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La stanza segreta degli enigmi
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E-book280 pagine3 ore

La stanza segreta degli enigmi

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Autore del bestseller Il quadro maledetto

Tuscania, Alto Lazio. Giulio Salviati sta aiutando Elena e una sua amica a inventariare la biblioteca di un vecchio maniero di campagna, quando la donna viene aggredita alle spalle da uno sconosciuto. Per fortuna si salva. Rovistando tra gli scaffali, Salviati scopre alcuni libri che parlano di indovinelli ed enigmi storici mai risolti. Tra questi c’è il celebre “Indovinello del re” che, nel XVI secolo, aveva fatto impazzire Rodolfo II di Boemia. La soluzione dell’enigma avrebbe condotto infatti alla leggendaria “Camera di giada”, una camera segreta colma di pietre preziose, teatro di fenomeni prodigiosi. Dopo poco tempo anche il proprietario del maniero scompare senza lasciare traccia di sé. Quando una serie di omicidi coinvolgono persone legate a libri che hanno a che fare con quell’indovinello, Giulio Salviati, scrittore detective, si mette subito all’opera per svelare il mistero. Una rocambolesca avventura lo porterà, insieme a Elena, in una villa medicea a Firenze, poi a Torino e infine tra i canali di Venezia. Che cosa nasconde quell’indovinello indecifrabile? E chi si cela dietro a tutti gli omicidi?

Un enigma mai risolto. 
Un mistero che semina morte. 
Esiste davvero la camera di giada?

Hanno scritto dei suoi romanzi:
«Nei sotterranei dell’Urbe il pericoloso mistero di un quadro maledetto per il bestseller di Fabrizio Santi.»
la Repubblica

«Un thriller esoterico ben congegnato.»
Il Fatto Quotidiano

Fabrizio Santi
È nato e vive a Roma. È laureato in Lingue e letterature straniere e insegna inglese in un liceo scientifico romano. È diplomato in pianoforte al Conservatorio di Perugia. Il quadro maledetto, il suo primo romanzo, è stato per settimane in vetta alle classifiche. Le indagini di Giulio Salviati proseguono con Il settimo manoscritto e L’enigma della cattedrale sommersa.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2019
ISBN9788822737991
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    Anteprima del libro

    La stanza segreta degli enigmi - Fabrizio Santi

    CAPITOLO 1

    Appena superata la curva che delimitava una minuscola collinetta, una vasta pianura e una distesa di campi dalle messi dorate si aprì di fronte a loro. La strada che collegava Tuscania ad Arlena di Castro tagliava uno dei paesaggi più suggestivi e spopolati della Tuscia. L’auto, sulla via quasi deserta, non avrebbe però raggiunto Arlena. Avrebbe deviato prima per una solitaria strada sterrata che li avrebbe condotti a un vecchio casale nobiliare di epoca settecentesca.

    Alla guida era Elena, accanto a lei Arianna, collega bibliotecaria. Sul sedile posteriore sonnecchiava Giulio Salviati che, di tanto in tanto, apriva un occhio, girando la testa qua e là, per capire quanto mancasse alla destinazione. Giulio accompagnava spesso le due giovani nell’intento di trovare un po’ di pace e rilassatezza che gli consentissero di meditare sulla stesura del suo nuovo romanzo. Dopo pochi chilometri di tragitto l’auto rallentò. Sulla destra, si apriva un piccolo spiazzale da cui si dipartiva una sterrata appena più larga di un viottolo. L’auto la imboccò. Il sentiero s’inoltrava nella campagna tagliando un vasto noccioleto. Le file simmetriche delle basse piante scorrevano a perdita d’occhio perpendicolarmente ai lati della stradina. Dopo un lungo rettilineo la strada curvò leggermente e, da quel punto in poi, si profilò ai loro sguardi un piccolo rilievo su cui si erigeva il casale. L’edificio apparteneva ad Arnaldo Piermarini, insigne ex professore universitario di Filologia germanica e appassionato studioso di Storia dell’arte. Conosceva Elena da molto tempo e aveva chiesto a lei e ad Arianna se avessero potuto riordinare e compilare un catalogo informatizzato dei libri che erano nella biblioteca che appartenevano da quasi duecento anni a un ramo della sua famiglia d’origine. Elena e Arianna avevano preso una breve aspettativa dal loro lavoro per completare l’impresa, la biblioteca era di dimensioni assai consistenti. Piermarini le avrebbe comunque remunerate profumatamente per tutto il periodo che sarebbero state assenti dal loro lavoro.

