Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Amori reali
Amori reali
Amori reali
E-book321 pagine4 ore

Amori reali

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Vissero davvero per sempre felici e contenti?

Da Cesare e Cleopatra a Maria Antonietta e Luigi XVI, 
Da Grace Kelly e Ranieri di Monaco al principe William e Kate Middleton: 
tutte le grandi passioni che hanno fatto la storia

I matrimoni diventano un affare di stato quando a sposarsi è un erede al trono o una principessa. Per chi porta un nome importante, non è proprio possibile vivere lo scambio delle promesse nuziali come una questione privata: è inevitabile ritrovarsi al centro dell’attenzione mediatica. Ma se l’eco di un amore “reale” è diverso da quello di uno “normale”, assolutamente simili, per non dire identici, sono i tormenti e le passioni che caratterizzano questi amori. C’è chi, tra i reali, ha avuto relazioni extraconiugali, chi non vedeva l’ora di sbarazzarsi del coniuge e chi ha lottato contro l’etichetta pur di convolare a nozze con la persona amata. Da Cesare e Cleopatra a Napoleone e Giuseppina, da Maria Antonietta a Sissi, da Wallis Simpson fino a William e Kate, passando attraverso le vicende dei reali di tutta Europa, questo libro mette sotto la lente di ingrandimento i “sangue blu” più famosi della storia nel loro lieto giorno, senza risparmiare dettagli, episodi poco conosciuti e aneddoti imbarazzanti. Perché non è tutto oro quel che luccica… anche quando si tratta di una corona!

Dietro le quinte dei matrimoni tra i reali che sono diventati leggenda

Hanno scritto dei suoi saggi:
«L’autrice riconsidera gli eventi dal loro lato meno esplicitato e più sussurrato, vicende note che si sono intrecciate spesso con voci che dai corridoi sono arrivate alle orecchie del pubblico e della nazione. Il gossip può diventare reale, persino più reale della verità.»
Il Giornale

«Cinzia Giorgio parte dal passato per arrivare a ricostruire le grandi passioni e gli scandali del nostro Paese.»
Vanity Fair

«Anche se a prima vista può non sembrare, il gossip può essere una cosa tremendamente seria, a tal punto che le vicende del nostro Paese possono venire rilette alla luce di una Storia pettegola d’Italia, un libro che fa entrare la gossippologia a pieno titolo nei cultural studies.»
Il Venerdì di Repubblica
Cinzia Giorgio
è dottore di ricerca in Culture e Letterature Comparate. Si è specializzata in Women’s Studies e in Storia Moderna, compiendo studi anche all’estero. Organizza salotti letterari, è direttore editoriale del periodico Pink Magazine Italia e insegna Storia delle Donne all’Uni.Spe.D. È autrice di saggi scientifici e romanzi. Con la Newton Compton ha pubblicato Storia erotica d’Italia, Storia pettegola d’Italia, È facile vivere bene a Roma se sai cosa fare e tre romanzi.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2018
ISBN9788822726827
Amori reali

Leggi altro di Cinzia Giorgio

Correlato a Amori reali

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Amori reali

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Amori reali - Cinzia Giorgio

    Re, condottieri, amanti e libertini del passato

    Cesare e Cleopatra

    Caio Giulio Cesare, nato nel 100 o 101 a.C., sosteneva di discendere direttamente da Ascanio-Iulo, figlio di Enea, a sua volta generato dalla dea Venere e dal giovane Anchise. Apparteneva alla storica famiglia romana della gens Iulia, di cui faceva parte anche Romolo, il primo re di Roma. Per quanto riguarda il cognomen Cesare, probabilmente si deve risalire a un antenato partorito grazie a un taglio trasversale sul ventre della madre: la parola latina che identifica l’operazione del taglio cesareo è caeso.

