Una madre per i miei figli: Harmony Collezione
Di Grace Green
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Info su questo ebook
Dermid McTaggart ha perso la moglie e ora si ritrova da solo con un bambino di cinque anni. In passato, lui e Alice avevano deciso di far congelare un embrione fecondato in modo da poter avere un altro figlio e ora Dermid deve assolutamente trovare qualcuno disposto a portare in grembo un figlio non suo. Sarà proprio Lacey, la sorella di Alice, a offrirsi di aiutarlo sebbene tra loro ci sia qualche ostilità. All'inizio gli ostacoli sembrano insormontabili, ma poi...
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Anteprima del libro
Una madre per i miei figli - Grace Green
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Pregnancy Plan
Harlequin Mills & Boon Tender Romance
© 2002 Grace Green
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-947-5
www.harlequinmondadori.it
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1
Si recò da lui in giardino, in un mattino nebbioso e bigio.
«La decisione spetta a te, tesoro, ma devi... sbrigarti.» Aveva la voce rotta, gli occhi umidi di pianto. «Quest’attesa... mi spezza il cuore.»
Dermid desiderava abbracciarla, confortarla, ma proprio mentre era lì lì per afferrarla, lei iniziò a scivolare via.
«Aspetta!» gridò, nel panico. «Alice, aspetta!»
Ma lei stava già scomparendo fra la bruma, le maniche ampie del suo vaporoso abito bianco che ondeggiavano dietro di lei come ali d’angelo che la sospingevano verso il paradiso.
«Alice!» gridò ancora, cercando di seguirla, ma la nebbia lo avvolse nella sua umida ragnatela, bloccandolo...
«Papà!» Una scossa al braccio, una vocina di bambino che ripeteva, concitata: «Papà!».
Dermid grugnì, si riscosse dall’incubo e, per fortuna, si svegliò lentamente.
Trovò Jack, in piedi, accanto al letto, nel suo pigiamino stropicciato, i capelli castani arruffati, gli occhi nocciola allarmati. Fin troppo allarmati, rifletté, con un senso di colpa per un bambino che aveva appena festeggiato il suo quinto compleanno.
Appoggiandosi sul gomito, schiarendosi con un colpetto di tosse la voce impastata di sonno, disse: «Oh, mi dispiace, tesoro. Ti ho svegliato?».
«Stavi gridando veramente forte. Di nuovo un brutto sogno?»
«Più brutto del solito.»
«Me lo vuoi raccontare?»
«Uhm... no, piccolino, non è il caso. Un giorno, forse, quando sarai più grande.» Dermid buttò le gambe fuori dal letto. «Per ora, basta con i brutti sogni.»
Si alzò, appoggiò una solida mano sulle spalle del figlio e lo condusse alla finestra. «Andiamo, piuttosto, a vedere che tempo fa lì fuori.»
Il sole, un’esplosione di fuoco in cima alle montagne dalle vette innevate dell’isola di Vancouver, prometteva un’insolita splendida giornata per quel fine maggio. «Si prospetta una mattinata magnifica.»
«Peccato che dovremmo passarla in traghetto.»
«Non ti va di andare a Lower Mainland per il battesimo della tua nuova cuginetta?»
«Avrei preferito restare qui al ranch ad aiutare Arthur a badare agli animali.»
«Non piacciono neanche a me le feste, figliolo, ma dobbiamo fare un sforzo, quando si tratta di parenti.»
In realtà, non erano parenti diretti, bensì acquisiti con il matrimonio. Erano la famiglia di Alice. Ma Dermid voleva bene a tutti. Tutti, tranne Lacey.
Lacey lo lasciava freddo... perché Lacey stessa era una persona fredda. Superficiale. Inutile. Oh, era decorativa, non lo si poteva negare, ma inutile. Un bell’ornamento. E basta. Una bambola. Era la sorella di Alice, ma mai due sorelle sarebbero potute essere più diverse l’una dall’altra.
Alice. Quando se n’era andata, Dermid avrebbe voluto isolarsi dal resto del mondo, rinchiudersi in se stesso, nel suo dolore; ma non aveva potuto farlo. Per Jack. E per il bene di suo figlio, era rimasto in contatto con i familiari di Alice durante quegli ultimi tre anni, anche se, stare con loro, non faceva che acuirgli il dolore della perdita della sua amata consorte, e gli rendeva più difficile lasciarsi il passato alle spalle e trovare, finalmente, un po’ di pace.
Non che nutrisse la benché minima speranza di riuscirci, finché, perlomeno, non avesse trovato il coraggio di porre fine alla situazione pazzesca che gli stava dando il tormento ormai da mesi...
«Allora, papà, dobbiamo proprio andare?»
«Già.» Dermid fissò il giardino... il giardino di Alice, che lei curava con tanto amore, e gli si strinse il cuore a vederlo in quello stato di abbandono, desolato come il suo cuore. «Devo discutere di una cosa con lo zio Roy.»
«Non puoi farlo per telefono?»
Dermid distese lo sguardo oltre il giardino, verso i pascoli, più di settanta acri di terra, dove dimorava il suo gregge di alpaca e lama. «No, si tratta di una faccenda davvero molto importante, di cui dobbiamo discutere faccia a faccia.»
Jack corrugò la fronte, perplesso e contrariato; poi, come spesso accade ai bambini, perse immediatamente interesse nella conversazione, allorché adocchiò una figura alta e magra spuntare da dentro al granaio.
«Guarda, c’è Arthur! Mi vesto e vado ad aiutarlo a rigovernare le stalle.»
Mentre Jack si precipitava fuori dalla stanza, Dermid ripensò alla questione da affrontare con il cognato e si depresse.