    Era la terza volta che si recavano in quel posto. Giulio le aveva volute sempre accompagnare, riteneva che l’edificio fosse isolato e che due ragazze sole avessero bisogno del conforto di una figura maschile di protezione. In realtà Elena, qualche anno prima, aveva praticato arti marziali e in caso di pericolo avrebbe reagito sicuramente con efficacia maggiore di quanto avrebbe fatto Giulio, che al primo schiaffo sarebbe andato subito steso.

    L’auto si fermò sullo spiazzale dinanzi al portone della casa, sollevando un gran polverone bianco. I tre scesero ed Elena cominciò subito a perlustrare la sua borsa alla ricerca delle chiavi. L’entrata principale, anche se appariva come un portone antico in legno grezzo e ruvido, in realtà era blindata e, come tutte le finestre, era protetta da un allarme collegato a una stazione della polizia di Tuscania. Appena aperto l’accesso e disinnescato l’allarme i tre entrarono. Giulio uscì quasi subito con in mano una sdraio che andò poi a posizionare e aprire sul lato dell’edificio all’ombra di una grande quercia. Le due donne intanto, prima di dirigersi verso la biblioteca che si trovava al primo piano, aprirono tutte le finestre e le porte. Non appena il casale fu pervaso dal soffio del vento caldo, Elena e Arianna si recarono in biblioteca. Attaccarono due computer a una presa vicino a una finestra e li collocarono su un tavolo di mogano. L’arredamento era quello di un’abitazione dismessa da tempo: pochi mobili, superstiti di fasti pregressi, disseminati qua e là sopportavano il peso della polvere che si andava accumulando dai giorni dell’abbandono.

    Le due giovani estrassero due cartelle voluminose e le poggiarono sul tavolo, sollevando un nuvolone di polvere che le fece starnutire più volte.

    Fuori, intanto, Giulio si era accomodato sulla sdraio a fettucce di plastica poggiando in terra un quotidiano, una rivista di modellismo ferroviario e una di enigmistica. Si beò per un attimo del paesaggio e della brezza tiepida che gli scompigliava i capelli già scarmigliati di loro. Di fronte si apriva un panorama sereno e pregno dei colori accesi di un giugno festoso. Filari di piante di nocciolo, grano ondeggiante, un mare verde di granoturco, una boscaglia, una radura, un casolare lontano e solitario sul limite dell’orizzonte.

    Erano passate due ore circa e il sole era alto sul mezzogiorno, l’aria si faceva sempre più calda. Le due ragazze lavoravano alacremente volteggiando veloci tra pile di libri e scatoloni colmi di testi da catalogare.

    «Ho lasciato la borsa giù di sotto», disse Arianna all’amica. «Scendo a prenderla, ho il telefono dentro».

    Giulio stava leggendo il giornale sorreggendolo con mani sempre più tremolanti. Percepiva le palpebre più pesanti, il respiro più lento. Stava scivolando, poco a poco, dal torpore che conduce al sonno quando un grido lo fece sobbalzare. Si sollevò dallo schienale afferrando i braccioli della sdraio con i pugni stretti. Impiegò qualche secondo per recuperare l’orientamento spazio-temporale. Scagliò il giornale a terra, si stropicciò gli occhi e schizzò in piedi. Si precipitò verso il portone urlando: «Elena!».

    Con un balzo varcò l’uscio e corse verso il primo corridoio sulla sinistra. Dalle scale proveniva uno scalpiccio concitato, Elena si stava scaraventando giù dal piano superiore. Sul limitare dell’uscio che dal corridoio si apriva sul primo salone, Arianna stava inginocchiata, con il busto piegato in avanti e la testa tra le mani.