    Nacque in una modesta casa della Suburra da Caio Giulio senior e da Aurelia Cotta. Gli fu garantita un’eccellente educazione, anche se la sua famiglia si era molto impoverita. Amò e fu amato da molte donne. Durante un’orazione venne definito da Curio: «Il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti», per via del pettegolezzo che circolava su un ipotetico idillio con il re Nicomede di Bitinia. Giulio Cesare non si fece mancare mai niente nella vita: una delle sue vendette preferite non era sul campo di battaglia, ma a letto con le mogli dei suoi nemici politici. Lo storiografo latino Svetonio ci racconta:

    Nulla offese la fama della sua pudicizia, tranne la relazione con Nicomede, che gli diede un grave e continuo discredito, esponendolo al dileggio universale. Non mi riferisco ai celebri versi di Calvo: «Tutto quello che ebbe mai la Bitinia e lo stupratore di Cesare». Così come tralascio anche i discorsi di Dolabella e di Curione padre, nei quali Dolabella lo chiama rivale della regina, […] e Curione lupanare di Nicomede e bordello della Bitinia. Tralascio anche Bibulo, […] che soleva chiamarlo la regina di Bitinia, dicendo che «prima gli stava a cuore il re, e ora il regno».¹

    La diceria era nata perché dal 94 al 74 a.C. il giovane Cesare era stato inviato come ambasciatore in Bitinia con il compito di persuadere il re a mantenere la promessa fatta a Roma: inviare una flotta ausiliaria che coadiuvasse quella romana durante l’assedio al porto di Mitilene. Cesare riuscì a convincere Nicomede, il quale inviò gli aiuti ai romani e lo riempì anche di denaro. Svetonio cita poi un acerrimo nemico di Cesare, Marco Tullio Cicerone che, difendendo Nisia, la figlia di Nicomede, durante un processo in Senato disse: «Lascia perdere, per carità: si sa anche troppo di quello che lui ha dato a te e quello che tu hai dato a lui». Durante il trionfo per la guerra gallica, fra i canti che i soldati intonavano al loro generale mentre seguivano il suo carro si sentì anche:

    Cesare sottomise le Gallie e Nicomede Cesare:

    ecco che adesso trionfa Cesare che sottomise le Gallie

    non trionfa Nicomede che sottomise Cesare.

    Svetonio continua il suo ritratto di Giulio Cesare, ponendo però anche l’accento sulle sue doti di seduttore incallito:

    È noto quanto Cesare fosse incline alla libidine e alle spese pazze, così com’è noto che sedusse molte donne nobili, tra cui Postumia moglie di Servio Sulpicio, Lollia moglie di Aulo Gabinio, Tertulla, moglie di Marco Crasso e persino Mucia, moglie di Pompeo. […] Ma più delle altre amò Servilia, madre di Marco Bruto alla quale durante il suo primo consolato aveva comprato una perla da sei milioni di sesterzi, e alla quale, durante le guerre civili, oltre a molti altri doni, aveva fatto assegnare all’asta vastissime proprietà a un prezzo minimo. […] Amò anche delle regine, tra cui Eunoe di Mauritania, moglie di Bogude […], ma soprattutto Cleopatra […]. La fece venire a Roma, e non la rimandò in patria prima di averla riempita di doni e di molti onori, permettendo che il figlio nato da lei portasse il suo nome. Alcuni autori greci ci hanno tramandato che [il ragazzo] era assai simile al padre nell’aspetto e nella camminata. Marco Antonio in senato disse che Cesare lo aveva riconosciuto, e che Gaio Mazio, Gaio Oppio e tutti gli altri amici di Cesare lo sapevano benissimo.

