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Diana. La principessa del popolo
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E-book479 pagine7 ore

Diana. La principessa del popolo

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Info su questo ebook

«Un libro-rivelazione.»
Daily Mail

«Assolutamente scioccante.»
New York Post

«Un esame ai raggi x della donna che minacciava la monarchia britannica.»
Le Figaro

Chi era davvero Diana Spencer? La bellissima principessa amata dal popolo e odiata dalla casa reale inglese? Oppure una ragazzina viziata e instabile, affetta da disturbi alimentari e da problemi psicologici?
Per rispondere a questa domanda, bisogna andare oltre la propaganda dei fan, oltre le bugie dei nemici, superare la nebbia del mito e riscoprire la donna dietro al personaggio. Interviste a conoscenti, amici e collaboratori, testimonianze e documenti rivoluzionari, una ricerca imparziale e approfondita: Diana è una biografia che si legge come un romanzo e non ha paura della verità. Una biografia unica, perché unica era Lady Diana Spencer. Mai un reale inglese aveva attratto così tanto l’attenzione dei media di tutto il mondo. Ogni cosa di lei ha fatto notizia: il fidanzamento e il matrimonio con il Principe Carlo trasmesso in eurovisione, la nascita dei due figli, il suo impegno nel sociale anche a fianco di personalità del calibro di Nelson Mandela e Madre Teresa di Calcutta, le rivelazioni sulla sua depressione, i suoi flirt, fino al terribile incidente nel sottopassaggio di Parigi, che l’ha vista morire in quel tristissimo 31 agosto del 1997.
Una delle vite più incredibili della storia, finalmente raccontata senza celare nulla, né le luci né le ombre

Un mito intramontabile
Un’icona di stile
La principessa più amata di tutti i tempi

Ha combattuto il protocollo reale e le sue regole secolari
Ha cercato, prima con la grazia e poi con la forza della disperazione, la strada verso la felicità
La storia di una donna generosa, intelligente e complessa

6 febbraio 1981: Il principe Carlo invita Diana al castello di Windsor e chiede ufficialmente la sua mano
25 luglio 1981: Diana vede per la prima volta James Hewitt, il suo primo amante
29 luglio 1981: il matrimonio tra Diana Spencer e Carlo, principe di Galles, viene trasmesso in settantaquattro Paesi del mondo, per un pubblico di 750 milioni di persone
Febbraio 1992: Diana incontra Madre Teresa di Calcutta
Luglio 1993: In una visita in Zimbabwe Diana si reca in un ospedale per portare conforto ai bambini malati di AIDS
Novembre 1995: In un’intervista shock alla BBC, Diana racconta i suoi disturbi alimentari e attacca Camilla Parker Bowles, l’amante di Carlo
31 agosto 1997: In seguito a un incidente sotto il tunnel del Pont de l’Alma a Parigi, Diana muore insieme a Dodi al-Fayed


«Una prospettiva nuova, chiara e soprattutto imparziale.»
Mail on Sunday

«La vera storia della guerra di propaganda della famiglia reale inglese.»
Sunday Telegraph Australia


Tim Clayton e Phil Craig sono autori di acclamati saggi e biografie e collaborano con programmi televisivi e radiofonici. Le loro ricerche hanno dato via al documentario di grande successo Diana: Story of a Princess.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159006
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    Anteprima del libro

    Diana. La principessa del popolo - Tim Clayton

    es

    197

    Titolo originale: Diana: Story of a Princes

    Copyright © 2001 by Tim Clayton, Phil Craig

    and Brook Lapping Production Limited

    Preface copyright © 2001 Brian Lapping

    Afterword copyright © 2002 by Tim Clayton and Phil Craig

    First published in Great Britain in 2001 by Hodder and Stoughton

    A division of Hodder Headline.

    The right of Tim Clayton and Phil Craig to be identified as the Authors of the Work has been asserted by them in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act 1988

    Traduzione dal francese di Annalisa Cardanini

    Prima edizione ebook: settembre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5900-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Tim Clayton - Phil Craig

    Diana. La principessa del popolo

    omino

    Newton Compton editori

    A Frances, Juliette, Alex, Helen, Jenny e William.

    Prefazione

    Questo libro si pone un obiettivo ambizioso: valutare la storia di Diana, principessa del Galles, con imparzialità.

    I divorzi distorcono gli avvenimenti. È evidente che, nella fase distruttiva del loro matrimonio, la principessa Diana e il principe Carlo consentirono, e in alcuni casi causarono, la pubblicazione di articoli pregiudizievoli. Dal momento che Diana divenne un personaggio d’impatto pressoché universale – con una capacità di conquistare sostenitori e donatori superiore a quella di tutto il resto dei membri della famiglia reale messi insieme – si attendeva da tempo un tentativo di valutare e andare oltre tutte le versioni contrastanti.

    È difficile stabilire quale sia il momento giusto per scrivere una biografia. Se questo libro e la serie televisiva che lo accompagna sono prematuri, la colpa è mia.

