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Natale a Parigi
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E-book448 pagine5 ore

Natale a Parigi

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Info su questo ebook

Il romanzo perfetto per sentirsi bene

La cosa più importante è seguire il proprio cuore...

Ava e la sua migliore amica Debs sono appena arrivate a Parigi. È tutto perfetto e la neve che comincia a cadere è uno spettacolo meraviglioso. La Tour Eiffel brilla di una luce magica, ma tutto quello a cui Ava riesce a pensare è Leo, il suo ex, che l’ha tradita, spezzandole il cuore. Debs, determinata a restituire il sorriso all’amica, la trascina a fare shopping tra i mercatini di Natale, a passeggiare sul Lungosenna, a mangiare pain au chocolat. Piano piano, Ava comincia davvero a convincersi che non può sprecare la vita pensando agli uomini, fin quando la sua strada incrocia quella di Julien, un misterioso e affascinante fotografo, con un irresistibile accento francese e occhi così profondi che sembrano leggere dentro di lei. Ava non può ignorare le reazioni che si scatenano tra loro, ma non riesce a fidarsi e a lasciarsi andare. Tutto si complica quando per Ava arriva il momento di rientrare in Inghilterra… 

La magia del Natale e della Ville Lumière in un romanzo che vi farà innamorare

«Natale a Parigi è una splendida commedia romantica, divertente e perfetta per i fan di Karen Swan e Miranda Dickinson.»

«È una bellissima storia! Ho amato ogni parola e ora voglio trascorrere il Natale a Parigi!»

«Mandy Baggot ha un talento naturale nel creare personaggi tridimensionali che catturano i lettori.»
Mandy Baggot
È un’autrice vincitrice del premio Innovation in Romantic Fiction conferito dall’UK’s Festival of Romance. La sua commedia romantica One Wish in Manhattan è stata anche tra i finalisti del premio Romantic Comedy Novel of the Year nel 2016 dell’associazione Romantic Novelist. Mandy ama l’isola di Corfù, il vino bianco, la buona musica e le sue borse. È anche una cantante e ha preso parte a due show televisivi. Vive vicino Salisbury, nel Wiltshire, con il marito e le due figlie.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2017
ISBN9788822713179
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    Anteprima del libro

    Natale a Parigi - Mandy Baggot

    1760

    Titolo originale: One Christmas in Paris

    Copyright © Mandy Baggot 2016

    Traduzione dall’inglese di Elena Papaleo e Carla De Pascale

    Prima edizione ebook: ottobre 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1317-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Mandy Baggot

    Natale a Parigi

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Capitolo ventidue

    Capitolo ventitré

    Capitolo ventiquattro

    Capitolo venticinque

    Capitolo ventisei

    Capitolo ventisette

    Capitolo ventotto

    Capitolo ventinove

    Capitolo trenta

    Capitolo trentuno

    Capitolo trentadue

    Capitolo trentatré

    Capitolo trentaquattro

    Capitolo trentacinque

    Capitolo trentasei

    Capitolo trentasette

    Capitolo trentotto

    Capitolo trentanove

    Capitolo quaranta

    Capitolo quarantuno

    Capitolo quarantadue

    Capitolo quarantatré

    Capitolo quarantaquattro

    Capitolo quarantacinque

    Capitolo quarantasei

    Capitolo quarantasette

    Capitolo quarantotto

    Capitolo quarantanove

    Capitolo cinquanta

    Capitolo cinquantuno

    Capitolo cinquantadue

    Capitolo cinquantatré

    Capitolo cinquantaquattro

    Capitolo cinquantacinque

    Capitolo cinquantasei

    Capitolo cinquantasette

    Capitolo cinquantotto

    Capitolo cinquantanove

    Capitolo sessanta

    Capitolo sessantuno

    Capitolo sessantadue

    Capitolo sessantatré

    Capitolo sessantaquattro

    Capitolo sessantacinque

    Capitolo sessantasei

    Capitolo sessantasette

    Capitolo sessantotto

    Capitolo sessantanove

    Capitolo settanta

    Capitolo settantuno

    Epilogo

    Lettera da parte di Mandy

    Ringraziamenti

    A Parigi,

    Bellissima. Piena di vita. Forte.

    Libertà. Uguaglianza. Fratellanza.

    Capitolo uno

    Parrucchiere, Kensington, Londra

    Leo: Mi dispiace. Possiamo parlare?.