    Cesare si sposò per la prima volta nell’86 a.C.; suo padre, prima di morire, aveva combinato il matrimonio con Cossutia, una donna familia equestri sed admodum dives, cioè di famiglia borghese, non nobile, ma piuttosto ricca. Durò poco, anche perché Cesare non riteneva la donna al suo livello (intellettuale e sociale). Inoltre, si era nel frattempo perdutamente innamorato di Cornelia, figlia di Lucio Cornelio Cinna, personaggio di spicco della politica romana. La forte influenza di suo zio, il dittatore Gaio Mario, indusse il collega console Cinna a offrire in moglie a Cesare, nell’83 a.C., la propria figlia. Come regalo di nozze era anche previsto un posto da dirigente politico nel movimento dei populares. La doppia alleanza con Cinna e Mario, nonché il rapporto di parentela con quest’ultimo, causarono notevoli problemi a Cesare durante gli anni della dittatura di Silla. Quest’ultimo aveva visto subito in quel ragazzo dall’aria simpatica, molto educato e gentile con tutti, un potenziale nemico. Gli impose di divorziare da Cornelia, tuttavia Cesare si rifiutò di ripudiarla, dovendo di conseguenza scappare da Roma per rifugiarsi in Asia Minore, grazie all’aiuto di un suo zio materno. Alla morte di Silla, quando Cesare rientrò a Roma cominciò a raccogliere consensi come politico. Dopo la morte dell’amata Cornelia, ebbe numerose amanti, tra le quali Servilia, la madre di Marco Bruto, che nel 44 a.C. avrebbe partecipato alla congiura contro di lui. La donna era tra l’altro la sorellastra di Catone Uticense, uno dei nemici più accaniti di Cesare.

    Cesare aveva grandi capacità intellettuali e una forte personalità. Era dotato di una memoria eccezionale e primeggiava in ogni campo. Fu un amico fedele e fin troppo indulgente nei confronti di alcuni nemici, se si tralascia il vizio di andare a letto con le loro mogli come risarcimento danni. Tra le tante consorti che cedettero al suo fascino, si annovera anche Atilia, la castissima moglie di Catone l’Uticense, il quale, appena scoprì la tresca, non aspettò nemmeno un minuto prima di ripudiarla. Un pettegolezzo dell’epoca insinuava che fosse stata la stessa Servilia a chiedergli di portarsi a letto Atilia, per vendicarsi dell’odiato fratellastro Catone.

    Divenuto a trentotto anni Pontefice Massimo, nel 63 a.C., Cesare lasciò la casa nella Suburra per trasferirsi nella Domus Publica. La sera del 4 dicembre del 62 a.C., un gruppo di matrone si riunì proprio a casa di Cesare per celebrare la Bona Dea, nume della fertilità.

    Il rituale della Bona Dea vietava la presenza degli uomini, così Cesare quella sera fu costretto a lasciare la dimora. Erano presenti Aurelia Cotta, madre di Cesare, Pompea, la sua seconda moglie, Terenzia, moglie di Cicerone e altre donne, oltre alle vere padrone di casa, ovvero le vergini vestali. Ma lo svolgersi del rito venne turbato da un’incresciosa scoperta: Publio Clodio Pulcro, amante di Pompea, si era intrufolato nel gineceo travestito da suonatrice d’arpa. Si salvò per miracolo dal linciaggio, ma scoppiò uno scandalo e la notizia si diffuse in tutta Roma. Publio Clodio Pulcro era uno degli scellerati rampolli della più alta nobiltà romana. Clodio e Pompea avrebbero dovuto pagare con la vita l’oltraggio per placare le ire della dea. Ma l’intervento di Cesare, che si rifiutò di testimoniare contro l’amico, scagionò sua moglie Pompea. Egli però fu costretto a ripudiarla perché, disse, «la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di ogni sospetto». Dopo qualche tempo, convolerà a nozze con Calpurnia, una delle donne più timorate di Roma.

    Per quanto i successi militari e politici di Cesare avessero rimpinguato le casse dello Stato di immense ricchezze e i territori di Roma si fossero molto estesi, furono sentiti come una minaccia alla libertà e ai princìpi della Repubblica. La rottura con il Senato avvenne nel 49 a.C. quando si pretese da Cesare, quale condizione per potersi candidare al secondo consolato, la presenza a Roma come privato cittadino. Intuendo il pericolo di trovarsi accerchiato dai suoi avversari, il 10 gennaio del 49 a.C. Cesare varcò il piccolo fiume del Rubicone, che segnava a nord, tra Rimini e la Gallia Cisalpina, il confine dell’Italia entro il quale non potevano sostare magistrati investiti di imperium provinciale, pronunciando le storiche parole: «Alea iacta est», il dado è tratto. Aveva al suo comando una legione formata da seimila uomini. Entrò a Roma il 16 marzo, lasciando i suoi uomini fuori dalle mura, avanzando richieste ben precise: doveva essere nominato dittatore e amministrare il tesoro dello Stato. Il Senato lo accontentò anche se i conservatori si stavano già organizzando per contrastarlo: il suo ex amico e genero Pompeo formò un esercito in Albania, mentre Catone radunava i suoi uomini in Sicilia. Fallirono entrambi. Pompeo fu ammazzato in Egitto, dove Cesare era appena sbarcato.

