Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un passo più vicino: Una storia d’amore sulle seconde occasioni (e sui fratellastri).
Un passo più vicino: Una storia d’amore sulle seconde occasioni (e sui fratellastri).
Un passo più vicino: Una storia d’amore sulle seconde occasioni (e sui fratellastri).
E-book431 pagine6 ore

Un passo più vicino: Una storia d’amore sulle seconde occasioni (e sui fratellastri).

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

SORELLASTRA... Odiava quella dannata parola!
Quando il padre di Caleb Luxon sposa la madre di Wren Brashill, l’unica cosa che i due hanno in comune è l’odio per i loro genitori.
All’età di sedici anni, Caleb scopre il segreto gelosamente custodito di Wren e giura di proteggerla per sempre: da quel momento, lei diventa la ragione di ogni sua scelta.
Con il passare del tempo, il legame tra i due ragazzi cresce sempre più, fino a culminare in una notte d’amore che lascerà in loro conseguenze enormi. Impaurito da ciò che prova per Wren, Caleb si allontana, spezzandole il cuore.
Anni più tardi, solo la morte improvvisa del padre riesce a riportare a casa Caleb, che si troverà faccia a faccia con Wren per la prima volta dopo lungo tempo.
Caleb verrà messo davanti a una scelta che lo obbligherà ad affrontare i dolorosi ricordi della giovinezza e i suoi tanti rimpianti con Wren.
Sarà in grado di aprire il suo cuore o lascerà andare Wren per sempre?
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2020
ISBN9788855312004
Un passo più vicino: Una storia d’amore sulle seconde occasioni (e sui fratellastri).

Leggi altro di Kahlen Aymes

Autori correlati

Correlato a Un passo più vicino

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un passo più vicino

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un passo più vicino - Kahlen Aymes

    Capitolo 1

    Caleb Luxon non riusciva a piangere per la perdita di un uomo che conosceva appena. In quel momento non odiava suo padre tanto quanto aveva fatto quando era giovane. L’acredine non era più così pungente, ma tutto quello che aveva fatto era imperdonabile. Il colpo più doloroso era stato costringere Caleb a lasciare la persona che amava di più al mondo; l’unica persona che aveva mai amato, a parte sua padre.  

    Wren.

    Ora c’era una perdita che poteva piangere; una perdita così sottile da squarciarlo in due se lo avesse permesso.

    Nel corso degli anni, era diventato un esperto nello spegnere le emozioni, ma ogni volta in cui pensava a Wren, un dolore sordo gli si radicava nel petto e il rammarico gli inondava ogni cellula del corpo. L’abisso tra loro lo aveva divorato ogni giorno dall’istante in cui apriva gli occhi a quello in cui si addormentava la notte. Non importava che non parlasse con lei da quella che sembrava un’eternità. Non importava che tutti e due fossero andati avanti. Non importava che Wren non sembrasse aver più bisogno di lui. Lei era sempre il suo primo e ultimo pensiero.

    Quando si erano incontrati la prima volta, Caleb non aveva voluto averci niente a che fare; lei era introversa e strana, e, a quel tempo, lui aveva già i suoi problemi di cui occuparsi. A sedici anni, lui odiava già suo padre ed era divorato da qualsiasi cosa potesse fare per rendere la vita del suo vecchio un inferno. Wren e quella strega di sua madre erano solo stati altri due coltelli nella sua schiena.

    Inorridiva ancora quando ripensava al giorno in cui la regina di ghiaccio, Veronica, si era trasferita nella loro casa; la sola presenza di quella donna era stato un tentativo incauto di suo padre di cancellare la memoria di sua madre, Celine. Dall’istante in cui aveva posato gli occhi su di lei, aveva capito che era una persona narcisista, avida di denaro, che non aveva alcun interesse verso suo padre se non per il suo successo, per la ricchezza e l’influenza che avrebbero acquistato entrambi.

    La parte peggiore era che Edison Luxon era ben consapevole del fatto che Veronica fosse una stronza fatta e finita fin dal momento in cui aveva messo piede nella sua compagnia, la Lux Pharmaceuticals, ma non sembrava che gli fosse importato. Certo, era bellissima, ma in modo finto, calcolatore, e incantevole grazie alla chirurgia.