    «Arianna!», esclamò Giulio inchinandosi accanto all’amica e poggiandole le mani sulle spalle.

    «Dio mio!», Elena li aveva raggiunti quasi subito. «Arianna, cosa è successo?».

    La giovane finalmente sollevò la testa e si guardò attorno con un’espressione frastornata. Respirava affannosamente.

    «Arianna, maledizione, cos’è accaduto?», insistette Giulio. «Sei caduta? Sei ferita?».

    La ragazza fu aiutata a rialzarsi.

    «Mi hanno… mi hanno aggredita», balbettò.

    «Aggredita?», esclamarono all’unisono gli altri due. «Chi?… Come è successo?».

    La ragazza appariva estremamente agitata.

    «Calmati ora», fece Elena. «Prendi fiato. Vado su a prendere il thermos con l’acqua fresca». Così dicendo corse al piano superiore.

    «Dimmi Ari», chiese Giulio, «ti hanno colpita? Stai bene ora?».

    La ragazza, che si era calmata, fece di sì con il capo. Elena nel frattempo era riscesa con il thermos e un bicchiere colmo di acqua.

    «La borsa… la borsa», cominciò a spiegare Arianna dopo aver bevuto. «L’avevo lasciata qui al pianterreno appena siamo entrati. Quando siamo salite su in biblioteca mi sono accorta di non avere lo smartphone. Sono entrata nel salone, avevo lasciato la borsa lì», così dicendo indicò un tavolo, «quando l’ho aperta ho avuto subito la sensazione che le cose dentro fossero un po’ mescolate, come se qualcuno vi avesse frugato. Non ho dato tanto importanza alla cosa, comunque, il portafoglio c’era e il telefono l’ho trovato quasi subito».

    «E poi?», fece Elena.

    «Ero arrivata qui sull’uscio quando mi è parso di sentire uno scalpiccio dietro di me. Pensavo fossi tu, Giulio. Ti ho anche chiamato. Mi sono voltata, ma non ho visto nessuno. Stavo andando verso le scale quando ho percepito di nuovo un movimento. Così sono tornata un’altra volta verso il salone. Ho chiesto a voce più alta: Sei tu Giulio?. Nessuna risposta. Ho cominciato allora a provare un po’ di tensione. Ho perlustrato ancora con lo sguardo la stanza. Non c’era nessuno, o perlomeno così mi è parso. Mi sono ridiretta verso le scale quando… quando… Dio mio, è stato terribile».

    «Cosa è successo?», incalzò Giulio.

    «Sono stata afferrata da dietro. Una stretta poderosa di un braccio mi ha bloccato prendendomi per il collo, mentre un’altra mano mi ha tappato la bocca. Ho provato a divincolarmi, ma l’uomo era molto forte».

    «Pensi che fosse un uomo, allora?»

    «A meno che non fosse una lottatrice ucraina sì, penso proprio di sì. Ho provato a liberarmi con tutte le mie energie anche se ero terrorizzata. Dopo un po’ che mi dimenavo la mano dell’aggressore si è spostata leggermente dalla bocca. Ho cercato di gridare allora, con tutto il fiato che avevo in corpo. Ma quello ha stretto ancora di più e mi ha strattonata all’indietro, mi è uscito solo un mezzo grido strozzato. Poi mi sono sentita puntare due pugni dietro la schiena e ho ricevuto uno spintone che mi ha fatto ruzzolare in avanti per qualche metro. Sono caduta e ho battuto le ginocchia in terra. Ho tentato di rialzarmi ma ho ricevuto un’altra spinta, ancora più violenta, da dietro. A quel punto ho urlato forte, poi… non ho capito più niente. Ricordo solo una sagoma scura, massiccia che correva verso la finestra in fondo al corridoio. Alle fine siete arrivati voi».

    Giulio guardò in fondo verso la finestra menzionata. «È saltato giù da lì. Siamo al pianterreno ed è anche probabile che dallo stesso punto sia entrato, le finestre sono tutte aperte. Dall’ingresso principale l’avrei potuto vedere io».