    Ava Devlin trascinò l’email verso sinistra e la vide scomparire dallo schermo del suo iPhone. Era così che si faceva con i messaggi dei bugiardi e degli imbroglioni, che prima ti abbracciano e ti sussurrano una cosa all’orecchio e poi, appena ti giri, fanno l’esatto contrario. Ricacciò in gola l’amarezza. Aveva sempre temuto che Leo, ricco, di successo e bello tipo Joey Essex, fosse un tantino troppo per lei.

    «Capo o fidanzato?».

    A chiederlo era Sissy, la parrucchiera che in quel momento le ricopriva la testa con cartine di stagnola e un intruglio, quasi fosse nel bel mezzo di un esperimento nucleare.

    «Nessuno dei due», rispose Ava, posando lo smartphone sulla mensola della specchiera. Le scappò un sospiro. «Non più». Aveva proprio bisogno di scrollarsi di dosso quella storia, come diceva Taylor Swift.

    Per dare un’aria più ribelle alla sua immagine riflessa, spalancò gli occhi verdi, inspirò col naso a patata e mise su quel broncio che l’accompagnava da una vita. Con quella espressione da finta celebrità che posta un selfie provocatorio su Twitter, sapeva di avere chiuso. Con gli uomini. Con l’amore. Con tutto. Dall’impianto stereo del salone fluttuavano le note soavi di Cliff Richard che suggeriva vischio e vino. Spostò lo sguardo dal suo riflesso alla sfilza di addobbi di Natale che circondava lo specchio e che, per quanto la riguardava, poteva anche andare al diavolo. Di lì a poco, si sarebbe trovata da sola a sorbirsi una nazione in festa che d’un tratto si fissava su cibo che negli altri undici mesi non mangiava mai – datteri, noci, taglieri di formaggi europei – e due settimane di palinsesto televisivo modificato – meno talk show e più L’uomo più forte del mondo.

    «Be’», riprese Sissy, tamponandole la testa con altra roba viscida e appiccicosa, «secondo me il Natale è un bel momento per essere giovani, liberi e single». Ridacchiò, richiamando l’attenzione di Ava sull’impresa che le stava compiendo ai capelli. «Tutte le feste… la gente più rilassata e buona e…».

    «Stella Artois?», propose Ava.

    «Non la bevi, vero?», esclamò Sissy come se Ava avesse appena confessato un debole per il polonio radioattivo. «Sono stata con uno che era allergico alla birra, sai? Se ne beveva più di quattro, poi stava da schifo».

    «Sissy, quella non si chiama allergia, ma sbornia».

    «Di birra chiara?», domandò Sissy. «Non va d’accordo con gli shottini, vero?».

    Ava non sapeva se ridere o piangere. Deglutì e si riconcentrò sullo specchio. Perché era là a farsi quei colpi di sole? Aveva preso l’appuntamento quando aveva ancora una festa di Natale tra colleghi a cui andare. Dopo che Leo si era fatto beccare con Cassandra, non le serviva più un look perfetto da abbinare al vestito perfetto che lui le aveva comprato. In fondo, quell’abito neppure le piaceva. Era di velluto riccio, tipo apprendista stregone. Nello stile di sua madre. Ma Leo le aveva detto che era bellissima e lei si ricordava ancora la piacevole sensazione nel sentire quelle parole. Tutte bugie.

    «Basta!», esclamò di colpo Ava, sporgendosi in avanti sulla poltrona.

    «Basta?», ripeté Sissy. «Basta cosa? Parlare? O basta con la tinta?»

    «Tutto», rispose Ava e cominciò a strapparsi le cartine di stagnola.

    «Ma cosa stai facendo? Non le toccare!», le ordinò Sissy, come se una mossa sbagliata facesse detonare un esplosivo.

    «Levamele… subito… dalla testa!». Ava prese tra le dita un foglio di alluminio e tirò.

    «Okay, okay, ma non così. Te le tolgo io».

    «Voglio un nuovo look». Si portò su i capelli con le mani, liberandosi il viso e piegando la testa per darsi una controllata allo specchio. Impossibile renderle la linea del mento meno spigolosa e le labbra meno evidenti. Sospirò. «Tagliali». Avrebbe voluto dirlo in maniera forte, decisa, ma sul finire della parola le si spezzò un po’ la voce e quando si voltò, si accorse che la compassione cresceva nello sguardo della parrucchiera.

    «Be’… Prima devo finire il colore». Sissy si morse un labbro.

    Ava non voleva pietà. «Bene, allora finiscilo, poi tagliali», ripeté.

    «Gli diamo una spuntatina?», chiese la parrucchiera, osservandola nello specchio.