    Non trovando la giovane regina Cleopatra, fece in modo che le arrivasse voce che desiderava avere un incontro con lei. Cleopatra si presentò a lui in una maniera a dir poco insolita e stravagante. Si dice che il servo di lei, Apollodoro, fosse entrato nel palazzo del faraone con alcuni tappeti come dono per il dittatore romano, dicendo di volerli consegnare a lui in persona. Una volta giunto nell’appartamento di Cesare, srotolò il tappeto più grande da cui fuoriuscì Cleopatra, che dal tappeto s’infilò direttamente nel letto del generale romano.

    A quanto si diceva, la regina d’Egitto non era particolarmente bella, ma gli uomini pare che non se ne accorgessero, poiché era molto sensuale e intelligente. Parlava diverse lingue, aveva una mente aperta e la capacità di prendere decisioni molto in fretta. A letto pare che non avesse pudori. Cesare e Cleopatra divennero amanti e lei gli fece omaggio di una crociera sul Nilo: una sorta di luna di miele che consolidò la loro unione anche politica. Cleopatra in tal modo voleva mostrare a Cesare la vastità dei suoi territori ma anche farsi vedere dai suoi sudditi al fianco dell’uomo più potente dell’epoca. Dopo questo intermezzo romantico, Cesare rientrò a Roma, dove lo aspettavano i suoi nemici e la moglie Calpurnia.

    Sulla natura del rapporto di Cesare con la regina Cleopatra si è scritto di tutto. Ciò che appare piuttosto evidente è che vi sono molti dubbi sul suo innamoramento. Era la ragione di Stato ad averlo legato a Cleopatra, nonostante il fascino esotico della regina, l’unica tra le sue donne a partorire, nel 47 a.C., un figlio maschio, Tolomeo XV, detto Cesarione. Si volevano bene e si stimavano: Cleopatra abitò a Roma per circa due anni, dal 46 a.C. fino alla morte di Cesare.

    Era arrivata a Roma con Cesarione, stanca di aspettare il ritorno in Egitto del suo amante. Non appena vide il bambino, Cesare lo prese in braccio – riconoscendolo così pubblicamente – e i romani, in particolare i senatori, cominciarono a chiedersi quali fossero le sue vere intenzioni. Aveva avuto un discendente maschio da una regina considerata una divinità dai suoi sudditi, e si definiva discendente lui stesso della dea Venere. Cominciò a serpeggiare il malumore, soprattutto nella classe politica. Il popolo, invece, lo osannava, sebbene non amasse Cleopatra.

    Bruto, Cassio e molti altri avevano assistito con i loro occhi al rifiuto di Cesare di indossare la corona di re di Roma che gli aveva offerto Marco Antonio, eppure tutto questo non era stato sufficiente a calmare gli animi. Così cominciò a prendere forma l’idea di sbarazzarsi del dittatore in maniera definitiva.

    Cesare intanto aveva sollecitato i suoi nemici a collaborare con lui per amministrare Roma, ma questi gli si opposero apertamente. I romani, a detta di Cesare, erano diventati tutti dei fannulloni pettegoli, incapaci di prendere decisioni, perché troppo viziati e abituati a non fare niente. Questo però era molto pericoloso, perché non lavorando, avevano tutto il tempo per ordire complotti e mettere in giro maldicenze. Stando alle cronache, la cospirazione che portò alla morte di Cesare prese forma nel 48 a.C. e a organizzarla fu Cassio. Probabilmente fu chiesto anche a Marco Antonio di unirsi alla congiura, ma ancora oggi non si conosce il vero ruolo che svolse quest’ultimo nel complotto. Recenti studi fanno luce sul comportamento ambiguo di Antonio, che avrebbe saputo tutto, ma avrebbe taciuto, perché sperava di essere l’erede di Cesare. Doveva aver passato un brutto quarto d’ora quando, durante la lettura pubblica del testamento, aveva appreso di non essere lui l’erede designato ma il gracile e malaticcio Ottaviano, che al di là delle più rosee aspettative poi sarebbe diventato il divino Augusto.