    Il padre di Caleb non avrebbe mai scelto qualcuno di meno glamour, dato l’impero cosmetico costruito sul suo cervello e sul fantastico viso di Celine. Ricordava sua madre come una persona gentile, aggraziata ed elegante, non solo bellissima. Celine era una top model ed Edison l’aveva conosciuta a un evento di un’azienda per il lancio di una nuova linea che lui aveva aiutato a sviluppare, e lei lo rappresentava. Quando era un bambino, suo padre gli aveva detto di credere nell’amore a prima vista, perché lui e Celine ne erano la prova vivente.

    Caleb sbuffò per l’ironia della sorte. Sua madre era stata donna dieci volte più di quanto Veronica non sarebbe mai stata. Una carriera da modella era l’unica cosa che avevano in comune. Caleb si era chiesto spesso se suo padre se la scopasse anche prima che sua madre perdesse la battaglia contro il cancro. In quegli ultimi mesi difficili Edison non era mai stato nei paraggi, e la sua assenza aveva inasprito il risentimento e il disprezzo del figlio nei suoi confronti. Non era stato d’aiuto il fatto che Edison avesse praticamente abbandonato Caleb durante la malattia, lasciandolo a essere il solo a guardare la madre spegnersi e morire, il più forte su cui lei aveva dovuto fare affidamento. Era molto da aspettarsi da un dodicenne. A Caleb si strinse la gola mentre un sentimento gli attanagliava lo stomaco facendogli bruciare gli occhi.

    Si ricordava il suo disgusto nel modo in cui il padre assecondava Veronica dandole tutto ciò che desiderava. Per Caleb, quella donna continuava a strillare con un’intollerabile voce del cazzo, saltellando in giro per la casa con i tacchi insopportabili da prostituta che pestavano sui pavimenti di parquet e di marmo. Non sopportava quella stronza, ma perlomeno si placava momentaneamente quando suo padre lanciava soldi nella sua direzione, il che distoglieva le sue attenzioni da Caleb e da Wren. Soprattutto da Wren, pensò Caleb. A Edison i soldi non mancavano, e se avessero dato un po’ di pace alla ragazza, tanto meglio.

    La vita per loro era stata comunque un inferno, ma almeno il denaro aveva aiutato la situazione. Scrollò la testa a quella triste contemplazione. Era una cosa positiva che i soldi non valessero niente per Caleb dal momento che il padre sperperava davvero tanto verso qualcuno di così subdolo.

    Caleb sospirò forte, rimpiangendo l’odio sprecato verso entrambi. Per quanto detestasse Veronica, e al tempo anche suo padre per averla sposata, si rendeva conto che se non fosse stato per il corso degli eventi non avrebbe mai conosciuto Wren. E quella sarebbe stata una tragedia; forse la più grande della sua vita.

    Il giorno in cui aveva messo gli occhi su di lei per la prima volta era ancora cristallino nella sua mente. Quella giornata era stata un trauma considerando che si era sentito un orfano nei quattro anni precedenti. Suo padre aveva appena sganciato la bomba che si era sposato con una donna il cui viso aveva rimpiazzato quello di Celine nelle campagne pubblicitarie dell’azienda; e l’aveva fatto senza nemmeno avvertire il figlio di ciò che sarebbe successo. Caleb era ferito e furioso; del tutto colto di sorpresa. Conosceva a malapena quella donna, ed era sotto shock.


    «Hai sposato questa stronza di plastica?» Caleb si precipitò dal padre urlandogli in faccia. Era appena tornato da scuola ed Edison lo stava aspettando con Veronica nel salotto della grande casa, e Caleb aveva ricevuto la notizia come uno schiaffo sul viso.

    «Che cazzo, papà? Perché la devi sposare? Sganciale solo dei soldi se vuoi scopartela! Da quanto tempo va avanti?»