La decisione che doveva prendere, quella che gli causava incubi da diversi mesi, ormai, era di certo la più crudele che qualunque uomo potesse mai trovarsi a fronteggiare in tutta la sua vita.
«Lacey, grazie al cielo, sei qui!»
Lacey Paget spense il motore della sua decappottabile grigio metallizzato. Estraendo la chiave dall’accensione, indirizzò uno sguardo interrogativo alla cognata Felicity che si era precipitata giù per le scale di Deerhaven e le stava correndo incontro.
Aveva il fiatone quando si fermò, proprio mentre Lacey stava per ficcare le chiavi nella sua borsa di pelle grigia.
«No, non metterle via!»
«No?» Lacey bloccò il movimento, allargando le dita dalle unghie smaltate di rosso sulla borsa.
«Ho bisogno di chiederti un favore. Dermid ha telefonato dal traghetto, qualche minuto fa, per dire che c’è stato un grosso ritardo a Departure Bay e che, per risparmiare tempo, ha lasciato l’auto a Nanaimo e lui e Jack si sono imbarcati senza vettura. Roy ha detto che sarebbe andato a prenderli a Horseshoe Bay, ma è stato trattenuto in ufficio, per cui...»
«Per cui vuoi che vada a prenderli io.»
«Non ti dispiace, vero, Lacey? Ci andrei io stessa, ma è l’ora della pappa e...»
«Non aggiungere altro. È un piacere, per me.»
«Sei un angelo.» Gettandosi all’indietro la treccia bionda, Felicity consultò il suo orologio. «Se parti subito, sarai lì proprio per l’arrivo del traghetto.»
Lacey inserì la chiave e avviò il motore. «Già mi pregusto la scena. Quando il ruvido scozzese mi vedrà, gli verrà un colpo. Perlomeno, però, sarà costretto a guardarmi in faccia.»
«Lacey...»
«Uhm?» Il sorrisetto di Lacey era impertinente.
«Non essere troppo dura con lui, vuoi?»
«Farò del mio meglio, ma è lui che sa tirare fuori il peggio di me. Come tutti i maschilisti, d’altronde. E lui è il peggiore che mi sia mai capitato di conoscere.»
Felicity ridacchiò, una melodia contagiosa che fece ridere anche Lacey.
E mentre conduceva la sua auto sportiva giù per il vialetto, pensò, come spesso le accadeva, a quanto fosse fortunato suo fratello Roy ad aver trovato una compagna perfetta come Felicity.
Il suo primo matrimonio era stato un disastro. Sua moglie Marla era una donna dura ed egoista che gli era stata infedele per diversi anni. Dopo la sua morte, Roy aveva conosciuto e si era follemente innamorato di Felicity, che non solo era la babysitter di sua figlia Mandy fin dalla nascita, ma era stata come una madre per la bambina, più di quanto Marla stessa non lo fosse stata. Dopo il matrimonio, Felicity gli aveva dato altri tre figli: due maschietti, Todd e Andrew, e una femminuccia, Verity, la stella della festa di battesimo in programma per quel giorno.
Sarebbe stata una piacevole riunione di famiglia, rifletté Lacey mentre imboccava la strada che l’avrebbe condotta a Horseshoe Bay, l’ultimo attracco del traghetto.
L’unico neo della giornata sarebbe stato, ovviamente, Dermid Andrew McTaggart.
Per giunta, non era neppure un membro di quella famiglia. Solo un parente acquisito. La famiglia di lui, i genitori, due fratelli e una caterva di altri parenti vivevano tutti in Scozia. E, per quanto concerneva Lacey, era lì che se ne sarebbe dovuto rimanere pure lui. Con il resto del suo clan!
Sapeva di non essergli mai piaciuta.
Lei si era predisposta benevolmente nei suoi confronti, come era sempre successo con gli uomini che sua sorella aveva amato, perché lei stessa adorava Alice. Ma l’ombroso scozzese non le aveva dato nessuna possibilità. Per Dermid, tutte le modelle erano creature vuote e insulse, e lui non aveva tempo da perdere con loro.
E, certamente, lei non si era fatta in quattro per guadagnarsi la sua simpatia. Non si giudicava né vuota né insulsa, ma aveva il suo orgoglio, e anche in dose superiore alla norma. Se mai si fosse prospettata l’eventualità di porre fine a quella guerra fredda tra lei e Dermid McTaggart, si aspettava che fosse lui a compiere il primo passo.
In tal caso, però, pensò Lacey con un amaro sorriso, avrebbe fatto prima a smuoversi la terra!
«Credevo che lo zio Roy sarebbe venuto a prenderci.» Jack si guardava intorno, ansioso. «Dov’è?»
Data la giornata calda e soleggiata, il villaggio di Horseshoe Bay era gremito di turisti, autobus, taxi, veicoli di ogni genere. Torme di vacanzieri affollavano i marciapiedi, le vetrine dei negozi, attratti da gioielli di giada, bastoni totemici intagliati, e le tipiche camiciole di Vancouver. Altri leccavano coni gelato e vagavano senza meta, godendosi la brezza dell’oceano e la vista spettacolare fornita dai magnifici yacht ancorati nel porto, l’enorme traghetto bianco e l’azzurro scintillante dell’oceano.
«Tuo zio starà probabilmente aggirandosi qui intorno alla ricerca di un parcheggio. Sarà meglio non muoversi e aspettarlo qui. Arriverà...»
«Ciao, Dermid.»
La voce echeggiò, distante, alle sue spalle, ma lui l’avrebbe riconosciuta fra mille. Sottile, leggiadra, squillante. E provocatoria.
Si voltò, e lei era lì. La sua nemica. Strepitosa come