    Ava scosse la testa, le ultime cartine di stagnola rimaste frusciarono. «No, Sissy, non una spuntatina. Voglio proprio tagliarli». Fece un lungo sospiro. «Sto pensando di farli corti… più come Bowie ai tempi d’oro che come i Jedward».

    «Così corti???». Per poco Sissy non si strozzò.

    «Mi hai detto che cambiare fa bene», replicò Ava. «E allora, cambiami!». Si riaccomodò fino a sentire la spalliera di finta pelle contro la schiena. «Rendimi completamente irriconoscibile, perfino per mia madre». Chiuse gli occhi. «Anzi, soprattutto per lei».

    Si eclissò da tutto: Cliff Richard, gli addobbi di Natale, Leo. Uno stile diverso era proprio quello che le serviva. Qualcosa che si intonasse al suo nuovo modo di vivere. Un taglio di capelli che dicesse: «Guardami pure, ma se anche solo una delle tue ciglia cade nel mio spazio, accennando all’Happy Christmas, ti metto k.o.». Guai a chi osava sfiorarla!

    Lo smartphone fece un bip. Ava socchiuse un occhio e guardò di sbieco lo schermo. Perché Leo non la smetteva e basta? Perché non stava appiccicato a Cassandra come faceva Dio solo sa da quando? Con quella pelle perfetta che si ritrovava, c’era da scommettere che quella lì non aveva mai dovuto usare il Topexan.

    Sissy si piegò in avanti e osservò il cellulare. «È da parte di Debs».

    Molto più sollevata, Ava allungò una mano, prese il telefono e lesse il messaggio:

    So che ho detto di non portare niente, però mi sono assolutamente dimenticata di preparare qualcosa di natalizio. Ci pensi tu? Prendi qualcosa da mangiare… Tipo quelle patatine al retrogusto di tacchino o nocciole tostate e mirtilli. E porta anche il vino, rosso, mi raccomando: di bianco oggi ne ho comprate tre bottiglie. E se per caso ti fossi dimenticata della nostra serata-stuzzichini tra buone vicine prima della mia partenza per Parigi, be’, questo ti serva da promemoria. Debs

    XX

    I messaggi di Debs sembravano sempre delle tesi di laurea. Con la sua miglior amica, niente "

    OMG"

    , Che c…o! e Frena!. In effetti, se l’era proprio scordata la serata-stuzzichini. Ecco cosa combinava la fine di una storia che ti toglieva tempo ed energie: ti rincitrulliva e friggeva i tanto importanti circuiti della socialità. Ora, però, stava riprendendo il controllo – sfuggente e fredda con tutti, sì, tranne con la sua migliore amica – e l’unica scheda madre bruciata sarebbe stata quella con i fili connessi agli uomini.

    Guardò Sissy dallo specchio. «E, una volta tagliati, Sissy, voglio diventare più bionda», disse decisa. «Non un biondo miele». Sorrise. «Un vero disastro nucleare alla Miley Cyrus».

    Capitolo due

    Hotel Oiseau Rouge,

    IV

    arrondissement, Parigi

    Julien Fitoussi sbatté le palpebre, la luce dei lampadari di cristallo all’ingresso della sala lo accecava. Chiuse gli occhi, macchioline scure venivano giù a cascata come pioggia invernale. Sarebbe dovuto restare a casa. Nel suo appartamento compatto e funzionale che dava sulla Senna. Ogni volta che lo guardava, il fiume assumeva le forme che lui desiderava. D’estate la superficie dell’acqua increspata poteva essere piena di luce e speranza. D’inverno, però, era cupa, profonda e disperata, come voleva che fosse.

    Riaprì gli occhi, si sistemò i risvolti della giacca e scrollò le spalle. Si passò una mano tra i capelli scuri e si guardò intorno. Opulenza di Natale. Così si sarebbe intitolata, se fosse stata una mostra. Tutto quel luccichio era… completamente inutile. Addirittura due alberi di Natale, non verdi ma dorati, coperti di luci e fronzoli tanto vistosi quanto volgari, come presi in prestito da Busta Rhymes. Un quartetto d’archi suonava canti di Natale in fondo al salone e, tutti su di giri per i drink gratis, uomini e donne del mondo di suo padre ronzavano come ricche api operaie intente a costruire un alveare. Lauren l’avrebbe odiato. Deglutì. Lui lo odiava.

    «Ah! Eccoti!».