    Cassio convinse Bruto a aderire alla congiura. Alle idi di marzo del 44 a.C. i congiurati avevano raggiunto il ragguardevole numero di sessanta persone; al complotto presero parte anche alcuni tra gli uomini più fidati di Cesare, come Trebonio, uno dei suoi generali.

    Plutarco scrive che un indovino aveva avvertito Cesare di stare all’erta perché un grande pericolo lo attendeva alle idi di marzo. Mentre andava verso la curia, Cesare lo aveva incontrato e gli aveva fatto notare: «Le idi sono giunte e non mi è accaduto nulla» e l’indovino aveva replicato quasi in un sussurro: «Le idi sono giunte, ma non sono ancora passate».

    Cesare, tra l’altro, era sprovvisto di guardie del corpo, avendo da poco licenziato i soldati ispanici che lo seguivano ovunque, perché avere una scorta significava vivere nel terrore.

    Fu Publio Servilio Casca ad avventarsi per primo su Giulio Cesare, sferrandogli una coltellata alla gola. Cesare non rimase fermo, afferrò Casca per un braccio e lo ferì. Tentò di rimettersi in piedi, ma gli altri congiurati gli furono subito addosso.

    Svetonio scrive che Cesare fu colpito da ventitré pugnalate, che aveva inveito solo contro Casca, e che poi aveva parlato quando si era accorto che c’era anche Bruto: «Quando Bruto gli inferse la pugnalata, egli aveva esclamato in greco: "Kai sü, teknon?" (anche tu, figlio?)»². Cassio Dione riportò la celeberrima frase in latino: «Tu quoque, Brute, fili mi»³.

    Quando Cesare infine esalò l’ultimo respiro, i senatori fuggirono via impauriti lasciando il corpo martoriato solo con i congiurati. Marco Antonio entrò nella curia, vide il cadavere, non proferì parola e se ne andò. La voce dell’omicidio di Cesare si diffuse immediatamente in tutta Roma. Per mantenere la calma, il giorno successivo all’assassinio Marco Antonio pronunciò un discorso in cui promise di consegnare i congiurati alla giustizia. Il 17 marzo, lesse il testamento di Cesare davanti alla folla.

    E Cleopatra? Che ne fu di lei? A poche ore dall’aggressione che costò la vita al suo amante, la regina fuggì da Roma in gran segreto per rientrare in Egitto perché temeva per la propria incolumità e soprattutto per la vita del figlio Cesarione. Marco Antonio le inviò un messaggio in cui le chiedeva di raggiungerlo a Tarso, poiché gli era giunta voce che la regina avrebbe finanziato la campagna militare di Cassio. Così Cleopatra arrivò a Tarso a bordo di una maestosa nave dorata e chiese ad Antonio di raggiungerla.

    Marco Antonio andò su tutte le furie per un comportamento che lui giudicava irrispettoso nei suoi riguardi ma accettò lo stesso l’invito. Sulla nave venne accolto dalle ancelle di Cleopatra travestite da ninfe, mentre lei indossava i panni di Venere. Antonio rimase colpito dalla trasformazione della regina rispetto alla ragazza che aveva incontrato anni prima: ora era diventata una donna. Si racconta che al termine della cena Marco Antonio era capitolato ai suoi piedi promettendole Cipro, la Palestina e altri territori. Quella stessa notte i due divennero amanti ed ebbe inizio una delle storie d’amore più romantiche della Storia. Dalla loro unione nacquero tre figli: i gemelli Alessandro Helios e Cleopatra Selene, e Tolomeo Filadelfo.