    Veronica, che indossava un vestito rosso brillante, ebbe almeno la grazia di arrossire per quell’esternazione, la tonalità del viso in tinta con quella dell’abito. Aveva i capelli biondi tinti quasi tendenti al bianco, acconciati come se fosse Cenerentola pronta per il ballo, e il suo corpo, troppo magro, anche per una modella, sedeva con una postura perfetta sul divano opposto al caminetto di marmo nella stanza elegante. Caleb era riluttante, pensava che sembrasse più a una bambola che a una persona. Veronica era ossuta, ed era palese che il suo viso fosse severo sotto quel sottile velo di bellezza. Fissava quel grande ritratto a olio che raffigurava sua madre appeso sopra il caminetto, i suoi occhi duri e calcolatori vi vagavano sopra. Caleb ricordava l’odio con cui aveva fissato quel quadro.

    Veronica era rimasta sorpresa dalla voce forte di Caleb, ma aveva subito riacquistato la sua compostezza e aveva parlato con un tono stucchevole e dolce. Lui le aveva lanciato uno sguardo, e poi l’aveva distolto per incrociare gli occhi del padre. Riusciva a vedere il suo stratagemma come una finestra appena lavata.

    «Adesso, Caleb, sono sicura…» iniziò.

    Caleb fece scattare di nuovo la testa nella sua direzione. I suoi capelli troppo lunghi gli coprivano gli occhi, e lui li spostò dalla fronte con impazienza. «Stavo parlando con te, stronza?» urlò con il viso tutto rosso, la pelle del viso sembrava in fiamme, e gli batteva il cuore così forte che pareva gli volasse via dal petto.

    «Di una cosa sono sicuro, oltre che odiare il tuo culo secco: questa è casa di mia madre! Togliti dal cazzo!»

    «Caleb!» urlò Edison. «Veronica è mia moglie! La tratterai con rispetto! Lei e…»

    Era abbastanza brutto che suo padre non fosse stato presente nella vita del figlio negli ultimi due anni da quando Celine era morta, ma portare questa… troia? Caleb non poteva farcela. Si sentiva come se sua madre stesse morendo di nuovo e a suo padre, freddo come la roccia, non importava nulla. La pressione che aveva nel petto era estenuante.

    Gli si era serrata la gola e lacrime furiose sgorgarono dai suoi occhi.

    «Col cavolo che lo farò!» Gli si ruppe la voce dall’emozione. «Tua moglie si trova al cimiero di Lakeland! Stai disonorando la mamma, papà! Ti riduci a questo…? Questo pezzo di mer…?» Indicò la donna seduta sul divano, ma suo padre lo interruppe.

    «Basta!» Suo padre sbraitò, ma dopo un attimo, il suo atteggiamento tornò freddo, asettico come la mancanza di emozioni a cui Caleb era abituato. «Capisco che tu sia turbato, Caleb. Avrei dovuto prepararti. Ma è così, e devi accettarlo. È un’ottima scelta per gli affari e per gli interessi di tutti. Sono tuo padre, e tu ti comporterai nel modo in cui la tua famiglia richiede. Non devo chiederti il permesso e tua madre vorrebbe…»

    Una lacrima di frustrazione scivolò via dall’occhio di Caleb che prontamente se l’asciugò. Riluttante a mostrare qualsiasi tipo di debolezza, voltò la schiena a suo padre e a Veronica, la sensazione di essere indifeso lo stava schiacciando. «Fanculo, a tutti e due.»

    Poi aveva visto Wren per la prima volta, e si era fermato all’istante, imbarazzato che qualcuno lo avesse visto piangere. La piccola e timida ragazza rannicchiata accanto alla porta, tra il salotto e l’atrio, era vestita tutta di nero, i capelli di un nero corvino non naturale erano tagliati in un caschetto corto e lucente, e i suoi occhi erano quasi del tutto nascosti dall’eyeliner. Caleb tirò su con il naso e se lo asciugò con il dorso della mano, raddrizzò le spalle e parlò con voce calma.

    «Non te ne importa niente di cosa è meglio per me, come non te ne importa nulla di ciò di cui aveva bisogno mia madre! Tu non sei mio padre!» urlò andandosene dalla stanza, superando la ragazzina dall’aspetto gotico che si aggirava all’ingresso.

