chi ascoltava le trasmissioni radiofoniche straniere; e il caso di un «puro tedesco di razza ariana» e della sua fidanzata ebraica che rischiarono tutto per il loro amore.

    Ma ciò che emerge da questo mio libro più chiaramente che mai è l’elevato livello di autonomia di cui godeva la Gestapo nel trattare i singoli casi, nonché l’enorme quantità di tempo che essa vi dedicava. La maggior parte delle indagini muovevano dalla denuncia presentata da un cittadino comune.

    La polizia segreta non si limitava a imporre la propria volontà, chiedeva alla gente di prestare attenzione ai comportamenti altrui, specie quelli dei contestatori del regime. Tuttavia, essa non seppe prevedere che, in molti casi, le informazioni riservate e le soffiate derivavano da ostilità personali.

    Diversamente da quanto si crede, la Gestapo non si limitava ad arrestare gli accusati e a consegnarli ai responsabili dei campi di concentramento.

    Numerose vicende finivano col rilascio e la liberazione, altre si concludevano con una pena leggera. I vari funzionari cercavano di giungere a una decisione prima che scadesse il periodo iniziale (21 giorni) di custodia cautelare. Soltanto nei casi ritenuti gravi si passava la pratica al livello superiore, cioè al pubblico ministero a cui spettava la decisione finale. I trattamenti più duri erano riservati a coloro che gli ufficiali consideravano acerrimi oppositori politici, religiosi o razziali.

    Alla fine dell’indagine, il rilascio di un sospettato era la norma, non l’eccezione. Non posso fare a meno di rilevare che quest’organizzazione, di cui spesso si dice che operasse al di fuori della legge, funzionava invece in base a rigidi criteri legali.

    E l’autonomia di cui godevano i suoi funzionari portava di frequente a decisioni strane, se non proprio bizzarre. Nelle pagine seguenti, vi stupirà notare quanto fossero spietate o per contro indulgenti certe disposizioni.

    Alcuni casi, che solitamente avrebbero comportato la pena di morte, finivano col proscioglimento, altri che apparivano futili, invece, terminavano con una punizione severa. Le indagini era comunque sempre svolte con la pignoleria tipica tedesca.

    Da questo libro, gli ufficiali e gli agenti non emergono in quanto emblematici rappresentanti del male, ma come gruppo di persone disparate, difficilmente etichettabili in quanto «comuni». Nelle ultime fasi della guerra, la polizia segreta trattò in modo ancor più brutale i «nemici dello Stato» e applicò più estensivamente le tecniche di interrogatorio potenziato.

    Scavando a fondo in queste vicende, vi fornirò quindi una via d’accesso privilegiata e stimolante per scrutare quella che fu la

    v

    ita quotidiana nella Germania nazista, l’affresco delle varie vittime del terrore hitleriano.

    ¹ Resoconto basato sulle seguenti fonti: K.D. Bracher (a cura di), The Conscience in Revolt: Portraits of German Resistance, 1933-45, Hase und Koehler, Mainz 1994, pp. 320-322; D. Stroud (a cura di), Preaching in Hitler’s Shadow, Eerdmans Publishing, Michigan 2013, pp. 94-105; citazione di Alfred Leikam in R. Wentorf – P. Schneider, Witness of Buchenwald, Regent, Vancouver 2008, p. 20.

    ² H. Arendt, trad. it. Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2004.

    ³ L’espressione classica di questa teoria appare in The Rise and Fall of the Third Reich, il bestseller di William Shirer, 1961. Vedi anche E. Bramstead, Dictatorship and Political Police: The Technique of Control by Fear, Oxford University Press, New York 1945.

    ⁴ La biografia più famosa sul Führer, A. Bullock, Hitler: A Study in Tiranny, Penguin, London 1952, sostiene che il dittatore tedesco era interessato al potere piuttosto che all’ideologia, mentre gli studiosi moderni del Terzo Reich respingono sostanzialmente questa concezione.

    ⁵ Vedi J. Delarue, trad. it. Storia della Gestapo, Odoya, Bologna 2011.

    ⁶ Vedi The Trials of the Major War Criminals before the International Military Tribunal,

    IMT

    , 42 voll., Government Printing House, Washington (

    DC

    ) 1947-49.

    ⁷ J. Delarue, op. cit.

    ⁸ Vedi M. Broszat, The Hitler State: The Foundations and Development of the Internal Structure of the Third Reich. Longman, London 1981.

    ⁹ Vedi M. Broszat et al., (a cura di), Bayern in der

    NS

    -Zeit, Oldenbourg, München 1977-83.