    Antonio però era ancora sposato con Fulvia. Tornò a Roma e ripudiò la moglie; per ragioni politiche sposò Ottavia, la sorella di Augusto. Alla prima occasione Antonio fuggì dalla moglie, per raggiungere Cleopatra ad Antiochia e convolare a giuste nozze. Svetonio riporta il testo di una lettera scritta da Marco Antonio a Ottaviano, che a sua volta si era innamorato della moglie di un altro e l’aveva persino sposata:

    Marco Antonio gli rinfacciava la fretta con cui aveva sposato Livia […]. Quando non gli era ancora né nemico, né avversario politico, gli scrisse questa lettera dal tono scherzoso: «Che cosa t’importa? Che io vada a letto con una regina? È mia moglie! […] E tu? Forse che te la fai solo con Drusilla? Ti auguro di stare bene, tanto che, quando riceverai questa lettera, ti sarai già scopato Tertulla o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia, o tutte quante».

    Antonio era talmente innamorato di Cleopatra che dopo aver saputo della sua morte si suicidò, e la stessa Cleopatra si era uccisa con un cocktail di veleni. Con la sua morte si concluse per sempre la millenaria storia dell’Egitto dei faraoni.

    Federico II di Svevia e Bianca Lancia

    Noto con l’appellativo di Stupor mundi (meraviglia del mondo), Federico II di Svevia era dotato di una personalità forte e affascinante, che attrasse fin dalla sua epoca l’attenzione di storici e commentatori, rendendolo una figura quasi mitologica, al centro anche di racconti e leggende.

    Federico nacque nel 1194 a Jesi (nelle attuali Marche) da Enrico VI di Svevia e Costanza d’Altavilla. Dopo la morte di entrambi i genitori, a quattro anni fu affidato alla tutela del papa Innocenzo III, a cui spettava tra l’altro il controllo sul regno di Sicilia.

    Il papa voleva mantenere la Sicilia separata dall’impero germanico, che all’epoca era dilaniato da una lotta intestina per la corona imperiale fra Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick. In un primo momento la morte di Filippo sembrò consegnare l’impero nelle mani di Ottone, preferito dal pontefice, ma le prepotenze del nuovo sovrano finirono per alienargli le simpatie del papa e dei principi tedeschi, che a quel punto decisero di sostenere il giovane Federico.

    Così, dopo la rovinosa sconfitta di Ottone a Bouvines, contro i francesi, Federico II poté impadronirsi della Germania con la protezione del papa, e affidare la Sicilia al neonato figlio Enrico, sotto la tutela della moglie Costanza. Infatti Federico a soli quindici anni si era sposato con la ventiquattrenne Costanza d’Aragona, già vedova del re Emerico di Ungheria: le nozze, ovviamente, erano state favorite dal papa Innocenzo III per rafforzare la posizione di potere del giovane sovrano.

    Quando nel 1216 papa Innocenzo morì, Federico II ne approfittò per ampliare a dismisura il suo potere, facendosi incoronare imperatore del Sacro Romano Impero e conservando anche il controllo sul regno di Sicilia. Il nuovo papa Onorio III non si oppose allo strapotere di Federico II, perché era interessato soprattutto all’organizzazione di una grande crociata, che avrebbe potuto avere una favorevole base di partenza proprio in Sicilia.

    Nonostante le ripetute promesse, Federico II non partecipò alla fallimentare crociata del 1217, assicurando però al papa un sostegno per una successiva e più ampia impresa. Anche per questo motivo, una volta rimasto vedovo della prima moglie Costanza, l’imperatore decise di risposarsi con Jolanda di Brienne, che era l’erede della corona di Gerusalemme.

    Adducendo vari pretesti, Federico II riuscì a rimandare più volte la partenza per la Terrasanta (in un’occasione il suo esercito fu però davvero colpito dalla peste), finché la spedizione ebbe finalmente inizio nel marzo del 1228. Con notevole abilità, l’imperatore riuscì a farsi incoronare re di Gerusalemme senza sostenere grandi combattimenti, perché stipulò un trattato amichevole con il sultano d’Egitto e di Siria al-Malik al-Kamil, in barba alla crescente e aperta ostilità del nuovo pontefice Gregorio IX.