    «Caleb!» La voce di suo padre tuonò alle sue spalle, ma lui sollevò solo entrambe le mani per fargli il dito medio da dietro.

    Non uno dei suoi momenti migliori. Considerando soprattutto che Wren aveva visto la scena.

    Un paio di settimane più tardi, proprio dopo aver preso la patente con l’aiuto della governante e di un amico di suo padre, aveva prelevato un po’ di soldi dal conto corrente che sua madre gli aveva lasciato prima di morire e aveva comprato una moto contro il volere di Edison. Aveva trascorso ore e ore a sistemarla. Quando se ne andava in giro, Caleb restava fuori fino a tardi, amareggiato dal fatto che alla fine sarebbe dovuto tornare in quella casa dimenticata da Dio.

    Aveva mollato tutti i suoi amici figli di papà e iniziato a uscire con un gruppo diverso, scegliendo chiunque suo padre considerasse il più indesiderato o moralmente ripugnante. Saltava la scuola, rubava auto, ed era stato arrestato due volte. Più Edison Luxon si infastidiva e doveva sganciare soldi a causa sua, rovinando la sua vita attentamente controllata, meglio era per Caleb. La vendetta era una grande stronza.

    Poi Caleb aveva incontrato i suoi amici a un incontro di wrestling e il resto era storia. Era appassionato di moto e il padre di Dex era il proprietario di un negozio di motociclette, così i due ragazzi trascorrevano lì molto tempo dopo la scuola. Dex era tutto ciò che Caleb non era: tatuato, duro e fedele a suo padre. Aveva qualche anno in più di lui e aveva preso Caleb sotto la sua ala protettiva. Lo aveva aiutato a sistemare un vecchio catorcio di moto, e lo aveva introdotto in un fight club locale, che lo aveva inglobato rapidamente. Caleb era diventato presto muscoloso e forte, e Dex per lui era come il fratello maggiore che non aveva mai avuto. I combattimenti avevano aiutato Caleb ad affrontare tutti i suoi problemi personali. In qualche modo, picchiare qualcuno lo aveva aiutato ad alleggerire il tumulto interiore e gli aveva fornito una valvola di sfogo per l’odio e la rabbia che gli offuscavano la ragione.

    I soldi che faceva quando conquistava una vittoria erano un bonus, ma ancora meglio suo padre era oltraggiato dai combattimenti. Il suo disappunto spronò Caleb a continuare e a mostrargli ogni occhio nero, labbro spaccato o nocche contuse solo per provocarlo. Non aveva mai perso un incontro e a volte immaginava Edison come la persona che doveva prendere a pugni. Era d’aiuto, anche se solo per pochi minuti.

    Dopo che Edison aveva sposato Veronica, Caleb si era trincerato nella sua nuova vita e non restava molto a casa. Nei mesi che seguirono aveva imparato che la figlia tredicenne di Veronica, Wren, era un drastico e palese contrasto della madre. Veronica era rumorosa e invadente, bellissima e fredda, mentre la ragazza era silenziosa, più dark, indossava vestiti senza forma e aveva sempre gli occhi nascosti da un eccesso di trucco nero. Stava per conto suo, e Caleb pensava che quel nome non le calzasse affatto. Sembrava più una strega e non un bellissimo uccello.

    Wren parlava a malapena, e difficilmente mangiava. Lui si accorgeva appena della sua presenza in casa a meno che Veronica non le urlasse contro. Caleb la considerava un mostro, e aveva deciso di stare alla larga il più possibile da entrambe le donne. Non riusciva a sopportare suo padre, non poteva sopportare la sua nuova matrigna che apportava cambiamenti alla casa come se stesse cercando di cancellare il ricordo di sua madre, e non tollerava la ragazzina silenziosa che infestava la casa come un fantasma dark.

    Lei poi era stata iscritta alla stessa scuola privata in cui era andato Caleb, ma non si era integrata affatto. L’uniforme era in forte contrasto con il suo stile dark e Wren non aveva stretto alcuna amicizia. I bastardi figli di papà la prendevano in giro, ma perfino il gruppo di disadattati e delinquenti con cui usciva lui la consideravano strana. Ma, poi, tutto era cambiato.

