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Il vestito da sposa
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E-book435 pagine5 ore

Il vestito da sposa

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Info su questo ebook

Bestseller di New York Times e USA Today

Preparatevi al giorno più bello della vostra vita

Charlotte è rimasta sola quando, a soli dodici anni, ha perso la madre. Possiede un’elegante boutique di abiti da sposa e lei stessa è in procinto di sposarsi con Tim, ma, come nelle favole, non riesce a trovare il vestito giusto, convinta che sia l’abito a scegliere la sposa e non il contrario. Un giorno, del tutto casualmente, assiste a un’asta e, nonostante sappia di non poter spendere soldi fuori budget, qualcosa dentro di lei la spinge ad acquistare un vecchio baule malconcio. Solo che Charlotte incomincia ad avere dei dubbi sul fidanzamento, a pensare che forse Tim non sia l’uomo per lei quando, durante una cena per definire i dettagli della cerimonia, il fidanzato le chiede di rimandare il matrimonio perché non si sente ancora pronto. Charlotte, che non considera sensato stare insieme senza progettare di sposarsi, decide allora di rompere con lui. Mentre cerca di farsi forza e superare il difficile momento, le torna in mente il vecchio baule, che non ha ancora aperto… Quando lo fa, scopre che dentro, in ottime condizioni, è conservato un abito da sposa antico, scintillante di perle e raso, con delle iniziali cucite a mano. Ma da dove viene? Chi lo avrà indossato? Un piccolo indizio scatena la curiosità di Charlotte, che si mette a fare ricerche sulla sua proprietaria, senza immaginare quanto le storie legate a quel vestito coinvolgano il suo stesso destino…

Un successo internazionale pubblicato in 12 Paesi
Migliaia di recensioni a cinque stelle

Romantico, avvolgente e misterioso, come un velo di tulle

«La storia di quattro donne adorabili, miracolosamente legate da un abito, le cui vite si muovono lungo un secolo... un romanzo bello da togliere il fiato.» 

«Rachel Hauck riesce nel difficile intento di mescolare il romanzo storico alla narrativa moderna e a un pizzico di suspense, con una lingua così bella che avrei voluto che il libro non finisse mai. Una di quelle storie che si vorrebbe fosse vera, così avvincente che desideri averne fatto parte.»

«Una bellissima storia su un vestito che unisce i destini di quattro donne, la fede e l’amore indissolubile. Consigliato ai cuori romantici.»
Rachel Hauck
Seconda di cinque figli, è cresciuta in diversi luoghi come Ohio, Oklahoma, Kentucky e Florida. Scrittrice pluripremiata, è autrice di numerosi bestseller. Il vestito da sposa è stato nominato Inspirational Novel of the Year dal Romantic Times. Vive in Florida con il marito e due cani e scrive nella sua torre d’avorio.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2017
ISBN9788822704979
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    Anteprima del libro

    Il vestito da sposa - Rachel Hauck

    1482

    Titolo originale: The Wedding Dress

    Copyright © 2012 by Rachel Hauck

    All rights reserved

    Published by arrangement with Thomas Nelson, a division of HarperCollins Christian Publishing, Inc.

    Traduzione dall’inglese di Tiziana Sterza e Daniela Palmerini

    Prima edizione ebook: marzo 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0497-9

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Rachel Hauck

    Il vestito da sposa

    Newton Compton editori

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Nota dell’autrice

    Ringraziamenti

    A Gesù, lo sposo glorioso

    Capitolo uno

    Charlotte

    14 aprile

    Er

    a stato il vento, lo spostamento dei fili nella trama dell’invisibile, a spingerla a sollevare lo sguardo e a camminare attorno a un gruppo di faggi che gettavano un’ombra fitta tutt’intorno. Charlotte si fermò sul verde ben curato della tenuta dei Ludlow per respirare a fondo l’aria pura e osservare il volto della natura: il cielo blu, gli alberi in fiore, la luce del sole che si rifrangeva sul parabrezza dell’auto parcheggiata.

    Quella mattina si era svegliata con il bisogno di pensare, di pregare, di avvicinarsi al cielo. Aveva preso con sé il suo paio di pantaloncini preferiti e con l’auto aveva raggiunto il crinale della montagna.

    Al posto della solitudine, però, Charlotte aveva trovato il suo rifugio sulla Red Mountain pieno zeppo di compratori, di semplici curiosi e di gente a caccia di occasioni. L’annuale asta di antiquariato dei Ludlow, indetta per raccogliere fondi in favore dei poveri, era in pieno svolgimento sugli splendidi prati della proprietà.

    Charlotte sollevò gli occhiali sulla testa, seccata per quell’intrusione. Questo era il suo santuario personale, anche se il resto del mondo non lo sapeva. Sua mamma l’aveva portata qui molte volte per fare un picnic; parcheggiava l’auto su un vialetto ghiaioso e guidava Charlotte di soppiatto lungo il perimetro della tenuta dei Ludlow, ridendo e bisbigliando «Shh», come se madre e figlia stessero facendo una cosa irresistibile e proibita, riuscendo però a farla franca.

