Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un'adorabile impertinente
Un'adorabile impertinente
Un'adorabile impertinente
E-book370 pagine5 ore

Un'adorabile impertinente

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Potrebbe trattarsi di #veroamore?

Zoe Miller non avrebbe mai immaginato che un semplice tweet potesse cambiarle la vita. Specialmente perché con il suo «Hai fatto di meglio», riferito all’ultimo film del suo attore preferito, si aspettava di ricevere più che altro insulti. E allora com’è possibile che nella sua posta privata sia arrivato un messaggio proprio dal profilo ufficiale di Chase Covington, la star di Hollywood di cui Zoe è perdutamente innamorata da anni? Chase sa bene che è meglio non fidarsi di internet e non lasciarsi coinvolgere. Ma la provocazione di quella ragazza, così spontanea, ha catturato il suo interesse. E adesso è davvero curioso di conoscerla dal vivo, per scoprire se, al di là dei suoi tweet diretti, Zoe è davvero così naturale. La “normalità” che ha intrigato Chase però spaventa Zoe alla follia: cosa potrebbe pensare, uno come lui, di fronte a una persona ordinaria come lei? Accettare di incontrarlo significherebbe correre il rischio di distruggere i propri sogni. Eppure a volte la realtà può essere più emozionante di qualunque illusione.

La realtà può essere più straordinaria dei sogni

«Un libro da farfalle nello stomaco... aspettavo da tanto tempo una storia d’amore così romantica e divertente.»

«Il classico libro impossibile da abbandonare, che ti tiene incollata alle pagine e ti lascia con un sorriso sulle labbra anche dopo aver girato l’ultima.»
Sariah Wilson
Non si è mai lanciata da un aeroplano in volo, non ha mai scalato l’Everest e non è un’agente della CIA sotto copertura. Nonostante questo, la sua vita è piuttosto avventurosa: ha trovato la sua anima gemella, di cui è innamorata perdutamente, ed è una sostenitrice fervente del lieto fine, ecco perché ha cominciato a scrivere romanzi d’amore. Arriva per la prima volta in Italia con Un’adorabile impertinente, grazie alla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788822724458
Un'adorabile impertinente

Correlato a Un'adorabile impertinente

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un'adorabile impertinente

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un'adorabile impertinente - Sariah Wilson

    Capitolo uno

    EN.jpg

    Avete presente quella sensazione che ti prende in fondo allo stomaco appena fai una cosa che non avresti dovuto fare? Subito dopo aver premuto il pulsante «twitta», me n’ero già pentita.

    In mia difesa c’è da dire che il mio attore preferito, Chase Covington, aveva chiesto:

    EN.jpg

    Il film raccontava dell’infanzia a Roma di Cesare Augusto – conosciuto tra la sua gens come Ottaviano – e della sua scalata al potere, ma a quanto pareva ero l’unica a pensare che Chase fosse un po’ sottotono in quel ruolo. Le risposte delle altre Chasers, le fan di Chase, erano tipo Oh mio Dio facciamo dei figli insieme! Mentre scorrevo i tweet mi resi conto che la mia era la sola voce fuori dal coro.

    E ben presto le mie socie avrebbero iniziato ad attaccarmi. Era solo questione di tempo. Stavo per cancellare il tweet quando…

    EN.jpg

    Chase. Covington. Mi. Ha. Appena. Twittato.

    Ha scritto a me. Alla normalissima, banalissima Zoe Miller.

    Sentii il cuore che mi si paralizzava nel petto, e smisi di respirare per tipo un minuto. Aveva dieci milioni di follower su Twitter. Twittava abbastanza spesso e cercava di coinvolgere i suoi fan, ma come diavolo aveva fatto a vedere cos’avevo scritto? E a rispondere così velocemente?