    Caleb liberò un sospiro all’improvviso dolore che quel ricordo gli provocò.

    «Ahh!» borbottò sottovoce. «Che diavolo sto facendo qui?» Sebbene anni più tardi, suo padre avesse cercato inaspettatamente di rimediare, non erano mai stati vicini. Adesso, dal momento che l’uomo era morto, quale era il punto? La casa era già infestata e questo nuovo fantasma era molto meno importante per Caleb di quello di sua madre, e dei suoi ricordi di Wren.

    A ogni modo, Caleb mise un piede davanti all’altro e arrancò. Tutto era sfocato mentre attraversava l’aeroporto Internazionale di Denver. Il rumore degli aerei, gli annunci, e la folla enorme che si accalcava per raggiungere o allontanarsi dai gate, tutti ammassati in una nebbia fastidiosa di rumore bianco.

    Era sfinito. Esausto. La sua mente elaborò dei flashback e il suo cuore si riempì di apprensione. Wren sarebbe tornata a casa? L’avrebbe incontrata? Era sia ansioso sia spaventato. Era tutto così incasinato. Lo era stato negli ultimi cinque anni, dalle vacanze di primavera prima che lui si laureasse. Aveva mandato tutto a puttane, alla grande, e poi, incredibilmente, le cose erano anche peggiorate. Ciò che suo padre aveva iniziato, lui l’avrebbe terminato.

    Gli pulsava la testa e gli bruciavano gli occhi per la carenza di sonno mentre si avviava verso l’uscita, tirandosi dietro il trolley. Caleb era alto come il padre, le spalle larghe e il corpo muscoloso e forte, ma i suoi occhi erano più come quelli della madre; un azzurro profondo che talvolta viravano al viola. Strizzò gli occhi alla luce del mattino mentre lasciava l’edificio. Il clima luminoso di giugno era bellissimo, il calore del sole baciato da un leggera brezza del nord, e il cielo color lapislazzuli era pieno di nuvole bianche come cotone. Il clima del Colorado era moderato, anche in pieno inverno o al culmine dell’estate; la bassa umidità rendeva la temperatura più confortevole di ciò che segnava il termometro.

    Caleb si abbassò gli occhiali da sole che teneva sulla testa. Sapeva di sembrare sciatto, ma non se ne curò. Dopo tutto, stavolta suo padre non sarebbe stato in grado di metterlo in ridicolo per il suo aspetto. Per quanto morboso sembrasse, era già qualcosa.

    Tornare in Colorado non gli riportò alla mente ricordi di suo padre né di sua madre, ma, al contrario, ripensò alla ragazzina che piangeva, supplicandolo di non lasciarla poco prima che lui compisse diciannove anni. I suoi pensieri continuarono a riaffiorare con immagini di un altro periodo in cui le lacrime di Wren lo avevano ridotto a brandelli quando lui aveva detto no all’unica cosa che lei gli avesse mai chiesto. Quella ragazza, e la bellissima donna che era diventata, era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

    Caleb deglutì perché sentì la gola serrarsi. Era passato dall’evitarla a tutti i costi, a ritrovarsela aggrappata e in lacrime quando lui aveva cercato di dirle addio senza perdere la testa… e poi era stata lei a lasciarlo, una volta per tutte. Il ricordo era ancora tagliente come un coltello.

    Caleb sollevò un braccio per chiamare uno dei taxi in transito e salì quando se ne fermò uno proprio davanti a lui e lasciò cadere la valigia nel posto accanto. L’abitacolo odorava di fumo di sigaretta, ma una volta dentro, al sicuro, chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro il sedile, dimenticandosi di dare le indicazioni al taxista.

    «Per dove?» Gli chiese il tassista con voce roca che, oltre all’odore, confermò che fumasse almeno due pacchetti al giorno. Caleb abbassò il finestrino con la speranza di alleviare la puzza, e guardò le Montagne Rocciose sullo sfondo. Erano maestose mentre si innalzavano dall’orizzonte occidentale, creando dei livelli di diverse tonalità di verde e grigio, svanendo poi nella nebbia in lontananza, con le cime innevate nelle quote più alte, come un glorioso capolavoro.