    Trovava sempre un posticino al di là del pendio, stendeva una coperta, apriva un secchiello di pollo o un sacchetto del McDonald’s e sospirava facendo spaziare lo sguardo sulla vallata, fino alla Città Magica. «Non è stupendo?»

    «Sì», diceva sempre Charlotte, ma i suoi occhi erano fissi su sua madre, non sulle luci di Birmingham. Lei era la donna più bella che Charlotte avesse mai visto. Erano trascorsi quasi diciotto anni dalla sua morte, eppure restava la donna più bella che Charlotte avesse mai visto. Sua madre aveva un modo tutto suo di essere, semplicemente, ma era morta prima che riuscisse a trasmettere quel dono a Charlotte.

    Grida improvvise invasero il momento commemorativo di Charlotte. Offerenti e acquirenti si spostavano dentro e fuori il tendone dell’asta, disposto lungo il prato laterale.

    Con una mano davanti agli occhi per ripararsi dai raggi obliqui del sole, Charlotte indugiava in mezzo all’erba, esposta alle raffiche di vento, intenta a osservare e decidere cosa fare. Tornare a casa o camminare per i prati? Lei non aveva bisogno di nulla di quello che poteva trovarsi sotto il tendone, né voleva nulla. E anche se lo avesse voluto, non avrebbe avuto i soldi per comprarlo.

    Ciò di cui aveva bisogno era riflettere – pregare – sulle recenti tensioni con la famiglia di Tim. Con sua cognata Katherine, in particolare. Tutto quel guazzabuglio la spingeva a riconsiderare il passo che stava per compiere.

    Quando Charlotte si voltò verso la macchina, il vento la investì di nuovo. Gettò lo sguardo dietro di sé. Attraverso gli alberi e oltre il tendone, le finestre al secondo piano della tenuta in pietra e vetro dei Ludlow luccicavano nella luce dorata del mattino, dando l’impressione che stessero vigilando su ciò che si svolgeva sui prati.

    Poi il vento sospinse la luce, un’ombra oscurò la finestra e la casa sembrò strizzarle l’occhio. Vieni a vedere…

    «Salve». Una voce di donna dal tono imperioso la fece voltare. «Non stai già andando via, vero?». La donna arrancava lungo il pendio del giardino con una scatola in mano.

    Charlotte la riconobbe. Non dalla voce né dal viso, ma dall’aura. Una delle tipiche donne del Sud che popolavano Birmingham. Di quelle con la pelle effetto rugiada, i calzoni perfettamente stirati, un top di cotone e al collo una fila di perle di modesto valore. Si fermò accanto a Charlotte, ansimante.

    «Non sei neppure venuta al tendone dell’asta. Ho visto che ti avvicinavi, tesoro. Forza, vieni, abbiamo messo all’asta dei bellissimi oggetti. È la prima volta che vieni qui?». Scavò nella scatola e ne estrasse un catalogo. «Sono dovuta correre alla macchina per prenderne ancora. Abbiamo molto, molto da fare quest’anno. Be’, puoi vederlo tu stessa dalla quantità di auto. Tieni a mente che tutti gli incassi vanno alla Fondazione Ludlow. Doniamo milioni in assegni e borse di studio in giro per la città».

    «È da parecchio che ammiro la fondazione». Charlotte sfogliò il catalogo.

    «Sono Cleo Favorite, presidentessa della Fondazione Ludlow». Porse la mano a Charlotte. «Tu sei Charlotte Malone».

    Charlotte studiò Cleo per un istante, stringendo lentamente la mano della donna. «Dovrebbe impressionarmi il fatto che lei mi conosca o che sia corsa dietro alla mia auto gridando?».

    Cleo sorrise. I suoi denti facevano il paio con le perle. «Mia nipote si è sposata l’anno scorso».

    «Capisco. Ha comprato il vestito nel mio negozio?»

    «Sì, e per un po’ ho creduto che fosse più eccitata all’idea di lavorare con te piuttosto che di sposare il suo fidanzato. Un bel giro d’affari, il tuo».

    «Sono stata molto fortunata». Più di quanto possa sognare una ragazza povera e orfana. «Chi è sua nipote?»

    «Elizabeth Gunter. Ha sposato Dylan Huntington». Cleo si incamminò verso il tendone. Charlotte la seguì per non essere scortese.

    «Certo, mi ricordo di Elizabeth. Era una sposa bellissima».

    «E voleva che tutto il mondo lo sapesse». Cleo rise fendendo il vento con la mano. «Per un pelo non ha spedito mio fratello al ricovero per i senzatetto. Ma ci si sposa una volta sola, giusto?»

    «Mi pare di capire che è così». Con il pollice Charlotte toccò la fascia di metallo dell’anello di fidanzamento – il motivo per cui quel giorno era arrivata fin lì. Si fermò all’estremità del tendone.