    La Brook Lapping non era apparentemente la società di produzione televisiva più indicata per realizzare un programma e un libro sulla principessa Diana. È stata la rete televisiva indipendente del Regno Unito a chiedere alla Brook Lapping di farlo, cosa alquanto curiosa dal momento che la nostra reputazione è legata a settori piuttosto diversi. Ci siamo specializzati, infatti, nella storia recente: la storia dell’Unione Sovietica di Gorbačëv in otto ore, il Watergate di Nixon in cinque, il crollo della Jugoslavia in sei, la crisi degli ostaggi a Beirut in quattro, Israele e gli arabi in sei ore. Le tecniche che abbiamo sviluppato in queste produzioni hanno spinto la itv nel Regno Unito, Learning Channel negli Stati Uniti, Canal Plus in Francia e un certo numero di altre reti di tutto il mondo a decidere che avremmo potuto aggiungere alla biografia della principessa Diana qualcosa che mancava alle precedenti opere realizzate sulla sua vita. Forse cercavano una certa dose di obiettività, ed è senza dubbio ciò che abbiamo cercato di perseguire.

    Alcuni sostengono che la famiglia reale non sia un argomento adatto a scrittori e registi televisivi seri. In linea generale riteniamo presuntuoso questo punto di vista e lo rifiutiamo, e nel caso della principessa Diana lo facciamo con ancora maggiore veemenza. Con gesti semplici, lei ha portato enormi cambiamenti. Quando molti credevano che l’aids potesse trasmettersi attraverso il minimo contatto accidentale, lei toccò un paziente davanti a una telecamera, facendo in modo che le persone di tutto il mondo si rendessero conto che non c’era alcun bisogno di evitare i malati di aids. Quando il governo britannico esitava davanti alla vendita di mine anti-uomo, lei percorse il mondo in lungo e in largo in una campagna per la loro messa al bando. La sua camminata in un campo minato dell’Angola rischiò di far venire un infarto ai ministri di Londra, ma per la prima volta attirò sulla questione l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.

    Ogni suo gesto ebbe un forte impatto, ma la potenza con cui destabilizzò la famiglia di suo marito fu senza precedenti, riuscendo senza sforzo a superare Guy Fawkes, con il suo attentato.

    Quando Elisabetta ii chiamò il 1992 un annus horribilis, si riferiva in parte all’incendio del castello di Windsor, ma a turbar-

    la era soprattutto la principessa che aveva dichiarato guerra aperta ai suoi parenti acquisiti. Quando, nell’intervista rilasciata a Panorama nel 1995, Diana disse: «Essere re è un compito molto arduo e può essere piuttosto soffocante, e ritengo che quel ruolo di primo piano gli porrebbe enormi limiti e non so se riuscirebbe ad adattarsi a quella condizione», stava cercando di negare al principe Carlo la carica per la quale si era preparato per tutta la vita. Dopo la morte di Diana, la polizia avvisò la regina che se i membri della famiglia reale fossero tornati a Londra avrebbero rischiato di essere fischiati o addirittura qualcosa di peggio: fu la dimostrazione di quanto Diana avesse minato la popolarità della monarchia. E quando suo fratello, il conte Spencer, al funerale, riferendosi a William e Harry promise che avrebbe fatto in modo che «le loro anime non fossero immerse nel dovere e nella tradizione», il suono dell’applauso della folla che si trovava fuori dalla chiesa fece sussultare gli invitati al funerale all’interno dell’Abbazia di Westminster, perché dimostrava che gli Spencer e l’opinione popolare erano uniti contro il Palazzo.

    Per la famiglia reale, viva o morta Diana era pericolosa. La minaccia che lei rappresentava derivava da una delle sue grandi virtù: la capacità di provare una sincera compassione per la gente comune che soffriva. Dagli ammalati di lebbra ai tossicodipendenti, dai senzatetto ai bambini storpi o agli anziani malati di demenza, la sua capacità di provare un interesse benevolo sembrava infinita. Qualcuno la scherniva, ma Diana possedeva qualcosa in più. Qualcosa che assomigliava al tocco del re, il potere di curare i malati che un tempo si riteneva avessero i monarchi. Lei faceva in modo che le persone sentissero che qualcuno si preoccupava per loro, e loro si sentivano meglio. Un potere così eccezionale avrebbe senza dubbio potuto essere una ricchezza per la famiglia reale, e avrebbe potuto garantirle una crescita del consenso popolare. Ma la sua magia con i più bisognosi, come la sua magia di fronte alle telecamere, metteva ripetutamente in ombra suo marito e i suoi parenti acquisiti.

    Anche il processo attraverso il quale la storia di Diana è arrivato al pubblico è un argomento che merita di essere ulteriormente approfondito. Diana informò segretamente i giornalisti e mentì al segretario privato della regina (il marito di sua sorella) circa il considerevole aiuto che lei stessa aveva dato ad Andrew Morton per realizzare la sua biografia. Anche gli amici del principe Carlo parlarono con la stampa in forma anonima. E la più cara amica di Carlo, Camilla Parker Bowles, sorprese alcuni dirigenti di Fleet Street con le sue frequenti confidenze. Dietro alle due versioni incompatibili della storia di Diana che furono rese pubbliche, quella di Carlo e quella di Diana, si nascondevano tutte le parole bisbigliate, tutti i sussurri: la guerra dei principi di Galles.

    Generalmente fu Diana ad avere più successo nel guadagnarsi la simpatia popolare, ergendosi a ruolo di vittima. Ma alcuni degli amici e dei consiglieri del principe Carlo diffusero la notizia che la principessa fosse mentalmente instabile, e il risultato è stato che molti scrittori hanno diagnosticato che Diana soffriva di una malattia mentale chiamata disturbo borderline di personalità (dbp). Questa prova di psichiatria amatoriale è ormai ritenuta veritiera, portando alla conclusione che il marito di Diana fosse la vittima stoica del suo comportamento instabile.