    ¹⁰ Vedi R. Mann, Protest und Kontrolle im Dritten Reich: Nationalsozialistische Herrschaft in Alltag einer rheinischen Großstadt, Campus Verlag, Frankfurt am Main, 1987. Sarah Gordon ha analizzato i documenti della Gestapo relativi alla «corruzione della razza» da parte degli ebrei nella città di Düsseldorf, pur senza affrontare in dettaglio i casi individuali. Vedi S. Gordon, Hitler, Germans and the Jewish Question, Princeton University Press, Princeton (

    NJ

    ) 1984. Joshi Vandana ha studiato anche i casi delle denunce da parte degli abitanti della stessa città. Vedi J. Vandana, Gender and Power in the Third Reich: Female Denouncers and the Gestapo, 1933-45, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2003.

    ¹¹ Vedi R. Gellately, The Gestapo and German Society: Enforcing Racial Policy, 1933-45, Clarendon Press, Oxford 1990.

    ¹² La tendenza a tener conto delle denunce si rileva nelle seguenti opere: R. Gellately, «Denunciations and Nazi Germany: New Insights and Methodological Problems», in Historical Social Research, vol. 22, 1997, pp. 228-239; R. Gellately – S. Fitzpatrick, Accusatory Practices: Denunciations in Modern European History, 1789-1989, University of Chicago Press, Chicago (

    IL

    ) 1997; R. Gellately, Backing Hitler: Power and Consent in Nazi Germany, Oxford University Press, Oxford 2001; B. Frommer, «Denunciations and Fraternisers: Gender Collaboration and Revolution on Bohemia and Moravia during World War

    II

    and After», in N. Wingfield – M. Bucur (a cura di), Gender and War in Twentieth-Century Eastern Europe, Indiana University Press, Indiana (

    IL

    ) 2006, pp. 111-132.

    ¹³ Vedi E. Johnson, The Nazi Terror: The Gestapo, Jews and Ordinary Germans, John Murray, London 1999. Vedi anche E. Johnson – K.-H. Reuband, What We Knew: Terror, Mass Murder and Everyday Life in Nazi Germany, John Murray, London 2005; E. Johnson, «German Women and Nazi Justice: Their Role in the Process from Denunciations to Death», in Historical Research, vol. 20, 1995, pp. 33-69.

    ¹⁴ Vedi F. McDonough, Sophie Scholl: The Real Story of the Woman Who Defied Hitler, History Press, Stroud 2010.

    ¹⁵ In base alle leggi tedesche sulla riservatezza, ho dovuto cambiare i nomi delle persone riportate nei documenti della Gestapo, tranne quelli dei funzionari nazisti. Per il resto, tutti gli altri particolari dei casi riferiti sono fedeli agli eventi realmente accaduti.

    1

    Diventare la Gestapo

    In Germania, lo spionaggio politico era una tradizione inveterata. Durante la rivoluzione del 1848, Ludovico I, re di Baviera, stabilì che si dovessero controllare tutti gli avver

    s

    ari politici, anche in birreria. Nel 1871, quando si fondò l’impero tedesco, l’enorme Stato prussiano, che occupava il 60 percento del territorio nazionale, aveva la sua polizia politica (Politische Polizei), denominata Reparto V. Il suo capo era Wilhelm Stieber, che era nato a Merseburg (Sassonia) il 3 maggio 1818 da una solida famiglia borghese. Prima di entrare nel servizio di spionaggio, si era abilitato come avvocato¹⁶. Col tempo divenne il «grande spione» di Bismarck, lo strumento principale per la captazione delle informazioni segrete, in patria e all’estero. Agli agenti di polizia alle sue dipendenze, diramava queste istruzioni:

    L’agente dovrebbe essere obbligato a scegliere un’abitazione che si confà esternamente agli usi, commerciali o altri, del Paese in cui lavora… Occorre capire che è necessario per i nostri agenti ispirare fiducia nei circoli dove s’incentra la loro azione, e per ottenere tale fiducia bisognerà incarnare l’aspetto esteriore di un’ordinaria esistenza borghese.¹⁷

    Nella sua autobiografia, esagerata e sostanzialmente inaffidabile, Stieber rammenta che, nell’epoca in cui svolgeva operazioni di intelligence a Londra, riuscì a insinuarsi surrettiziamente in casa dell’esule Karl Marx per rubare l’elenco degli iscritti alla Lega dei comunisti¹⁸. All’interno della Germania, l’obiettivo principale del servizio segreto prussiano era la sorveglianza sui partiti antigovernativi e sui dissidenti politici, specie di sinistra o comun

    i

    sti.