    «Allora, Charlotte, stai cercando un articolo in particolare? Qualcosa per il tuo negozio?». Cleo lasciò cadere la scatola con i cataloghi su un tavolo e si diresse verso la corsia principale, come se si aspettasse che Charlotte la seguisse. «Abbiamo degli splendidi guardaroba in vendita. Il catalogo ti dice il numero del lotto, quando e dove devi presentarti per fare l’offerta. Abbiamo notato che in questo modo era più facile… be’, non ha molta importanza. È un’asta grandiosa e tutto fila liscio. Dimmi, cosa stai cercando?». Cleo piegò la testa da un lato e intrecciò le mani all’altezza dei fianchi.

    Charlotte si spostò sotto l’ombra del tendone. «A dire il vero, Cleo – sono venuta qui per pensare – il mio negozio di abiti da sposa è rigorosamente in stile contemporaneo». Charlotte arrotolò il catalogo in una mano. «Ma credo che curiosare sia sempre divertente». Poteva benissimo percorrere le corsie per abbandonarsi ai pensieri e alla preghiera, giusto?

    «Certo. Troverai per forza qualcosa che ti piace… curiosando». Cleo strizzò l’occhio. «Funziona meglio se ti fai coraggio e ti concedi di spendere un po’ dei soldi che hai faticosamente guadagnato».

    «Lo terrò a mente».

    Cleo si allontanò e Charlotte inforcò una corsia laterale per passeggiare, esaminando i pezzi lungo il percorso, come se la risposta che desiderava potesse nascondersi tra vecchi oggetti e pezzi di antiquariato.

    Magari avrebbe sentito Lui è quello giusto passando accanto a una credenza del ventesimo secolo o a un guardaroba del diciannovesimo.

    Ma era probabile che non l’avrebbe sentito. Non le accadeva spesso che le risposte saltassero fuori dal mondo degli spiriti. O che le cadessero in testa all’improvviso. Doveva lavorare sodo per ottenere le risposte fondamentali per la sua vita. Si rimboccava le maniche, prendeva in esame la situazione, calcolava i costi e poi decideva. Diversamente, non avrebbe mai aperto la Malone & Co.

    Charlotte si fermò di fronte a un tavolo da ingresso di legno scuro e fece correre le dita sulla superficie. Gert ne aveva uno uguale all’ingresso di casa sua. Si domandò cosa ne fosse mai stato di quel tavolo. Charlotte si chinò per vedere se fosse marcato sul retro con il contrassegno magico di colore rosso.

    Non lo era. Charlotte passò oltre. Quello non era il tavolo di Gert. Accidenti, aveva dato di matto quando aveva scoperto che sua nipote si era scatenata con quella penna rossa.

    Quando raggiunse il termine della corsia, Charlotte si arrestò sospirando. Avrebbe fatto bene a tornare in città. Anche se, a dire il vero, all’appuntamento dal parrucchiere mancava ancora una manciata di ore.

    Decise, invece, di infilare la corsia successiva, lasciando che i suoi pensieri vagassero fino a Tim e alla battaglia che il suo cuore stava ingaggiando.

    Fino a quattro mesi prima la sua vita scorreva placida. Una vita regolare, prevedibile, rassicurante, ordinaria, certo. Poi l’imprenditore che aveva ristrutturato il suo negozio era riuscito a convincerla, per sfinimento, ad accettare il suo invito alla cena di Natale. L’aveva fatta sedere accanto a Tim Rose cambiando la vita di Charlotte.

    Un banale, consunto scrittoio con alzata a scomparsa attirò la sua attenzione. Charlotte si fermò e ne accarezzò la superficie. Se le sue venature potessero parlare, quali storie racconterebbero?

    Quella di un marito intento a far quadrare il bilancio famigliare? O quella di un bambino impegnato a risolvere un problema assegnato come compito per casa? O ancora, quella di una madre che scrive una lettera ai parenti tornati a casa?

    Quanti uomini e quante donne sono stati seduti a questo tavolo? Uno oppure centinaia? Quali speranze e quali sogni nutrivano?

    Un mobile sopravvissuto al tempo. Era quello che lei voleva? Sopravvivere, essere parte di qualcosa di importante?

    Voleva sentire di appartenere alla famiglia Rose. Katherine di certo non faceva sentire Charlotte parte integrante del repertorio di affabili fratelli e sorelle, zie, zii, cugini e amici di una vita.

    Al loro primo appuntamento, quando Tim aveva detto a Charlotte di avere quattro fratelli, lei non era neppure riuscita a immaginare che cosa volesse dire. Le era parso elettrizzante. Lo aveva tempestato di domande. Charlotte aveva avuto solo la mamma. Poi la vecchia Gert, quando sua madre era morta.

    Non aveva mai vissuto con un fratello o una sorella, figuriamoci con quattro. Figuriamoci con un ragazzo.