    Abbiamo ritenuto che fosse giusto scoprire il meccanismo attraverso il quale, da entrambe le parti, era stata caricata una massiccia dose di dinamite sotto ai rispettivi rivali reali – rischiando di minacciare la successione e persino la Costituzione – e che andasse fatto finché i ricordi erano freschi, dal momento che, per loro stessa natura, le conversazioni informali non lasciano tracce scritte affidabili.

    Un argomento a sfavore della serie e del libro era che la ricerca di nuove notizie sulla principessa Diana e sui suoi problemi avrebbe rischiato di cadere nel morboso. Io spero che gli spettatori e i lettori giudicheranno che abbiamo agito con misura.

    Brian Lapping

    Produttore esecutivo di Diana: Story of a Princess

    1. Guardami

    Dopo aver bussato delicatamente alla porta, lady Diana Spencer entrò nell’ufficio. Prima si guardò i piedi, poi alzò gli occhi sul funzionario reale che aveva di fronte. Era evidente che avesse pianto. Chiese se poteva rivolgergli una domanda delicata, e lui ovviamente rispose di sì.

    Diana esitò un istante, poi gli domandò se conosceva una persona di nome Camilla Parker Bowles. Lui rispose immediatamente di sì. Sapeva che si trattava di un’amica del principe Carlo che aveva sposato un ufficiale della cavalleria al servizio della famiglia reale; e che, come tutti gli altri funzionari, l’aveva incontrata in diverse occasioni.

    Poi Diana, con tono pacato ma formale, disse che aveva appena chiesto al principe di Galles se era innamorato di Camilla Parker Bowles, e lui non aveva negato. Mentre le si riempivano nuovamente gli occhi di lacrime, continuò a guardarlo in viso e gli fece un’altra domanda: «Cosa devo fare?». L’uomo non aveva idea di cosa dire. In tutti i suoi anni di servizio presso la famiglia reale, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Ma non fu l’unico a trovarsi in quella situazione. Di lì a poche ore, uno dei suoi colleghi più stretti, un altro funzionario della famiglia reale, si sentì rivolgere esattamente la stessa domanda.

    Il matrimonio era stato celebrato solo dieci giorni prima. Che cosa avrebbero dovuto fare? Dopo un’urgente consultazione tra i corridoi, i funzionari suggerirono a Diana di parlare direttamente con Camilla, e uno di loro organizzò un pranzo nel suo ristorante preferito. Si chiamava Ménage-à-trois.

    Quindi andammo a pranzo. Fu davvero complicato. Lei disse: «Non andrai a caccia, vero?». Io dissi: «E come?». Lei disse: «A cavallo. Non andrai a caccia quando ti sarai trasferita a Highgrove, vero?». Io dissi: «No». Lei disse: «Era tanto per sapere»[1].

    A Buckingham Palace attendevano con ansia i risultati dell’incontro, e quando Diana tornò disse: «È stato magnifico. Ci siamo trovate benissimo». Uno dei funzionari ci ha riferito:

    Tirammo tutti un sospiro di sollievo. Credo che nei primi anni Camilla e Carlo si allontanarono. Ma presto si creò una certa tensione tra Carlo e Diana, e alcuni lo attribuiscono al fatto che Diana era viziata. Io credo dipendesse dal fatto che provenivano da ambienti diversi[2].

    L’origine di Diana Spencer era in effetti diversa da quella del principe Carlo, ma non così tanto. Era nata in una delle famiglie più importanti di Inghilterra, una famiglia che per duecento anni era stata vicina alla corte e alle sue tradizioni che cominciavano lentamente a fossilizzarsi.

    «Il Lord Ciambellano osa con il massimo rispetto sperare che la calorosa ma silenziosa partecipazione della vasta folla di sudditi di Sua Maestà possa aver aiutato Sua Maestà ad affrontare il suo terribile dolore»[3], scrisse il bisnonno di Diana a Giorgio v. Edoardo vii era appena morto e il conte Spencer sperava di organizzare l’incoronazione del nuovo re. Scrisse note urgenti a riguardo della cerimonia incombente: «Gli abiti della regina sono protetti dalle tarme nella torre?».

    Il nonno di Diana fu il primo della sua famiglia, dopo diverse generazioni, a non avere un posto a corte. Ma questo accadde soprattutto perché aveva un compito più urgente di cui occuparsi: preservare il suo patrimonio dalla decadenza. Nel 1922, quando era un giovane ufficiale delle guardie del corpo del re, Albert Edward John, settimo conte Spencer, ereditò il palazzo e le proprietà di Althorp nel Northamptonshire e il palazzo di città chiamato Spencer House a St James’s Place, con vista su Green Park. Erano entrambi stracolmi di mobili e dipinti dal valore inestimabile, e tutti necessitavano cure e restauro. C’erano debiti, ipoteche e imposte di successione da pagare, e gli edifici erano in pessimo stato. Vendendo negli Stati Uniti sei capolavori di Reynolds, Gainsborough, van Dyck e Frans Hals, riuscì a ricavare trecentomila sterline, che gli servirono per risolvere il problema imminente. Durante la guerra, Jack, come era conosciuto il settimo conte, svuotò la Spencer House per salvare il suo meraviglioso contenuto dai bombardamenti di Hitler, e stipò ulteriori prove della ricchezza dei suoi antenati tra le tende di seta scolorite della sua residenza di campagna. Mano a mano che il tempo passava, Althorp assomigliava sempre di più a un museo. Nel 1957 la aprì al pubblico, condizione necessaria per ricevere i contributi governativi ed evitare che l’edificio marcisse a causa dei tarli. Ma mentre Jack Spencer si preoccupava di preservare una delle più ingenti fortune raccolte ai tempi in cui la Britannia dominava davvero le rotte commerciali, sua moglie, lady Cynthia, manteneva viva la tradizione. Nel 1936 venne nominata lady of the Bedchamber e in seguito divenne dama di compagnia della regina Elisabetta ii, e quando nacque sua nipote Diana, era ancora una dama di corte.