    Suo padre – prima la voce, poi la figura – irruppe nel suo spazio. Mentre Gerard si avvicinava, Julien si sforzò di sorridere. L’amore che nutriva per lui, e non l’ambiente in cui gestiva i suoi affari o le bevute gratis, era l’unico motivo che lo aveva spinto a uscire dal letto e infilarsi uno smoking alle sette di venerdì sera.

    Gerard lo baciò sulle guance e gli sussurrò all’orecchio: «Di nuovo in ritardo».

    Julien strinse i denti, travolto da un’onda di emozioni. Rabbia mista a senso di colpa mulinavano insieme come uno di quei costosi drink che i dipendenti di suo padre stavano sorseggiando in quel momento.

    Quando suo padre fece un passo indietro, Julien vide Vivienne, la sua futura matrigna, e una donnona che indossava un cappello di frutta e occhiali con lenti ottagonali. Rivolse un sorriso più ampio alle due e avanzò. «Bonsoir».

    «Bonsoir, Julien». Vivienne lo salutò con un bacio. «Lei è Marcie, la signora di cui ti parlavo… Marcie, lui è il mio figliastro, Julien».

    Julien finse di aver capito, ma non aveva la più pallida idea di chi fosse quella donna né di quando la sua futura matrigna avesse mai accennato a una donna con in testa mezzo ananas, una guava e diversi mandarini satsuma.

    «Della rivista Parisian Pathways», sibilò suo padre come un cobra reale infuriato.

    «Ah, certo!», esclamò Julien, anche se ne sapeva quanto prima. «È un piacere conoscerla». Ma non lo pensava affatto. Quella donna era solo un’altra seccatura che gli aveva impedito di restarsene con la testa sotto al piumino in attesa che la notte passasse in fretta.

    «Ho visto alcuni dei suoi lavori, Monsieur Fitoussi», disse quella specie di fruttiera con le gambe.

    Vivienne dondolava la testa su e giù, quasi impaziente. Julien non conosceva la risposta giusta, ma era ben consapevole di cosa stava per dire.

    «Al momento non sto lavorando».

    Bene. E, volgendo gli occhi al centro della sala, dove gli ospiti si muovevano torno torno una fontana di champagne e una grossa cascata di fonduta di cioccolato, vide che le sue parole non avevano arrestato la rotazione terrestre. Benissimo.

    «Sta solo dicendo che… si è preso un po’ di tempo per… concentrarsi su… Aspettare la sua nuova musa, ecco», intervenne la futura matrigna.

    Se quell’affermazione non fosse stata così tragica, sarebbe scoppiato a ridere. Era così che la pensava Vivienne? E anche suo padre? Sorrise a Marcie e alla sua cesta di frutta. «Sto solo dicendo». Prese al volo un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere di passaggio. «Che al momento non sto lavorando».

    Marcie scosse la testa, spingendosi gli occhiali sul naso. «Capisco», replicò. «Il nostro pensiero è andato a tutti voi». Poi guardò Julien dritto negli occhi.

    «Sul serio?», domandò lui brusco.

    «Sì, è stata una grave perdita. Per tutti».

    «Ah, sì? Peccato che le hanno dedicato solo una misera colonnina sul giornale».

    «Julien…», riprese Vivienne.

    «È rimasto ferito, non è vero? Nel tentativo di soccorrere quella gente».

    Julien si sentì avvampare di colpo le guance. Forse era meglio levare le tende prima che gli prendesse voglia di agguantare lei e la sua cassetta di agrumi e lanciarle entrambe nella fonduta.

    «Grazie, Marcie, ma Julien… Lui è stato uno dei fortunati», rispose Gerard.

    Julien si voltò di scatto verso suo padre. «Fortunato». Non riusciva quasi a pronunciarla quella parola.

    Gerard rimase impassibile, continuando a concentrarsi su Marcie con uno sguardo ipocrita. «È stato un periodo terribile per ognuno di noi, come famiglia». Gerard prese una tartina con una decorazione di olive dal vassoio di un cameriere di passaggio. «Tutti ne sentono la mancanza».

    Tutti ne sentono la mancanza. Julien non credeva alle proprie orecchie. Appena un anno prima, sua sorella Lauren e altre venticinque persone erano rimaste intrappolate in un appartamento che aveva preso fuoco in centro, dodici delle quali non ne erano più uscite. Lauren e gli altri che erano rimasti uccisi nell’incendio, però, non avevano fatto notizia sui giornali. Loro non contavano niente? Quella donna agghindata come una pubblicità salutista non aveva idea di quale inferno avessero passato. Lauren era morta, non era più tornata e la sua vita non era mai stata così vuota e inutile. Ed era quello il vero motivo per cui al momento non stava lavorando.