    Era stato questo a spingerla ad accettare la proposta di matrimonio di Tim Rose dopo due mesi? Fascinazione? Al momento non era certa che la ragione fosse l’amore. Non era neppure certa che avesse a che fare con il desiderio di entrare a far parte di una grande famiglia.

    Charlotte diede una rapida occhiata all’anello di fidanzamento su cui svettava un diamante da un carato incastonato in un ricamo di filigrana in platino che era appartenuto alla nonna di Tim.

    Ma l’anello non aveva risposte. Lei non aveva risposte.

    «Charlotte Malone?». Una donna rotondetta, di gradevole aspetto, le rivolse la parola dall’altra parte di un tavolo da pranzo. «Ho letto di te in Matrimoni del Sud. Sei uguale alla foto».

    «Spero che sia una cosa positiva», Charlotte sorrise.

    «Oh, certo. Il tuo negozio sembra magico. Mi fa venire voglia di sposarmi ancora».

    «Quel pezzo è stato un colpo di fortuna». La chiamata dell’editore, quella primavera, era stata l’ultima di una serie di fortunate coincidenze che avevano spinto le cose per il verso giusto, nella vita di Charlotte.

    «Sono sposata da trentadue anni e leggo Matrimoni del Sud quasi con la stessa devozione con cui leggo la Bibbia. Adoro i matrimoni, tu no?»

    «Di certo adoro i vestiti da sposa», rispose Charlotte.

    «Lo credo bene». La risata della donna restò sospesa nell’aria mentre salutava e riprendeva a camminare, sfiorando delicatamente il braccio di Charlotte al suo passaggio.

    Adorava per davvero i vestiti da sposa. Sin da quando era ragazza, il satin e la lucentezza degli abiti bianchi la mandavano letteralmente in estasi. Amava il modo in cui il viso della sposa si trasformava scivolando nell’abito perfetto, il modo in cui speranze e sogni si dipingevano nei suoi occhi.

    A dire il vero, lei stessa era in procinto di subire la sua trasformazione, di scivolare nell’abito perfetto, con speranze e sogni dipinti negli occhi.

    Allora qual era il problema? Perché quelle resistenze? Aveva esaminato ben quindici vestiti, senza provarne nemmeno uno. Il ventitré di giugno sarebbe arrivato prima che avesse il tempo di rendersene conto.

    Nel febbraio dell’anno prima, stava tirando la cinghia per sopravvivere: era stata costretta a investire tutto il capitale nell’acquisto delle scorte di magazzino e nel tentativo di tenere insieme i pezzi del suo fatiscente negozio – un cottage a Mountain Brook.

    Poi un assegno bancario anonimo del valore di centomila dollari era finito sul suo conto. Dopo settimane di euforia mista a panico, in cui si era data da fare per scoprire chi le avesse donato una cifra così esorbitante, Charlotte aveva accettato la donazione e alla fine – ma solo alla fine – aveva ristrutturato il negozio. E tutto era cambiato.

    Tawny Boswell, Miss Alabama, era diventata sua cliente, facendole guadagnare visibilità. La rivista «Matrimoni del Sud» l’aveva contattata. Poi, quasi fosse una ciliegina sulla torta di quell’anno straordinario, Charlotte aveva partecipato alla cena di Natale seduta accanto a un uomo affascinante che aveva incantato tutti i presenti nella sala. Non aveva ancora ultimato la prima portata, una zuppa di ostriche, che Tim Rose aveva catturato anche il suo, di cuore.

    Ripensando al bacio delicato del destino, la sua anima fu scossa da un brivido, mentre il vento che sferzava la cima della montagna la colpiva alle gambe. Era profumo di pioggia quello che sentiva nell’aria? Charlotte cacciò la testa fuori dal tendone, ma non vide nulla, eccetto uno splendido sole incastonato in un cielo blu cristallino. Nessuna nuvola color vaniglia in vista.

    Stava infilando la corsia successiva, quando il telefono ronzò da dentro la tasca. Dixie.

    «Ciao, Dix, tutto bene al negozio?»

    «Tutto tranquillo. Ma ha chiamato Tawny. Vuole vederti domani alle tre».

    Di domenica? «È tutto a posto? Ti è sembrato che stesse bene? Voglio dire… ti è parso che fosse ancora soddisfatta di noi?». Charlotte aveva trascorso mesi cercando di trovare l’abito perfetto per Miss Alabama, restando sveglia di notte a sussurrare al Dio dell’amore di aiutarla a realizzare i sogni di Tawny.

    Poi aveva scoperto un nuovo stilista con un piccolo studio fuori Parigi e Charlotte si era resa conto all’istante di aver trovato un fornitore di seta bianca ricamata in oro che faceva al caso suo. «Richiamala e dille che per domani va bene. Abbiamo cracker e formaggio nel frigo bar? Caffè, tè, acqua e bevande?»

    «Abbiamo una bella scorta. Tawny sembrava entusiasta, perciò non credo che abbia intenzione di dirti che sceglierà un altro negozio».