    Sapevo che dovevo stare calma e giocarmela bene. Avrei dovuto scrivere qualcosa di incredibilmente provocatorio, sì, qualcosa che rimanesse impresso, così non si sarebbe mai dimenticato di me. Ma ero così esaltata – era vero, Chase Covington mi aveva davvero risposto! – che non ci riuscii. Con le mani che mi tremavano, risposi.

    EN.jpg

    Trenta secondi dopo:

    EN.jpg

    Era arrabbiato? Divertito? Ero contenta che Chase non usasse le emoji, perché anche io ero contraria, a differenza della Chaser media, che le tirava fuori in abbondanza come palline da appendere all’albero di Natale. Però a volte senza faccine è impossibile capire il tono della conversazione.

    EN.jpg

    Altre ragazze, con username del calibro di @chasetiamo e @chasesposami, si accorsero della nostra conversazione e, com’era prevedibile, iniziarono a insultarmi. Come osavo essere tanto crudele nei confronti di Chase? Mi augurarono la morte e mi scrissero che sarebbe stato meglio se non fossi mai nata, bla, bla bla. Le conoscevo bene, quelle guerre a colpi di tweet, e non avevo alcuna voglia di finire in mezzo al fuoco incrociato.

    Stavo per spegnere il telefono quando notai che Chase mi aveva scritto di nuovo.

    EN.jpg

    Il mio primo pensiero fu che compilare davvero quella lista non sarebbe stato difficile. Chase era un attore di grande talento – probabilmente uno dei migliori di Hollywood – e bazzicava i set da quando aveva quattro anni. Aveva iniziato in una sitcom chiamata Né più né meno (ed ecco spiegato il mio nome utente su Twitter) e, dopo che lo show era stato cancellato, aveva inanellato una lunga serie di successi televisivi. A diciassette anni aveva fatto il salto al grande schermo e adesso, a venticinque, aveva già un Oscar in tasca ed era uno degli attori più pagati al mondo. Rifiutava di farsi etichettare, continuava ad alternarsi con disinvoltura tra commedie romantiche, film storici e produzioni indipendenti.

    Il secondo pensiero fu: A che gioco sta giocando? Perché aveva bisogno della mia lista? Sapevo che gli attori hanno un ego spropositato, ma perché era così interessato all’opinione di una fan qualsiasi? L’adorazione delle altre 9.999.999 non era sufficiente? Il verdetto doveva per forza essere unanime?

    Ma non avevo tempo per queste stupidaggini, dovevo consegnare il mio saggio sulla castità per il corso di Studi femminili e dovevo ancora scrivere tipo cinque pagine. Se l’autostima di Chase aveva bisogno di conferme, poteva benissimo andare al più vicino centro commerciale e crogiolarsi nell’affetto di una massa di ragazzine urlanti pronte a gettarsi ai suoi piedi.

    Prima di spegnere il cellulare un ultimo tweet piombò tra le mie notifiche. @unaverachaser diceva:

    EN.jpg

    Seguiva una serie di emoji con la cacca. Be’, non c’era motivo di perdere tempo a litigare con una che pensava che sposare un macellaio come Cesare Augusto fosse una buona idea.

    Diedi un’ultima occhiata alla foto profilo di Chase – i capelli dorati e gli occhi blu lo facevano sembrare un vero Dio su una spiaggia californiana – poi spensi il cellulare. Ero decisa a concentrarmi sulla mia tesina, ma quell’ultimo tweet aveva cancellato ogni traccia di gioia e speranza dal mio animo. Quella tizia probabilmente aveva ragione, avevo parlato con un’assistente o con un’addetta stampa.

    Come al solito mi ero esaltata per una cosa che alla fine si era rivelata una vera sciocchezza. Tipico.

    Mi capitava di continuo. Un paio di anni prima avrei dato ragione a unaverachaser senza la minima esitazione – per un certo periodo i tweet di Chase erano stati diversi, sottotono – ma nell’ultimo anno sembrava di nuovo se stesso. Però, anche se non ne avevo motivo, dubitavo che fosse stato proprio lui a scrivermi.