    Caleb sollevò la testa e aprì gli occhi. «Ehm…» Non era certo se dovesse raggiungere la casa in centro a Denver o quella a Evergreen. Tirò fuori il telefono e trovò il messaggio della segretaria dell’avvocato di suo padre. Centro, diceva. «530 South University.»

    Il tassista fischiò. «La zona del club di polo?»

    Era un punto di raccolta di denaro vecchio e nuovo; il valore delle case si aggirava intorno a diversi milioni di dollari per fondati motivi, soprattutto per il centro della città. Era a pochi minuti dall’ufficio di suo padre, che vantava una splendida vista sul centro e su Front Range. La casa in pietra era magnifica, anche se non importava che fosse una bella proprietà. Per lui non era altro che un enorme museo o mausoleo; un guscio freddo e vuoto.

    «Sì.» Caleb non aveva voglia di elaborare. Fissava il telefono che teneva in mano, il pollice che scorreva automaticamente tra i contatti finché non apparve il nome di Wren. Trattenne il fiato. Avrebbe dovuto chiamarla? L’ultima volta che le aveva parlato era stato il giorno di Natale per soli dieci minuti, e la conversazione era stata dolorosa e innaturale.

    Il taxi si allontanò dal marciapiede per immergersi nel traffico. La villa si trovava ad almeno trenta minuti o più dall’aeroporto, a seconda degli ingorghi.

    Sospirò e agganciò di nuovo il cellulare nel porta telefono della cintura.

    «È qui in visita o Denver è casa sua?» chiese l’autista.

    Caleb rifletté sulla domanda. Non aveva considerato quella dimora come casa sua da quando era morta la madre. «Solo in visita. Sono cresciuto qui, però. Mio padre è morto ieri.» La sua risposta fu corta e priva di emozioni.

    «Oh,» il tassista fece una pausa, sentendosi imbarazzato da quelle domande che avevano tirato in ballo un tema simile. «Mi dispiace.»

    «Grazie,» il tono di voce di Caleb non mostrò alcuna tristezza o rammarico. Era così stanco, avrebbe dovuto provare a dormire lungo la corsa, ma aveva poca fiducia che il tassista avrebbe imboccato la strada più scorrevole, e sebbene suo padre navigasse nell’oro, lui no. Aveva in progetto di aprire un’attività per conto suo e doveva risparmiare ogni centesimo possibile, perché non voleva fare affidamento al cognome, ai soldi o alle connessioni del padre.

    Non che Edison non ci avesse provato; gli aveva spedito un assegno ogni settimana per cinque anni, ma Caleb non ne aveva mai versato uno. Al contrario, li aveva infilati nella più grande credenza della cucina del suo appartamento, con l’intenzione di bruciarli, ma senza aver mai avuto l’occasione di farlo. Erano rimasti nel cassetto, come se il fatto di lasciarli intoccati gli permettesse di dimenticare le cose cui non voleva ripensare. Era più semplice così. Ma alcune cose erano difficili da dimenticare, anche quando le allontanavi.

    Fissò il finestrino, guardando le aree industriali della zona est di Denver scorrere via mentre si addentravano nel centro della città. Denver era bellissima a ovest, a nord e a sud, ma l’area tra l’aeroporto e la città era molto meno gradevole.

    «Da dove arriva?»

    «San Francisco.»

    «Non ci sono mai stato.»

    «È davvero bellissima. Adoro la baia, ma questo…» Caleb osservò le Montagne Rocciose avvicinarsi e si rese conto di quanto gli fossero mancate. Quando era molto giovane, sua madre e suo padre lo avevano portato in campeggio e a pescare nella foresta nazionale, e a sciare a Breckenbridge, Aspen e Keystone. Prima che sua madre si ammalasse, suo padre era stato una persona diversa, e quelli erano ricordi felici.

    «Le Montagne Rocciose sono meravigliose. Peccato per tutta la merda industriale qui fuori.» Lo sfondo era da togliere il fiato, ma ciò che popolava la zona lungo la statale, tra l’aeroporto e il centro urbano era sporco e mal tenuto; un ammasso di cortili pieni di rottami, edifici diroccati e rifiuti. «Dispiace.»