    «Da quanto tempo io e te collaboriamo nel settore degli abiti da sposa, Dix?»

    «Da cinque anni, da quando hai aperto questo posto». Dix, sempre pragmatica e calma.

    «E quante volte abbiamo perso un cliente all’ultimo momento?». Persino dopo ore infinite trascorse a passare al setaccio gli stilisti per trovare l’abito perfetto.

    «Allora brancolavamo nel buio. Adesso siamo esperte del settore», disse Dix.

    «Sai bene che questo non c’entra affatto con noi due. Ascolta, chiamo Tawny e le dico che saremmo felici di vederla domani».

    «Gliel’ho già detto. Non pensava che tu volessi darle buca». La voce di Dixie era una sferzata di fiducia. Un dono del cielo. Travi di sostegno su cui poggiavano i sogni di Charlotte. «Comunque, dove sei, Char?»

    «Sulla Red Mountain. Alla proprietà dei Ludlow. Sono salita fin qui per pensare, ma mi sono imbattuta nella folla che si era radunata per l’asta annuale. Mentre parliamo sto gironzolando tra le antichità».

    «Persone o oggetti?».

    Charlotte sogghignò, passando in rassegna le teste grigie che spiccavano tra le corsie. «Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro». Si fermò di fronte a una vetrinetta chiusa a chiave che custodiva dei gioielli. I pezzi unici erano gli accessori perfetti per le sue spose. Charlotte teneva una scorta di collane, orecchini, braccialetti e diademi unici nel loro genere. Erano le piccole cose che concorrevano a decretare il suo successo.

    «Parlando di matrimoni…», disse Dixie sommessamente, con lentezza studiata.

    «Ne stavamo parlando?»

    «Non lo facciamo sempre? Gli inviti per il tuo matrimonio sono ancora sul tavolo del magazzino, Charlotte. Vuoi che li porti a casa io stasera?». Dix e suo marito Jared, il dottor Perfetto, come lo chiamava lei, vivevano in un loft a Homewood, accanto a Charlotte.

    «Aspetta… sul serio? Sono ancora sul tavolo del magazzino? Pensavo di averli portati a casa».

    «Se lo hai fatto, sono tornati indietro».

    «Ah, ah, sei spiritosa, Dixie. Sì, certo, portali a casa. Posso lavorarci domani dopo la funzione. Ho bisogno di controllare se la signora Rose ha stilato una lista degli invitati per la famiglia di Tim…».

    «Devi incontrare Tawny alle tre».

    «Giusto, okay, dopo l’appuntamento con lei. Oppure posso lavorarci lunedì sera. Non penso di avere niente lunedì sera».

    «Charlotte, posso chiederti una cosa?»

    «No…».

    «Ti sposi tra due mesi e…».

    «Ho avuto solo molti impegni, Dixie, ecco tutto». Charlotte sapeva dove voleva andare a parare la sua amica con quella domanda. Per settimane Charlotte si era fatta le stesse domande, ed era stato il bisogno di ottenere delle risposte a portarla in cima alla montagna quel giorno. «C’è tempo».

    «Ma sta per esaurirsi».

    Lo sapeva. Lo sapeva. «Avremmo dovuto fissare la data del matrimonio in autunno. Fidanzamento rapido, matrimonio in tempi record… mi sta facendo girare come una trottola».

    «Tim è un uomo stupendo, Charlotte».

    Lo sapeva. Lo sapeva. Ma ai suoi occhi lo era davvero? «Senti, è meglio che vada. Ho solo pochi minuti per scendere giù dalla montagna, così posso andare dal parrucchiere. Ti chiamo dopo».

    «Divertiti stasera, Charlotte. Non permettere a Katherine di darti sui nervi. Dille di levarsi di torno. Devi solo essere lì con Tim. Ricorda prima di tutto perché ti sei innamorata».

    «Ci proverò». Charlotte riattaccò, con i consigli di Dixie che prendevano posto tra i suoi pensieri. Ricorda prima di tutto perché ti sei innamorata.

    Era stato tutto batticuori e romanticismo. Non era certa di saper identificare una ragione vera, consistente, al di fuori di quel turbinio. Mentre percorreva la corsia diretta all’uscita, Charlotte si ritrovò sospinta da un lato da una folla che si stava radunando.

    Sorrise all’uomo di fronte a sé e cercò di aggirarlo. «Mi scusi». Il tizio non accennò a muoversi. Se ne stava ben piantato al suo posto aguzzando la vista sull’oggetto che stava per essere battuto all’asta.

    «Mi scusi, se mi fa passare, mi tolgo di mezzo. Ha intenzione di presentare un’offerta per quel…», Charlotte guardò da sopra una spalla, «…baule?». Quell’orrendo baule?

    «Gli offerenti si riuniscano qui». Il banditore saltò sulla pedana accanto al baule. Una folla di quindici o venti persone avanzò di slancio, trascinando Charlotte con sé. Lei incespicò all’indietro, perdendo una scarpa. «Stiamo per dare inizio all’asta».