    «Si chiamava Lauren», disse Julien, fissando suo padre che masticava la tartina. «Te la ricordi, tua figlia, vero?».

    Guardò Vivienne che gli rispose con uno sguardo solidale. Magari non proprio comprensivo, ma senz’altro partecipe.

    «Allora, Marcie», riprese la matrigna, attirando l’attenzione della donna simbolo delle cinque porzioni di frutta e verdura raccomandate al giorno. «Perché non andiamo a parlare con Jean-Paul? L’attore di cui ti ho parlato. Quello che sta calcando le scene. L’anno scorso, io e Gerard lo abbiamo visto in una produzione a Londra».

    Julien sbarrò loro la strada, ignorando i campanelli d’allarme della futura matrigna e le occhiate ansiose a suo padre. Si rivolse alla donna. «Immagino che voglia da me delle foto. Di persone felici e sorridenti?

    VIP

    , magari? Materiale da dare in pasto ai lettori della sua rivista, insomma? Immagini di fantasia per dire che a Parigi è sempre tutto meraviglioso?». Si portò le mani ai lati della bocca e urlò: «È tutto a posto! Abbiamo caffè stupendi e Gerard Depardieu, non?».

    D’un tratto suo padre lo afferrò per un braccio, trascinandolo via da Vivienne e Marcie che battevano in ritirata tra un luccichio di lustrini e un dondolio di agrumi. Quando Julien incrociò lo sguardo di Gerard, gli lesse in volto una furia spaventosa.

    «Ma cosa diavolo ti è preso?». Il padre ribolliva di rabbia. «Dovresti sostenere la compagnia, non remarle contro! Vivienne pensava sarebbe stata una buona occasione per impegnarti di nuovo, per un nuovo lavoro».

    «Perché mai dovrebbe credere che io lo voglia?», replicò Julien, incrociando le braccia al petto.

    «Perché è più di un anno che non hai uno stramaledetto lavoro!».

    «E allora, cazzo?!». Julien gli sbatté in faccia quelle parole, la rabbia e il dolore aumentavano vertiginosamente. Respirava a fatica, dentro di sé aveva più pena e angoscia che aria per respirare. Tremava in tutto il corpo, mentre Gerard si limitava a tirar fuori dal taschino della giacca un fazzoletto e tamponarsi il viso, come se le parole del figlio gli avessero macchiato la pelle.

    «Tornatene a casa, Julien! Se intendi comportarti così, non ti voglio qui», concluse con freddezza. «Piantala con questa storia!».

    Julien serrò i pugni, intanto che il quartetto d’archi iniziava a suonare la versione francese di Jingle Bells. Il dolore aveva una scadenza? Ci sarebbe mai stato un momento, forse un mattino, in cui ci si svegliava e di colpo tutto si era risistemato?

    Si concentrò su suo padre che stringeva la mano a uno di quei cloni in giacca e cravatta, in cerca di un’altra costosa tartina.

    «Monsieur?», un cameriere richiamò la sua attenzione, offrendogli un vassoio con dei flûte di champagne.

    Julien osservò l’alcol chiaro che spumeggiava nei bicchieri dal gambo sottile e la forma allungata. L’effervescenza viva esplodeva in ogni bollicina che scoppiava in superficie, brillando in tutto il suo splendore. Proprio come un tempo sua sorella.

    Rifiutò l’offerta, scuotendo con forza la testa, prima di avviarsi alla porta.

    Uscì dall’hotel, buttandosi a capofitto nell’aria fredda del

    IV

    arrondissement, nel disperato bisogno del contatto con l’asfalto per placare la rabbia. Chiuse gli occhi e inspirò. Lo investì un aroma di aglio, carni che sfrigolavano e tabacco, mentre si abbandonava ai suoni della città: motorini, risate, cani che abbaiavano. Riaprì gli occhi lentamente, abituandosi al buio, l’unica luce era quella dei lampioni in ferro battuto ai lati della strada. Il caffè di fronte, il Deschamps, era strapieno. La clientela sedeva all’aperto, com’era tipico nei locali francesi. A dicembre, però, niente abiti leggeri o shorts eleganti: i clienti erano tutti avvolti in cappotti e sciarpe invernali, barricati contro il vento pungente che minacciava neve, le mani coperte dai guanti che stringevano tazzine di caffè o tumbler di birra.