    Elena abbracciò la sua amica cercando di confortarla. «Calmati. È tutto finito ora. Sei sicura di non esserti fatta male? Vuoi che andiamo a un pronto soccorso?».

    La ragazza scosse il capo, poi si strinse ancora più stretta all’amica.

    Arianna era una ragazza dalla corporatura minuta, un viso assai grazioso e nel contempo impertinente. Un manto di capelli rosso tiziano le fluiva sulle spalle. Così impaurita e frastornata, pur conservando quell’ombra di malizia che le caratterizzava sempre lo sguardo, appariva come un pettirosso smarrito tra le braccia di Elena.

    «Un ladro?», chiese Elena a Giulio mentre con una mano carezzava il capo della sua amica.

    «Mah, un ladro…», ripeté lui con tono dubbioso. «La casa è semivuota, i mobili rimasti non peseranno meno di due quintali l’uno, quadri non ce ne sono. I libri poi… raramente sono oggetto di furti. No, non riesco proprio a immaginare niente del genere».

    «Be’, un balordo che magari passava qui per caso. Ha visto una dimora nobiliare aperta e avrà pensato che poteva sottrarre qualcosa di valore. Poi, però, ha incontrato Ari ed è finita come sappiamo».

    «È un posto completamente isolato questo. Mi sembra strano che un malvivente passasse di qui casualmente, e per giunta adesso. Non si può escludere completamente, ma non mi sembra così probabile».

    «E allora?»

    «E allora, niente», disse Giulio allargando le braccia. «Dovremmo denunciare il fatto ma non so quanto ne valga la pena».

    «Allora Ari, come ti senti?», chiese Elena con tono premuroso.

    La giovane indugiò qualche secondo prima di rispondere. «Sto bene… sto bene».

    «Be’», fece Salviati, «chiudiamo tutto. Voi sistemate i volumi, vi aiuto io. Per oggi finisce così, non è il caso di continuare. Appena siamo a Roma avvertiamo Piermarini. Per il resto si vedrà».

    CAPITOLO 2

    Riaccompagnata Arianna a casa dove viveva con la madre, Giulio ed Elena si fermarono a casa di lui.

    «Piermarini risulta irrintracciabile. L’ho chiamato a tutti i recapiti, non risponde neanche a uno», esordì Elena.

    «Un messaggio?»

    «Gliene ho mandati tre, non ha risposto a nessuno».

    «Forse è fuori Italia».

    «Sa che stiamo lavorando per lui, vuoi che non abbia previsto un modo per rendersi reperibile?»

    «Be’, in effetti è strano. Quando l’hai sentito l’ultima volta?»

    «Una settimana fa, circa. La sera dopo che siamo stati per la prima volta a casa sua, l’ho informato della nostra prima giornata di lavoro».

    «E non ti ha detto nulla di quello che avrebbe fatto di lì a poco».

    «Certo che no».

    «Uhm… strano, strano veramente».

    Giulio si sollevò dal divanetto dove erano seduti e si diresse verso il computer. Si sedette e digitò qualcosa sulla tastiera.

    «Cosa cerchi?» chiese lei.

    «Qualcosa su Piermarini».

    «Te lo dico io. È stato ordinario di Filologia germanica per molti anni all’università di Torino e Roma. Ha un profondo interesse e competenza per la Storia dell’arte e i culti misterici della Grecia antica. Una moglie, da cui è divorziato, e due figli che ovviamente non vivono con lui. Ti può bastare?»

    «Perfetto», fece Giulio cliccando sul mouse per spegnere il video. «Cercheremo la moglie allora».

    «Ma sono divorziati».

    «E con questo? Si sono lasciati in maniera talmente brutale da non sapere più niente l’uno dell’altro?»

    «No… non so. Non credo».

    «Ascolta Elena. C’è un’altra cosa che voglio fare».

    La ragazza lo guardò interdetta.

    «Domani voglio tornare al casale di Piermarini».

    Elena strabuzzò gli occhi. «Ma… potrebbe essere pericoloso. Proprio oggi è…».