    Perché tutti cercano sempre di rovinarti ogni momento piacevole? Senza darti nemmeno il tempo di godertelo?

    Sospirando, tornai a occuparmi del mio saggio. Ero all’ultimo anno di università e ormai avevo imparato la sottile arte di scrivere una serie infinita di stron*ate per far contenti i professori. Qualche nota a piè di pagina, un paio di citazioni, alcune spiegazioni semplici per allungare il brodo e via, tesina perfetta.

    Un paio d’ore dopo avevo finito. Presi il portatile e il telefono e osservai i colleghi che studiavano in biblioteca. Una parte di me avrebbe voluto saltare in piedi sul tavolo e gridare ai quattro venti che (forse) avevo appena chiacchierato su Twitter con Chase Covington, e invece mi limitai a tornare al mio appartamento. Mi ricordai di accendere il cellulare solo quando ero quasi arrivata. Lo riaccesi, e il telefono trillò ripetutamente con nuove notifiche. La tentazione era troppo forte, controllai subito: magari Chase aveva detto qualcos’altro. Con una smorfia di delusione scoprii che non aveva scritto niente. E del resto la palla era ancora nella mia metà campo.

    Mi chiesi se voleva davvero che gli mandassi la lista delle sue migliori interpretazioni, ma poi vidi che Lexi, mia migliore amica e coinquilina, mi aveva mandato tipo trenta messaggi – tutti sul tema OH MIO DIO CHIAMAMI SUBITO!!!!!!

    Lexi studiava teatro e quindi aveva la tendenza a drammatizzare, ma quella reazione mi parve esagerata perfino per lei. Non le risposi, dato che potevamo benissimo parlarne di persona. A dirla tutta non avevo ancora deciso se raccontarle di Chase Covington o no.

    Ero diventata una sua grande fan proprio grazie a Lexi. Non ero andata a scuola da bambina, i miei nonni erano Amish (non sto scherzando). Mi avevano tenuto a studiare in casa finché mamma non si era sposata. Poi aveva sfornato un sacco di figli, e aveva deciso di fare di nuovo la madre. La prima cosa che aveva fatto era stata iscrivermi alla scuola pubblica. A dodici anni non avevo ancora la minima idea di come farmi degli amici.

    E poi Lexi era venuta a salvarmi. Mi si era avvicinata un giorno a ricreazione – stavo sempre da sola e non sapevo cosa fare – e mi aveva chiesto: «Ti piace Chase Covington? Perché io amo Chase Covington più di qualsiasi altra cosa al mondo, e se anche tu lo ami, io e te diventeremo migliori amiche».

    Mi ricordo ancora di quanto mi sentissi sola. Se mi avesse chiesto: «Pensi che sia divertente mangiarsi i capelli e strapparsi le unghie?», avrei detto sì comunque, solo per avere un’amica. Lexi era stata di parola. Eravamo diventate migliori amiche nella classe della signorina Ogata, in prima media, e lo eravamo ancora dieci anni dopo.

    Era rimasta più o meno la mia unica amica. Dopo aver scoperto le mie lacune nel campo della cultura pop, si era offerta di insegnarmi tutto, e non le importava che avessi mentito sulla mia cotta per Chase – in realtà non sapevo nemmeno chi fosse. Lexi era una cheerleader, la protagonista di ogni recita scolastica e la reginetta del ballo di fine anno. La amavano tutti, e tutti volevano stare con lei. La gente mi trattava bene perché ero sua amica, ma non mi sono mai sentita davvero parte di un gruppo. All’università mi iscrissi a un corso di psicologia e scoprii una cosa molto importante su me stessa: ero la persona più introversa che fosse mai esistita sulla faccia della Terra. Era per quello che mi sembrava tutto così difficile: le feste, le uscite, lo sforzo di farmi altri amici a parte Lexi. Mentre lei era la persona più estroversa del mondo. Eravamo il classico esempio dei due opposti che si attraggono.