    La prima abitazione di Diana, Park House, si trova nel Norfolk, nei pressi di Sandringham House, la residenza di campagna della famiglia reale. Per il principe Carlo, Diana era la ragazza della porta accanto: la più giovane delle tre sorelle Spencer, oltre a Sarah e Jane, che fin dalla culla erano come predestinate a diventare le possibili spose di tre giovani principi inglesi.

    Questa privilegiata prossimità alla residenza reale era dovuta ai nonni materni di Diana. Negli anni ’30, lord Fermoy, il nonno di Diana, l’irlandese americano Maurice Roche, si era stabilito a King’s Lynn e aveva assistito il timido e balbuziente duca di York, il futuro re Giorgio vi. La moglie di Fermoy, Ruth, era ancora più vicina alla duchessa, la futura regina Elisabetta (oggi la regina madre). Quando i Fermoy ebbero figli, il re e la regina li invitarono a stabilirsi a Park House, e in seguito la residenza passò alla loro figlia, Frances Roche, la madre di Diana.

    Il padre di Diana, Johnny Spencer, visconte di Althorp, studiò a Eton e Sandhurst, e come ufficiale dei Royal Scots Greys, partecipò allo sbarco in Normandia. Dopo la guerra, divenne scudiero di re Giorgio vi, e dopo la morte del re avvenuta nel febbraio del 1952 fu nominato scudiero di sua figlia, la regina Elisabetta ii. Conobbe la brillante e vivace Frances Roche durante una visita a Sandringham, e dopo che lei ebbe partecipato al ballo delle debuttanti nell’aprile del 1953, il ventinovenne Johnny e la diciassettenne Frances iniziarono un’intensa relazione amorosa.

    Dopo il loro fidanzamento, mentre la famiglia della sposa organizzava il matrimonio, Johnny accompagnò la regina nel suo viaggio d’incoronazione in Australia. Visto il grande legame della sposa e dello sposo con i Windsor, fu naturale la presenza dei reali alla cerimonia di nozze che si tenne il primo giugno del 1954. La cerimonia ebbe luogo nell’abbazia di Westminster, un privilegio davvero raro, e alla funzione furono invitate mille e settecento persone, compresi la regina Elisabetta e il principe Filippo, la regina madre e altri sei membri della famiglia reale. Il «Daily Mail» lo definì il matrimonio dell’anno. Passando sotto un tunnel formato dalle spade sollevate degli Scots Greys, gli sposi lasciarono l’abbazia per un ricevimento al St James’s Palace.

    Dopo un anno nacque la prima figlia di Johnny e Frances, Sarah. Tuttavia, come ogni coppia delle grandi famiglie del Paese prima di loro, ciò che gli Spencer volevano davvero era un erede maschio. Jane, la loro seconda figlia, nacque nel 1957. Il terzo fu un maschio, John, ma morì dieci ore dopo la nascita, avvenuta il 12 gennaio del 1960. Fu un evento drammatico per entrambi i genitori, e anziché unirli ebbe l’effetto opposto. Johnny Spencer non riusciva a nascondere la sua delusione. Frances ha ammesso di essere stata mandata dalla sua famiglia (comprese quindi sua suocera Cynthia Spencer e sua madre Ruth) da ostetriche specializzate, perché ritenevano che in lei ci fosse qualcosa che non andava.

    Quando Frances rimase nuovamente incinta (dopo un aborto che lei tenne segreto), non c’era dubbio che entrambi i genitori sperassero si trattasse di un maschio. Come in occasione di ogni parto, Jack Spencer aveva acceso un falò ad Althorp per celebrare la nascita di un erede. Ma a nascere fu Diana. In seguito, lei disse al suo biografo Andrew Morton di non essersi sentita desiderata fin dalla più tenera età, perché era evidente che i suoi genitori avrebbero voluto che lei fosse un maschio[4]. Frances sostiene si tratti di un’idea inculcata in Diana da adulta dai suoi terapeuti[5]. E poiché il 20 maggio 1964, quando Diana aveva solo tre anni, nacque finalmente un erede, Charles Spencer, lei ebbe poco tempo per avere coscienza della segreta delusione dei suoi genitori.

    La nascita di Charles Spencer non allentò la tensione che c’era a Park House. Johnny e sua moglie si erano ormai distaccati. Probabilmente, avendo finalmente partorito un figlio maschio, Frances sentiva di essersi liberata da ogni responsabilità e di poter pensare alla propria felicità. Ancora giovane ed economicamente indipendente, iniziò a trascorrere molto più tempo a Londra.