    Seguirono alcuni anni di relativa tranquillità, che Federico utilizzò per la riorganizzazione interna dei suoi molteplici domini: la Germania, la Borgogna, la penisola italiana, la Sicilia e Gerusalemme. Emanando le Costituzioni di Melfi, nel 1231, seppe anche dotare l’Italia meridionale e la Sicilia di un coerente codice di leggi, che adattava il diritto romano alla nuova situazione politica e sociale. In Sicilia fu coniata inoltre la moneta d’oro detta augustale, ossia la prima moneta aurea occidentale dai tempi dei carolingi.

    In Germania, Federico II ottenne invece il sostegno dei signori feudali grazie alla Constitutio in favorem principum (Costituzione a favore dei principi), che garantiva ampi poteri e numerosi privilegi ai maggiori feudatari tedeschi.

    Ben più difficili furono i rapporti di Federico con i comuni dell’Italia settentrionale, che sconfisse nella battaglia di Cortenuova (1237) senza tuttavia riuscire mai a domarli del tutto. L’ostilità del papa Gregorio IX e del suo successore Innocenzo IV ostacolarono ulteriormente l’egemonia di Federico II sull’Italia centro-settentrionale, specialmente dopo che il Concilio di Lione (1245) arrivò a dichiararlo deposto dal trono, sciogliendo (almeno in teoria) i sudditi dal giuramento di fedeltà.

    Ciò nonostante, Federico seppe resistere con tenacia e mantenere il controllo, almeno parziale, sui suoi numerosi domini, finché morì nel dicembre 1250 a Fiorentino di Puglia, probabilmente a causa di una grave forma di dissenteria.

    Oltre che un potente monarca, Federico II fu anche uomo dalla grande personalità e di vasta cultura: conosceva il greco antico, il latino, le lingue volgari diffuse nelle regioni italiane e tedesche, perfino l’arabo e un po’ di ebraico. Si interessava di poesia, di filosofia, di questioni geografiche e astrologiche, ma anche di caccia con il falco, argomento su cui scrisse il trattato De arte venandi cum avibus.

    Nel 1224 promosse inoltre la fondazione dell’università di Napoli, in chiara concorrenza con quella di Bologna, mentre a Salerno si proseguiva un’importante opera di insegnamento e trasmissione del sapere medico arabo, ebraico e greco. Pare che Federico nutrisse anche un certo interesse per le arti magiche e per la cultura islamica (in effetti Dante lo collocò all’inferno tra gli eretici); sembra inoltre che disponesse nella sua corte di un vero e proprio harem.

    Alla morte della seconda moglie, Jolanda di Brienne, Federico si sposò per la terza volta, con Isabella d’Inghilterra; il suo più grande amore fu tuttavia quello con la nobildonna italiana Bianca Lancia, da cui ebbe tre figli, il più noto dei quali fu il futuro re di Sicilia, Manfredi.

    Le notizie su Bianca Lancia, o Bianca d’Agliano, sono frammentarie e talvolta contraddittorie. Confrontando i vari documenti a disposizione, sembra comunque possibile affermare che nacque in Italia (secondo alcuni ad Arce, secondo altri in Piemonte) verso il 1210 e morì intorno al 1250, all’età di circa quarant’anni. Secondo alcune testimonianze, in particolare la Cronica duecentesca di Salimbene de Adam, Bianca sposò l’imperatore Federico II solo quando questi era ormai prossimo alla fine. Dalla lunga relazione amorosa fra i due, cominciata molto tempo prima, erano nati però i tre figli Costanza, Manfredi e Violante.

    Bianca Lancia nacque di certo in Italia e appartenne per parte di madre alla nobile famiglia dei Lancia, mentre il padre era probabilmente Bonifacio I, conte di Agliano e di Mineo. Sia i Lancia che i d’Agliano erano famiglie aristocratiche piemontesi che, allontanate dal potere in seguito all’ascesa dei liberi comuni, avevano cercato miglior fortuna nel Regno di Sicilia del giovane Federico II. In base a questa ricostruzione, Bianca sarebbe quindi nata verosimilmente nel Sud

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1