    Aveva per me la stessa devozione che nutriva per Chase Covington. Non scherzava affatto quando mi aveva detto che lo amava. Comprava pile e pile di giornalini, e ritagliava ogni articolo su di lui, ogni sua fotografia. Mettere un suo ritratto nell’album o appenderlo al muro della cameretta era per lei questione di vita o di morte. Passavamo ore e ore a discutere la qualità di ogni scatto e il posizionamento migliore. Diciamo che l’ossessione privata di Lexi era diventata una mania condivisa.

    Anche ora, all’università, aveva dei poster di Chase Covington appesi sul suo lato della stanza, e li baciava prima di andare a dormire. Dopo il liceo Lexi avrebbe voluto andare a Los Angeles per fare dei provini ma sua nonna l’aveva costretta a fare un patto: se fosse andata all’università e si fosse laureata, l’avrebbe mantenuta per i due anni successivi mentre cercava di sfondare come attrice.

    Lexi aveva accettato, ma quel ritardo la frustrava. Era determinata a trovare Chase Covington e farlo innamorare. Non dubitavo che ne sarebbe stata capace: era mezza italiana, con i capelli e gli occhi scuri, la pelle perfetta. Di certo la compagnia maschile non le mancava. Ma le sue relazioni non duravano mai molto perché «nessuno è Chase Covington».

    La sua ultima fiamma mi piaceva. Si chiamava Gavin e studiava ingegneria informatica. In realtà era il classico ragazzo per cui avrei potuto prendermi una cotta io: alto, capelli scuri, un’aria un po’ da nerd, con gli occhiali. Un tipo simpatico e alla mano. Niente a che vedere con Chase. Ormai uscivano da un paio di mesi, ed era parecchio che Lexi non aveva una relazione così lunga. Gavin a quanto pareva riusciva a gestire lo spasmodico bisogno d’attenzione di Lexi senza mostrarsi troppo disponibile. In realtà si faceva desiderare un bel po’ – tattica vincente con la mia amica.

    Quando entrai nel nostro appartamento Lexi mi corse incontro, e speravo davvero con tutto il cuore che volesse dirmi qualcosa di bello su Gavin. La mia paura era che avesse visto il mio scambio su Twitter con Chase. Ma era impossibile, no? Lexi detestava Twitter, si rifiutava di usarlo, eppure con tutta la merda che mi avevano gettato addosso qualche ora prima ero nervosa lo stesso.

    Si sarebbe ingelosita, e una Lexi gelosa non era un bello spettacolo, per niente. All’ultimo anno delle superiori aveva scoperto che Valentina Sokolov aveva limonato con il suo ragazzo-della-settimana dietro alle tribune dello stadio, e a quel punto… Be’, diciamo che Valentina se lo ricordava ancora.

    «Zoe Miller! Dove sei stata? Perché non hai risposto ai miei messaggi?», mi chiese, saltellando freneticamente sul posto.

    Appoggiai lo zaino a terra. «In biblioteca. Avevo spento il cellulare. Che succede?»

    «Che succede?», ripeté, senza smettere di saltellare. «Solo la cosa più bella di tutto l’universo. Le mie tattiche di seduzione finalmente hanno funzionato. Incontreremo Chase Covington!».

    Mi ci volle tipo un minuto per capire cosa intendesse. Circa tre mesi prima Lexi era andata in una discoteca a Los Angeles e aveva incontrato qualcuno che conosceva qualcuno che aveva il numero dell’addetto stampa di Chase. Lexi era riuscita ad accaparrarsi il numero e da allora aveva coltivato con scrupolosa attenzione il rapporto con il signor Aaron Mathison, per ottenere informazioni di prima mano. E i suoi messaggini maliziosi non avevano nemmeno infastidito Gavin, che sembrava stranamente indifferente e comprensivo per quanto riguardava le ossessioni della sua ragazza.