    Se avesse avuto dietro la macchina fotografica e smesso di piangere la sorella, avrebbe potuto scattare una foto di quel quadretto perfetto della vita invernale in Francia. Lauren adorava la cultura del ritrovarsi nei caffè per fare quattro chiacchiere. In un venerdì sera come quello, si sarebbero incontrati, dopo il lavoro, a bere fiumi di alcol, ricordandosi di ordinare da mangiare solo poco prima della chiusura della loro brasserie preferita. Di fronte a un piatto a base di pollo, o anche solo una grossa porzione di patatine fritte e pane, si sarebbero raccontati della loro settimana. Sorrise. Lauren aveva sempre così tanti aneddoti sui grandi magazzini dove lavorava. Una signora esigente che aveva dovuto aiutare per un matrimonio, o un bambino maleducato a cui aveva fatto una smorfia, quando la madre non guardava. Sua sorella in vita era stata un vero tornado. E proprio come un tornado, aveva vorticato rapida e frenetica per poi… sparire… lasciando solo ricordi e i suoi cari con il cuore spezzato.

    Sentì un brivido sotto alla giacca dello smoking. Aspettò che il traffico diminuisse e attraversò la strada verso il caffè. Gli restava un unico modo per superare la notte e scivolare dritto fino al mattino. Ubriacarsi.

    Capitolo tre

    Waitrose, Kensington, Londra

    Li odiava. Sembrava la figlia illegittima di uno scopino del water e Billy Idol. Quello non era Bowie ai tempi d’oro, ma soltanto paglia… Erano solo più biondi e più corti ma altrettanto puzzolenti. Davanti a Sissy, però, Ava non aveva confessato di detestarli, quei capelli. Si era atteggiata a rockstar di fronte allo specchio. Poi aveva sborsato una cifra allucinante ed era fuggita dal salone giusto in tempo per passare alla Tesco prima di andare da Debs. Waitrose, però, era molto più vicino ed era essenziale fare presto. Dopo aver scucito tutti quei soldi per il nuovo taglio di capelli, sperava solo di potersi ancora permettere i loro stuzzichini.

    A quanto pareva, in fondo a ogni corsia il supermercato aveva Christmas Cracker lussuosi con sorprese che spaziavano da tagliaunghie e tee per la pallina da golf a baffi finti e rompicapo cinesi. Non riusciva a trovare quel che cercava. Le patatine le avrebbe prese per ultime, prima doveva pensare alla cioccolata – quella al latte, la stecca più grossa che avessero – e assicurarsi che il vino rosso che comprava avesse più del tredici percento di alcol.

    Superò uno stand di lussuosi mince pies e pudding di Natale. In quel negozio era tutto di lusso, prezzi compresi. Ora che aveva mandato al diavolo Leo e il suo lavoro, doveva iniziare a badare al centesimo. Che poi, anche se le riusciva bene, non le era mai piaciuto vendere appartamenti. E comunque quell’impiego era sempre stato solo un ripiego. La palla al balzo che aveva preso per allontanarsi dall’agenzia di moda di sua madre ed evitare gli ingaggi da modella che le propinava. Ne sentiva ancora le parole, riavvolgendo il nastro fino al momento prima di farsi quell’apocalittico tatuaggio, impossibile da coprire: «È Dubai, tesoro. Una notte al Burj Al Arab. Volevano Tina ma lei è a Los Angeles. Se solo facessi quell’incredibile dieta detox che spopola tra le ragazze, nel giro di due settimane saresti in ottima forma… Massimo un mese».

    Ed era proprio quella l’essenza del loro rapporto. Rhoda Devlin, ex modella, poi socia di un’agenzia che aveva ingaggiato Ava appena fu in grado di sorridere, continuava imperterrita a decidere della sua vita. Voleva che diventasse la figlia modello, in tutti i sensi. Ora Ava moriva dalla voglia di farle vedere come si era conciata i capelli. Magari avrebbe finalmente capito che, a parte il lavoretto con i profili dei social network dell’agenzia, voleva essere lasciata in pace.

    Le squillò il cellulare e infilò una mano nella borsa di pelle a tracolla per recuperarlo.

    RHODA BRILLANTOSA

    .

    Un soprannome meschino per sua madre, certo, che però le strappava un sorriso ogni volta che lampeggiava sullo schermo. Lampeggiare era proprio la parola giusta, perché sua madre adorava agghindarsi di strass. Lesse il messaggio, arrivato un’ora prima.

    Splendide notizie, tesoro! Ti aspetta una meravigliosa occasione su una spiaggia delle Azzorre, se fai la detox… Ho prenotato per noi un angolo di paradiso a Goa. Ashtanga yoga e cure termali. Ti ho mandato i dettagli via email.