    Nel 1966, durante una cena, Frances incontrò Peter Shand Kydd. Erede di una florida azienda nel settore delle carte da parati, era un uomo avventuroso, bohémien e brillante. Gli incontri tra gli Althorp e i Shand Kydd furono frequenti e culminarono in una vacanza sulle piste da sci. Ma il fulcro dell’amicizia tra le famiglie era l’attrazione tra Frances e Peter. Alla fine Peter lasciò sua moglie e durante le sue visite a Londra iniziò ad incontrare segretamente Frances. Lei raccontò a Johnny la sua relazione nel settembre del 1967, e lui accettò di separarsi per un periodo di prova. Frances trovò un appartamento a Cadogan Place, e ad ottobre, Diana, Charles e la loro bambinaia raggiunsero la madre a Londra. Sarah e Jane a quel tempo erano già in collegio, mentre Frances aveva trovato posto per Diana in una scuola locale e per Charles in una scuola materna. Il padre andava a trovarli durante i fine settimana, ed è probabile che i bambini non sapessero della separazione dei genitori. In occasione del Natale del 1967, la famiglia si riunì a Park House nel Norfolk, ma poi Johnny si rifiutò di far tornare i bambini a Londra con la madre, quindi lei ripartì da sola.

    Il 10 aprile 1968, Janet Shand Kydd intentò una causa di divorzio nei confronti di suo marito per via della sua relazione adulterina con Frances Spencer, e a settembre dello stesso anno Frances si rivolse a un tribunale per chiedere l’affidamento dei suoi figli. Lady Femoy testimoniò contro sua figlia, e lei perse la causa. A voler vedere il comportamento di lady Femoy con benevolenza, il motivo fu che riteneva che i bambini sarebbero stati meglio a Norfolk. Ma una visione meno benevola è che attribuiva grande valore al suo legame con gli Spencer, ed era spaventata all’idea che sua figlia fosse fuggita con un commerciante. Il 12 dicembre Frances chiese il divorzio. Johnny presentò domanda riconvenzionale, citando il suo adulterio già provato. Lui vinse la causa e ottenne la custodia dei figli.

    Lady Femoy è una degli antagonisti di secondo piano della storia di Diana: era severa, ambiziosa, inflessibile e pregna di una cultura di altri tempi, ma dal momento che seguì la linea della sua amica regina madre di mantenere una totale riservatezza e non si difese mai ufficialmente, è divenuta un bersaglio facile. Gran parte di coloro che hanno scritto sulla famiglia reale la condannano, ritenendo che abbia avuto un’influenza negativa.

    È semplice creare delle caricature come quella di una Diana moderna, amante dell’uguaglianza, aperta e sensibile, e il mondo di sua nonna snob, ostile, oppressivo e sinistro; Diana con un’infanzia rovinata da quelle stesse forze oppressive che lei in seguito affrontò dal cuore del sistema.

    Ma le cose non stavano proprio così. Ci fu senza dubbio un brutto divorzio, che rese per molti anni i rapporti tra Frances e sua madre molto tesi, ma Diana non seppe nulla di ciò che si disse a corte. E vide spesso entrambi i genitori, che si prodigarono per comportarsi civilmente e non trascinarla nelle loro recriminazioni private.

    Il divorzio divenne effettivo il 2 maggio del 1969. Un mese più tardi, Frances e Peter Shand Kydd si sposarono. Inizialmente divisero il proprio tempo tra il Buckinghamshire e Cadogan Place, ma presto acquistarono una casa a Itchenor sulle coste del Sussex occidentale. Gli accordi sulla custodia dei figli in pratica non impedivano a Frances di andare a trovarli, e lei li chiamava ogni giorno. Le ragazze più grandi erano libere di trascorrere il tempo dove preferivano. Sarah scelse di andare più spesso a Norfolk, a Park House, e Jane di rimanere a Londra con sua madre. Alcuni fine settimana Diana e Charles Spencer facevano avanti e indietro tra Londra e Norfolk, e le vacanze venivano ripartite equamente tra i due genitori.

    Robert Spencer, cugino e amico intimo di Johnny, riferisce che l’atmosfera non era particolarmente infelice:

    Certo, ogni divorzio ha delle ripercussioni sui figli, ma non penso che sui figli di Johnny e Frances Althrop ebbe ripercussioni maggiori o minori che in qualsiasi altra famiglia. Dopo tutto, non erano particolarmente a corto di denaro, e avevano due genitori amorevoli... Erano fortunati ad avere due belle case, e nonostante i genitori avessero divorziato, da quanto ricordo erano felici.

    A questo si potrebbe obiettare che i ragazzi erano materialmente viziati, e sebbene non mancasse loro l’affetto dei genitori, lo ricevevano forse a dosi imprevedibili. C’era sempre un lato drammatico nel carattere di Diana, che potrebbe essere stato alimentato dai molti distacchi dolorosi e dalla pena che provava per un genitore quando lo lasciava per andare dall’altro.