    «Ma che dici?». Sembrava uno scherzo del destino. Qualche ora prima avevo (forse) interagito con Chase e ora Lexi mi stava dicendo che lo avremmo incontrato di persona!

    Era impossibile! Chase non si curava troppo della fama, non andava alle serate di gala, cercava di tenersi lontano dal gossip ed era particolarmente bravo a schivare i paparazzi. Incontrarlo dal vivo era una rarità.

    E in quel momento invece Lexi, con gli occhi lucidi, mi stava annunciando che l’avremmo visto faccia a faccia. «Aaron si è lasciato scappare che domani mattina Chase farà un’intervista in radio alla KHWV. Dobbiamo partire subito, andare lì, e stalkerarlo finché non ci rivolge la parola. Che ne dici?».

    Los Angeles era più o meno a un’ora di macchina, traffico permettendo. Ma c’era sempre traffico. Non avevo intenzione di farmi tutta quella strada avanti e indietro, in realtà volevo solo buttarmi a letto, ma non ero mai stata in grado di dire di no a Lexi. «Ho lezione alle undici, quindi dobbiamo tornare prima».

    «Zoe!», gridò, abbracciandomi. «Sei la migliore amica del mondo! Dobbiamo scegliere cosa metterci e poi devo darti una sistemata a quei capelli e truccarti. Poi sarà meglio non andare a dormire per niente così non roviniamo l’outfit. Evviva! Sono così felice!». Corse verso il bagno, poi si fermò di colpo. «Ah, mi sono dimenticata di dirti che ha telefonato Laura Henderson, ti cercava, e avevi il cellulare spento. Ha detto di richiamarla il prima possibile».

    L’università di Santa Isla era un piccolo campus non lontano dalla tranquilla cittadina costiera dove eravamo cresciute io e Lexi. Come quasi tutti quelli che vivevano nella nostra zona, gli Henderson erano ricchissimi e quando facevo le superiori mi avevano assunto per tenere d’occhio i loro figli per qualche ora ogni pomeriggio, mentre la signora Henderson andava a farsi il Botox o la ceretta o qualsiasi altra diavoleria pensata per quarantenni determinate a sembrare di nuovo ventenni. Lexi una volta mi aveva chiesto perché non avessero assunto una tata, e io le avevo spiegato che il padre della signora Henderson aveva lasciato la madre per la tata, quindi a casa Henderson le tate erano bandite. Mi pagavano cifre assurde, in parte perché potevano permetterselo, e anche perché, avendo tanti fratelli minori, ero una bravissima babysitter. Lavoravo per loro da quando avevo sedici anni.

    La governante rispose al telefono e andò a cercare la signora Henderson. In sottofondo sentivo i tre figli che urlavano mentre lei rispondeva con un «Pronto?»

    «Salve, sono Zoe. La mia coinquilina mi ha detto che mi ha cercato».

    «Ah, Zoe! Sì, sono contenta di sentirti. Ho delle brutte notizie, purtroppo».

    Sentii una fitta di preoccupazione nel petto. «I ragazzi stanno bene?»

    «Sì, i ragazzi stanno bene. Scusa se ti ho fatta preoccupare. Non è niente del genere…». Me la immaginavo distesa sul divano con il telefono in mano, mentre provava ad aggrottare le sopracciglia o a fare una qualunque espressione facciale, senza riuscirci per colpa del Botox. «Il fatto è che hanno offerto una promozione al signor Henderson. A New York. E ha intenzione di accettarla».

    «Quando?».

    Ci fu una lunga pausa. «In realtà ha iniziato da qualche settimana, ma ora ha trovato una sistemazione adatta a tutta la famiglia, quindi ci trasferiamo lì. Questo sabato».