    Smise di leggere, quando arrivò la email. Quella donna era inarrestabile. Non aveva idea del significato di Ashtanga e cure termali erano sinonimo di fango, corpo avvolto nella pellicola e idrocolonterapia. Un altro bip ed ecco un secondo messaggio.

    Perché non porti anche Leo? Sole, sabbia e tofu affumicato sono un toccasana per i rapporti.

    Strinse i denti. Vide le parole sfocate non appena si rese conto, con orrore, che quel giorno Leo non aveva contattato solo lei. Doveva aver parlato anche con sua madre, senza però accennare al fatto che andava a letto con la responsabile della vendita dei superattici, ci avrebbe scommesso.

    «Voglio solo i crostini su cui spalmare il formaggio».

    Ava si beccò una gomitata nel fianco e levò gli occhi su un omone di un metro e ottanta, vestito di tweed, stivali Hunter verdi ai piedi e una coppola in testa. Era in centro a Londra ma sembrava uscito dalla copertina di una rivista di pesca… E l’aveva appena spinta, perché se l’era trovata in mezzo.

    «Scusi, eh!». Anche Ava lo spintonò in preda all’agitazione, un po’ per l’ignoranza di quel tipo, un po’ per i messaggi di Rhoda Brillantosa.

    «Scusi lei!», replicò stizzito. «Sto cercando di arrivare ai crostini».

    «Allora», iniziò Ava con le mani ai fianchi, opponendo resistenza, «io non mi sposto di un millimetro, finché lei non impara un briciolo di buone maniere!».

    «Cos’ha detto?», sbottò l’uomo tutto impettito.

    Ava lo guardò male, l’angoscia per Leo, sua madre e gli spaventosi capelli paglierini minacciava di esplodere da un momento all’altro. «Ho detto che se non impara delle stramaledette buone maniere, prendo quei lussuosi crostini per il formaggio e glieli ficco su per il…».

    «Qualche problema, signora?».

    Si ritrovò di fronte un ragazzo dello staff, tutto sorridente e pieno di buon umore prenatalizio, con un badge con scritto

    JUSTIN

    .

    «Sì!», esclamò Ava. «Sì, un grosso problema! Mentre si avvicinava ai lussuosi crostini per il formaggio, questo, si fa per dire, gentiluomo si è dimenticato le buone maniere».

    «Questa signora, anche se il termine non le si addice affatto, ha deciso di insultarmi senza alcun motivo», replicò l’uomo vestito di tweed.

    «Lei!». Ava lo additò. «Lei pensa di entrare qui dentro tutto ringalluzzito e… Con quegli stivali da presuntuoso… E scommetto che qui fuori ha parcheggiato una Land Rover che neppure le serve!».

    «Come osa?»

    «Come oso cosa?», proseguì Ava. «Esprimere un’opinione? Vuole un per favore o un mi scusi? Per comprare qui, le buone maniere sono d’obbligo, vero, Justin?». Rivolse un cenno del capo al commesso, ma i capelli ritti biondi si mossero a malapena, a causa di quella specie di stucco che le aveva applicato Sissy.

    «Be’, io…», rispose Justin, mentre un gruppetto di clienti curiosi si riuniva in fondo alla corsia.

    «Volevo solo… i miei crostini per il formaggio», urlò l’uomo.

    «Per favore», intervenne Ava arrabbiata.

    «Oh, santo cielo… Per favore», sospirò l’uomo infuriato.

    Soddisfatta, Ava allungò un braccio e tirò giù dallo scaffale la confezione di crostini per passargliela. Lui, però, gliela strappò di mano con una forza tale da farle perdere l’equilibrio.

    «E, per sua informazione», le sibilò, mentre lei si tirava su, «ho un Nissan Navara e, a giudicare dai suoi capelli, direi che lei è una di quelle lesbiche sguaiate che vorrebbero tanto essere un uomo».

    Ava stava per scoppiare. Allungò la mano verso lo scaffale e la prima cosa che lanciò fu una confezione multipla di schiacciatine di segale Ryvita, seguita da una di cracker all’acqua Carr’s e una scatola arancione piuttosto pesante di cracker Jacob. Le scagliò, una dopo l’altra, all’uomo vestito da pescatore che batteva in ritirata, imprecando a tutto spiano e riuscendo solo a ripararsi la testa con le mani, mentre lei proseguiva il suo attacco.