    «Proprio perché è accaduto oggi, non succederà niente domani. Alla tesi del ladro occasionale non ci credo. Chi è venuto, cercava qualcosa in particolare, poi però si è reso conto che eravamo in tre. Puoi stare tranquilla che nessuno si avvicinerà alla villa».

    «Ma…».

    «Se vuoi rimanere qui, non posso certo obbligarti. Diciamo però che mi saresti di enorme aiuto».

    Sul viso di Elena si dipinse la consueta espressione di santa rassegnazione. «Va bene, va bene. È inutile cercare di convincerti. D’altronde il lavoro per Piermarini dovrò pur continuarlo. Ma cosa vorresti cercare con esattezza?»

    «Lo scoprirò ispezionando meglio la casa. Qualcosa ci deve pur essere».

    L’auto slittò sul piazzale sterrato di fronte al casale, sollevando, come al solito, un nuvolone di polvere, che quasi oscurava la vista della facciata. Salviati, con un ricco mazzo di chiavi che tintinnava tra le mani, si avvicinò per primo al portone. Infilò una chiave nella toppa, girò, lo spalancò ed entrò insieme alla ragazza.

    Prima di entrare nel vasto salone della biblioteca al primo piano, Elena e Giulio, però, perlustrarono in maniera approssimativa tutte le stanze dell’edificio.

    «Niente di particolare», fece Giulio prima d’entrare in biblioteca. «Pochi mobili che prima o poi si schianteranno sotto il peso della polvere, un paio, tre quadri… o meglio, croste d’autori sconosciuti, qualche oggetto in ferro battuto sparso qua e là e niente più. Se ci fosse qualche nascondiglio, passaggio segreto, questo ce lo potrebbe dire solo Piermarini».

    I due spalancarono le ampie finestre della biblioteca e iniziarono a guardarsi intorno.

    «Da dove cominciamo?», fece Elena voltandosi su sé stessa.

    «Come avete diviso le operazioni di schedatura?»

    «Quello scaffale lì», rispose lei indicandolo, «contiene i testi già catalogati. Vedi? Hanno la stampigliatura sul dorso e i titoli sono stati già inseriti nel computer. Il resto è da fare».

    Giulio si poggiò l’indice sul mento e cominciò a scrutare tutta la distesa di libri.

    «Cosa vuoi fare? Non sappiamo cosa stiamo cercando. Vuoi passare in rassegna tutti i titoli? Sai quanti sono?»

    «Piermarini si fida completamente di te e Arianna, no? Se ci fosse, che so io, un gioiello prezioso dietro una parete ve lo avrebbe detto. E poi perché tenere una cosa di valore in una casa disabitata? Quello che l’intruso cercava potrebbe essere nella libreria».

    «Ma come facciamo a capirlo?», chiese Elena con tono quasi implorante.

    «Vediamo intanto cosa c’è dietro le file di libri, potrebbe essere un buon punto di partenza».

    Con pazienza i due iniziarono a spostare blocchi di volumi sugli scaffali guardando attentamente ogni volta se la fila spostata nascondesse qualcosa.

    Lavorarono per quasi mezz’ora, mangiando e respirando una consistente quantità di polvere. Dietro i volumi non c’erano altro che le pareti di legno della gigantesca libreria. Le due ragazze, in assenza d’impedimenti avrebbero impiegato non meno di due mesi per la catalogazione.

    «Qui non ne usciamo vivi», disse Elena asciugandosi con il braccio il sudore della fronte.

    «Prima della vostra schedatura», disse Giulio, «i libri stavano… o meglio, questi qui, ora, stanno ordinati secondo un criterio?»

    «Molto parziale. A volte si trova una fila intera di testi di etica o filosofia presocratica, altre volte abbiamo trovato, per esempio, un libro sulle armature medievali vicino a uno sui motori a scoppio e ad altri di botanica. Guarda qui, per esempio, un manuale di enigmistica moderna del 2007 con questo testo inglese dei primi del Novecento. Buffo infatti, testi moderni, a parte questo, non ne abbiamo mai tro-

    vati».