    Tra tre giorni. Avevo notato gli scatoloni e le cose in giro per casa, ma immaginavo che la stessero semplicemente riarredando per la milionesima volta. Non avevo nemmeno contemplato l’ipotesi di un trasferimento. Non avrei più visto Trevin, Carson e Freddie?

    Di colpo ero senza lavoro.

    Un lavoro da cui dipendevo in toto per delle sciocchezzuole tipo pagare l’affitto e mangiare.

    Ero nella merda.

    La signora Henderson continuava a blaterare, scusandosi di non avermelo detto prima (non trovava le parole, a quanto pareva). Pensai con una punta di cattiveria che avesse solo temporeggiato perché non voleva che mi cercassi un altro lavoro. Così mi avrebbe tenuto a disposizione finché ne aveva bisogno.

    Ma decisi di essere clemente. «Mi mancherete davvero tanto, soprattutto i ragazzi».

    Era evidentemente contenta che non avessi dato di matto e non mi fossi messa a lanciarle insulti. Mi chiese di passare a trovarla prima che partissero, così avrei potuto salutare i bambini. Mi assicurò che mi avrebbe dato due settimane di paga come liquidazione, ma non avevo comunque molto sul conto in banca, e non era certo il momento migliore per cercare lavoro. Tutti i posti all’interno del campus erano già presi.

    Mentre la signora Henderson continuava a chiacchierare, spiegandomi che era la scelta migliore per la sua famiglia e che apprezzava moltissimo tutto quello che avevo fatto per loro, esaminai le opzioni che avevo a disposizione. Poi finalmente la piantò e attaccò.

    Ero ufficialmente disoccupata.

    Avevo ancora uno stage, ma non era retribuito.

    Com’è possibile che la vita possa cambiare completamente in così poco tempo?

    Lexi tornò nella stanza proprio in quel momento. «Allora, che mi dici, amica? Pronta a incontrare Chase Covington?».

    Capitolo due

    EN.jpg

    Quando le raccontai che avevo perso il lavoro Lexi si comportò da vera amica: mi disse che non dovevo preoccuparmi troppo, perché tanto avrei trovato un’altra soluzione in un lampo. Ma era un’inguaribile ottimista, ricca di famiglia, e non aveva la minima idea di cosa volesse dire non avere un soldo.

    Gavin si era offerto di accompagnarci a Los Angeles in macchina, ma lei gli aveva risposto che era una cosa solo nostra. Lexi aveva dato inizio all’«Operazione Chase». Quando eravamo in seconda media aveva iniziato ad architettare milioni di piani per incontrare l’attore dei suoi sogni. Ecco qualche proposta: potevamo partecipare a uno dei suoi programmi televisivi o farci investire dalla sua limousine, così ci avrebbe dovuto accompagnare in ospedale, o magari Lexi avrebbe potuto mandargli una lettera che gli avrebbe fatto capire che era la donna della sua vita, e a quel punto sarebbe venuto a prenderla a scuola su un cavallo bianco declamando ad alta voce il suo amore… la lista era pressoché infinita. (Voglio dire, avevamo tredici anni).

    Ci fermammo a un IHOP per strada e ci sedemmo a un tavolino a mangiare dei pancake – probabilmente il mio ultimo pasto, se non avessi trovato un lavoro in tempi brevi – e a provare il discorso che Lexi avrebbe fatto a Chase. Le variabili erano troppe per prenderle in considerazione tutte, così Lexi decise di andare a braccio. Era convinta che l’improvvisazione fosse una delle sue specialità, quindi avrebbe trovato un modo per cavarsela senza coinvolgermi. Non credevo che mi avrebbe assegnato una sola battuta nel suo show.

    E in ogni caso, che avrei mai potuto dire? «Ciao, sono la ragazza che ieri sera ti ha scritto su Twitter che non sai recitare. Come va la vita?».