    I grissini senza glutine erano per Cassandra, che probabilmente li odiava, le patatine di cavolo verza artigianali per Leo – gli piacevano così tanto le stronzate esclusive come quelle. Beccò l’uomo dritto in un occhio e l’ultimo oggetto che colpì il bersaglio, prima che l’addetto alla sicurezza la prendesse per le braccia, furono i cracker di riso dalla Thailandia.

    «Quella mi ha aggredito!», muggì l’uomo con le guance rosse come una giacca da caccia alla volpe. «Arrestatela! Lo ha visto anche lei! Lo avete visto tutti!».

    Ava provò a divincolarsi dall’agente di sicurezza. «Oh, ma se ne torni al suo Nissan Navara e alla sua caccia notturna… o a qualsiasi cosa stesse fingendo di fare nel centro di Londra conciato in quel modo!».

    «Ava?».

    Voltò la testa bionda chiarissima verso una voce che conosceva fin troppo bene. Aprì la bocca e chiuse gli occhi. In quel momento sì che avrebbe desiderato un furgone della polizia. Essere arrestata sarebbe stato molto meglio che avere una conversazione con sua madre su quanto accaduto.

    Capitolo quattro

    Brasserie Deschamps,

    IV

    arrondissement, Parigi

    Julien indicò al barista di volerne un altro. Aveva già bevuto tre bicchieri di birra, circondato dalla calca di festaioli del venerdì sera, senza però farne parte. Era là col corpo, ma non con la mente, era su un’isola sperduta, irraggiungibile e inviolata dal resto del pianeta.

    «Merci», ringraziò il barista che gli posò di fronte un altro boccale. Bevve un sorso e gli restarono due baffi di schiuma sul labbro superiore. Si voltò verso la sala, rimanendo seduto al bancone. Il chiacchiericcio gioioso dei molti clienti superava la musica dagli altoparlanti del locale. Notò delle coppiette che si tenevano per mano, fumavano, mangiavano cozze, crêpes e gougères, un gruppo di ragazzi in un angolo che suonava violini immaginari a tempo di non si capiva cosa e quattro donne con abiti corti, collant pesanti e stivali di montone – e borse da shopping firmate ai piedi – che ridevano di fronte a una caraffa di vino rosso. Dal telaio di ogni finestra penzolavano stelle di vimini rustiche, ricoperte da neve spray e tenute da nastri a quadretti bianchi e rossi. Tra le vetrate scendevano a cascata pigne legate con un nastro dorato. Che lo si volesse o meno, ormai il Natale era alle porte.

    «Julien!».

    Sentendosi chiamare, si voltò. Gli stava andando incontro il suo migliore amico, l’unico amico che non avesse allontanato del tutto, Didier. Julien lo salutò con la mano e, anche se non voleva compagnia, sapeva che era inevitabile.

    «Come stai, amico mio?», lo salutò Didier, cercando di farsi sentire tra gli schiamazzi. Lo baciò sulle guance, poi gli diede una pacca sulle spalle.

    «Bene», mentì con un sorriso forzato. «Benissimo».

    Didier lo osservò, gli occhi cioccolato che spiccavano sulla pelle color caffè. Non gli credeva. Si puntellò le mani ai fianchi e piegò un po’ il capo. «Allora perché te ne stai qui da solo?».

    Solo allora Julien si rese conto di aver commesso un errore. Didier gli aveva lasciato un messaggio – anzi diversi – in segreteria, invitandolo a uscire insieme quella sera, e lui non aveva risposto.

    «Avevo una cosa… ehm… di lavoro… con mio padre». Si toccò il risvolto dello smoking, come a dimostrare che quanto detto era vero.

    Didier avvicinò uno sgabello e si sedette. «Comunque avresti potuto richiamarmi, eh!».

    Julien sospirò. «Non ero sicuro che ci sarei andato. Che poi alla fine…».

    «Ci stai di nuovo litigando», concluse Didier, chiamando il barista con un cenno.

    «No», rispose Julien, scuotendo la testa.

    «Perché provi sempre a mentirmi, Julien? Sono o non sono tuo amico?»

    «Certo che lo sei», replicò. «Okay, forse abbiamo avuto una discussione ma… non un vero e proprio litigio». Come definire l’aver sbraitato della sorella morta di fronte al proprio padre, alla matrigna e a una donna che indossava un cesto di frutta quasi fosse un segno di alta moda?

    «Potevi dirgli che uscivi con me stasera», disse Didier, prendendo dalla tasca un pacchetto di sigarette. Ne tirò fuori una con i denti e la accese.

    Julien non sapeva cosa replicare. Alzò il suo bicchiere e si riempì la bocca di birra

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