    Charlotte frugò in giro alla ricerca della scarpa, ma poi decise di aspettare. Gli offerenti per quell’oggetto sembravano determinati. Quanto poteva durare un’asta? Dieci minuti? Magari sarebbe stato divertente seguirne da vicino il procedimento.

    Venti dollari. Il baule non sembrava valerne di più. Charlotte si guardò intorno per intercettare quello che pensava fosse disposto a buttare via dei soldi per una stupida, malconcia scatola di legno piena di segnacci, completa di cinghie in pelle logore e crepate.

    Il banditore era un uomo privo del benché minimo elemento distintivo. Altezza e peso nella media. Capelli che forse una volta erano stati marroni, ma che adesso erano… grigi? Cenere?

    Indossava, però, una maglia di color viola acceso infilata in un paio di pantaloni grigio antracite sostenuti da due bretelle in cuoio. Saltava sulle pedane con le sue linde Nike bianche da corsa ai piedi.

    Charlotte fece una smorfia compiaciuta. Le piaceva quel tizio, anche se quando la guardò, il bagliore azzurrognolo che sprigionava dai suoi occhi le fece ribollire il sangue. Arretrò di un passo, restando comunque accerchiata.

    «Questo è il lotto numero zero», disse il banditore, e la sua voce baritonale affondò in Charlotte come una perla calda.

    Lotto numero zero? Fece scorrere le pagine del catalogo. Non c’era nessun lotto numero zero. Fece un controllo incrociato con la lista degli articoli sul retro. Ma non c’erano bauli, né casse, né valigie e neppure bauli da viaggio sulla lista.

    «Questo articolo è stato tratto in salvo da una casa solo pochi minuti prima che venisse demolita. Il baule è stato fabbricato nel 1912», l’uomo si chinò sulla folla, «è stato fabbricato per una sposa».

    Il suo sguardo si posò su Charlotte, che balzò all’indietro facendo un sussulto. Perché stava guardando proprio lei? Nascose la mano con l’anello dietro la schiena.

    «Ha ben cento anni. Un secolo. L’allestimento e il cuoio sono originali, e l’intero pezzo è in buone condizioni, anche se la pelle si è un po’ seccata».

    «Che ne è stato della serratura?». L’uomo alla sinistra di Charlotte indicò con il catalogo arrotolato il pezzo di ottone bitorzoluto che teneva fermo il coperchio.

    «Be’, questo merita un racconto a sé. È stata saldata, vedete». Il banditore si chinò ancora di più al suo pubblico. Di nuovo, i suoi indomiti e luminosi occhi blu si fermarono su Charlotte. L’uomo corrugò le folte sopracciglia grigie. «Da una ragazza che aveva il cuore spezzato».

    Le donne del gruppo sussurrarono «Ohhh», e si disposero in modo da avere una migliore visuale del baule, mentre Charlotte faceva un altro passo indietro. Perché rivolgeva l’attenzione proprio su di lei? Portò la mano al petto, premendola sul fuoco che le crepitava tra le costole.

    «Ma per chi vuole vederlo, contiene un grande tesoro».

    Diede una scorsa alla folla, che sembrò essersi infittita, e strizzò l’occhio. Le risa resero l’atmosfera più vivace, e il banditore parve soddisfatto di essere riuscito a coinvolgere tutti.

    Okay, Charlotte aveva capito il trucco. Non c’era davvero un grande tesoro lì dentro. Il banditore voleva solo che credessero che potesse esserci. Proprio un venditore. Non c’è che dire.

    «Iniziamo l’asta da cinque», disse.

    In molti si staccarono dal gruppo, liberando Charlotte dal senso di oppressione causato dal fatto di essere accerchiata. Le sue gambe furono investite da un piacevole vortice di aria fredda.

    «Ce li abbiamo cinque?», ripeté.

    Charlotte osservò i visi degli astanti rimasti. Forza, qualcuno offra cinque dollari. Adesso che aveva una base d’asta e dopo che era stato costretto a sopportare le risa dei presenti, il baule sollecitava la sua solidarietà. Aver ascoltato un po’ della sua storia ne migliorò ai suoi occhi l’aspetto sgradevole.

    Tutti, ogni cosa, avevano bisogno d’amore.

    Trascorsero ancora alcuni secondi. Qualcuno faccia un’offerta, per favore. «Io offro cinque». Charlotte sollevò il catalogo arrotolato. Poteva donare il baule al Ministero per l’infanzia in chiesa. Erano sempre in cerca di oggetti in cui riporre i giochi o mettere l’occorrente per i viaggi nelle missioni.

    «Qui abbiamo un cinquecento». Il banditore tenne la mano alzata, sventagliando le dita. «Qualcuno offre cinquecentocinquanta?».

    «Cinquecento?». Charlotte si tirò indietro. «No, no, io ho offerto cinque dollari».

    «Ma la base d’asta era di cinquecento», il banditore annuì nella sua direzione, «bisogna sempre considerare il costo, giovane signora. Qualcuno offre cinquecentocinquanta?».