    Nel 1918 crollò la complessa rete dello spionaggio estero che aveva intessuto Stieber, ma il nuovo governo democratico della repubblica di Weimar decise di mantenere la polizia politica. In Prussia la si ribattezzò

    R

    eparto IA, poi abbreviato in Reparto I. Nel 1928, il ministro prussiano degli Interni lo definì la divisione incaricata di sorvegliare, prevenire e perseguire tutti i reati di natura politica¹⁹. Nell’arco di due anni, il Reparto I si dotò di un migliaio di dipendenti che dovevano coprire i 42 distretti amministrativi della Prussia. La maggior parte degli agenti proveniva dalle file della polizia giudiziaria²⁰.

    La polizia politica prussiana teneva d’occhio le attività dei marxisti, ma controllava anche gli adepti del Partito nazista. Prima del 1933, essa istruì circa 40.000 procedimenti contro gli aderenti al nazismo²¹. Si sorvegliavano continuamente i discorsi e gli scritti dei principali esponenti di questo movimento. Al tempo della repubblica di Weimar, dal momento che le organizzazioni di estrema destra proliferavano, si creò una sezione speciale per spiarle²².

    La nomina a cancelliere tedesco di Franz von Papen (20 luglio 1932) trasformò il modo in cui la polizia politica prussiana trattava i «nemici dello Stato». La priorità divenne la sorveglianza dei comunisti. Hermann Göring, una delle figure di spicco del nazismo, diventò comandante dell’intera polizia prussiana, che annoverava 50.000 uomini, incluso il reparto dei servizi segreti, al quale aggiunse subito un’altra sezione speciale per la lotta contro il comunismo. E licenziò 11 capi di polizia che a suo avviso erano troppo democratici.

    Questi sviluppi perseguivano l’obiettivo nazista di assumere il controllo di tutte le forze di sicurezza. I quattro personaggi principali che si adoperarono in tal senso furono Hermann Göring e Rudolf Diels in Prussia, Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich in Baviera. La nascita della Gestapo si deve in larga parte all’opera di questi quattro alfieri. Alla fine, Himmler e Heydrich riuscirono a dominare totalmente non solo la Gestapo, ma l’intero sistema poliziesco della Germania, anche se il loro successo avebbe potuto essere evitato.

    Hermann Göring era nato a Rosenheim (Baviera) il 12 gennaio 1893. La sua famiglia apparteneva all’alta borghesia; il padre Heinrich era stato amico personale del cancelliere Otto von Bismarck nel periodo in cui serviva da ufficiale dell’esercito tedesco. Il giovane Hermann era destinato da sempre alla carriera militare, eppure negli anni dell’adolescenza si dimostrò deciso, caparbio e turbolento. Lo espulsero da scuola dopo alcune liti memorabili con gli insegnanti. Il padre si convinse più che mai che la disciplina militare lo avrebbe domato. Hermann frequentò la scuola per cadetti di Karlsruhe prima di essere ammesso all’accademia militare di Berlino. Nell’ottobre 1914 si arruolò nell’aviazione tedesca di recente formazione e divenne il temerario pilota della prima squadriglia aerea comandata da Manfred von Richtofen, il leggendario, nonché sanguinario, Barone rosso. La disponibilità di Göring a partecipare a missioni estremamente pericolose gli fece meritare una serie di decorazioni militari, fra cui la Croce di ferro, di prima e seconda classe, e la medaglia Pour le Mérite, massima onorificenza militare tedesca. Al termine della Prima guerra mondiale, Göring tornò a Monaco, ma ebbe difficoltà a trovare un lavoro adatto a lui. Dopo aver assistito a un discorso di Adolf Hitler in una birreria monacense (autunno 1922), si iscrisse al Partito nazista. Poi prese parte al fallito Putsch della birreria a Monaco (1923), e venne ferito da due pallottole durante il successivo scontro con la polizia in Marienplatz, nel centro cittadino. Il Putsch era il tentativo di rovesciare il governo dello Stato bavarese, anche se fu un’umiliazione per i rivoltosi. Anziché salire al potere, Hitler e la camicie brune, pur prendendo possesso temporaneo di un locale pubblico, vennero messi in fuga dagli agenti di polizia, che ripristinarono l’ordine e arrestarono i cospiratori. Mentre era ricoverato in ospedale, Göring venne trattato con morfina, da cui in seguito diventò dipendente e gli costò una breve permanenza in manicomio.

    Nei primi anni Trenta, fu nominato consigliere diretto di Hitler per le questioni interne e capogruppo dei deputati nazisti al Reichstag. Nel 1932 divenne ministro prussiano degli Interni e comandante della polizia su nomina di Franz von Papen.

    Non gli ci volle molto per stabilire un proficuo rapporto professionale con Rudolf Diels, il capo della polizia politica prussiana. Diels era un esperto funzionario pubblico e professionalmente competente. In particolare, si rivelò astuto e duttile nella gestione degli affari burocratici. La sua

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