    «Potrebbe essere un fiasco», dissi quando tornammo in macchina, per metterla in guardia. Ballava al ritmo delle canzoni pop della KHWV. In quel momento c’erano i The Heatwave. Di solito non ascoltavamo la radio, ma Lexi voleva calarsi nel personaggio, e per qualche ragione riteneva che ascoltare la stazione che stavamo per mettere sotto assedio potesse aiutarla.

    «Funzionerà», disse con voce sicura. «Vuoi ancora farmi da damigella d’onore?»

    «Non so se mi sta bene il verde lime», dissi, e Lexi sorrise. Quando avevamo quindici anni Lexi aveva organizzato il suo matrimonio con Chase – aveva ancora il quaderno con gli appunti a casa di sua nonna – e lui aveva dichiarato in un’intervista che il suo colore preferito era il verde lime, quindi ovviamente il mio vestito da damigella doveva essere in quella tonalità. Ma con la mia pelle pallida e i capelli biondo ramato sarei sembrata una malata terminale.

    «Non dev’essere per forza verde lime. Spero solo che tu non sia più alta di lui».

    Ecco un’altra differenza tra me e Lexi: era più bassa di quindici centimetri buoni. Avevamo avuto vari dibattiti sull’altezza di Chase, dato che a entrambe piacevano gli uomini molto alti. Nonostante lui avesse sempre sostenuto di essere uno e novanta, Lexi ripeteva che non era vero. «Gli attori lo fanno sempre, dicono di essere alti un metro e settanta e poi in realtà sono uno e sessanta. Vogliono sembrare più alti. Senti, il mondo dello spettacolo è il mio campo, va bene? Fidati, sono quasi tutti bassi». Al liceo, quando avevo iniziato lo sviluppo ed ero cresciuta di botto, tanto che l’allenatore della squadra femminile di pallacanestro aveva cominciato a darmi il tormento per entrare nel team, una delle mie più grandi preoccupazioni era che potessi superare in altezza Chase.

    «Stiamo per scoprirlo».

    «Ci puoi scommettere! Avremo i bambini più belli del mondo», disse ridendo.

    Mentre entravo in un parcheggio deserto mi chiesi che cosa avrebbe potuto pensare di noi la gente normale, le persone che non si interessavano minimamente a Chase e ai suoi film. Era strano essere delle fan così sfegatate. Era come se la parte razionale del mio cervello si accorgesse che facevamo un sacco di pazzie, però ce n’era un’altra, che se ne fregava di tutto e tutti, e non batteva ciglio anche se le mie azioni non potevano essere considerate completamente normali.

    È una cosa che solo i fan possono capire.

    «E adesso?», chiesi. «Ci appostiamo qui davanti sperando di vederlo?».

    Lexi alzò le spalle. «Immagino di sì».

    Uscimmo dalla macchina e mi chiusi la giacca. Lexi si era rifiutata di indossarla perché voleva che Chase notasse il suo outfit succinto da discoteca. Le avevo ripetuto mille volte che sarebbe morta di freddo, ma non le importava.

    Controllai il cellulare. Altri tweet pieni d’odio. Erano le quattro del mattino. Quando ci avvicinammo all’edificio notammo che era circondato da una recinzione e da un cancello chiuso a chiave. Lexi si attaccò al cancello e, tra gemiti e lamenti, lo scosse con forza. «Chiuso! E chi se l’era immaginato?»

    «Ah, che peccato! Eppure il tuo piano era architettato alla perfezione».

    Mi diede un piccolo schiaffo sulla spalla e io cercai di non scoppiare a ridere. Si frizionò furiosamente le braccia per scaldarsi.

    «Penso di avere un maglione in più in macchina. Vuoi che lo vada a prendere?»

    «No», rispose, con i denti che sbattevano piano. «Deve ammirare l’effetto nel suo insieme. Voglio che mi guardi così. Non può innamorarsi di me se sono bardata dalla testa ai piedi».

    Non era il momento di riattaccare con il solito dibattito su amore vs lussuria. «A meno che non sia un feticista dei Puffi, non credo che ti troverà attraente con la pelle blu».