    Ti prego, fa’ che qualcuno offra cinquecentocinquanta. Come aveva potuto essere tanto stupida? La tattica dell’anziano innocente l’aveva tratta in inganno.

    L’uomo accanto a Charlotte sollevò il catalogo. «Io offro cinquecentocinquanta».

    Charlotte finalmente espirò, portando la mano al petto. Grazie, gentile signore. Sfogliò nuovamente le pagine del catalogo alla ricerca di una descrizione, di qualche informazione, di qualsiasi cosa sul baule. Ma decisamente non compariva nella lista.

    «Cinquecentocinquanta. Qualcuno offre seicento?». Mentre parlava, gli occhi del banditore si animavano e le sue guance erano di un rosso brillante, sebbene l’aria di montagna sotto il tendone fosse fredda, per essere aprile.

    La donna accanto a Charlotte alzò la mano. Sei.

    Altri tre offerenti se ne andarono. Charlotte guardò il baule con gli occhi ridotti a fessure, pensando che avrebbe dovuto approfittare di questo momento per andarsene a sua volta. Aveva visto abbastanza di come si svolgeva un’asta.

    E poi voleva mangiare un boccone prima dell’appuntamento. Una volta uscita dal parrucchiere, avrebbe avuto solo il tempo di andare a casa e cambiarsi prima che Tim passasse a prenderla alle sei.

    «Sei. Qualcuno offre sei e cinquanta?». La voce del banditore sobbalzava a ogni sillaba.

    «Sei e cinquanta», l’uomo alla sua sinistra, «posso ricavarne dei pezzi di ricambio per un baule da viaggio che sto sistemando».

    «Settecento», disse Charlotte, le parole le esplosero dalle labbra. Si schiarì la voce e guardò il banditore. Ricavarne dei pezzi di ricambio? Qualcosa dentro di lei si ribellava al pensiero che il baule fosse fatto a pezzi. «Questo baule merita di ricevere una tenera e affettuosa cura».

    «Proprio così, signorina. L’ho tratto in salvo io stesso. E quello che io salvo non va mai distrutto». A ogni parola, gli occhi del banditore irradiavano una luce blu che mandava brividi caldi sul corpo di Charlotte. «Qualcuno offre sette e cinquanta?».

    La donna accanto a lei sollevò la mano.

    «Otto», Charlotte non attese neppure che il banditore chiamasse un’offerta più alta, «cento. Ottocento».

    Corri! Vattene di qui! Charlotte cercò di girarsi, ma le sue gambe si rifiutavano di muoversi e i suoi piedi restavano piantati sul prato dei Ludlow. Il tocco leggero del vento di aprile raffreddò il sudore della sua fronte.

    Non lo voleva questo baule. Non aveva bisogno di questo baule. Il suo loft era contemporaneo, piccolo e, fino a quel momento, ordinato. Proprio come piaceva a lei.

    La Malone & Co. era una boutique lussuosa, di classe, di gusto squisitamente contemporaneo. Dove avrebbe messo un vecchio baule malconcio? Pazienza che avesse dovuto spendere i soldi piovuti dal cielo per ristrutturarla. Ogni singolo centesimo. Senza contare che sul suo conto personale c’era il minimo indispensabile per affrontare le spese di un matrimonio tutt’altro che principesco. Ottocento dollari per un baule non rientravano nel budget. Se proprio voleva sperperare così tanti soldi, tanto valeva che comprasse un paio di scarpe firmate Christian Louboutin.

    «La attira, vero?». L’uomo vestito di viola si avvicinò a Charlotte strusciando lievemente i piedi.

    «Sfortunatamente sì». A Tim sarebbe venuta una crisi se avesse portato a casa quella cosa.

    Charlotte osservò il baule. Chi era l’uomo o la donna a cui era appartenuto il baule in passato? Che ne era stato della sposa del 1912 di cui aveva parlato il banditore? Lei non avrebbe voluto una casa per questo vecchio oggetto malandato?

    «Otto e cinquanta». Il secondo uomo alla sinistra di Charlotte fece la sua offerta.

    «Mille dollari». Charlotte si tappò la bocca con la mano. Ma era troppo tardi. Aveva fatto la sua offerta.

    Oh, questa sì che avrebbe dovuta spiegarla a Tim.

    «Venduto». Il banditore batté i palmi delle mani uno contro l’altro ed estrasse un foglietto dalla tasca. «Questo baule appartiene a lei».

    Charlotte lesse il foglietto prestampato. Salvato. 1000 dollari. Si girò di scatto. «Aspetti, signore, mi scusi, come faceva a sapere…».

    Ma se n’era andato. Insieme alla folla e al mormorio in sottofondo. Charlotte era completamente sola, fatta eccezione per il baule malconcio e il vortice luminoso nell’aria.