    «Sì. Ho vissuto qui per tutta la mia vita. Non lascerò mai il Colorado.»

    Caleb non rispose, chiedendosi se la nuova legge che legalizzava l’utilizzo dell’erba avesse niente a che fare con l’amore del tassista per lo Stato. Tornare a casa suscitava un bel po’ di ricordi e lui preferiva lasciare che i suoi pensieri si disperdessero piuttosto che affrontare una conversazione superficiale.

    La prima volta che Caleb aveva parlato a Wren, stava camminando in cucina con un paio di pantaloni della tuta grigi a vita bassa. Si era appena allenato nella palestra equipaggiata che suo padre aveva installato nel seminterrato della casa e aveva bisogno di bere qualcosa. La palestra era attrezzata con le migliori attrezzature, un sacco, e un set completo di pesi. Aveva fatto sollevamenti per trenta minuti e poi una corsa di otto chilometri sul tapis roulant; grondava sudore e moriva di sete.

    La cucina era enorme ed equipaggiata con i migliori elettrodomestici; le cose industriali che si sarebbero potute trovare nella cucina di un ristorante. Aveva aperto uno dei due sportelli del frigo in acciaio per esaminare la varietà di bevande allineate ordinatamente all’interno, insieme allo yogurt, la frutta fresca, il petto di pollo cucinato, le verdure, e altri cibi salutari riforniti su sua richiesta dalla governante. Tutto in quella casa era il più grande, il più nuovo, il migliore. A volte Caleb si chiedeva se fosse il modo con cui suo padre cercava di rimediare per non fare davvero parte della sua vita. Vedeva maggiormente l’avvocato di suo padre e il personale di casa molto più di suo padre stesso.

    La casa era sempre stata fantastica, ma dalla morte di sua madre, per qualche ragione era più sterile. Mancavano le risate, il calore, la musica che Celine ascoltava sempre, il profumo dei suoi biscotti preferiti, e quello costoso che indossava sempre; era tutto decisamente assente.   

    Questi aspetti sembravano più evidenti da quando lei era morta, come se suo padre stesse cercando di compensare la sua assenza con cose materiali. In pratica, ogni stanza era stata ristrutturata, a parte la suite di sua madre, ma solo perché Caleb lo aveva supplicato di lasciarla intoccata. Su questo punto, almeno, erano stati d’accordo, e Caleb aveva gioito segretamente alla sgradevole discussione che ne era seguita quando Edison aveva rifiutato i tentativi di Veronica di convertirla in una grande cabina armadio e in un camerino. Era così vanitosa, cazzo; Caleb non poteva sopportarla. Forse era stato il momento in cui Edison si era pentito di averla sposata.

    La luce proveniente dall’interno del frigo gli illuminava il petto madido di sudore e quando si erano chinato per afferrare una bottiglia di acqua, un rumore a pochi metri da lui lo aveva costretto a bloccarsi e a dare un’occhiata verso il tavolo all’angolo. Il pavimento era rivestito in pietra naturale; i muri erano ricoperti da credenze color mogano e da banconi di granito chiaro, con piastrelle paraschizzi più scure.

    A Caleb tutto sembrava al suo posto mentre stava in piedi, appoggiato con un gomito allo sportello aperto mentre svitava il tappo della bottiglia e prendeva una lunga sorsata. Aveva sentito stridere una sedia contro le piastrelle di pietra quando Wren si era mossa dal suo nascondiglio, bloccando Caleb all’istante; aveva sputato l’acqua che gli era scivolata lungo il petto.

    «Merda!» Era ghiacciata contro la pelle bollente. Si era chinato in avanti per guardare più da vicino nella direzione del rumore; ma la cucina era enorme e al buio, a parte la piccola luce fioca posizionata sopra il bancone accanto al lavandino, e per quella del frigorifero aperto. Era tutto inghiottito dall’oscurità. L’isola enorme e di granito color mogano era piena di utensili su un lato e il piano cottura a gas si trovava dall’altro; sul muro opposto si trovava il doppio forno. Chiuse la porta del frigo e si spostò di soppiatto verso il tavolo, accovacciandosi piano per guardarci sotto.