    Luglio 1971. Mary Clarke svoltò a destra su Diss Road e imboccò la strada a tre corsie che conduceva a Riddlesworth Hall. La bambinaia ventunenne aveva iniziato a lavorare a Park House a febbraio per occuparsi di Charles Spencer. L’altra bambina di cui doveva occuparsi, la piccola Diana di nove anni, frequentava il secondo trimestre a Riddlesworth, una scuola privata a circa un’ora da Sandringham, e Mary non l’aveva ancora incontrata. Una volta iniziate le vacanze pasquali, il visconte Althorp aveva mandato Mary da sola a prendere Diana per portarla a casa. La ragazza era visibilmente nervosa, perché le altre persone di servizio le avevano raccontato storie allarmanti sul modo in cui a volte si comportavano i bambini:

    Facevano spesso delle piccole marachelle, come entrare nella stanza della bambinaia o di qualche altra ragazza alla pari e lanciare tutti i suoi vestiti fuori dalla finestra facendoli finire sul tetto, costringendo il povero vecchio Smith ad andare a raccoglierli. Oppure chiudevano a chiave nel bagno qualcuna delle ragazze.

    Mary non pensava che avrebbe gradito ricevere un simile trattamento, ma forse le altre persone di servizio stavano solo cercando di prendersi gioco di lei. Fino ad allora si era trovata benissimo con Charles, quindi era partita per Riddleshworth Hall senza pregiudizi, sperando che tutto andasse per il meglio.

    Arrivai a Riddlesworth e trovai uno scenario davvero tipico da fine trimestre: ragazzine con indosso le loro divise, circondate da bauli e da tutte le loro cianfrusaglie Diana aveva anche una gabbia del suo porcellino d’India. Le andai incontro, perché ovviamente avevo visto delle foto, quindi sapevo chi cercare. E vidi questa ragazzina camminare verso di me, una vera rosa inglese con gli occhi tristi, che arrossì violentemente. Fu molto educata e mi strinse la mano, e poi ci congedammo.

    Sulla strada verso casa, Mary chiese a Diana come andava la scuola, e lei disse che amava soprattutto nuotare. Quando Mary tornò a Park House si sentì rassicurata e pensò di aver stretto un qualche rapporto. Aveva già trascorso sei mesi da sola con Charles ed era preoccupata che Diana si sentisse esclusa, quindi fece il possibile per evitare tale sviluppo. La stanza di Diana era pronta. Mano a mano che si avvicinavano a Park House, Diana era sempre più eccitata all’idea di essere di nuovo a casa, e chiese a Mary: «Come stanno gli Smith? E come sta la signora Petrie?». Poi arrivarono con un mucchio di bauli, gabbie, mazze da hockey e racchette da tennis, e Diana corse incontro a suo fratello e a suo padre, ma anche a tutto il personale di servizio e a tutti gli animali.

    Park House è un edificio vittoriano di dieci stanze ricoperto di mattoni gialli, circondato da ampi prati e alberi, vicino alla chiesa che lo divide da Sandringham House. Oggi è una casa vacanze per anziani. Per raggiungerlo bisogna attraversare le proprietà reali percorrendo una strada alberata, poi svoltare su un sentiero di ghiaia con il prato da una parte e la casa di fronte.

    Lì, il visconte Althorp conduceva la vita di un gentiluomo di campagna, con i cani da caccia raggomitolati davanti al camino e pile di «Country Life» e di «Field» sul tavolino. Diana crebbe circondata da gatti e cani, e dai preziosi porcellini d’India che era solita esporre a fine luglio nel padiglione animali durante la fiera locale. Aveva un gatto fulvo di nome Marmalade, e il suo letto era ricoperto da moltissimi animali di peluche. Aveva iniziato ad aver paura dei cavalli dopo una caduta da un pony, ma cavalcava con Mary Clarke per stare con Sarah. Provava una grande ammirazione per la sua vivace sorella maggiore, ed era una bambina sana che amava mangiare e odiava indossare i vestiti. Le piaceva stare all’aperto con i jeans infangati, arrampicarsi sugli alberi, costruire rifugi e fare lunghe passeggiate con i cani. Fin da bambina aveva un forte senso pratico, e aiutava Mary Clarke a rassettare la nursery, dato che era compito della bambinaia tenerla in ordine. Le faccende domestiche non erano il punto di forza di Mary Clarke, e quando Johnny Spencer, come faceva di tanto in tanto, si avvicinava per passare un dito sulla cornice di una foto, Diana faceva in modo di essere sempre presente, per spolverare le fotografie e mettere in ordine.

    Quando il tempo era buono, Mary Clarke organizzava una gita nella vicina spiaggia di Brancaster, dove gli Spencer avevano un vecchio capanno di legno. Facevano preparare dal cuoco una grossa cesta da picnic e riempivano la Land Rover di cani e bambini: Diana, Charles e i loro amici. Anche altre famiglie del luogo possedevano delle capanne su quella stessa spiaggia, e a quelle gite prendevano parte diverse bambinaie e tutti i loro bambini. Erano giornate eccitanti per tutti. La prima gita di primavera a Brancaster era sempre un grande evento. Dall’autunno precedente, i venti invernali avevano rimodellato le dune e ricoperto di sabbia le capanne, e durante tutto il tragitto fino alla spiaggia, i bambini cercavano di indovinare quanti dei gradini che portavano alla capanna sarebbero stati coperti e per quanto tempo sarebbe stato necessario scavare per riportarli alla luce.