    Capitolo due

    Charlotte si avvicinò a Tim mentre insieme osservavano dal tavolo la festa per l’anniversario dei signori Rose. Quando le luci stroboscopiche presero a girare tutt’intorno alla stanza, i loro piatti si tinsero di una tonalità bluastra mista ad ambra.

    «Era buona la cena, vero?», disse. Dai, Tim, si tratta solo di soldi.

    «Ottima».

    Charlotte studiò il suo viso. Ai suoi occhi era impeccabile. Se le era concesso usare un termine simile. Il naso dritto si allineava con le labbra piene e il mento regolare, squadrato. I lunghi capelli color sabbia ricadevano con morbida lucentezza sulla guancia scolpita.

    Ma in quel momento, l’espressione dipinta sul suo viso, normalmente vibrante e pieno di fascino, era meditabonda.

    Oh, perché non aveva aspettato il momento in cui l’avrebbe riportata a casa per dirglielo? Adesso la famiglia – Katherine – avrebbe dato la colpa a Charlotte della mancanza di partecipazione di Tim.

    «Vuoi ballare? Guarda, Jack continua a farci segno con la mano».

    Jack era il fratello minore di Tim, quello che veniva immediatamente dopo di lui in una successione di cinque figli maschi. David, Tim, Jack, Chase e Rudy.

    «Tra un minuto». Tim fece cenno a Jack di aspettare.

    Tutti gli invitati alla festa per il quarantesimo anniversario di matrimonio erano scesi in pista a ballare, a divertirsi e cantare a squarciagola Celebrate good times, come on.

    Tutti tranne Tim e Charlotte.

    «Dai, Tim, non è poi una cosa così grave. Balliamo». Charlotte si alzò lisciandosi la gonna con le mani. Aveva deciso che si sarebbe divertita quella sera, che avrebbe dimenticato la missione – fallita – alla Red Mountain e lasciato che la sua indole estroversa guidasse la serata. Nel pomeriggio aveva avuto una lunga chiacchierata con quella ragazza mentre, seduta su una sedia, posava per la messa in piega e la manicure.

    Aveva indossato un vestito nuovo per la festa, un elegante top blu navy con corpetto abbinato e una gonna corta a campana. E un paio di Jimmy Choo Mary Janes coordinate che aveva acquistato in saldo.

    Fino a quel momento, la serata era stata un successo. Tim non aveva smesso un istante di guardarla e, per la prima volta, Charlotte si era sentita davvero parte integrante della cerchia più ristretta dei Rose.

    Poi, quindici minuti prima, Charlotte si era avvicinata al fidanzato dicendo: «Oh, Tim, dimenticavo di dirti che sono capitata a un’asta oggi, su alla Red Mountain, e ho comprato un baule. Per mille dollari». Detta così, non suonava poi così grave.

    Subito dopo notò che la luce nei suoi occhi si era offuscata. «Mille dollari?». Tim teneva sotto controllo le spese per il matrimonio e aveva contabilizzato ogni singolo centesimo fino al ventitré giugno.

    Dopo di che, avevano trascorso il resto della cena a bisbigliarsi parole di fuoco: per quale motivo, come aveva potuto spendere così tanto denaro senza prima parlarne con lui? Il dibattito a volume zero si era concluso con l’arrivo del dessert.

    «Spero che tu non abbia comprato quel vestito da cinquecento dollari che volevi, perché adesso non possiamo permettercelo».

    «No, non l’ho comprato», disse Charlotte con un po’ di insolenza, «non ho ancora comprato il mio vestito».

    La confessione restò sospesa tra loro e offuscò l’ultimo residuo di gioiosa luce negli occhi di Tim. «Ci sposiamo fra due mesi, Charlotte. Tu hai un negozio di abiti da sposa».

    «Lo so, lo so». Quando avrebbe imparato a tenere la bocca chiusa? Un tempismo perfetto.

    Mangiarono la torta di carote in relativo silenzio.

    «Sicuro di non voler ballare?», Charlotte lo tirò per il gomito.

    Tim si alzò dal tavolo: «Esco a prendere un po’ d’aria».

    «O-okay». Con le lacrime agli occhi, Charlotte lo osservò allontanarsi. «Tim?», lui si voltò a guardarla.

    «Mi dispiace per i soldi».

    «Lo so, Char», le accarezzò delicatamente il collo, alleviando le sue paure, «è tutto a posto. Te lo assicuro. Torno fra un minuto».

    Nei quattro mesi da che conosceva Tim, aveva imparato che per elaborare le cose lui aveva bisogno di tempo. Raramente prendeva decisioni dettate dall’impulso. Il che era un’altra delle ragioni per cui avrebbe fatto bene a riflettere su tutta questa faccenda del matrimonio.

    Tim non agiva mai in modo precipitoso… allora perché la proposta di matrimonio era arrivata così in fretta? Si era trattato di un momento di debolezza romantica? Non era neppure sicura che lui volesse sposarla. Che cosa lo aveva spinto a mettersi in ginocchio due mesi dopo il loro primo incontro e a infilarle un anello

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