    Giulio interruppe il suo lavoro e rimase, per un attimo, con le mani appese alla pila di libri che stava spostando e il viso perplesso. «Un manuale moderno di enigmistica?»

    «Sì, lo trovi strano?»

    «Posso vederlo?», chiese lui scendendo da una specie di sgabello che gli consentiva l’accesso agli scaffali superiori.

    «T’interessa l’enigmistica?»

    «No, sono curioso di sapere, però, come esce un testo di questo genere in una libreria di volumi per lo più antiquari. È rilegato?»

    «No, eccolo qui. Come appena uscito da uno store», così dicendo Elena glielo porse.

    Giulio prima se lo rigirò tra le mani, poi diede una rapida sbirciata a qualche pagina.

    «Fammi vedere cosa c’è vicino nello stesso scomparto».

    «Prego».

    Giulio si piegò verso il buco nella serie di volumi che si era aperto sfilando il manuale d’enigmistica. Prese alcuni libri. Uno era un testo inglese dei primi del Novecento: Roger Cullinann, Famous Riddles in the History. Un altro italiano del 1894: Enigma e rompicapo nelle varie epoche. Un altro ancora in inglese del 1932: Enigmas and Conundrums.

    «Interessante», sussurrò Giulio lisciandosi il mento. Elena l’osservava incuriosita.

    «Mi passi quella sacca di tela che sta sopra la sedia?», le chiese con gentilezza.

    Lei gliela porse. Giulio afferrò la sacca e c’infilò tutti i volumi che nello scaffale trattavano di enigmi e indovinelli storici. Lei lo guardò sbalordita.

    «Ma…».

    «Tranquilla. È un prestito. Voglio guardarli con calma a casa. Glieli riporterò, non li vendo al mercatino dell’usato».

    «Perché proprio quelli?»

    «Perché in mezzo, come hai notato anche tu, c’è un manuale moderno che forse potrebbe essere lo strumento per risolvere uno degli indovinelli citati negli altri libri più vecchi».

    «E quand’anche fosse vero?»

    «Elena, continuiamo a guardare dietro tutte le file di volumi. Se non troveremo altre cose interessanti questo mi sembra l’unico punto singolare della libreria. Posso sbagliarmi, certo, ma non vedo ora altri elementi utili per capire qualcosa di più di questa storia. E poi ho come uno strano presentimento, come se la strana assenza di Piermarini e l’aggressione ad Arianna fossero collegati. Non ne sono certo, però…».

    CAPITOLO 3

    Una pioggerellina sottile e fuligginosa batteva sul litorale romano e l’aeroporto Leonardo da Vinci. Erano da poco passate le undici del mattino e il terminal B, quello dei voli europei, era gremito più che mai. Davanti al settore delle partenze si apriva una fila di negozi, l’ultimo era un grande giornalaio. Da lì uscì un uomo corpulento che trascinava un trolley, teneva un quotidiano inglese sotto un braccio e si stava dirigendo verso la toilette. A una ventina di metri di distanza qualcuno ne stava seguendo i movimenti. L’uomo con il trolley entrò nei bagni. Si chiuse nel gabinetto, poi, una volta uscito si appropinquò al lavandino. Si lavò velocemente le mani e dopo averle asciugate si rassettò la giacca. Fu in quel momento che nello specchio apparve un’immagine che lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto e fece appena in tempo a vedere l’arma minacciosa che lo stava puntando. Guardò in faccia la persona che brandiva la pistola con la lunga canna del silenziatore e un’espressione di terrore si dipinse sul suo volto. Tentò di articolare un suono con la bocca spalancata, ma solo un grido strozzato gli morì nella gola. L’arma vomitò cinque lingue di fuoco, quattro insanguinarono il petto della vittima, una lo colpì alla fronte. L’uomo crollò battendo pesantemente la testa sull’orlo del lavandino e rovinò in terra investendo il trolley che rotolò su un lato.

    Il commissario Restelli, della polizia giudiziaria di Roma, si rigirava tra le mani il passaporto della vittima. Oleg Karamzin, doppia cittadinanza: ucraina e italiana. Dietro di lui, il caposcalo dell’aeroporto di

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