    «Zitta! Devo pensare». Iniziò a camminare avanti e indietro mentre mi appoggiavo alla ringhiera, con gli occhi chiusi. Questa follia era comunque più sensata dell’altro piano, quello di telefonare allo studio televisivo dove Chase girava una serie dicendo che uno psicopatico ci aveva piazzato dentro una bomba, solo per aspettarlo fuori durante l’evacuazione. Per scoraggiarla avevo dovuto farle presente che l’FBI sarebbe risalita fino a lei e l’avrebbe spedita in prigione – la tuta arancione dei carcerati le sarebbe stata malissimo.

    Sentimmo un suono metallico alle nostre spalle e ci voltammo, scoprendo un cancello laterale che si apriva.

    Dietro alla stazione radio.

    «No!», gridò Lexi. Tirò fuori il cellulare e iniziò a digitare con furia. Era ancora buio ma alcune luci esterne dell’edificio erano accese. Quando vidi Chase scendere da un SUV nero, il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Aveva un cappellino da baseball e nonostante il volto seminascosto dalla visiera era impossibile non riconoscerlo. Era proprio lui. L’uomo che lo accompagnava prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, disse qualcosa a Chase – che entrò nell’edificio – e si diresse verso di noi.

    «Togliti la giacca», mi sibilò Lexi. «Stai benissimo. Io come sto?»

    «Perfetta, come sempre», le dissi. «Cos’hai fatto?».

    Mentre l’uomo si avvicinava notai che aveva i capelli tinti di biondo, quasi bianchi, e le punte erano colorate di azzurro. Indossava una polo e dei pantaloni chiari. Era il classico tipo che vuole così disperatamente sembrare figo che finisce per rendersi ridicolo imitando qualcun altro. Aveva una di quelle facce losangeline di cui era impossibile decifrare l’età – poteva avere vent’anni come quaranta.

    «Lexi sexy», le disse. La sua voce melliflua mi infastidì. «Sei ancora più bella dal vivo».

    Era il suo addetto stampa: Aaron Mathison. Lexi doveva avergli mandato un messaggio per avvertirlo che eravamo lì.

    Lei lo guardò sbattendo le ciglia e inarcando le spalle per mostrare le tette. Un trucchetto che aveva tirato fuori con così tanti ragazzi che alzai gli occhi al cielo.

    Eppure funzionava: il tipo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua scollatura.

    «Hai detto che saresti venuto, volevo vederti», disse Lexi. «Lei è la mia amica Zoe, vorrebbe lavorare in radio, e ho pensato che potesse essere un’ottima opportunità per lei». Gli lanciò un sorriso malizioso, e sussurrò: «È una grande opportunità anche per te».

    Aaron si schiarì la voce e spostò il peso del corpo sull’altro piede. «Fammi vedere se trovo il modo di farvi entrare. Torno subito. Non muovetevi».

    Se ne andò e io dissi alla mia amica: «Gavin ti ucciderà, sai».

    «Mi sono solo limitata a flirtare un po’, non l’ho mica tradito», rispose. «E poi quel tizio mi fa schifo. Abbi un po’ di fiducia in me, non ho intenzione di fare proprio niente con quel disgustoso pervertito».

    Se fosse stata un’altra probabilmente mi sarei arrabbiata, ma ero l’unica persona al mondo che la capiva perfettamente, e anzi condivideva la sua ossessione. «Ma faresti volentieri qualcosa con il signor Covington quando finalmente lo incontrerai».

    Mi ignorò. «Zoe, ci siamo. Finalmente lo conosceremo». Se c’era un momento per urlare di gioia probabilmente era quello, ma avevamo entrambe freddo ed eravamo nervose. Non ci sembrava vero.

    E infatti non lo era, almeno non per me.

    Una guardia sovrappeso si avvicinò all’inferriata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1