    Di sicuro, a casa Luxon, non ci sarebbero stati dei parassiti che correvano in giro. Il personale inseriva il pilota automatico quando si prendeva cura della casa e dei pavimenti, e suo padre non tollerava nulla che non fosse la perfezione.

    C’era una piccola forma scura nell’angolo, sul pavimento. L’adrenalina di Caleb aveva iniziato a pompare, ma era abbastanza intelligente da non fare alcuna mossa avventata.

    Aveva lanciato un’occhiata al pannello di sicurezza accanto alla porta che, dalla cucina, portava all’enorme garage. Non c’era nulla fuori posto; il sistema di sicurezza era attivo e funzionava, ma lì c’era decisamente qualcuno.

    Si era mosso piano verso l’isola e aveva posato l’acqua, poi aveva aperto un lungo cassetto dove c’erano i coltelli. Ne aveva preso uno particolarmente largo per cuochi, e lo aveva tirato fuori in silenzio, chiudendo allo stesso tempo il cassetto.

    «Chi c’è lì?» aveva domandato, la voce più alta del normale, avanzando furtivamente di tre passi nella direzione della figura in ombra, i movimenti controllati. Aveva mandato al tappeto avversari più grossi di quello solo con un pugno, ma se si fosse trattato di una tentata rapina, avrebbero potuto esserci delle armi con cui fare i conti. «Ho detto, chi c’è?»

    «Caleb, sono solo io. Wren.» La sua voce era bassa e sembrava spaventata. Wren. Il suo nome sembrava soddisfare il tono di voce, anche se il suo stile era più in linea con Satana.

    Caleb si era rilassato visibilmente, la mano che teneva il coltello si era abbassata lungo il fianco, ma era irritato che la sua sorellastra sgattaiolasse in giro per la casa. «Cosa stai facendo nascosta in un angolo, per l’amor del cielo? Avrei potuto ferirti.»

    Non aveva fatto nessuno sforzo per parlarle o per scoprire qualcosa su di lei da quando, due mesi prima, si era trasferita con la sua orribile madre, e non aveva intenzione di iniziare adesso.

    «Ero…» si era interrotta. «Mi dispiace. Ero…»

    «Sputa il rospo, ragazzina, e alzati dal pavimento, subito.» Caleb aveva fatto un passo indietro per rimettere il coltello al suo posto con fragore, prima di chiudere il cassetto con un po’ troppa forza. Era irritato perché lei viveva con lui in quella casa, figuriamoci se si aggirava come un coniglio spaventato.

    Lei era balzata in piedi e, sebbene Caleb non avesse acceso la luce principale della stanza, lui riusciva a scorgere il suo abbigliamento, un’assurda T-shirt nera enorme sopra a pantaloni sformati del pigiama. Si era accigliato quando le aveva fissato il viso mentre chiudeva il cassetto dopo aver riposto il coltello. Perché indossava quell’orribile trucco a quell’ora della notte?

    Wren sembrava intontita mentre fissava Caleb. Lui era immobile, nella luce fioca e lei lo fissava, incapace di muoversi. «Mi…Mi dispiace,» aveva balbettato. «Stavo solo…»

    Il viso di Caleb si era scurito, mentre tornava a prendere l’acqua per avvitare di nuovo il tappo. «Stavi solo, cosa?»

    Wren teneva qualcosa in mano e stava cercando di nasconderlo, e poi aveva fissato il pavimento. «Stavo cercando qualcosa da mangiare.»

    Già, aveva pensato lui. Aveva bisogno di un po’ di carne su quelle ossa.

    «Fai pure,» aveva detto con noncuranza, ondeggiando la mano verso il frigorifero. «E la dispensa è da quella parte. Jonesy tiene tutto rifornito. Non c’è bisogno di aggirarti furtiva in quel modo.»

    Wren aveva sollevato lo sguardo su Caleb mentre raggiungeva la dispensa, apriva le porte rumorosamente ed entrava. Era una cabina spaziosa tanto da infilarcisi dentro per rovistare. Dopo l’allenamento, anche il suo stomaco

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1