    All’inizio del sentiero che portava alle capanne sulla spiaggia, Diana gridava: «Fate scendere i cani! Fate scendere i cani!», e tutti si precipitavano fuori dall’auto, facendo a gara a chi arrivava per primo alla capanna. Appena arrivavamo lì, Diana correva a prendere l’acqua per far bere i cani. Poi cercavamo di liberare i gradini che portavano alla capanna per vedere chi aveva indovinato quanti erano quelli ricoperti dai venti invernali. E quando arrivavamo alla capanna e scaricavamo la jeep, Diana correva a sistemare tutto, portando l’acqua in modo che avessimo tutti da bere, e poi scappava verso il mare. Diana cercava sempre di fare cento cose contemporaneamente, affinché tutto fosse in ordine. Amava organizzare le cose. Le capanne erano costruite sulle dune, quindi si poteva scendere direttamente sulla spiaggia, e i bambini correvano giù e facevano a gara a chi riusciva a saltare dalla cima e arrivare più lontano sulla spiaggia. Alcuni rotolavano fino in fondo.

    Quelle trascorse sulla spiaggia erano giornate felici e spensierate, perché si era liberi di scorrazzare dappertutto. Il mare era sicuro quando c’era l’alta marea, e se c’era la bassa marea si formavano pozzanghere d’acqua nelle quali nuotare e ampie distese di sabbia. I bambini andavano anche a caccia di conchiglie.

    Raccontavo loro delle storie. Avvicinavamo le orecchie alle grandi conchiglie che avevamo trovato per vedere se riuscivamo a sentire il rumore del mare. Diana, naturalmente, sentiva il rumore del mare sempre più forte degli altri.

    E raccontavo ai bambini storie di luoghi diversi, di mari diversi. Diana amava vivere in un mondo immaginario dove erano tutti felici. Voleva sempre che tutti fossero felici, e a Brancaster eravamo tutti molto felici.

    Ma i bambini non avevano bisogno di andare al mare per giocare. La casa era grande e piena di giocattoli, e le ringhiere di ferro battuto erano perfette per scivolarci sopra. Nella grande sala della musica con il pianoforte, che si trovava sul retro, le finestre si affacciavano sul castello dei bambini in mezzo al prato, e più in là c’era il campo da tennis in terra battuta. Alle spalle del campo, accanto alla recinzione del parco, c’era una piscina con due trampolini e uno scivolo. Nelle roventi giornate d’estate, Park House era molto popolare tra i bambini che abitavano nei dintorni presso le tenute di Sandringham – ragazzine come Alexandra Lloyd, figlia dell’amministratore delle proprietà terriere della regina, e Penelope Ashton, la figlia del parroco – e anche tra quelli della famiglia reale. Anche se Diana e Charles visitavano Sandringham House solo su invito, i principi Andrea ed Edoardo si presentavano di frequente a Park House senza essere annunciati. A Mary Clarke capitava spesso di vedere Diana giocare con loro.

    Diana sapeva di essere un’ottima nuotatrice e non perdeva occasione per dimostrarlo. Niente le piaceva di più che vedere la piscina circondata da tanta gente. Pur sapendo che suo padre non voleva che lo facesse, correva in cima allo scivolo e rimaneva lì in equilibrio. Era bella e slanciata, e sapendo che suo padre non l’avrebbe rimproverata davanti agli altri, gridava a tutti: «Guardatemi! Guardatemi!», ed eseguiva un bellissimo tuffo in piscina.

    «Estrapolano le cose dal loro contesto!». È questa la critica più comune nei confronti dei giornalisti. Un incidente, un ricordo, uno stralcio di conversazione estrapolato dalla confusione e dalle contraddizioni dell’esperienza reale, e usato per una valida argomentazione in un programma televisivo o in un libro. «Guardatemi! Guardatemi!», chi non ha gridato così dalla cima di un trampolino? Eppure, storie come questa sono state usate per costruire l’immagine di una giovane Diana malata di protagonismo, una prima donna in erba.

    Diana aveva trent’anni quando disse ad Andrew Morton che aveva avuto un’infanzia infelice. Ma all’epoca conosceva bene il linguaggio della psicoterapia, e sapeva che le origini dei disturbi da adulti risiedono nei traumi infantili. È lei l’unica fonte dell’idea generalmente accettata di una sua infanzia solitaria e triste. Ma Diana non ha parlato in modo chiaro. È stata lei a mettersi fuori contesto, esagerando nel ricostruire la storia dei suoi primi anni di vita e dando di se stessa un’immagine che la facesse apparire più strana e disturbata di quanto non fosse davvero.

    Ci furono, senza dubbio, momenti infelici, quando i bambini venivano spostati da un genitore all’altro, ma la maggior parte delle persone ricorda Diana come un maschiaccio allegro che amava arrampicarsi sugli alberi: un po’ viziata e abulica, ma per il resto una bambina normale. Una graziosa ragazzina inglese di buone maniere dell’alta borghesia, con una bella calligrafia e una passione profonda per i porcellini d’India; una ragazzina che si elettrizzava durante un picnic sulla spiaggia o quando saliva su un trampolino. Una ragazzina, come migliaia di altre, destinata a passare senza difficoltà dal collegio a una scuola di comportamento, a un corso per segretarie, forse a un corso di cucina e a un periodo di lavoro in uno chalet di montagna, fino al matrimonio con un giovane beneducato di buona famiglia.

    Diana amava leggere romanzi d’amore, e Barbara Cartland era la sua autrice preferita. La bambinaia Mary Clarke pensava che avesse una visione molto semplice del futuro:

    Ciò che Diana desiderava davvero fare da grande era molto semplice, era un sogno simile a quello di molte ragazzine, e cioè sposare qualcuno che la amasse veramente e che lei ricambiasse veramente, e avere tanti bambini. Diana pensava di avere almeno quattro o sei figli e una normale vita felice. Era irrilevante per lei chi fosse la persona che avrebbe sposato: la cosa importante era che lui avrebbe dovuto amarla e lei amare lui, altrimenti il matrimonio si sarebbe concluso con un divorzio.

    Voleva diventare una ballerina, ma a dodici anni Diana era già alta più di un metro e settantacinque. Lady Fermoy era stata una pianista e sua sorella Sarah era già una musicista di talento, ma sebbene a casa suonasse molto, Diana non era altrettanto brava.

    Nel 1973 Diana cambiò scuola, seguendo le sorelle alla West Heath, una piccola scuola privata che ospitava circa centoventi ragazze che si trovava a Sevenoaks, nel Kent, circondata da una campagna incantevole e situata in una zona bellissima. Le tasse erano molto alte, le strutture splendide e gli scopi non prevalentemente accademici.

    Durante il suo primo trimestre alla West Heath, Diana, per sua stessa ammissione, si comportò in modo alquanto prepotente. Almeno una delle sue compagne dell’epoca racconta di essere stata maltrattata. Nel secondo trimestre fu ripagata con la stessa moneta e presa di mira da alcune delle compagne più grandi, finché acquisì una grande popolarità come capo di una piccola banda di circa quindici ragazzine della sua classe.

    Diana era una bambina spericolata, che organizzava raid notturni nelle cucine della scuola e amava le nuotate di mezzanotte. La preside per poco non la espulse per essere andata in giro per la scuola dopo lo spegnimento delle luci, e presto le sue insegnanti scoprirono che aveva difficoltà di concentrazione. Penny Walker, l’insegnante di musica di Diana, riteneva che quel comportamento fosse dovuto a un certo numero di fattori, uno dei quali erano i problemi che aveva in famiglia:

    Spesso si aveva la sensazione che avesse la testa da qualche altra parte. Le sue sorelle erano piuttosto brave negli studi: Sarah era una pianista brillante, e Jane non era da meno. Quindi era difficile per Diana essere alla loro altezza. Inoltre, arrivò più tardi in quella scuola, e questo è sempre uno svantaggio, perché le amicizie si sono già formate, tutti conoscono già gli insegnanti, i ragazzi hanno già iniziato a seguire i corsi. Quindi lei dovette superare tutto ciò.

    Di tanto in tanto, quando era tranquilla, il suo volto sembrava triste, ma non direi che fosse una persona triste. Era sempre allegra e molto, molto vivace, e continuamente impegnata in qualcosa. Non la vedevo mai ciondolare senza fare niente. Credo che fosse piuttosto felice alla West Heath.

    Gli Shand Kydd acquistarono una romantica tenuta in collina sull’isola di Seil, vicino Oban sulla costa occidentale della Scozia. Diana aveva un poster di Seil appeso sopra il suo letto alla West Heath e durante le vacanze portava lì i suoi amici e trascorreva il tempo giocando sulla spiaggia con le nasse per le aragoste. Continuava a vedere regolarmente il principe Andrea e il principe Edoardo a Norfolk. Le sorelle di Diana pensavano che avrebbe potuto essere una sposa adatta per il principe Andrea e, per un certo periodo, mantenne una corrispondenza con lui mentre frequentava la scuola. Il fatto che scherzassero spesso su questa possibile relazione è una delle molte spiegazioni che sono state date per il soprannome che le fu affibbiato, ovvero Duch, abbreviazione di duchessa. Suo fratello Charles nega questa versione, dicendo che la chiamavano duchessa per il gatto del cartone animato di Walt Disney Gli Aristogatti.

    Il termine "Aristogatti" si addice sicuramente agli Spencer. Circa trecentocinquanta anni prima della sua nascita, la famiglia acquistò il titolo nobiliare per tremila sterline in contanti da un Giacomo i ridotto in miseria. L’inclusione di Lord Spencer nella Camera dei Lord fece infuriare a tal punto un altro membro da spingerlo a interrompere il suo discorso sulla gestione degli affari nei regni precedenti, affermando con pungente sarcasmo: «Quando accadevano queste cose, i nobili antenati del lord sorvegliavano le pecore!»[6].

    Ma grazie al denaro sonante in suo possesso, il nuovo nobile Spencer divenne presto l’uomo più ricco del Paese. Dopo aver costruito la propria fortuna con la lana, la sua famiglia si aggiudicò i contratti per la fornitura di carne a Londra e accrebbe ulteriormente la propria ricchezza. Con abbastanza oro per finanziare le loro ambizioni dinastiche, acquistarono una genealogia dal College of Heralds che fece risalire la loro discendenza ai Despenser al seguito di Guglielmo il Conquistatore. Fu solo nel 1901 che il diritto di usare il blasone dei Despenser fu dichiarato illegittimo e la loro discendenza una totale invenzione. Ma a quel punto occupavano ormai un posto di primo piano negli affari della Gran Bretagna da più di un secolo prima dell’attuale famiglia reale.

    A dire il vero, gli Spencer avevano addirittura contribuito alla salita al trono della famiglia reale. Fu infatti un altro Spencer, nel

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